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IGNORED

Bronzo di Valeriano I con Didone al rovescio


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Salve.

È la prima moneta che vedo che richiama il mito della fondazione di Cartagine da parte di Didone, raffigurata sul rovescio con un operaio col piccone e un muratore che lavora alla porta della città (Hess Divo, AUCTION 339 - LOT 57 - 22 Oct 2020).

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Starting price: 450 CHF

Lot 57. ROMAN PROVINCIAL COINS. PHOENICIA.  
TYROS. Valerianus I, AD 253-260. Bronze. AE 14.21 g. IMP C P LIC VALERIANVS AVG Radiate, draped and cuirassed bust r. Rev. COL TVR - O M - ETR Dido, wearing long dress and mantle, standing l., supervising the construction of the city of Carthago: she holds a sceptre in her l. hand and pointing with a rod in her lowered r. hand to a workman with pickaxe; above, a bricklayer is working at the city-gate; low in field r., murex. BMC 290, 470var.; Cf. Auction Münzen & Medaillen GmbH, Weil/Rh. 20 (2006), 917.
Rare and interesting mythological scene. Dark green patina. Good very fine

Provenance: Auction F. Sternberg, Zürich VI (1976),733.

 

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Didone e la fondazione di Cartagine

La principessa fenicia Didone fuggì con alcuni fedelissimi dalla città natale di Tiro dopo aver scoperto che il re Pigmalione (suo fratello) aveva assassinato suo marito Sicheo per assumere il potere. Dopo una lunga peregrinazione alla ricerca della nuova terra in cui fondare una propria città come le aveva promesso Era, la regina degli dei (la terra in cui, scavando sulla spiaggia, avrebbe trovato un teschio di cavallo), Didone approdò sulle coste libiche. Qui contattò il re locale Iarba per l’acquisto di un appezzamento di terra su cui costruire una nuova città e lui, per tutta risposta, le affidò una pelle di toro e le disse che poteva prendere tanto terreno quanto tale pelle potesse racchiuderne. La tradizione tramanda che la principessa, senza perdersi d’animo, escogitò un astuto stratagemma per accaparrarsi un terreno quanto più vasto fosse possibile, includente la collina su cui costruire la rocca. Didone ordinò che la pelle fosse tagliata in listarelle sottili, le quali fossero legate insieme ai capi per formare una lunga corda. Con tale corda la principessa fece congiungere le rive dai lati opposti dell’altura, acquisendo così la proprietà della collina ed un comodo sbocco sul mare; inoltre Didone fece disporre la corda a forma di semicerchio in modo da racchiudere la maggior area possibile, riuscendo ad occupare un territorio di circa ventidue stadi (uno stadio equivaleva a circa 185,27 mq.) dove avrebbe fatto costruire la città di Cartagine. Ricordiamo che l’antico soprannome di questa città era “Birsa”, che in greco significa “pelle di bue” e in fenicio “rocca”.

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Durante la vedovanza Didone fu insistentemente richiesta in moglie dal re Iarba e dai principi numidi, ma dopo aver finto di accettare le nozze, per evitarle si gettò su una pira e morì tra le fiamme. Didone fu divinizzata dal proprio popolo con il nome di Tanit, la dea che deteneva il posto più importante a Cartagine e quale ipostasi della grande dea Astarte. Il culto di Tanit sopravvisse alla distruzione di Cartagine e fu introdotto nella stessa Roma dall’imperatore Settimio Severo. Esso si estinse definitivamente con le invasioni barbariche. La tradizione romana vedeva un collegamento tra la famiglia cartaginese dei Barca e la regina leggendaria, tanto fu che anche la regina Zenobia di Palmira, molto più tardi, si proclamò discendente ed erede politica di Didone.

Il mito di Didone è stato ripreso da Virgilio nell’Eneide, nella versione in cui lei s’innamora di Enea giunto naufrago a Cartagine. È a lei che l’eroe troiano racconta le vicende vissute a partire dalla fine di Troia. Zeus (Giove), tramite Ermes (Mercurio), impone la nuova partenza all’eroe troiano che lascia Didone dopo un ultimo terribile incontro in cui lei lo maledice e prevede eterna inimicizia tra i popoli. Poi, con delle scuse, svia Anna e la nutrice Barce e disperata si uccide con la stessa spada che Enea le aveva donato, gettandosi poi nel fuoco di una pira sacrificale.

 

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