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Semifonte


ARES III

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Semifonte fu una città fortificata, che sul finire del XII secolo, divenne una fiera avversaria di Firenze. Oggi è solo il toponimo di una località nei pressi di Petrognano, frazione del comune di Barberino Val d'Elsa, in provincia di Firenze.

Il nome deriva da latino Summus Fons (sorgente d'acqua alla sommità di una altura), divenuto in seguito Summofonte e infine Semifonte.

Il castello prima, e la città poi, vennero fondati, intorno al 1177, dal conte di Prato Alberto IV degli Alberti, divenendo, in breve, uno dei centri più potenti della Valdelsa, nonché caposaldo imperiale nella zona.

Questa nuova potenza fu immediatamente malvista dalla Repubblica fiorentina che vi si oppose in ogni modo e che riuscì a sconfiggerla nel breve volgere di un ventennio. Nel 1202, Semifonte, dopo un assedio iniziato nel 1198, venne sconfitta, conquistata e subito rasa al suolo dalle truppe di Firenze, che aveva voluto esemplarmente punire un avversario alle proprie mire espansionistiche.

Terminata l'opera di distruzione, Firenze decretò che su quel colle non si sarebbe mai più potuto costruire nessun edificio. Tale divieto è stato, di fatto, rispettato fino ad oggi, ad esclusione della Cappella di San Michele, eretta, nel 1597, sulla cima del colle, su progetto di Santi di Tito, che ne ottenne, con fatica,l'approvazione da Ferdinando I de' Medici, allora Granduca di Toscana.

Tra il 1154 e il 1174, l'imperatore Federico il Barbarossa scese in Italia cercando di sottomettere i liberi Comuni. Questi ultimi, appartenenti alla Lega Veronese di Pontida prima, Lombarda poi, infersero una sonora sconfitta all'imperatore durante la battaglia di Legnano nel 1176, giungendo infine alla pace di Costanza (1183).

In questo clima di lotte tra imperatori e feudatari da una parte, liberi Comuni dall'altra, si colloca la nascita della città di Semifonte, fondata dal Conte Alberto IV degli Alberti nella seconda metà del XII secolo con l'intento di creare una cintura di castelli appartenenti ai feudatari fedeli all'impero[6] intorno alla città di Firenze, libero comune, per tentare di contenerne l'espansione. Le principali piazzeforti del partito imperiale erano: Fucecchio, San Miniato, Semifonte e Montegrossoli.

A questi si affiancavano altri castelli degli Alberti (Certaldo, Castelfiorentino, Lucardo, Vico d'Elsa, Pogna[6]) e dei Conti Guidi (Poggibonsi e Monterappoli).

I contrasti per l'edificazione della città (1177 - 1187)

La prima fondazione

Allo stato attuale non esiste nessuna testimonianza che permetta di stabilire con precisione la data di fondazione di Semifonte, quello che è possibile fare sono solo delle supposizioni. Anche da un punto di vista bibliografico l'unica testimonianza coeva agli avvenimenti è quella del giudice fiorentino Senzanome che assistette personalmente ad alcune fasi della guerra, terminata con la distruzione del centro. Il Senzanome colloca la fondazione intorno al 1177 per iniziativa del conte Alberto IV in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Federico Barbarossa; il monarca si trattenne in Toscana fino al gennaio 1178 per poi ritornare in Italia solo nel 1184. In quell'anno era scoppiata una contesa tra gli Alberti e il comune di Firenze per il controllo di Pogna e, nella cronaca di Senzanome, è scritto che il Conte Alberto «trascursis annis postea non multis» dal 1177 «dum excellentissimus Fridericus primus, Romanurum imperator intraret Ytaliam, de ipso confidens, de ipso castro super excellentioris monte qui dicebatur Somofonti, castrum contruixit eodem nomine appellatum, eiusdem imperatoris asumpto vexillo, quod nullum Ytalia melius nec forte simile preter unum». Questa è l'unica testimonianza che parli della nascita di Semifonte; visto che la località non venne nominata nell'elenco dei beni confermati dall'imperatore ad Alberto nel 1164, anno in cui il conte era da poco diventato maggiorenne e quindi è da ritenere che la fondazione del centro deve essere avvenuta proprio tra il 1177 e il gennaio 1178.

Per gli Alberti la fondazione di un nuovo centro non era una novità, visto che, all'inizio dell'XI secolo, si erano fatti promotori della fondazione di un centro destinato a ben altra fortuna: Prato. Semifonte come Prato nasceva dall'aggregazione di diverse comunità poste nell'area circostante ma, rispetto alla fondazione di Prato, quello che era cambiato era il contesto. La zona in cui nacque Semifonte, alla fine degli anni settanta del Millecento, era una delle aree più popolate della Toscana potendo contare sia su centri come Certaldo, Podium Bonizii, San Gimignano, Colle di Val d'Elsa sia dall'essere attraversata dalla via Francigena; a quel tempo la via Francigena era l'asse principale per i movimenti degli uomini e delle cose e poterne avere il controllo era fonte di sicuri e immensi guadagni. Questi guadagni erano uno dei principali obbiettivi della Firenze del tempo e quindi, per averli, era pronta a combattere. Fin dalle fasi iniziali del popolamento, Firenze intuì che il nuovo castello le avrebbe inevitabilmente tagliato qualsiasi collegamento con il sud, per la sua collocazione strategica sulla via Volterrana, e dichiarò la guerra: ai primi di marzo del 1182 fu organizzata una spedizione militare, con l'intento di scoraggiare il progetto, attraverso l'occupazione e la sottomissione di Empoli, Pontorme, Pogna e distruggendo i cantieri attivi a Semifonte. La missione militare andò a buon fine visto che gli sconfitti giurarono di «Nec in Sumofonti pro castello edificando vel in alio podio non ibimus pro castello vel fortizia construenda vel facienda aliquo ingenio» (né faremo alcunché per edificare un castello in Semifonte né andremo in altro poggio per costruire un castello o opere fortificate o per fare altri accorgimenti difensivi) e queste non sono altro che le parole degli abitanti di Pogna, registrate dai notai fiorentini in un documento datato 4 marzo 1182.

Seconda spedizione punitiva fiorentina e ripresa dei lavori

I lavori furono sospesi per un paio di anni. Quando la situazione si fu nuovamente calmata gli Alberti riportarono lavoratori e abitanti nella zona per ricominciare i lavori di fondazione e Firenze scatenò nuovamente la guerra alla famiglia. L'esercito fiorentino occupò nuovamente Pogna, vennero distrutte le fortezze albertiane di Marcialla e di Mangona nel Mugello, dove il conte Alberto IV venne catturato. Per ottenere la libertà dovette accettare le condizioni dei fiorentini che consistevano nello smantellamento delle fortificazioni di Certaldo, nella distruzione di Pogna, nella cessione della metà degli introiti dei dazi percepiti con i pedaggi sulla Francigena e nel nuovo smantellamento di Semifonte. Il documento di resa recita: «Nec ullo in tempore reedificabimus vel permettimus reedificationem aliquo ingenio castellum de Pogna, nec domus aut operas in Summofonte» (Né mai riedificheremo e permetteremo la riedificazione con qualsiasi accorgimento del castello di Pogni né di case o d'opere in Semifonte). Costretti a questo giuramento furono: il Conte Alberto, i suoi figli Guido e Maginardus e la moglie Tavernaria.

I patti però non furono rispettati e il processo di espansione di Semifonte riprese indisturbato.

Il 19 agosto 1187 il conte Alberto si presentò a Bologna come testimone al cospetto dell'imperatore Enrico VI facendosi appellare quale «comes Albertus de Summufonte». La scelta del conte è significativa: fino a quel momento gli Alberti si erano sempre presentati come Conti di Prato ma la scelta di usare il nuovo titolo di fronte all'imperatore (cioè di fronte a colui che legittimava il loro potere) va letta come la dimostrazione degli stretti legami che legavano la famiglia con il nuovo centro e il nuovo centro con il potere imperiale; il messaggio rivolto in tal modo a Firenze ed ai suoi alleati era chiaro: toccare Semifonte equivaleva a toccare direttamente gli interessi imperiali. Fra i principali alleati di Firenze, in quel momento, vi erano i conti Guidi i quali, nello stesso periodo, nella zona tra la Pesa, l'Elsa e l'Arno, insomma nel feudo degli Alberti, avevano fondato ben due centri:Podium Bonizii ed Empoli, e quest'ultima, con il dichiarato intento di sottrarre uomini agli Alberti[14]. Con la nascita di Semifonte gli Alberti, unici veri rappresentanti del potere imperiale in questa zona della Toscana, cercarono di controbilanciare il potere guidingo.

Lo sviluppo della città (1187 - 1198)

Mortennano e nascita del comune

A Semifonte i lavori procedettero in maniera spedita e, oltre alle fortificazioni, vennero costruite le case per gli abitanti, i quali furono subito dediti alle più varie attività artigianali, nonché alla mercatura.

Ma ci fu un vero e proprio colpo di scena: il 18 luglio 1189 il Conte Alberto degli Alberti cedette metà dei suoi diritti sulla città a Scorcialupo da Mortennano: questa mossa servì per rafforzare la posizione della nuova città nei confronti di Firenze, facendo entrare Semifonte nell'orbita di Siena. Scorcialupo infatti era il proprietario del Castello di Monternano, situato nei pressi di Castiglione (oggi Castellina in Chianti), nel distretto della pieve di Sant'Agnese in Chianti, appartenente alla diocesi di Siena ed inoltre apparteneva ad una potente famiglia dell'élite senese e, Siena, avversaria di Firenze, mai avrebbe permesso che la città gigliata minacciasse una proprietà di un suo concittadino. Se da una parte questa scelta rafforzò politicamente Semifonte, dall'altra questo, è il primo segnale 

dell'abbandono da parte degli Alberti dello scacchiere toscano, Prato compresa, per trasferire i loro interessi nell'area di Bologna, dove infatti si attesteranno dal Trecento. La cessione però, non fu vissuta come un dramma dagli abitanti. Infatti nello stesso periodo (o forse fin dal principio), all'interno del castello, si era cominciata a formare una solida leadership di cittadini che, di concerto col fondatore, avevano iniziato a autogovernarsi.

La prima attestazione di un Comune di Semifonte appare in una carta della badia a Passignano del dicembre 1192 e, alla fine del secolo, risulta che il governo del comune era affidato a tre consoli e ad un consiglio di cui sono rimasti i nomi di sette consiglieri.

Intanto il castello si andava sempre più sviluppando e, con la sua potenza, già minacciava i commerci di Firenze. Si narra che i cavalieri di Semifonte andassero fin sotto le mura di Firenze a gridare in segno di scherno:

«Fiorenza, fatti in là
che Semifon si fa città»

Sempre nel 1192, le milizie di Semifonte catturarono, quasi sicuramente su ordine dell'Imperatore Enrico VI, il cardinale Ottaviano Vescovo di Ostia[18], l'uomo, in quel momento, più autorevole della Curia romana, il quale transitava sulla via Francigena di ritorno verso Roma da una missione diplomatica in Normandia. Il Cardinale fu poi rinchiuso nella fortezza di Monte Santa Maria Tiberina presso Città di Castello. Ma questo non fu che l'episodio più clamoroso: approfittando della posizione strategica della loro città, i semifontesi erano soliti depredare tutti i messi pontifici di passaggio e ciò li mise in cattiva luce con la curia romana. Ma a salvarli fu la notevole ricchezza e l'importanza strategica del castello che attirarono l'attenzione di due importanti e vicini monasteri vallombrosani: la badia a Coltibuono e, soprattutto, l'abbazia di Passignano.

Ingresso di Badia a Passignano

Il 15 novembre 1192 la badia di Passignano acquistò un edificio e un terreno non edificato posti nel borgo di Cascianese, uno dei borghi che costituivano il nuovo centro. Questo investimento fu fatto, ufficialmente, allo scopo di poter costruire un ospedale per i viandanti. Circa un mese dopo, venne siglato un accordo tra il pievano di Santa Gerusalem (la chiesa principale del castello) e l'abate di Passignano, accordo che ebbe un peso notevole nelle vicende future. In base a questo accordo il pievano, sul cui territorio sorgeva Semifonte, concesse due privilegi alla chiesa che il monastero si era impegnato a costruire insieme all'ospedale: il titolo di parrocchia ed il governo su quella parte della nuova città che andava dalla porta di Tezanello alla opposta porta di Bagnolo . Non solo, il pievano si impegnò a non sollevare obiezioni nel caso in cui la chiesa patrocinata da Passignano avesse ottenuto dal Papa il diritto alla fonte battesimale, concessione apparentemente inspiegabile visto che la fonte battesimale era un'importante prerogativa della chiesa di Santa Gerusalem. L'elevazione di una semplice chiesa parrocchiale a pieve era un evento molto insolito in ambito fiorentino, ma il pievano di Santa Gerusalem non parve preoccupato dall'eventuale diminuzione di importanza della sua chiesa, forse perché sapeva che Passignano godeva dell'appoggio dalla Santa Sede. La contropartita che Passignano dovette concedere fu modesta: doveva riconoscere la superiorità della pieve sulla parrocchia e festeggiare le festività della Santa Croce e di San Niccolò che si tenevano nella stessa pieve; dati i rapporti di forza, totalmente a favore di Passignano, per il monastero l'affare fu notevole. Il ruolo di Coltibuono invece è meno chiaro, anche se ottenne di farsi rappresentare nel consiglio comunale della città da un uomo che faceva stabilmente parte della classe dirigente cittadina: Biliotto di Albertesco, un commerciante con bottega sul mercato locale. In un anno non definito, Biliotto e la badia a Coltibuono procedettero alla vendita di un bene non specificato a un membro della famiglia Ricasoli di Vertine, e con tale evento si tentò di inserire la famiglia Ricasoli nella nobiltà Semifontese. Non se ne fece di nulla perché, nel 1202, avvenne la capitolazione e il contratto venne annullato.

Ma non furono solo interessi economici a far muovere Passignano. Come abbiamo visto, il potere degli Alberti era ormai in netto calo e l'abate di Passignano, spalleggiato in questo da Coltibuono, mirava sicuramente prima ad affiancare e poi magari a sostituirsi quale feudatario, e, a questo progetto, non erano estranei i consoli del comune di Semifonte; il consiglio si impegnò a non esercitare alcun diritto fiscale sia sulla chiesa che sull'ospedale che il monastero voleva costruire e, inoltre, questa immunità venne estesa a tutte le case che il monastero avesse costruito o acquistato dentro le mura e su tutto il territorio semifontese. In cambio di queste concessioni, l'abate offrì al comune tutto l'appoggio che il monastero poteva dare. Da questi accordi si evince che la sostituzione degli Alberti con Passignano era possibile, anche se ciò comportava una modifica degli equilibri interni; Passignano ottenne inoltre che nel consiglio del comune sedesse stabilmente un suo rappresentante, nella persona del procuratore Pierus quondam Cascianelli ed il comune, in cambio, ottenne l'appoggio di una potente comunità monastica, fortemente legata con la Santa Sede.

L'inizio della fine

Nell'autunno 1196, approfittando della partenza dell'esercito imperiale alla volta della Sicilia, i fiorentini per la prima volta attaccarono il borgo esterno alle mura della città. Subirono danneggiamenti anche una o più chiese di proprietà della Badia a Passignano. La reazione dei monaci fu immediata: su intercessione dell'abate, papa Celestino III lanciò l'interdetto su Firenze, a causa dei danni che quest'ultima aveva causato ai beni che il monastero possedeva a Semifonte. A perorare la causa di Passignano e Semifonte venne inviato a Roma Boncompagno da Signa, uno degli uomini di legge più celebri del tempo.

Ma un avvenimento mutò irreparabilmente lo scenario nel 1197: l'imperatore Enrico VI morì e lasciò come erede Federico II di soli tre anni.

La Lega di Tuscia

Il partito imperiale entrò immediatamente in crisi e tutti i conflitti ripresero. Tra i primi a muoversi furono i comuni di San Gimignano e Volterra, che si allearono contro il vescovo di Volterra ed il locale rappresentante imperiale Bertoldo. In quello scontro il potere vescovile ne uscì ridimensionato ed inoltre subì la perdita del castello della Pietra, concesso dallo stesso Enrico al vescovo ma ora sottomesso al comune. In prima fila tra gli anti-imperiali c'era Firenze, che insieme ad altre città toscane, stipulò la Lega di Tuscia (1197-1198). La sede delle trattative fu a San Genesio, da sempre sede delle diete imperiali per la Toscana, e, oltre a Firenze, furono coinvolte Lucca, Siena, i Conti Aldobrandeschi, i Conti Guidi, altri Grandi di Toscana, San Miniato e il vescovo di Volterra e, poco dopo, venne estesa anche ad Arezzo ed a Prato. L'importanza della Lega di Tuscia fu enorme: per la prima volta le città toscane si spartirono il territorio della regione senza tener conto delle antiche divisioni amministrative, inoltre, venne, di fatto, stabilito un rapporto paritario tra le autorità comunali ed i signori feudali e, infine, i partecipanti si giurano reciproca difesa, impegnandosi a non riconoscere Imperatore o Re senza ordine della chiesa. L'obiettivo principale era la resistenza contro una restaurazione della signoria tedesca. Ogni membro avrebbe dovuto ottenere la sovranità nel proprio territorio, senza violare i diritti degli altri. Il vescovo di Volterra venne posto a capo della lega. Tra i convocati c'erano anche le maggiori famiglie feudali toscane che, avendo ormai perso la protezione imperiale, si videro costrette, non solo ad accettare di partecipare all'assemblea, ma anche ad accettarne le decisioni. Tra i partecipanti c'erano i Guidi, i Gherardini, gli Aldobrandeschi e gli Alberti. Nell'accordo finale i diritti di queste famiglie vennero riconosciuti, a patto però che fossero di concessione regia ma, di fatto, da quel momento in poi persero, o dovettero profondamente ridimensionare, il controllo che avevano sul territorio.

Per quanto riguarda gli Alberti, Firenze pretese, non a caso, un accordo diverso. Dalla Lega di Tuscia dovevano rimanere fuori le fortezze albertiane di Certaldo, Mangona e Semifonte, in pratica i gioielli del dominio albertesco, in cambio Firenze garantì la restituzione agli Alberti per usi agricoli dell'area di Semifonte, ovviamente dopo che ne fossero state smantellate le fortificazioni.

Nel 1198 era stato eletto al soglio pontificio papa Innocenzo III, fautore di una decisa politica antimperiale, e Semifonte si trovò di fatto isolata da tutto e da tutti.

L'assedio e la distruzione (1198 - 1202)

I fiorentini cominciarono la riconquista del contado sottomettendo prima il castello di Montegrossoli, e poi, l'11 maggio 1198, Certaldo. Firenze decise di cominciare la guerra contro l'odiata Semifonte proprio nel 1198. La prima mossa fu il rafforzamento del vicino castello di Barberino, che avrebbe fatto da quartiere generale, poi ci fu la conquista di Vico d'Elsa ed a quel punto l'accerchiamento di Semifonte era completo.

Gli alleati di Semifonte

La probabile futura caduta di Semifonte fece preoccupare i vari centri della Valdelsa, che temevano il dilagare della potenza fiorentina nella zona. Perciò provvedettero, innanzitutto, a sopire le varie vertenze locali. Colle di Val d'Elsa inizialmente si era schierata con il partito imperiale ma, dopo diversi scontri per il possesso del castello di Casaglia, il 24 novembre 1199, stipulò un patto di alleanza e difesa reciproca con San Gimignano (alleata di Semifonte), per contrastare Poggibonsi, cittadina amministrata in condominio da Firenze e Siena; tale accordo venne stipulato proprio nel castello di Semifonte, grazie alla mediazione del console Mainesctus. Altri accordi furono stipulati tra i signori feudali dei comuni minori della Valdelsa e della Valdera quali Montevoltraio, Montignoso, Monteglabro, Castelvecchio e i signori del castello della Pietra; tutti questi centri si dichiararono alleati di Semifonte. Alla luce di quello che successe dopo, la loro alleanza con Semifonte fu solo teorica.

La città fu assediata, certamente in maniera non continuativa, anche per le ingenti spese che ciò avrebbe comportato.

Il tradimento del conte Alberto

La situazione precipitò il 12 febbraio 1200, quando, il conte Alberto IV, per salvare il resto dei suoi domini feudali, si accordò con il comune di Firenze vendendogli per 400 libbre o 400 lire di moneta pisana la sua metà dei diritti sul castello; inoltre, si impegnò ad aiutarli nell'assedio e cedette, definitivamente, il castello di Certaldo (che nonostante tutto aveva continuato ad aiutare Semifonte), in più vennero ripetute le clausole dell'accordo del 1184, ovvero l'esenzione su qualsiasi pedaggio per i mercanti e i cittadini fiorentini in transito sulla Francigena. Il Conte Alberto che tanto si era adoperato per l'edificazione della sua città, ora l'aveva tradita. Fiutando il vento, anche Scorcialupo da Mortennano cedette a Tabernaria, moglie del conte Alberto, la sua metà del castello di Semifonte e lei girò immediatamente il tutto al comune di Firenze, che, a questo punto, era, da un punto di vista legale, la padrona assoluta del castello.

Dopo la resa del conte, anche il vescovo di Volterra, Ildebrando Pannocchieschi, si schierò apertamente con i fiorentini inviando, contro Semifonte e contro Colle Val d'Elsa, 200 cavalieri e 1.000 fanti. Lo fece perché sperava in un loro aiuto contro San Gimignano, ma tale decisione, la prese sfidando una parte dei suoi fedeli e lo stesso comune volterrano schierato invece a fianco di San Gimignano e Semifonte.

La pace di Fonterutoli

Nel 1201, quarto anno di guerra, Firenze ancora non era riuscita a fiaccare la resistenza dei semifontesi; evidentemente la volontà dei difensori unita agli aiuti dei centri minori stava funzionando ma Firenze stava per calare il jolly.

Il 29 marzo 1201, nella canonica di San Miniato a Fonterutoli, si incontrarono Paganello da Porcària, podestà di Firenze, e Filippo Malavolti, podestà di Siena, con i loro rispettivi funzionari. Fra le due parti venne firmato un accordo in base al quale i decennali contrasti tra le due città avrebbero visto la fine. L'accordo prevedeva che Firenze concedesse il libero transito ai mercanti Senesi nel suo territorio e in cambio, Siena si impegnò a fare altrettanto. Apparentemente sembra un accordo commerciale, ma, in realtà, è politico e militare; il podestà di Firenze fece infatti scrivere che se un abitante di Montalcino fosse stato trovato in territorio fiorentino, venisse catturato e, entro 15 giorni, consegnato alle autorità senesi ed inoltre, e qui è il passo fondamentale, se Siena avesse chiesto aiuto militare a Firenze per la conquista di Montalcino, la città del giglio, le avrebbe messo a disposizione 100 cavalieri e 1000 tra fanti e arcieri, mantenuti a spese della stessa Firenze per almeno un mese. Da parte sua Siena si impegnò a considerare Semifonte come sua nemica e se un semifontese fosse stato trovato nel suo territorio lo avrebbe consegnato a Firenze, e, inoltre, avrebbe fornito, per la guerra di Semifonte, un contingente armato anch'esso di 100 cavalieri e 1000 fanti[29]. Ma l'accordo prevedeva anche altro: Siena si impegnò a impedire che Colle di Val d'Elsa fornisse qualsivoglia aiuto a Semifonte e, da parte senese, non sarebbe stato inviato nessun aiuto a San Gimignano se quest'ultimo avesse continuato a schierarsi dalla parte di Semifonte. In definitiva, l'accordo stipulato a Fonterutoli stabilì, senza dubbi, quali erano le zone di influenza delle due città.

Nonostante Firenze fosse, dal punto di vista legale, la padrona del castello decise di scendere a patti con Siena.

L'accordo era fondamentale perché Siena era diventata una vera e propria spina nel fianco verso i progetti di espansione fiorentina in Val d'Elsa e nel Chianti. Tra le due città esisteva un vecchio accordo che era stato firmato l'11 dicembre 1176 nella pieve di San Marcellino. L'accordo mise momentaneamente fine al conflitto scoppiato l'anno precedente, tra le due parti, per questioni di confini nel Chianti e per il controllo di Montepulciano. In quel patto si stabilì che il confine nella zona del Chianti sarebbe iniziato dal punto in cui il torrente Bornia si getta nell'Arbia e, di conseguenza, i castelli di Brolio, Campi, Lucignano, Monteluco, Lecchi e Tornano passarono sotto il controllo di Firenze. L'accordo stava stretto a Siena che infatti lo rispettò solo per modo di dire; subito dopo la firma entrambe ricominciarono a guerreggiare. Insomma l'accordo di Fonterutoli servì a tenere buona Siena per il tempo necessario a prendere Semifonte, poi tutto sarebbe ricominciato come sempre.

L'accordo di Fonterutoli determinò dunque, il cambiamento di campo di Colle Val d'Elsa, ma non fu la sola. Ormai i maggiori alleati, come la badia a Passignano, stavano abbandonando Semifonte mentre Firenze ricevette rinforzi anche da Lucca, Prato e dai Guidi. L'unico alleato rimasto fedele era San Gimignano, da cui continuarono ad arrivare rinforzi. Ma furono gli ultimi; nel timore di ritorsioni ed in cambio di una immunità concessa dai fiorentini, i sangimignanesi garantirono che, in caso di caduta di Semifonte, si sarebbero semplicemente limitati ad accettare la cosa.

Epilogo

Nei primi mesi del 1202 Firenze strinse l'assedio. Per l'ultima disperata resistenza, i Semifontesi affidarono la Rocca di Capo Bagnolo (la fortezza principale della loro città) a un certo Dainello di Ianicone dal Bagnano (località poco distante). Firenze, invece, affidò il comando al Console Clarito Pigli (o Pili o Pilli), il quale fece pervenire truppe fresche, nonché i temibili mangani, macchine da guerra per scagliare pietre durante gli assedi e il fuoco greco, che i fiorentini usarono sul campo per la prima volta. Secondo il Salvini, difensori di Semifonte erano poco più di 5000, contando anche i rifugiati dei dintorni, mentre gli attaccanti ammontavano a circa 10000 uomini.

Il commando suicida

L'assalto finale fu lanciato probabilmente all'alba del 23 marzo 1202. Secondo la leggenda, la caduta avvenne per tradimento. Tutti i vari storici del passato individuarono il traditore in tale Ricevuto di Giovannetto, uno dei soldati che il comune di San Donato in Poggio aveva mandato in soccorso di Semifonte. Ricevuto sarebbe stato al soldo dei fiorentini e, in cambio di una esenzione perpetua dal pagamento delle tasse, avrebbe, ad un determinato segnale, dovuto aprire la porta Romana, a lui affidata. Scoperto il tranello, Ricevuto sarebbe stato ucciso dai semifontesi. In realtà ad accelerare la caduta fu un colpo di mano di un vero e proprio commando guidato da un certo Gonella insieme ad altri fuoriusciti semifontesi, tra cui lo stesso Ricevuto, che però rimase solo ferito, ed ai cui discendenti la Repubblica fiorentina concesse l'esenzione in perpetuo delle tasse. Questi semifontesi appartenevano sicuramente a un gruppo di cittadini molto legato al conte Alberto e, grazie alla perfetta conoscenza delle strutture del castello, riuscirono nell'impresa. Secondo il Salvini, che riprende la storia di Pace da Certaldo, le cose andarono così: sfruttando il buio della notte l'esercito fiorentino si era avvicinato alla porta Romana, che intanto era stata aperta dal commando, e una volta dentro il gruppo si divise in due, una parte tentò di scalare le mura della Rocca di Capo Bagnolo (il punto chiave di tutta la fortificazione) mentre l'altro gruppo tentò di conquistare la rocca stessa. Il piano fallì e furono quasi tutti uccisi.

Assalto finale

Intanto il governo di Firenze cominciava a stancarsi di questo lungo assedio e pretese la conquista, oltretutto aveva già ordinato, allo stesso Clarito de'Pigli, di cominciare un altro analogo assedio al castello di Combiate in Val Marina. Clarito decise così di sferrare l'attacco finale sfruttando i nuovi rinforzi che gli erano giunti da Firenze e da Certaldo. Prima dell'assalto inviò nel castello quale ambasciatore. Aldobrandino Cavalcanti, con l'autorizzazione ad accettare qualsiasi richiesta ragionevole. Il consiglio del castello chiese due ore di tempo per decidere. Clarito accettò, ma intanto dispose le truppe. All'interno intanto la discussione fremeva: alcuni fecero presente che la città ormai era allo stremo e che le difese ormai erano ridotte talmente male che i fiorentini non avrebbero avuto difficoltà ad aprirvi un varco, ma altri proposero di resistere ad oltranza confidando nel fatto che nei dintorni la rivolta contro Firenze era in corso e che l'esercito fiorentino avrebbe smobilitato l'assedio per spegnere queste rivolte. Mentre i Semifontesi discutevano erano ormai trascorse le due ore concesse da Clarito, il quale, da parte sua, aveva ormai dispiegato tutte le truppe per l'assalto finale e dette il via alle operazioni.

Quando i semifontesi si accorsero dell'inizio dell'attacco ormai era tardi e, nonostante un'ultima valorosa difesa, tutto si rivelò inutile. Stremati da mesi di assedio non avevano più la forza di combattere e fu allora che una delegazione composta dagli anziani e dal clero si recò da Clarito per invocare pietà. Clarito accolse la richiesta, proibì alle sue truppe ogni atto di violenza sulla popolazione e chiese dodici ostaggi più il loro capo messer Scoto. Dopo una breve trattativa si accontentò di prendere in ostaggio solo due consoli ed entrò in città, per poi schierare le sue truppe sulla piazza del castello.

Tutto questo accadeva il 31 marzo: i Fiorentini erano riusciti a prendere la città, ma non la Rocca difesa dal valoroso Dainello, il quale cessò le ostilità solamente per l'ordine ricevuto da Messer Scoto, detto poi, da Semifonte, ultimo Podestà della città.

L'atto di resa incondizionata

Il 3 aprile 1202, a Vico d'Elsa, venne redatto il trattato di pace tra Clarito Pigli e Albertus de Monteautolo, podestà di San Gimignano, difensore degli interessi semifontesi. Le condizioni di resa furono durissime: i Semifontesi, che furono costretti ad accettare senza neanche poter leggere il trattato[44], si dovettero impegnare ad abbandonare e ad abbattere tutte le fortificazioni della loro città entro il mese di giugno del 1202. Successivamente iniziò la demolizione delle torri, delle case, perfino delle chiese. La leggenda dice che i materiali furono reimpiegati dai Fiorentini nella costruzione della cinta muraria di Barberino Val d'Elsa.

Della città che aveva osato sfidare Firenze non doveva rimanere traccia. Va detto che, in segno di pacificazione, i fiorentini stanziarono 4000 lire a fondo perduto per consentire ai semifontesi di reinsediarsi in una area nel piano sottostante dove, però, non avrebbero potuto costruire nessuna fortificazione; l'area indicata però era inospitale e i semifontesi si dispersero andando in molti a San Gimignano, altri verso i vicini centri valdelsani, altri a Firenze e alcuni persino in Sicilia e in Palestina. Per racimolare le 4000 lire si istituì una nuova tassa, la libra , che fu imposta non solo ai laici ma anche alle chiese e ai monasteri del circondario, e per pagarla, la badia a Passignano, tassata per 24 lire, dovette far ricorso ad un prestito da un usuraio.

Fu disposto che in quel luogo mai si sarebbe potuto riedificare alcuna cosa.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Semifonte

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Interessante   @ARES III   la storia che non conoscevo di Semifonte, città che in quell'ancora giovane Medioevo viene fondata e dopo 25 anni distrutta pietra su pietra cancellandone ogni traccia .

Ricorda che a distanza di una manciata di decine di km. ed a meno di 50 anni, l'imperatore Federico II intendeva distruggere pietra su pietra e cancellare la ribelle Parma e vi fondò nelle immediate vicinanze la nuova città di Vittoria che l'avrebbe sostituita : Vittoria, distrutta in embrione, esisterà solo da Luglio 1247 a Febbraio 1248, esistenza certificata dal cronista fra Salimbene de Adam e da estremamente rare monete battute nella zecca imperiale istituita ed operativa in Vittoria ( discussione "Civitas que fuit et non est" del 26-11-2019) .  

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...se passate da qua, magari per un giro nel Chianti, fermatevi a vedere il "cupolino" della Valdelsa.

Visto dai poggi vicini si ha l'impressione di veder sbucare, dai cipressi che lo circondano, la cupola del Brunelleschi...

 

Un saluto 

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La piccola cappella a pianta ottagonale, coronata da una cupola che (nel rapporto di 1:8) riproduce esattamente quella della Cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, venne costruita fra il 1594 e il 1597 su progetto di Santi di Tito.

Il committente fu Giovan Battista di Neri Capponi, proprietario della rinascimentale Villa di Petrognano, nonché canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore: tuttavia, per poter costruire il tempietto fu costretto a chiedere il permesso al granduca Ferdinando I, dato che vigeva ancora l'antico divieto di edificare in quella zona, di proprietà del Canonico, dove un tempo si ergeva il castello di Semifonte, distrutto dai fiorentini nel 1202.

Il modello brunelleschiano è ripetuto pedissequamente nella pianta ottagonale, derivata dal tamburo di imposta della cupola di Santa Maria del Fiore, finanche nel modello costruttivo a doppia calotta: le diversità riguardano le finestre del tamburo qui rettangolari e non circolari, e la lanterna priva di aperture.

La pala destinata alla cappella (San Michele Arcangelo, San Nicola e altri santi) è di Bernardino Poccetti (1597 circa).

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Cappella_di_San_Michele_Arcangelo_(Semifonte)

800px-Interno_cupola_semifonte.jpg

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Semifonte: struttura dell'insediamento e organizzazione degli abitanti 1

Il periodo in cui le principali strutture architettoniche del nuovo centro vengono realizzate va da 1177 al 1187. Poter definire con certezza com'era strutturata la città è impossibile sia per la mancanza di evidenze archeologiche sia per la mancanza di qualunque documento redatto antecedentemente la 1192, anno di ingresso della badia a Passignano nella vita della città.

La mancanza di documenti è dovuta a due fattori: il primo sta in una naturale selezione della documentazione mentre il secondo è che, in tutte le città di nuova fondazione, nei primi anni di vita vengono sempre prodotti pochi documenti.

Quello che è possibile fare sono solo delle supposizioni, partendo dalle poche tracce rimaste.

Nel 1187 si può ipotizzare che fossero state costruite almeno due porte difensive chiamate porta di Bagnolo e porta di Tezanello, nomi derivanti dai due nuclei abitati posti ai limiti del perimetro e nella direzione in cui si aprivano le porte. Secondo l'ipotesi del Salvini le mura, in realtà, non vennero mai completate e si preferì sfruttare la naturale scoscesità dei fianchi della collina. Quello che sembra certo è che, al momento della capitolazione, fosse rimasto in piedi solo un tratto delle mura mentre il resto della collina sarebbe stato difeso da dei fossati. La presenza dei fossati era fondamentale per delimitare i limiti dell'abitato, ed il loro scavo precedeva sempre la costruzione delle mura. Questo è un fatto tipico delle città di nuova fondazione; infatti i fondatori avevano il compito di costruire le porte ed i fossati per delimitare il castello e poi era compito degli abitanti costruire la cinta muraria difensiva che, proprio per questo, aveva dei tempi di costruzione molto più lenti. Ad esempio, alla metà del Trecento, a circa cinquanta anni dalla sua fondazione, Scarperia, non era dotata di una cerchia muraria, anche se ciò non le impedì di difendersi egregiamente durante l'assedio delle truppe milanesi nel 1351.

Sicuramente c'erano zone in pieno sviluppo edilizio ed altre ferme. Da atti notarili sappiamo che esistevano degli agglomerati definiti borgo, termine evidentemente riferito a delle aree urbane in divenire, tra le quali spiccano il Borgo di Cascianese e il borgo di Maglianese. I nomi di questi due borghi permettono anche di fare un'altra ipotesi: gli abitanti dei suddetti dovevano provenire rispettivamente da Casciano e da Magliano, due villaggi posti nelle vicinanze, i cui abitanti probabilmente vennero obbligati ad inurbarsi e che, nel 1202, costituivano il 20% circa della popolazione semifontese. L'aver raggruppato le persone in base al luogo di provenienza servì a favorire la coesione tra gli abitanti ma era anche dovuto ad altri motivi, come ad esempio il mantenimento dei diritti degli immigrati sulle proprie pertinenze nei luoghi di origine, dove rimanevano iscritti fiscalmente. Insomma, il popolamento di Semifonte seguì le stesse modalità riscontrabili, ad esempio, a Cuneo, Alessandria, Cherasco e all'Aquila: l'inurbamento più o meno forzoso degli abitanti dei villaggi vicini.

Ricostruire topograficamente l'insediamento è impossibile ma è possibile ipotizzare lo sviluppo degli spazi insediativi interni ottenuto attraverso il preventivo tracciamento delle strade interne, che erano condizionate dall'andamento del terreno.

La città aveva una forma che Salvini definì stellata, a quattro punte: al vertice di ciascuna punta si apriva una porta, come si può vedere in questa ricostruzione.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Semifonte

luoghi_01.jpg

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Semifonte: struttura dell'insediamento e organizzazione degli abitanti 2

Mura e porte

Al vertice nord si trova il toponimo La Porta, che non dà adito a dubbi. Questa porta era chiamata Porta al Bagnano o alla Fonte, da una fonte che si trovava dietro le attuali case, ed era situata all'altezza della terza curva dell'attuale strada rotabile. Da lì le mura seguivano l'andamento dell'attuale mulattiera che, andando verso sud, porta a Casa Pietraia e, infatti, lungo questa strada, affiorano delle fondamenta di mura nella zona di Fonte alla Docciola. Da Casa Pietraia le mura proseguivano fino al poggio di Pieve Vecchia, che era interamente circondato dalle mura e nel cui perimetro si apriva una porta detta Porta Razanella o Tezanella. Da questa porta le mura seguivano l'andamento del terreno e finivano all'altezza della casa San Niccolò, dove si apriva la Porta San Niccolò, punto obbligato di passaggio per chi veniva da Vico d'Elsa. Da San Niccolò le mura volgevano a nord-est fino a raggiungere il fianco meridionale della Rocca di Capo Bagnolo, che dovrebbe corrispondere al cosiddetto Tondo. La rocca di Capo Bagnolo sarebbe stata di forma quadrata ed era composta da torri d'angolo ed al centro da una torre maggiore di forma ottagonale il Cassero. Dal tondo le mura andavano vero est fino alla Porta Romana o Porta Grande. Questa porta sarebbe stata sormontata da una torre alta 69 metri chiamata Torre del Leone. L'esatta ubicazione di questa porta è difficile ma, probabilmente, sorgeva all'altezza dell'attuale tabernacolo di santa Caterina, nel punto cioè dove il vertice della collina è più stretto. Da lì le mura volgevano a nord-ovest e, seguendo l'andamento del terreno, si ricongiungevano alla Porta al Bagnano. Il perimetro delle mura della città era di poco inferiore a quello della Firenze contemporanea ma, trattandosi di una nuova fondazione, non poteva raggiungere la stessa densità abitativa.

Il borgo

Fuori dalla porta Grande venne iniziato ad edificare anche un borgo in seguito fortificato, con una propria porta (Porta al Borgo), oggi denominato Petrognano. Del borgo, Pace da Certaldo ricorda solo che era molto allungato, senza dire quanto, e che le mura di cinta erano costituite dalle facciate posteriori delle case e dalle mura di sostegno degli orti. Oggi spicca la bella Torre del Borgo, la prima testimonianza che vede chi arriva da Barberino, ma nei campi sottostanti sono visibili i muri di sostegno degli orti descritti da Pace. Quelle mura circondano tutta la scarpata che è sotto la chiesa di San Pietro e da lì, verso nord-ovest, si ricongiungevano alla porta Grande. Le case del borgo erano probabilmente situate solo nella parte più ristretta del terreno.

Edifici civili e religiosi

Oltre alle strutture militari c'erano anche degli edifici religiosi. A causa della recentissima istituzione, gli edifici di culto erano semplici oratori salvo l'eccezione rappresentata dalla chiesa intitolata a San Lazzaro, la cui esistenza è confermata in un documento del 1192. Il suo titolo, dopo l'avvenuta distruzione, fu trasferito alla pieve di Lucardo, che cambiò il santo patrono da Leonardo a Lazzaro.

Nel 1195 risulta attiva una chiesa nel borgo di Maglianese, intitolata a San Niccolò, l'unica ad avere il titolo di parrocchia. C'erano, infine, altre cinque chiese rispettivamente dedicate a San Michele Arcangelo, a Santa Maria, a Sant'Orsola – con annesso monastero –, alla Santa Croce ed a Santo Stefano.

Popolazione

Al di là delle varie supposizioni fatte dai diversi autori che si sono avvicinati alla storia di Semifonte, per scoprire qualcosa sulla popolazione di questo centro l'unico documento certo è la lista delle persone che nel 1202 giurarono la resa a Firenze. In quella lista, seppur molto sintetica, i capifamiglia sono divisi in due categorie (a giurare erano chiamati solo i capifamiglia (i fuochi), quindi un voto corrisponde ad una famiglia non ad un singolo individuo). Il primo gruppo, identificabile con l'élite del castello è composto da 51 individui mentre i restanti 269 nominativi sono suddivisi in 21 località, corrispondenti ai luoghi di origine. In quel documento non è specificato se e quanti di loro erano presenti fin dalla fondazione.

Messer Pace da Certaldo nella sua Storia della guerra di Semifonte aveva parlato di trecento fuochi (famiglie) nel 1202, al momento della resa della città, e il dato combacia. In passato, partendo da questo dato, erano state fatte stime di circa 15.000 abitanti: in realtà la cifra doveva aggirarsi come minimo intorno alle 1.120 - 1.280 unità[64], in virtù anche del confronto con i dati di altre realtà contemporanee quali Colle di Val d'Elsa (1.800individui), Montalcino (1.380), Montepulciano (2.450). Per arrivare a questa cifra bisogna partire dal documento stilato al momento della resa dove è riportato che i fuochi erano 320 (269 uomini comuni + 51 dell'élite) che rappresentavano famiglie stimate in circa 4 persone l'una. A queste vanno aggiunte un numero imprecisato di persone che non giurarono: religiosi, invalidi e galeotti che portano ad una cifra di circa 1500 abitanti al momento della resa.

La cosiddetta élite semifontese era composta dai commercianti, dagli aristocratici e dai militari che, insieme al conte Alberto, avevano partecipato attivamente sia alla fondazione che al popolamento del castello. Il loro potere era riconosciuto sia dal conte che dal popolo ed in concomitanza col declino del potere degli Alberti, divennero i veri e propri padroni del castello. La loro forza si basava sul consenso e sulla subordinazione feudale che portava a vere e proprie forme di coercizione. Nei confronti degli Alberti non ci furono mai ribellioni anche perché tutti sapevano benissimo che il loro status derivava dalla scelta del conte di fondare il nuovo centro, tanto che fino al 1200 il conte fu comunque il vero e unico padrone del castello e l'élite fu a lui fedele; infatti nel patto col quale il conte tradì il suo centro, tra le clausole, c'era quella che stabiliva che dal centro sarebbero usciti tutti i suoi homines et fideles, dimostrazione senza ombra di dubbio del rapporto di dipendenza che c'era.

Di questa élite tenne conto anche Firenze: dopo la capitolazione dell'aprile 1202, i vincitori ebbero molti riguardi nei confronti del ceto dominante semifontese; infatti ci fu la volontà di instaurare buoni rapporti con loro con l'obbiettivo di farli diventare dei fedeli alla repubblica fiorentina. Perciò Firenze riconobbe loro lo status che avevano, vennero esentati dal pagamento del fodro e gli venne riconosciuto il diritto a rientrare in possesso di tutti i loro servi e coloni che nel corso degli anni successivi fossero scappati dalla circoscrizione del demolito castello.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Semifonte

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Persino Dante ne tramanda il ricordo:

«Se la gente ch'al mondo più traligna non fosse stata a Cesare noverca, ma come madre a suo figlio benigna,
tal fatto è fiorentino e cambia e merca, che si sarebbe volto a Simifonti, là dove andava l'avolo alla cerca»

(Dante Alighieri, Paradiso XVI, 58-63)

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