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IGNORED

Romani in Danimarca (?)


Risposte migliori

Inviato

Buonasera,

sembra che gli archeologi danesi abbiano trovato una struttura difensiva di epoca romana su una isola, Lolland. Nell'attesa di dati più precisi vi invio la segnalazione preliminare.

Archeologi scoprono una grande struttura difensiva di epoca romana in Danimarca. - MediterraneoAntico

Una grande struttura difensiva, lunga 770 m, risalente con ragionevole certezza all’età del ferro romana (100-400 d.C.) è stata scoperta a Lolland, in Danimarca. Gli archeologi del Museo Lolland-Falster, impegnati nello scavo, stimano che tale scoperta sia soltanto una porzione di un’ampia linea di fortificazione in origine estesa fino alla costa.

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Descritta come un ‘campo minato’ perché ne ricorda la funzione, l’area in studio comprende almeno 10.000 fori nel terreno, inequivocabile traccia di tecnica difensiva romana, storicamente nota come ‘gigli di Cesare’, per ritardare l’avanzamento dei nemici inserendo nel terreno pali affilati a mo’ di ostacolo. È stato un lavoro intenso, afferma a TV2 news Bjornar Mage archeologo e curatore del Museo. La struttura è andata quasi completamente distrutta, in assenza di tecniche manutentive, lasciata decadere lentamente e, finora, non è stato possibile datare con precisione il sito, anche se una tomba di un ricco individuo risalente all’età del ferro romana, individuata nei pressi del campo, rimanda a quel periodo storico.

Source: www.cph.dk   www.heritagedaily.com

https://mediterraneoantico.it/articoli/rassegna-stampa-archeologia/archeologi-scoprono-una-grande-struttura-difensiva-di-epoca-romana-in-danimarca/?fbclid=IwAR32WYe23vr69QURJKDsy7LwB_zdFdkso4S9ictQ7BOtWSLqMSKX8edTw0w

Ciao

Illyricum

;)

 

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Inviato

Notizia interessante e di primo acchito curiosa .

Una struttura difensiva spesso  suggerisce i concetti di dentro e fuori : ad esempio il vallo che difendeva i Britanni dentro la Britannia, dai Pitti al di fuori .

In una isola non grandissima, circondata da un mare non privo di pirati e predoni da ogni dove, una lunga struttura difensiva interna, chissà quale dentro proteggeva da quale fuori ?

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Inviato

Buongiorno, oltre a condividere la perplessità di @VALTERI non mi è chiara la definizione : "età del ferro romana 100- 400  d. C.".

Potrebbe essere un errore di traduzione? Potrebbe voler dire semplicemente età del ferro.. Punto. 

Se così fosse anche l'esistenza del manufatto acquistetebbe un senso trattandosi probabilmente di una struttura difensiva" locale" approntata per esigenze locali nei confronti di "altri" locali. 

Resta il discorso della tecnica costruttiva riconosciuta come romana, ma bisognerebbe avere  la certezza di tale tecnica costruttiva e della funzione effettiva. 

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Inviato (modificato)

Facendo una premessa, cioè che durante l'Impero romano la Danimarca era abitata dai Cimbri, che furono poi conquistati durante il V secolo dagli Juti,  in teoria questa struttura allo stato degli atti potrebbe essere sì romana ma anche una realizzazione di tipo imitativo fatta dalle popolazioni locali.

A questa notizia possiamo ricollegare un altro ritrovamento interessante che forse dimostrerebbe il possibile passaggio romano da quelle parti e forse la contestuale costruzione di quell'opera.

Circa 2.000 anni fa, un esercito di circa 400 uomini, appartenente a una tribù germanica, marciò in battaglia nel territorio dell’attuale Danimarca, e furono massacrati fino all’ultimo uomo.
Questa è la storia che raccontano le loro ossa. Durante un lavoro di ricerca presso il sito di Alken Enge tra il 2009 e il 2014, sono state riesumate quasi 2.100 ossa appartenenti ai combattenti morti, dando agli archeologi una risposta e una panoramica interessante sui rituali post-battaglia delle tribù barbare nell’Europa centro-settentrionale

All’interno del nuovo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, un team di ricercatori dell’Università danese di Aarhus ha spiegato la vicenda nei dettagli.

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«La ferocia delle  delle tribù e dei popoli germanici e, in particolare, il loro comportamento estremamente violento divennero un luogo comune all’interno dei resoconti romani», sostengono gli autori dell’articolo. Tuttavia, nonostante i resoconti storici e le cronache latine, fino ad ora erano state trovate poche prove a favore di questa tesi.

Le 2.095 ossa umane ritrovate sul sito archeologico appartenevano a ottantadue persone (apparentemente tutti uomini, di età compresa tra i 20 e i 40 anni), ma gli esperti ritengono che rappresentino solo una parte delle ossa depositate nell’area.

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Grazie a tecniche scientifiche e all’analisi del radiocarbonio, il team di archeologi ha potuto datare le ossa tra il 2 a.C. e 54 d.C., sotto il principato di Augusto e Claudio. Durante questo periodo, Roma si espanse verso nord, ma si scontrò con una resistenza feroce da parte delle tribù barbare, disperse nei territori delle attuali Germania e Danimarca.

L’elemento che ha colpito di più gli archeologi è stata la metodologia seguita per seppellire i corpi: sembra infatti che gli scheletri siano stati depositati nel lago dopo che avevano già subito un processo di decomposizione, per un periodo compreso tra i sei mesi e un anno.

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Non è chiaro chi sia stato ad effettuare la sepoltura: «Alken Enge fornisce prove inequivocabili e indiscutibili del fatto che le popolazioni nel nord della Germania avessero metodi sistematici per l’organizzazione dei campi di battaglia», hanno concluso i ricercatori.

https://amantidellastoria.wordpress.com/2018/05/23/danimarca-scoperti-i-resti-mutilati-di-una-tribu-barbara/amp/

A rigore si deve però riportare anche l'ipotesi che il massacro è stato parte di un vero e proprio rituale (macabro), quindi verrebbe meno l'ipotesi romana, dal momento che sì i Romani dopo la vittoria facessero stragi e massacri, ma non in modo ritualizzato, diciamo che si comportavano in modo più libero e creativo senza seguire delle precise regole di ferocia.

 

Duemila anni fa, un esercito di guerrieri dell’Età del Ferro venne massacrato in battaglia e gettato nel lago Mossø, vicino alle paludi di Alken Enge in Danimarca. Gli archeologi avevano sospettato che si trattasse di un sacrificio religioso, ma i recenti scavi nel sito hanno rivelato sorprendenti e raccapriccianti nuovi dettagli.

Teschi spaccati, mucchi di ossa, vasi funerari e una catena di ossa del bacino infilate in un bastone: indizi che suggeriscono un macabro rituale con profanazione e squartamento post-mortem, prima di essere condannati alle profondità dell’acqua.

(Ejvind Hertz, Skanderborg Museum)
 

All’epoca, l’area sarebbe stata occupata dalle tribù germaniche. Negli ultimi decenni, gli scavi hanno portato alla luce antichi resti umani, e solo recentemente gli archeologi hanno recuperato almeno 60 scheletri (completi o parziali) sul fondale del lago. Il lago esiste ancora, ma è più piccolo rispetto a 2.000 anni fa. “Abbiamo fossati che vanno in diverse aree, quindi sappiamo che stiamo toccando solo una piccola parte di quello che attualmente c’è”, dice Holst.

(Mads Dalegaard. Foto-/medieafdelingen, Moesgård)

“Pensiamo che sia un qualche rituale di chiusura della guerra”, spiega Mads Kähler Holst, project manager dello scavo e capo del dipartimento di archeologia al Moesgård Museum in Danimarca. I vincitori sembrano aver effettuato il loro macabro lavoro su un promontorio che si estendeva sul lago dove sono state gettate le ossa.

La maggior parte delle ossa sono state trovate disarticolate le une dalle altre, e molte recano i segni del campo di battaglia: traumi dovuti a spade, lance e asce. Nel sito sono stati anche rinvenute punte di lancia, un’ascia, la punta di una spada e scudi. Tutti i corpi sono di uomini.

(Ejvind Hertz, Skanderborg Museum)
 
(Ejvind Hertz, Skanderborg Museum)

Le ossa portano strani segni di alterazione dopo la morte dei soldati.

Primo, molti sono stati rosicchiati da animali, inclusi lupi, cani e tassi. Ciò suggerisce che i corpi siano rimasti all’aperto per un periodo di almeno sei mesi – un anno.

Dopo, qualcuno raccolse i cadaveri e divise almeno alcune ossa per tipi. I segni di taglio e scorticamento suggeriscono che le ossa fossero state separate deliberatamente, e che sia stata rimossa qualunque carne rimanente. I sacrifici animali e i vasi di ceramica funerari mischiati coi resti suggerisce una sorta di rituale religioso, dice Holst.

(Peter Jensen, Aarhus Universitet)
 

(Anders Trærup, AU Foto, Aarhus Universitet)

 

(Anders Trærup, AU Foto, Aarhus Universitet)
 
(Anders Trærup, AU Foto, Aarhus Universitet)

Holst e i suoi colleghi non sanno nulla di sicuro sulla battaglia, ma sospettano che i vincitori avessero un attaccamento geografico all’area, dato che si sono trovati così a lungo lì da condurre poi questi rituali. Ci sono esempi ancora più antichi di trattamento rituale dei nemici vinti in quelle che oggi sono Francia, Svizzera e Inghilterra, ma niente come questo è mai stato visto in Danimarca o nelle vicinanze.

Il ritardo nella rimozione dei corpi potrebbe essere stato parte del rituale, dice Holst. O forse la battaglia faceva parte di una guerra più lunga, e i vincitori non tornarono nel luogo fino alla fine del conflitto, aggiunge Holst.

 
Modificato da ARES III

Inviato

Forse i morti di

Adesso, ARES III dice:

Alken Enge

potrebbero essere la traccia di un raid compiuto per vendicare la disfatta di Varo a Teutoburgo nel 9 dopo Cristo ?

Ipotesi anch'essa affascinante e correlata alla nostra struttura misteriosa.

Migliaia di ossa di guerrieri germanici sono venute alla luce dal 2009, disseminate in 75 ettari di prati acquitrinosi. Con lesioni da armi taglienti e colpi. Si tratta del maggiore contingente mai trovato di un esercito sconfitto nel primo secolo, secondo gli archeologi che hanno pubblicato lo studio su Proceedings of the National Academy of Sciences. Oltre 2000 ossa appartengono a circa 380 uomini di età comprese fra 14 e 60 anni morti in combattimento o finiti dopo esser stati neutralizzati. Impossibile conoscere i vincitori della battaglia.

Si fa strada l'ipotesi di un'armata  tribale annientata dai romani. Il radiocarbonio data i resti tra il 2 avanti Cristo e il 54, che coincide con l'epoca in cui l'espansione romana nella Germania aveva raggiunto il culmine settentrionale sul fiume Elba oltre l'attuale Amburgo. Più a sudovest, Roma patì una delle maggiori disfatte militari della sua storia: nel 9 d.C. un esercito al comando di Publio Quintilio Varo fu sgominato in un'imboscata nella foresta di Teutoburgo dai guerrieri di diverse tribù guidati da Arminio. Varo non era un militare, ma il governatore della Siria che l'imperatore Augusto aveva chiamato ad amministrare la provincia della Germania magna dopo le conquiste del figlio Tiberio. A Teutoburgo, oggi Kalkriese, furono massacrati 15mila soldati. Augusto furente imprecò 'Varo, ridammi le mie legioni' e ordinò rappresaglie proseguite da Tiberio e Germanico. "Per decenni i romani compirono raid militari per punire le tribù germaniche. Potremmo avere sotto gli occhi i resti di una di quelle campagne punitive", ha spiegato ad Afp Mette Løvschal, del dipartimento di Archeologia dell'Università di Aarhus, coautrice della ricerca.

Dopo la battaglia, crani fracassati e corpi sventrati. La storiografia romana riferiva spesso gli atti di ferocia "barbarica" del nemico, ma non si può sapere se nei pressi del lago Mossø sia avvenuta uno scontro tra tribù germaniche oppure tra la popolazione locale e incursori romani in Danimarca. Spedizioni settentrionali sono documentate nella storiografia romana e furono anche finalizzate al recupero delle insegne con l'aquila delle tre legioni perdute a Teutoburgo - onta da lavare per Roma che ha ispirato parecchio il cinema - e solo nel 41 fu ripresa la terza. Gli scavi mostrano mobilitazioni belliche nel nord consistenti e ben maggiori dei piccoli gruppi che caratterizzavano i conflitti tribali. Quantunque si fosse trattato di uno di questi, si osserva già la militarizzazione impressa alla regione dall'espansione romana, tale da sconvolgere le strutture sociali dei nativi. Le armi rinvenute sono germaniche, ma le usavano anche le truppe ausiliarie sotto il comando di ufficiali imperiali. Contrariamente al corridoio di Kalkriese, l'ampio bacino si sarebbe prestato alla disciplina e manovre tattiche che rendevano l'esercito romano imbattibile in campo aperto. Le vittime non presentano i molti traumi pregressi che risultano negli esami forensi di veterani; è una popolazione eterogenea con poca esperienza di combattimento, come chiamata alle armi da più villaggi per opporsi a una comune minaccia esterna. Negli scontri intertribali le bande guerriere non raggiungevano invece entità massicce come quella di questo campo di battaglia dove i caduti furono lasciati per mesi in pasto a cani, volpi e lupi. La successiva deposizione delle ossa disarticolate testimonia un rito memoriale realizzato più tardi, anche un anno dopo la battaglia.

https://www.gqitalia.it/news/2018/05/23/la-piu-grande-spedizione-punitiva-dellimpero-romano?amp

 

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Inviato

Quindi un'ipotesi che i resti siano Romani e che forse siano state realizzate in occasione di operazioni militari è verosimile e plausibile, ma purtroppo non ancora dimostrabile .

2 minuti fa, ARES III dice:

compirono raid militari per punire le tribù germaniche

L'idea però mi piace e mi affascina.


Inviato

Interessante riepilogo della storia romana e della Germania:

PROVINCE ROMANE
GERMANIA

di Antonio Montesanti

 

Quello che ha legato Roma alla Germania è sempre stato, nella storia, un rapporto particolare, privilegiato, di stima e di paura reciproca, di ammirazione e odio vicendevole, tutti “sentimenti” che si sono confusi tra invasioni e conquiste dall’una e dall’altra parte.

È necessario sottolineare che le culture paleolitiche tedesche hanno restituito numerose tracce: i reperti acheuleani e clactoniani raccolti a Mackleeberg presso Lipsia, l'industria musteriana di Ehringsdorf e di Neandertal, nonché le stazioni preistoriche di Mauern e delle grotte di Vogelherd. Del periodo mesolitico la località più famosa è Ofnet, che testimonia usanze funebri. Grande diffusione ebbero in tutto il territorio le culture neolitiche, in relazioni alle quali si segnarono le stazioni preistoriche di Aichbühl, Eberstadt, Flonborn, Hinkelstein e Roesen. Nell'Età del Bronzo primeggiano le culture dei tumuli e dei campi d'urne. I tempi preistorici si concludono anche in Germania con l'Età del Ferro che vede l'espandersi della civiltà di Hallstatt. L’elenco di questi siti serve non tanto a dare un sostrato prestorico alla storia tedesca, quanto a confermare che in molti siti tra quelli elencati è stata messa, archeologicamente in luce una sequenza stratigrafica che giunge fino a epoca molto recente, dando conferma di una sorprendente successione di culture continuative, tra l’altro individuate anche a Lauterach nel Württemberg, ovvero di un’occupazione consequenziale degli stessi luoghi e una presenza forte fin da tempi antichissimi.

Per il periodo precedente al I sec. a.C., in cui si ritrovano le prime attestazioni su testi greci e in latini dei popoli germanici, le scarsissime notizie sono offerte esclusivamente dall’epigrafia e dall'archeologia, permettono a stento di riconoscere alcune aree di cultura materiale e linguistica. Le sporadiche tracce seguite tramite l’archeologia parlano di un popolamento proveniente dalla parte settentrionale del paese, area che fra l'Età del Bronzo e il V secolo a.C. tese progressivamente a estendersi dalla Danimarca e fra il Weser e l'Oder fino a raggiungere la Bassa Slesia, la Turingia e il bacino del Reno, mentre il “cuneo” elvetico ha dato modo di poter confermare una larga fascia meridionale legata al popolamento celtico, dove sono numerose e imponenti le tracce dell'Età del Ferro.

Stanziati e permanenti fino al III sec. a.C., i Germani, ricominciarono da quel periodo a muoversi nuovamente verso le regioni del sud-sudovest, comprimendo i Celti ed occupandone i pochi insediamenti. Nel II sec. a.C. i Teutoni vennero fermati dagli eserciti di Mario presso Aix-en-Provence e i Cimbri presso Vercelli (102-101 a.C.).

La storia della Germania romana inizia contemporaneamente alla conquista della Gallia: Giulio Cesare fece conoscere al mondo romanizzato la presenza di popoli oltre Reno forti e differenti dai Celti o Galli. Avvertiva inoltre che le popolazioni Germaniche, potevano essere un rischio per l’espansionismo e la sicurezza romana, a causa delle loro tradizioni e della loro sete di libertà.

Al termine della conquista gallica, il Reno – benchè Cesare fosse già cosciente che il fiume non fosse un confine definito – divenne la naturale linea di separazione e baluardo contro le tribù germaniche. Una catena di castelli difensivi e accampamenti militari fu tesa tra Magonza e Colonia.

I primi, cruenti scontri, segnarono immediatamente il confronto tra Romani e Germani ed avvennero proprio per mano del rappresentante della senato in terra gallica, che dapprima respinse i Suebi e il loro capo Ariovisto, che avevano tentato di insediarsi sulla riva sinistra del Reno, sbaragliati e ricacciati da Cesare (58 a.C.), che, di slancio, attraversò il Reno invadendo la regione nel 57 a.C. e proseguendo, nei tre anni seguenti, l’annientamento di molte tribù germaniche, tra cui gli Eburoni.

Nell’estate del 57 a. C., il generale romano portò l’esercito nelle fiandre e nella valle della Mosa. Nella primavera del 55 a.C., Cesare parlamentò con i comandanti degli Usipeti e dei Tencteri del Reno inferiore, che si sarebbero potuti stabilire sulla riva occidentale del fiume. Durante la riunione Cesare catturò gli ospiti, quindi costruì un ponte sul Reno per intimidire i Germani con l’intenzione di attraversarlo per esplorare quella regione sconosciuta. L’anno successivo Ambiorix, uno dei due re degli Eburoni si sollevò e distrusse una legione romana, allora Cesare per rappresaglia sterminò tutto il popolo germanico e l’altro re degli eburoni Catovolco si suicidò, non senza aver prima maledetto Ambiorix per aver deciso la fine del suo popolo. Senza nave, Ambiorix fu uno dei pochi che riuscì a scappare alla distruzione attraversando il Reno.

Tra gli anni 39 e 38 a.C., Agrippa espulse gli Svevi della riva ovest del Reno stabilendo si sottoporsi agli Ubii, un popolo alleato di Roma. Le continue guerre avevano reso questa regione deserta; qui gli Ubii fondarono il centro di Ara Ubiorum, la moderna Colonia.

 

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Nel 27 a. C., Augusto crea la provincia della Gallia Belgica, la cui capitale era Reims. Il governatore Marcus Lollius viene sconfitto in Germania nel 17 a. C. dai Sugambri e che rubano l’aquila della V legione.

In seguito a questa umiliazione, Augusto inviò i fratelli Druso e Tiberio a fortificare la frontiera. Nel 12 a.C. Druso, figliastro di Augusto, ricacciò indietro i selvaggi Sugambri e spingendosi fino alle isole della Frisia e al fiume Ems, penetrando in un territorio sino ad allora sconosciuto ai Romani. Con la morte di Druso, secondo diversi storici, fallì il tentativo d’allargare e assicurare l’Impero contro le forze stanziate sui territori della riva destra del Reno. Sarà Tiberio, dopo la sua morte, a prendere il comando delle operazioni militari nella Germania Magna, che fu uil nome della provincia romana costituita dopo le prime campagne di Druso del 12-9 a.C., sotto Augusto, ad oriente del fiume Reno, nei territori in corrispondenza degli attuali Paesi Bassi e Germania. Della sua esistenza ne parla esplicitamente Cassio Dione.

Nell’anno 12 a. C., la tanto sperata vendetta contro i Sugambri si concretizzò. Druso si portò sul fiume Lippe, da dove attaccò i Cherusci. Nel 9 a. C. espulse i Marcomanni, che condotti dal loro re Marbod si trasferirono in Boemia. Nella primavera seguente Druso raggiunse il fiume Albis (Elba), nella regione dove si trova l’attuale Dresda. Nerone Claudio Druso, il favorito per la successione al trono, era riuscito a pacificare il nord della Germania e si stava dirigendo a Roma per essere onorato col trionfo quando il suo cavallo si ribaltò e gli fratturò una coscia, evento che lo condusse lentamente alla morte; aveva 29 anni.

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Tiberio successe a suo fratello nella conquista della Germania e, dopo portò 40.000 Sugambri e lasciando libera la capitale momentanea Noviomagus Batavorum (Nimega) e si diresse anch’egli ad est. Prima di ottenere dei risultati concreti, Tiberio fu costretto a partire per soffocare l’’ennesima rivolta in Dalmazia, lasciando l’esercito della Germania Inferiore agli ordini di Varo, governatore della nuova provincia Germania Magna.

Gli insediamenti principali della nuova provincia furono le fortezze legionarie di Marktbreit Il primo ritrovamento archeologico della zona risale al 1985, grazie ai nuovi metodi archeologici seguiti con la ricerca aerea da parte del Dr. Otto Braasch. I primi sondaggi sul campo hanno rivelato un terrapieno alto circa 2,8 metri ed una palizzata lungo il perimetro di un campo a forma irregolare, che racchiudeva un'area di 37 ettari circa (750 x 500 m). Gli scavi successivi, dal 1986 al 1992, hanno rivelato il sito dell'alloggio il comandante (Praetorium) ed il centro amministrativo della fortezza (i Principia) oltre ad un portone d'ingresso sul lato nord-est. Questo campo faceva parte dell'insieme di altri accampamenti ausiliari e legionari presenti in Germania come: Haltern (l'antica Aliso e capitale amministrativa della nuova provincia), Waldgirmes, Holsterhausen, Oberaden (in passato fortezza legionaria), Beckinghausen, a sud, lungo il fiume Meno, Anreppen, Haltern e Rödgen (base di rifornimento).

Gli studiosi moderni ritengono che il sito servisse per lanciare l'offensiva contro i Marcomanni di Maroboduo nel 6 sotto il legato Gaio Senzio Saturnino, ma potrebbe essere stato fondato già all'epoca dal governatore della nuova provincia di Germania, Lucio Domizio Enobarbo (console 16 a.C.), nel 3-1 a.C., o forse prima nel 5 a.C. sotto un governatore ignotus.

La fine del suo utilizzo fu, quasi certamente, la disfatta di Teutoburgo, dove tre legioni romane ed il suo comandante, Publio Quintilio Varo, furono annientate nel 9 d.C. Il campo potrebbe essere stato utilizzato anche nel corso delle campagne di Germanico del 15-16 d.C. (Cornelio Tacito, Annales, I, 59).

Quintilio Varo era il rampollo d’una famiglia in vista, ma non nobile. Di temperamento tranquillo, ligio al diritto romano e forse non adatto alle campagne militari. Giunto nella più profonda Germania, più che comandante di un’armata, si vedeva come il rappresentante d’un diritto e di una cultura superiori rispetto ad un popolo abituato a risolvere le proprie questioni grazie a usi e costumi antichissimi. Quintilio Varo comandava sei legioni, più di 36 mila soldati, la maggiore armata dell’Impero. Cercò di trapiantare in Germania l’esperienza accumulata in Siria, imponendo il diritto romano ed esigendo l’applicazione delle leggi tributarie. Non sapeva che la riscossione delle imposte tra le tribù germaniche era un fatto sconosciuto, considerato un tributo umiliante, un’ingiustizia, una rapina. Di qui la rivolta delle popolazioni germaniche sotto la guida di Arminius (o Hermann, alla germanica). Negli Annales tacitiani è ricostruito il percorso compiuto dalle 40 coorti che, muovendo da Xanten, penetrarono nel territorio dei Brukterer, nell’area compresa tra i fiumi Ems e Lippe. La campagna di Varo contro i ribelli germanici terminò nei boschi e nelle paludi ai piedi del Kalkrieser. Questi, guidati da Arminius, riportarono nel 9 d.C. una vittoria leggendaria. Vennero disintegrate tre le legioni e tutte le truppe ausiliarie nella foresta del Teutoburgo. Varo, come già il padre e il nonno, preferì togliersi la vita e la sua testa fu inviata all’imperatore. C’è chi afferma che in quel massacro durato tre giorni abbiano perso la vita circa 20 mila soldati romani.

Con la tremenda sconfitta subita dall'esercito romano nel Teutoburgwald, la nuova provincia andava definitivamente perduta, cessando di esistere solo 20 anni più tardi dalla sua creazione, in occasione dello sfacelo procurato da Publio Quintilio Varo.

Velleio Patercolo, che non riporta con precisione la località della disfatta di Varo, ci ha lasciato una breve Historia Romana, redatta nel 29 d. C., in cui si sofferma in modo particolare sulla disfatta.

 

 

 

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Tacito scrisse: "Arminius fu indiscutibilmente il liberatore e trascinatore della Germania". Heinrich Heine, il grande poeta romantico (1797–1856) stese questi versi:" Hermann vinse la battaglia, / i Romani vennero scacciati, / Varo fu sconfitto con le sue legioni, / e noi siamo rimasti tedeschi…", riconoscendo, in quel lontano fatto d’armi, la nascita di un popolo.

La battaglia della selva di Teutoburgo spense i sogni di romanizzare la Germania, con la quale si perse tutte le conquiste effettuate da Tiberio, così come le legioni XVII, XVIII e la XIX. Da adesso in poi s’incrementó la presenza militare con nuove legioni.

Negli anni tra il 16 e il 13, Tiberio e Druso convertirono la frontiera rennana in una zona militarizzata. Tacito racconta che Germanico, figlio di Druso, nel 15 d. C. aveva ritrovato il luogo del massacro. Durante il sopralluogo diede ordine di seppellire i resti insepolti.

Quando Tiberio divenne imperatore, il generale Germanico, figlio di Druso, ottenne il comando dell’esercito della Germania Inferior. Germanico attaccó il capo dei Cherusci Arminio, che aveva creato una grande confederazione. Dopodichè Arminio venne sconfitto, i popoli germani iniziarono ad unirsi sempre più. Accortosi di questo, o forse della troppa gloria del nipote, Tiberio mandó a chiamare Germanico dopo aver lasciato solo Arminio. Poco tempo dopo Germanico verrà ucciso dai suoi propri familiari.

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Il progetto di una Germania romana fino all'Elba, delineatosi dopo la conquista delle Gallie e sostenuto con vigore nei primi anni del principato, conobbe qualche successo con la conquista dei territori a sud del Danubio e la creazione delle provincie della Rezia (15 a.C.), del Nordico ( 16 a.C. ) e della Pannonia (10 d.C.), ma si esaurì qui. Neppure le successive campagne di Tiberio (del 10-11) e di Germanico (del 14-16) poterono recuperare i territori germanici ad est del fiume Reno, tornati ormai definitivamente liberi.

Fallita la conquista promossa da Augusto (9 d.C.), la presenza romana si limitò tra il 70 e il 270 agli Agri Decumates e in ricordo dei territori perduti nel 14-16 furono costituite due nuove province, scorporate dalle province galliche: la Germania inferiore e la Germania superiore con Castrum Mogontiacum.

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Tacito scrive la Germania nel 98 d. C., anno in cui andava componendo anche la monografia dedicata al suocero Agricola, presagio e premessa dell’opera storiografica maggiore.

Una volta pacificato il paese, la Germania Inferiore si convertì in una piccola provincia molto più piccola fino alla riva sinistra del Reno. Le grandi migrazioni a Roma del III secolo portarono la disabitazione delle Germania Inferiore. Vennero create le due provincie di Germania Superiore e Inferiore. Per questioni amministrative dipendevano dal legato della Gallia Belgica, però per questioni militari, i legati delle legioni erano totalmente autonomi. Le legioni XVII e XVIII, le cui basi si trovavano Gallia Belgica, presero la provincia de Germania Inferior come centro nuovo di operazione per proteggere le cità al di quà del Reno. Dall’altro lato, la parte superire del Reno era vigilata dalla Legioni I Germanica, V Alaudae e XIX, costituendo la provincia della Germania Superior. Le due nuove province erano sottoposte allo stesso della gallia bellica anche se realmente si comportarono come province autonome. Questa situazione di indipendenza si ufficializzò definitivamente nel 83 d. C., quando dopo la sollevazione di L. Antonio Saturnino, l’imperatore Domiziano le dichiarò province completamente indipendenti.

 

Germania inferiore

 

Situata sulla riva occidentale del fiume Reno, in corrispondenza degli attuali Paesi Bassi e Germania occidentale. Gli insediamenti principali che erano presieduti da una legione erano Bonna (Bonn, dove risiedeva la XIX), Noviomagus Batavorum (Nimega), Castra Vetera (Xanten, la legio XVII), Trajectum ad Rhenum (Utrecht), Durnomagus e Novaesium (Neuss), tra Asciburgium (Duisburg) e Colonia Claudia Ara Agrippinensium (attuale Colonia, dove si trovava la legio XVIII), capitale della provincia. L'esercito della Germania inferiore, conosciuto semplicemente come EX.GER.INF. (Exercitus Germania Inferior), aveva numerose legioni al suo servizio: tra queste, le legioni I Minervia e XXX Ulpia Victrix, I Germanica, V Alaudae, XX Valeria Victrix e la XXI Rapax erano stanziate permanentemente nella regione. La classis germanica, cioè la flotta romana nella provincia, aveva l'incarico di pattugliare il Reno e la costa del Mare del Nord e aveva la sua base a Castra Vetera ed in seguito a Colonia Agrippinensis.

 

Germania superiore

Provincia romana che all'epoca includeva la maggior parte della Svizzera romana, in particolare le coloniae di Nyon, Avenches, con il territorio degli Elvezi, e Augst. La sede del prefetto senatorio (legatus Augusti pro praetore) era Magonza, mentre l'amministrazione delle finanze era di competenza di un procurator, di rango equestre, che risiedeva a Treviri. La Germania superior si estendeva dal fiume Vinxtbach, a sud di Bonn, fino al lago di Ginevra; a est andava dal lago di Costanza alle Alpi bernesi, passando per Pfyn e il Gottardo settentrionale. A ovest dell'alto Reno la provincia abbracciava il territorio a sinistra del fiume (Sequani, Lingoni e ceppi minori) e dalla fine del I sec. d.C. anche a destra (la Foresta Nera; intorno a Rottweil). Il confine con la Germania libera era garantito dal limes, da castra e campi legionari a Magonza, Strasburgo e (solo fino al 101) Windisch. I territori a destra del Reno furono persi nel 260; intorno al 300 Diocleziano divise la Germania superior in Germania Prima e Sequania (Maxima Sequanorum). La provincia romana della Germania Inferior occupava i trerritori degli attuali Paesi bassi e Germania esendo la frontiera orientale del Rhenus. L’esercito della Germania Superior era costituito dalla II Augusta, XIII Gemina, XIV Gemina e la XVI Gallica.

Fra il III e il VI secolo le tribù germaniche si spostarono in massa verso occidente, infrangendo il limes renano-danubiano e dilagando fino alle più lontane province dell'Impero Romano. Le regioni a oriente dell'Elba, dalle quali i germani provenivano, restarono così spopolate e furono occupate negli ultimi decenni del VI secolo dagli slavi. Un'ampia area a occidente del Reno (includente fra l'altro Treviri e la Mosella) e a sud del Danubio (le province romane della Germania superiore, Rezia e Norico) veniva investita da un profondo processo di germanizzazione etnolinguistica.Fino ai secolo IV e V d. C. i tentativi dei Germani di penetrare in Gallia o in Italia furono pochi, così come, fu limitata e parziale la penetrazione di Roma nei territori germanici.

La riduzione dei costi portò alla graduale abbandono delle Fiandre. Benchè riuscirono a resistere per secoli alle decine di invasioni barbariche, non riuscirono ad opporsi ad una nuova tribù germanica: i Franchi che iniziarono i loro maggiori attacchi negli anni tra il 256 e il 258 approfittando del fatto che la maggior parte delle truppe erano state inviate in Oriente per le campagne contro i persiani. Gli invasori occuparono anche la gallia saccheggiando Treviri e Gelduba (Krefeld – Gellup). Colonia si salvò grazie al fatto di essere fortemente fortificata. L’imperatore Gallieno riprese Treviri e cercò di espellere i franchi. Fu costretto a pagare le altre tribù germaniche affichè combattessero con lui poiché non aveva forze. Galieno assunse il nome di Germanicus Maximus, il più grande conquistatore delle tribù germaniche Tra gli anni 259 e 260, il governatore della Germania Inferiore, Póstumo, si proclamò imperatore e fondò l’Impero gallico. Visto che Galieno e i suoi generali erano occupati nell’est non potevano occuparsi di questo usurpatore e la Germania Inferiore venne occupata dai Franchi. L’imperatore romano Aureliano riconquistò en 273 i territori persi en la Galia e spense il dominio gallico. Si diede per questo motivo il nome di reconstructor orbis, che in parte è giusto dando vita ad un nuovo impero romano che stava cadendo a pezzi.

Senza dubbio le grandissime perdite e le lotte intestine diedero passo libero ai Franchi nella Germani a Inferiore insieme a loro ai Franchi, Alemanni, e pirati sassoni. Le città di Colonia e Treviri caddero, mentre Novaesium (Neuss), Forum Hadriani (Voorburg) e Bagacum (Bavay) furono abbandonate.

 

Nel IV secolo la provincia cambiò nome in Germania Secunda e il governo romano diede il permesso a migliaia di franchi di popolare le zone disabitate a patto che difendessero la frontiera. Nell’inverno del 406 e del 407, gli alani e i vandali invasero L’impero, i franchi si mantennero fedeli ai romani però alla caduta del governo centrale, i signori feudali franchi si fecero carico del governo.

http://www.instoria.it/home/province_romane_germania.htm

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Inviato

Qualche informazione sui Cimbri :

 

Antica popolazione di stirpe germanica. Dalle sedi originarie sulla destra dell'Elba (Jylland o Jütland, Holstein e Schleswig), alla fine del sec. II aC mossero contro i Teutoni verso il centro e il sud della Germania, ma, risospinti dai Boi, penetrarono lungo la valle del Danubio sconfiggendo nel 113 il console romano Papirio Carbone.

Entrarono poi in Gallia, rafforzati da gruppi di Elvezi, e sconfissero diversi eserciti romani. Fu Gaio Mario a stroncarne per sempre la furia aggressiva con le memorabili sconfitte che inflisse nel 102 ai Teutoni ad Aquae Sextiae (odierna Aix-en-Provence) e ai Cimbri nel 101 ai Campi Raudii, presso Vercelli.

Festo in De verborum significatione così dice dei Cimbri:
Cimbri lingua Gallica latrones dicuntur.

I Cimbri erano una tribù germanica che assieme ai Teutoni e agli Ambroni invasero il territorio della repubblica romana alla fine del II secolo aC. Le fonti antiche individuano la loro origine nel nord delle Jutland.

Origine e nome

Secondo le fonti greche e romane i Cimbri provenivano dallo Jutland, che era chiamato Chersonesus Cimbrica dal loro nome. Secondo le Res gestae (c. 26) di Augusto, i Cimbri erano ancora presenti nella penisola danese intorno all'anno 1.

« Classis mea per Oceanum ab ostio Rheni ad solis orientis regionem usque ad fines Cimbrorum navigavit, quo neque terra neque mari quisquam Romanus ante ide tempus adit, Cimbrique et Charydes et Semnones et eiusdem tractus alii Germanorum populi per legatos amicitiam meam et populi Romani petierunt.»

« La mia flotta ha navigato attraverso l'oceano, dalle bocche del Reno verso la regione del sole nascente fino alle terre dei Cimbri, presso i quali nessun Romano era andato in precedenza né per mare né per terra, e i Cimbri, i Carudi, i Semnoni e altri popoli Germanici della stessa regione, con i loro ambasciatori chiesero l'amicizia mia e del popolo romano.»

Augusto - Res gestae

Lo storico greco Strabone testimonia che i Cimbri erano ancora presenti tra le tribù Germaniche, probabilmente nella "Cimbrica peninsula" (Geogr. 7.2.1):

« Per quanto riguarda i Cimbri, delle cose che sono state dette su di loro alcune sono sbagliate e altre estremamente improbabili. Innanzitutto si potrebbe mettere in dubbio il fatto che siano diventati dei pirati nomadi a causa di un'inondazione che avrebbe distrutto le loro dimore nella loro penisola natia [Jütland], infatti possiedono ancora le terre ove un tempo originariamente vivevano; e hanno inviato come dono ad Augusto il calderone più sacro del loro paese, come offerta della loro amicizia e come richiesta del perdono delle loro colpe precedenti e quando la loro richiesta fu accettata alzarono le vele per tornare a casa ed è ridicolo supporre che si siano allontanati dalle loro case perché messi in agitazione da un fenomeno che è naturale e che si verifica due volte ogni giorno. E l'affermazione che una volta ci sia stata una marea straordinaria sembra una montatura, perché se l'Oceano si comporta in questo modo con aumenti e diminuzioni, tuttavia sono regolati e periodici. »

Sulle mappe di Tolomeo, i "Kimbroi" sono collocati nella parte più a nord delle penisola dello Jutland, cioè l'attuale Himmerland (giacché il Vendsyssel-Thy era in quel periodo un gruppo di isole). Himmerland (Old Danish Himbersysel) in genere è considerato che riporti il loro nome, in una forma più arcaica, senza la Legge di Grimm (PIE k > Germ. h). In alterna il Latin C- rappresenta un tentativo di rendere il non familiare proto-germanico [χ], forse da parte di interpreti di lingua celtica (intermediari celtici spiegherebbero anche il germ. *Þeuðanoz che divenne il latino Teutones).

L'origine del nome non è conosciuta. Un'etimologia possibile è PIE "abitante", "casa" (> ing. home), a sua volta una derivazione da "live"; e quindi il germanico *χimbra- trova un esatto legame con lo slavico "fattore" (> croato, serbo sebar, russ. sjabër).

A causa della somiglianza dei nomi i Cimbri sono spesso associati con i Cymry, il nome con cui i Gallesi chiamano se stessi. Tuttavia questa parola è generalmente fatta derivare dal celtico *Kombroges, nel significato di Compatrioti, ed è difficile pensare che i Romani abbiano registrato questa forma come Cimbri (la forma Cambri è neo-latino). Il nome dei Cimbri è stato anche posto in relazione con la parola kimme nel significato di "bordo", cioè il popolo della costa, ma questa ipotesi è incompatibile con l'associazione di Cimbri con Himmerland giacché kimme non mostra gli effetti della legge di Grimm. Ed infine dall'antichità il nome era stato accostato a quello dei Cimmeri.

Lingua dei Cimbri

Uno dei problemi maggiori è che in questo periodo Greci e Romani tendono a indicare tutti popoli a Nord della loro sfera d'influenza come Galli, Celti o Germani piuttosto indiscriminatamente. Cesare sembra esser stato uno dei primi autori a distinguere fra i due gruppi e aveva un motivo politico per farlo: era un argomento a favore del confine renano. Tuttavia non ci si può fidare completamente di Cesare e Tacito quando ascrivono individui e tribù all'una o all'altra categoria.

Se i Cimbri avessero risieduto nello Jutland settentrionale si potrebbe dedurre che la loro lingua fosse Proto-Germanica. Al contrario vi sono indicazioni che portano a pensare che i Cimbri parlassero di fatto una lingua del ceppo celtico. Infatti, riferendosi all'Oceano del Nord (il Mar Baltico o il Mare del Nord), Plinio il Vecchio (circa 77 dC) scrive:

« Philemon Morimarusam a Cimbris vocari, hoc est mortuum mare, inde usque ad promunturium Rusbeas, ultra deinde Cronium. »

« Filemone disse che è chiamato Morimarusa, cioè Mare Morto, fino al promontorio di Rubea e dopo quello di Cronio.»

Plinio il Vecchio - Naturalis Historia 4.95

Le parole per "mare" e "morto" sono muir e marbh in Irlandese e mor e marw in Gallese. La stessa parola per "mare è conosciuta anche nel germanico, ma con una a (*mari-), in quanto l'altra parola è sconosciuta in tutti i dialetti della Germania. Ancora, dato che Plinio non ha avuto la parola direttamente da un informatore cimbro, non si può affermare che quella parola sia in effetti Gallica ed è comunque possibile che il Mare del Nord o il Mar Baltico fossero considerati "morti" e "gelidi" dai Centro-Europei piuttosto che dagli Scandinavi, stanziati sulle coste del mare.

Markale (1976) scrisse che i Cimbri furono associati agli Helvetii, e più specialmente con gli indiscutibili celti Tiguri. Come si vedrà più avanti, queste associazioni potrebbero condurre a una discendenza comune, richiamata da 200 anni prima. Inoltre, tutti i capitribù Cimbri conosciuti hanno nomi celtici, compreso Boiorix (re dei Boii), Gaesorix (re dei Gaesatae, mercenari celtici alpini), e Lugius (in onore della divinità celtica Lugh). Hubert (1934) afferma:"Tutti questi nomi sono celtici, non potrebbero essere altro." (Cap. IV, I) Fornisce molte informazioni riguardo questa questione ed altri aspetti rilevanti grazie a un approccio chiaro e oggettivo.

A ogni modo, alcuni autori hanno prospettive differenti,:per esempio Wells (1995) afferma - senza alcuna prova - che i Cimbri, originari della Danimarca (la penisola Cimbra) non sono sicuramente Celti, in quanto i loro nomi vengono trasmessi attraverso scrittori classici in forme celtiche. Il calderone di Gundestrup, scoperto in una torbiera nel territorio Cimbro, è un testamento della vita celtica in ogni dettaglio, incluse sanguinarie cerimonie che coinvolgevano direttamente sacerdotesse, che prendevano luogo sopra un grande calderone.

Posidonius, un antico storico dei Cimbri, 22 anni al tempo della loro affermazione nel mondo (113 aC), rende una descrizione verbale identica ai dettagli visuali sul calderone. I Cimbri veneravano anche il calderone stesso (ai tempi di Augusto usavano chiamarlo "il loro tesoro più prezioso"), il quale, in accordo con quanto detto sopra, indicherebbe una cultura e un comportamento tipici della cultura celtica e non germanica. Appiano di Alessandria, che scrisse il suo "Storia di Roma: Le Guerre Galliche" nel 130 aC parla di "Galli", "Celti" e "Germani". Riguardo i Cimbri afferma che erano un enorme clan composto da tribù celtiche guerriere, ai tempi in cui Cesare combatté i Germani.

Altre prove della lingua del Cimbri sono circostanziali: a noi viene detto che i Romani arruolarono i Galli Celti per comportarsi come spie nei villaggi Cimbri, in modo da favorire la vittoria finale dell'armata romana nel 101 aC. Questa è una prova a supporto della teoria che vuole i Cimbri come Celti piuttosto che Germani. In modo simile, i re dei Cimbri e dei Teutoni portavano nomi in tutto e per tutto celtici (vedi Boiorix e Teutobodus). Dall'altra parte, l'origine di un nome non è necessariamente correlata con la provenienza della persona che lo porta e la sua appartenenza etnica. Non c'è comunque nulla che provi la correlazione dei nomi portati dai Cimbri con i nomi germanici. L'etimologia di cui sopra (PIE *t?im-ro-) sarebbe da considerare valida solamente in un contesto celtico (e nella forma latina sarebbe più facile da spiegare). Inoltre, le documentazioni romane categorizzano i Cimbri come una tribù germanica (Cesare, BG 1.33.3-4; Plinio, NH 4.100; Tacito, Germ. 37, Hist. 4.73). Inoltre, tutte le documentazioni classiche confermano unanimemente la patria dei Cimbri nello Jutland, e non c'è nessuna prova di una popolazione di lingua celtica nel sud della Scandinavia (i linguisti considerano lo Jutland una regione linguistica della Germania). Come si può quindi vedere, la "teoria germanica" si basa comunque su delle prove attendibili. Ad ogni modo, la teoria offre le seguenti possibilità:

I Cimbri erano una popolazione di lingua germanica, e le informazioni riguardanti i nomi e le parole dateci dagli antichi autori sono inaccurate.

I Cimbri erano orginariamente di lingua germanica, ma, avendo assorbito una quantità enorme di individui di lingua celtica durante il loro lungo viaggio dall'Europa Centrale all'Europa Occidentale, adottarono la lingua celtica.

I Cimbri erano di lingua germanica, ma a causa dell'importanza della cultura celtica, l'élite delle tribù germaniche era bilingue (vedi parole celtiche adottate come *rikaz "nobile", *ambahtaz "servo").

I Cimbri parlavano una lingua celtica già nel loro paese d'origine, il Nord dello Jutland.

I Cimbri erano una tribù celtica originaria dell'Europa Centrale, e avevano solamente il nome in comune con i Cimbri dello Jutland.

http://www.summagallicana.it/lessico/c/Cimbri.htm

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Inviato
7 minuti fa, ARES III dice:

inviato come dono ad Augusto il calderone più sacro del loro paese, come

A proposito di calderone mi viene in mente il famoso calderone di Gundestrup che "si pensa che sia stato portato in Danimarca, come trofeo e offerta rituale, forse dai Cimbri, i quali nel 101 a.C. subirono una sconfitta da parte dei Romani e una parte di loro ritornò nella terra d'origine a nord, nell'Himmerland, proprio la zona del ritrovamento del calderone".

Questo "manufatto celtico datato tradizionalmente al III secolo a.C., nella tarda Età del ferro, anche se la recente datazione al radiocarbonio di residui di cera sul calderone e del metallo di cui è costituito ne sposterebbe in avanti l’origine fino al III secolo d.C.. Fu ritrovato il 28 maggio 1891 in una torbiera dell'Himmerland, nello Jutland, nel nord della Danimarca. È costituito da un insieme di 13 pannelli d'argento - di cui 5 rettangolari interni, 7 quadrati esterni (è andato perduto un ottavo pannello) e uno circolare che costituisce il fondo – di 42 cm di altezza, un diametro di 69 cm. e un peso di 9 chilogrammi. Conservato presso il Museo Nazionale Danese di Copenaghen, le raffigurazioni presenti nelle tredici placche lo rendono un importante e discusso oggetto protostorico".

Mi fermo qui perché possiamo leggere più e meglio dall'amico @VALTERI

 

 

Gundestrupkarret1.jpg

Gundestrup_Cauldron,_Copenhagen.jpg


Inviato
1 ora fa, Adelchi66 dice:

Se così fosse anche l'esistenza del manufatto acquistetebbe un senso trattandosi probabilmente di una struttura difensiva" locale" approntata per esigenze locali nei confronti di "altri" locali. 

Resta il discorso della tecnica costruttiva riconosciuta come romana, ma bisognerebbe avere  la certezza di tale tecnica costruttiva e della funzione effettiva. 

Questo é esattamente il mio pensiero. I Batavi entravano spesso come mercenari tra le fila dell'esercito romano e ne apprendevano le tecniche militari. Terminato il periodo di servizio taluni restavano nell'Impero, altri rientravano nelle terre native, portando seco manufatti monete e soprattutto conoscenza di usi e costumi (militari e non solo). Nel mio pensiero cosa proibisce di ipotizzare il rientro di un batavo nella sua tribù dove assume un ruolo preminente e in un momento di crisi (guerre tribali) mette a buon frutto una tecnica difensiva romana? In pratica una sorta di Arminius batavo... che mette la sua conoscenza (bellica romana) al servizio della collettività natia.

Non vi sarebbe nulla di strano, per fare un parallelo le coppe da vino etrusche e romane trovate oltre il Limes non rappresentano episodi di presenze romane ma solo dei statue symbol della élite germanica...

Pure le immagini di quell'eccidio... raid romano... abbiamo una prova certa? Chi ci dice che non si tratta di raid di popolazioni germaniche (che esistevano, essendo i popoli affacciati sul Mare Baltico avezzi alla pirateria )? E che spostamenti di massa di popoli sono documentati?

Forse il problema sta solo nella luminosità degli articoli... non credo che queste considerazioni non siano state effettuate da archeologi professionisti..

 Forse semplicemente vi sono dati non riportati ma che risolvono questi codici case...

Illyricum

;)

 


Inviato
2 ore fa, Adelchi66 dice:

età del ferro romana 100- 400  d. C.".

L'età del ferro pre-romana (V/IV secolo a.C. - I secolo a.C.) indica la prima parte dell'età del ferro in Scandinavia, in Germania settentrionale e nei Paesi Bassi a nord del fiume Reno, tutte zone che possono vantare numerosi scavi archeologici. Gli oggetti scoperti suggeriscono che le culture sviluppatesi in questo periodo evolsero con maggior velocità rispetto a quelle dell'età del bronzo scandinava, ma che furono fortemente influenzate dalla cultura di Hallstatt dell'Europa centrale, di stampo tipico dell'età del ferro celtica. Nel I secolo a.C. l'influenza romana iniziò a giungere in Danimarca.

Gli archeologi decisero di dividere l'età del ferro in due parti (pre e post romana) dopo che Emil Vedel rinvenne numerosi artefatti nel 1866 sull'isola di Bornholm.[2] Questi oggetti non mostravano la stessa influenza romana di quelli risalenti ai primi anni dopo Cristo, il che indicava che parti dell'Europa settentrionale non erano ancora entrate in contatto col mondo romano all'inizio dell'età del ferro.

Questo fatto è chiarissimo nella celtica cultura di La Tène a sud, la cui tecnologia avanzata nella lavorazione del ferro fu molto influente, quando attorno al 600 a.C. i popoli settentrionali iniziarono ad estrarre ferro dalle rocce delle torbiere. I più antichi oggetti in ferro ritrovati sono gli aghi, ma sono stati trovati anche arnesi, spade e falcetti. Il bronzo continuò ad essere usato per tutto il periodo, ma soprattutto come decorazione.

I riti funerari mantennero l'uso in voga nell'età 

del bronzo di bruciare i cadaveri ponendo le ceneri in urne, caratteristica tipica della cultura dei campi di urne. Nei secoli precedenti, l'influenza della cultura di La Tène si sparse in Scandinavia partendo dalla Germania nord-occidentale, e gli oggetti associabili a questo periodo si trovano in tutte le provincie della Scandinavia meridionale.

Gli archeologi hanno trovato spade, elmi, punte di lancia, forbici, falcetti, pinzette, pugnali, aghi, fibbie, bollitori, ed altro relativi a questa età. Il bronzo venne usato per produrre torque e bollitori, il cui stile era un retaggio dell'età del bronzo. Alcuni dei migliori ritrovamenti sono il Calderone di Gundestrup in argento e i carri di Dejbjerg dallo Jutland, due carrozze a quattro ruote costruite in legno con parti in bronzo.

Il cambio culturale che mise fine all'età del bronzo fu segnato dall'espansione della cultura di Hallstatt da sud, ed accompagnato da un peggioramento climatico che causò modifiche radicali a flora e fauna.[3] In Scandinavia questo periodo viene spesso chiamato Età senza reperti a causa della totale mancanza di ritrovamenti. Mentre in Scandinavia questa mancanza è consistente con il calo della popolazione, la parte meridionale della cultura, la cultura di Jastorf, si stava espandendo verso sud. I cambiamenti climatici giocarono un ruolo importante nella migrazione verso meridione delle tribù, considerate germaniche, fino a raggiungere l'Europa continentale.[4]

Esistono varie scuole di pensiero riguardo all'interpretazione del dilagare innovativo culturale, se una nuova cultura dei materiali riflettesse un movimento bellico dei popoli verso sud o se sia dovuta ad un'espansione pacifica. L'idea prevalente nei Paesi Bassi 

sostiene che le innovazioni dell'età del ferro, a partire dalla cultura di Hallstatt (800 a.C.) non coinvolsero altri popoli, ma erano dovute ad un naturale sviluppo della cultura dell'età del bronzo.[5] Un altro nucleo dell'età del ferro, rappresentante del possibile sviluppo locale, è cultura di Wessenstedt (800 - 600 a.C.).

I rappresentanti dell'età del ferro nordica erano probabilmente i popoli di lingua germanica. Lo stadio di sviluppo di queste popolazioni non è noto, nonostante si suppongono essere state proto-germaniche. L'ultima fase di questo periodo vede l'inizio delle migrazioni barbariche, a partire dall'invasione di Teutoni e Cimbri fino alla loro sconfitta nella battaglia di Aquae Sextiae del 102 a.C., primo sintomo della più turbolenta età del ferro romana e dell'età delle migrazioni.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Età_del_ferro_pre-romana

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Inviato (modificato)
34 minuti fa, Illyricum65 dice:

Pure le immagini di quell'eccidio... raid romano... abbiamo una prova certa? Chi ci dice che non si tratta di raid di popolazioni germaniche (che esistevano, essendo i popoli affacciati sul Mare Baltico avezzi alla pirateria )? E che spostamenti di massa di popoli sono documentati?

Forse il problema sta solo nella luminosità degli articoli... non credo che queste considerazioni non siano state effettuate da archeologi professionisti..

 Forse semplicemente vi sono dati non riportati ma che risolvono questi codici case...

Illyricum

Anch'io sono scettico però ti riporto l'articolo originale e il link

Non riesco ad allegare il PDF perché supera 1,46 MB, però si trova sul link e magari si legge meglio.

Significance

Here we present direct archaeological evidence in the form of human remains of a large-scale battle in Northern Europe in the first century AD, in the wake of the northern expansion of the Roman Empire. The deposited population is estimated to 380 individuals. The relative absence of traces of healed sharp force trauma suggests that they had relatively little previous battle experience. Evidence of the systematic treatment of the human corpses, including stripping of bodies, disarticulation of bones, crushing of crania, and arrangement of body parts, points to a new form of postbattle activities, with implications for the interpretation of contemporary battlefields and later ritual traditions with regard to depositions of the spoils of war.

Abstract

New archaeological excavations at Alken Enge, Jutland, Denmark, have revealed a comprehensive assemblage of disarticulated human remains within a 75-ha wetland area. A minimum of 82 individuals have been uncovered. Based on the distribution, the total population is estimated to be greater than 380 individuals, exclusively male and predominantly adult. The chronological radiocarbon evidence of the human bones indicates that they belong to a single, large event in the early first century AD. The bones show a high frequency of unhealed trauma from sharp-edged weapons, which, together with finds of military equipment, suggests that the find is of martial character. Taphonomic traces indicate that the bones were exposed to animal gnawing for a period of between 6 mo and 1 y before being deposited in the lake. Furthermore, the find situations, including collections of bones, ossa coxae threaded onto a stick, and cuts and scraping marks, provide evidence of the systematic treatment of the human corpses after the time of exposure. The finds are interpreted as the remains of an organized and possibly ritually embedded clearing of a battlefield, including the physical manipulation of the partly skeletonized bones of the deceased fighters and subsequent deposition in the lake. The date places the finds in the context of the Germanic region at the peak of the Roman expansion northward and provides the earliest direct archaeological evidence of large-scale conflict among the Germanic populations and a demonstration of hitherto unrecognized postbattle practices.

The first century BC to the first century AD saw dramatic changes in Northern Europe. Internal transformations in the Roman Empire and its continuing expansion led to thorough-going social changes and fueled an already ongoing development in political and martial aspects of society in the areas that found themselves under Roman control and beyond the Roman domain in the Germanic regions (13).

The attempt to push the boundaries toward the Elbe in Northern Germany ended in catastrophic defeat in the Teutoburg Forest in AD 9, with the loss of three legions (4, 5). This historic turning point was followed by continuing Roman punitive campaigns into Germania until AD 16. In the centuries that followed, military relations between the Roman world and the Northern European areas beyond it became a central aspect of political development in Europe. The ferocity of the Germanic tribes and peoples and their extremely violent and ritualized behavior in the aftermath of warfare became a trope in the Roman accounts of their barbaric northern neighbors (6).

However, knowledge of the fighters and their fate as well as the character of their postbattle activities is largely indirect. Only a few suspected battle sites in central and western Germany have been uncovered, e.g., Harzhorn (7) and Kalkriese (8). The scarcity of well-preserved human remains at these sites has limited the opportunities for in-depth anthropological analysis, and the period from 200 BC to AD 200 represents a lacuna before the comprehensive postbattle weapon depositions (AD 200–550) (9). The historical sources indicate early large-scale military capabilities among the Germanic populations, but the numbers are highly uncertain and they refer primarily to conflicts with the Romans (10, 11).

The period has traditionally been seen as a form of tribal society with relatively small-scale clashes, reflecting fluctuating and highly person-bound alliances and military structures (12, 13). The absence of human remains from weapon sacrifices of a later period has led to speculation that these modest casualties indicate that conflict was directed at eradicating the military leaders, or was perhaps connected with the acquisition of slaves (13).

New archaeological investigations at Alken Enge, East Jutland, Denmark (56°02′48″ N, 9°51′08″ E), provide an exceptionally comprehensive assemblage of human remains, with clear evidence of conflict-related trauma. The remains are interpreted as the earliest finds of a large contingent of fighters from a defeated army from the early first century AD. The find allows us to address central questions regarding the character of the fighting groups and postbattle activities, including the possibilities of ritual aspects in the treatment of the dead.

In this paper, we present an outline of the results of the archaeological, anthropological, and geoscientific investigations of Alken Enge.

Results

Setting.

The Alken Enge wetlands (enge means meadows in Danish) cover 75 ha and are situated in the east/west-oriented Illerup River valley, 8 km long and 0.5 km wide, in the center of the Jutland peninsula in Denmark. The Illerup River valley and Lake Mossø occupy a Weichselian subglacial meltwater valley, surrounded by high moraine plateaus with a marked dead-ice topography. The valley is a well-known archaeological location with a number of ritual depositions. The largest of these comprise lake depositions of weapons from defeated armies (third to fifth centuries AD).

Situated at the terminal end of the Illerup River valley, the Alken Enge basin formed the eastern end of the larger Lake Mossø basin until its isolation by a coastal spit during the late Holocene. According to optically stimulated luminescence dating of the lowermost sandy spit deposit, this spit bar extended northward and reached the main deposition area by 2.51 ± 0.15 ka BP.

Pollen records from eastern Jutland suggest that the prevailing landscape type was rough pasture with scattered deciduous woodlands and groves (14, 15). Although open, this landscape would still have supported wolves (Canis lupus), whereas brown bears (Ursus arctos) had probably become extinct as a result of hunting (16).

Archaeological Investigations.

The human remains are dispersed in peat and lake sediments over a large part of the 75-ha meadows (Fig. 1). From 1957 to 1960, excavations conducted in two locations revealed dense concentrations of disarticulated human remains and dispersed artifacts. Except for an analysis of the human remains (17), the finds were published only in short, popular accounts (18, 19).

Fig. 1.

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Fig. 1.

LiDAR elevation model of Alken Enge showing excavation areas, previously uncovered finds (www.kulturarv.dk/fundogfortidsminder/), and sand spits (42). (Upper Right) Maximum extent of the Roman interest zone during the Augustinian campaigns ca. AD 4–9. Numbered finds are listed in SI Appendix, Supplementary Information 14. Graphics assistance courtesy of Casper S. Andersen (Aarhus University, Højbjerg, Denmark).

 

New excavations at Alken Enge were initiated in 2009 and continued in 2012–2014 (SI Appendix, Supplementary Information 1). Borings, geophysical prospection, and light detection and ranging (LiDAR) digital elevation models were used to reconstruct the hydrological situation at the time of deposition of the human remains. The excavation efforts were concentrated in an area with high find densities centered on a channel bisecting the spit bars that separate the Alken Enge basin from the main basin of Lake Mossø. Additional trenches were laid out in various parts of the wetlands to clarify the character of the dispersed finds and the geological development of the lake.

The excavations uncovered a dense distribution of predominantly disarticulated human remains. The stratigraphy indicates that the human remains were deposited in relatively calm water shortly after the sand spit progressed to this specific spot and thus formed a protection from the high-energy waves of Lake Mossø (SI Appendix, Supplementary Information 8 and 9). Altogether, 2,095 new human bones and human bone fragments were found. All of the finds appear to have been deposited under water, in the lowest parts probably as much as 2 m in depth.

Additional Finds.

Relatively few artifacts were unearthed apart from human bones. The finds included weapons (concentrated in the same find horizon as the human remains), pottery and animal bones (found in a broader horizon that also extends above the human bones), and parts of wagons (found in the horizon immediately above the human remains).

The weapons (SI Appendix, Supplementary Information 13) comprised seven spearheads, an axe, and fragments of swords and shields, including a complete shield found during the 1957–1960 excavation. An axe with a complete shaft of ash and a large wooden club may have been used as a weapon or as a tools in activities at the site. The horizon with the human remains also contained five iron knives and small fragments of fine wickerwork, probably from baskets. There is a complete absence of standard personal equipment such as belt fittings and dress pins, and most of the uncovered weapons are broken or damaged. Typologically, the metal artifacts are Germanic, and generally belong within the second to first centuries BC, with a few finds potentially extending into the first century AD. Metallurgical analyses indicate a local Jutish provenance (20). Two spearheads are dated to the sixth century AD, and may belong to a different event.

The find comprised approximately 25–40 ceramic pots, dominated by regular, everyday ceramics. Chronologically, the ceramics extend from the Late Bronze Age to the early Iron Age, with a concentration around the first century BC/first to second centuries AD.

A total of 674 animal bones and bone fragments were discovered, deriving from domestic species such as dogs (Canis lupus familiaris), cattle (Bos taurus), caprines (Caprinae) and pigs (Sus domesticus). Butchery marks are recognizable on several of the animal bones, but they show no sign of weathering or gnaw marks.

Chronology.

A 14C dating program was conducted to examine the chronological depth of the finds, targeting animal remains from supposed ritually deposited husbandry and wooden artifacts, and both old and newly recovered human remains from the excavations (SI Appendix, Supplementary Informations 10–12). The majority of the dates on the human remains were obtained from collagen from the lower jaws (mandibulae).

The ages are dispersed over more than two millennia, with a distinct concentration around the turn of the millennium. Including two outliers originating from peripheral parts of the Alken Enge basin, the human remains show a more significant chronological concentration than the wooden artifacts, animal remains, and ceramics (SI Appendix, Supplementary Information 10). The broader chronological (and topographical) dispersion of ceramics, wooden artifacts, and animal remains can be seen as part of a long-term use of this landscape, something also commonly seen in other Danish wetland depositional traditions (21, 22).

The newly excavated finds show a consistent picture, with all dates falling within a narrow time span, with the median at the beginning of the first century AD (Fig. 2). The narrow distribution indicates that all human remains are contemporary. In each case, the dates provide a combined date ranging from 2 BC to AD 54.

Fig. 2.

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Fig. 2.

Calibrated age probability distributions of all human individuals from Alken Enge.

 

Find Situation.

The human remains are found dispersed over the entire excavation area, with a concentration in the deepest part of the channel between the sand spits (Fig. 3). The majority of the bones from the northern trench were found in gyttja or gyttja/sand-mixed sediments, and traces of water-rolling wear and abrasions were very limited (23). Nasal bones and teeth were still preserved in situ on the crania, and fragile artifacts such as wickerwork and shield parts were preserved. This indicates relatively calm and protected waters.

Fig. 3.

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Fig. 3.

Main excavation area with distribution of the human remains and selected artifacts. The contours represent the levels of the human remains, which, in the northern excavation, correspond to the surface of the sand-spit deposits. Gray shading indicates the location of the sand spits.

 

Moving upward toward the present soil surface, the preservation of the bones deteriorates significantly, and, in the plow-layer, virtually no archaeologically relevant organic material is preserved (24, 25). Test pits and previous finds of human remains demonstrate that the find concentration extended further to the north on the eastern side of the sand spits, but modern settlement complicates an investigation of this area.

Structured Depositions.

Although most of the human bones were spread out on the past lakebed in no anatomical order, structured depositions were uncovered in the northern trench (Fig. 4).

Fig. 4.

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Fig. 4.

Examples of structured find situations. (A) Four ossa coxae threaded onto a stick. (B) Lower limbs from two individuals together with further disarticulated remains. Reprinted with permission from ref. 24, with permission from Elsevier. (C) Find assemblages of femur, tibia and fibula, and two small stones. Photos courtesy of P.J.

 

Situation A consists of an assembly of four ossa coxae from four male individuals, two left sides and two right sides. The ossa coxae were arranged on an alder branch (Alnus) through the holes of the obturator foramen in an interlocking sequence of left/right/left/right. The arrangement of the bones on the branch must have occurred after skeletonization.

Situation B consists of several articulated parts of at least two individuals, including the lower limbs of one individual, and some of the bones of the foot. The other individual is represented by fibula, tibia, and some of the bones of the foot. Altogether, the two individuals are represented by 27 and 15 bones, respectively. In addition, numerous disarticulated remains of upper and lower bodies were found in the same area. The remains were situated in the deepest part of the channel, and the articulated conditions indicate that the bones were held together by ligaments when they ended up in the lake.

Situation C consists of an assemblage of a femur, fibula, tibia, and two white stones. The bones were found on the slopes of one of the sand spits, situated in a bundle parallel to each other. All were oriented in the same proximal–distal direction, and they probably belong to at least two different individuals based on their morphology. Consequently, they must have been disarticulated when deposited. The stones are not naturally occurring in the sand spits and must have been brought in. It is possible that the assemblage was originally kept in an organic container that has not been preserved.

Characteristics of Physical Anthropology.

The 2,095 new human bones and bone fragments were uncovered in the new excavations represent at least 82 individuals, based on the most frequently occurring bone, the left femur. Mainly long bones like femora, tibiae, and humeri are present, whereas small bones such as those of hands and feet are highly underrepresented, as are crania (SI Appendix, Supplementary Information 3). Only 14 crania are complete (SI Appendix, Supplementary Information 4).

Estimates of biological sex were based on sexual morphology of ossa coxae, crania, and mandibulae of human adult bones, according to ref. 26 (SI Appendix, Supplementary Information 5). Eleven of 2,095 bones are classified as female or probably female morphology, compared with 427 bones as male or probably male morphology. It can well be argued that the whole bone sample is predominantly or exclusively male.

For subadults, the estimated age at death was based on the stage of fusion of skeletal elements, length of long bones, and dental eruption according to refs. 2628 (SI Appendix, Supplementary Information 6). A total of 4.7% of the bone material shows subadult characteristics (age less than 20 y), 68.6% is between 20 and 40 y, and 1.2% is between 40 and 60 y, whereas 25.4% could not be assessed.

Human-induced bone modifications (Fig. 5) were recorded as antemortem trauma, perimortem trauma, and postmortem modification according to refs. 2931 (SI Appendix, Supplementary Information 7). Trauma was classified as sharp force trauma, blunt force trauma, and penetrating trauma following the criteria of refs. 26 and 3235. Antemortem trauma is recorded on 19 bones, including broken limb bones (femora, humeri, radius, and ulna) as well as injuries to costa, clavicle, and crania. Perimortem trauma is recorded on 139 bones, including sharp force trauma (n = 119), penetrating trauma (n = 14), and blunt force trauma (n = 6). The postcranial perimortem trauma is dominated by small sharp force trauma on femora, tibiae, and humeri. Perimortem trauma on crania are dominated by small to medium-sized sharp force as well as some penetrating and blunt force lesions (Fig. 5).

Fig. 5.

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Fig. 5.

(Upper) Distribution of unhealed trauma. (Lower) Examples of trauma and taphonomic traces. (A) Sharp force trauma to the back of the cranium. (B) Penetrating trauma on the frontal bone. (C) Sharp force trauma on the posterior part of a left femur. (D) Punctures on the femoral heads, reflecting scavenging animals. (E) Furrows on the proximal joint of two femora, reflecting scavenging animals. (F) Spiral fracture on three femora, reflecting bone breakage by larger carnivores. (G) Sharp force trauma on the posterior surface of two femora. (H) Sharp force trauma on the proximal lateral part of a left tibia. (I) Parallel grooves on the iliac fossa of a right os coxa. Photos courtesy of Museum Skanderborg and graphics courtesy of Casper S. Andersen (Aarhus University, Højbjerg, Denmark).

 

Some bones show modifications consistent with sharp force trauma, which, in terms of size and appearance, differ from the trauma pattern described earlier and are likely to derive from a postbattle situation. Several parallel superficial grooves are seen on the posterior surface of two femora above the knee joint (Fig. 5G) and on the proximal part of three tibiae on the medial and lateral surface of the bones (Fig. 5H). The shallow grooves are all centered around the knee joint.

On a left os coxa, two long parallel grooves (63 mm and 75 mm) run across the iliac fossa (Fig. 5I), indicating sharp force trauma and a distinctive margin associated with crushing (32, 34). The angle indicates that the grooves were inflicted to a person lying down. One femur has a cut mark through the greater trochanter into the femoral head (Fig. 5C). These modifications could be the result of the deliberate removal of muscles and ligaments postmortem. Similarly, the chop marks (Fig. 5 C and I) could originate from a postmortem dismembering of the body with the purpose of separating body parts or mutilating bodies.

The human bones also exhibit a large number of tooth marks, including punctures, pits, scorings, furrows, and fractured, chipped, and channelled bones (Fig. 5 DF) (24), caused by medium-to-large scavenging animals such as fox (Vulpes vulpes), dog (C. lupus familiaris) and wolf (C. lupus). The taphonomic analysis identified 722 tooth marks on 391 of 2,095 human bones. Femora are the most affected (39% of all tooth marks), followed by the tibiae (22%) and the humeri (21%). The smaller and thinner long bones are less often gnawed (SI Appendix, Table S1).

Some large long bones show perimortem spiral fractures, which are likely to have been caused by large carnivores. Large carnivores break bones by leverage to extract bone marrow (Fig. 5F), which has been identified in several other cases (3638).

Microscopic analyses of the bones show an absence of bacterial attack in the micromorphology of the human bones. Endogenous (i.e., intrinsic gut) bacteria are the primary cause of bacterial attack to bones, and the removal of the abdomen/intestines prevent bacteria attack of the bone morphology, suggesting that the abdominal and thoracic contents were removed and probably eaten by scavengers before the deposition (24). The general preservation conditions of the bones indicate that the human corpses were left exposed for ∼0.5–1 y before being deposited in a lake environment as much as 2 m in depth, where they would have been inaccessible to scavengers. The representation of the various types of bones is consistent with such an exposure, with the small and soft bones being consumed by animals whereas the larger bones remained (SI Appendix, Supplementary Information 2).

Estimated Minimum Number of Individuals.

As the find concentration is not delimited to the north and northeast, the scale of the event can be assessed only as a minimum estimate. The estimated minimum number of individuals (MNI) is calculated by dividing the find area into four zones based on the geology and find frequency. For each zone, a total MNI is estimated based on the MNI per square meter within excavation pits, the mean of which was then used to calculate an approximate MNI for the entire zone. Based on an area of approximately 5,200 m2, the estimated MNI is 380.

Interpretation.

The demographic characteristics of the human remains sample, the trauma evidence, and the accompanying remains of weaponry are compelling indications that the Alken Enge population was involved in a large-scale armed conflict. The human bone material suggests that the entire population of at least 380 individuals consisted of young adult males. The traces of trauma are likely to reflect injuries sustained in combat in which pointed weapons were used, causing more damage to the soft tissue than the bones, whereas large sharp force lesions of the cranium point to the use of weapons with a sharp edge. This lesion pattern is consistent with the weaponry (lances, swords, and perhaps axes) and combat technique of the Germanic tribes in the centuries around the turn of the millennium (39). Some of the trauma, particularly posterior aspects of skeletal elements and cut marks on the femora, may reflect a final stage in the fighting with the immobilization and killing of fleeing, subjugated, and wounded fighters, or it could reflect postbattle treatment of captured fighters.

The estimated number of fighters is almost four times larger than the estimated size of the Hjortspring find (13). Thereby, Alken Enge confirms the indications in the historical sources of early, large-scale military capabilities in Northern Germania.

The provenance of the fighters is still unresolved. The weapons are local Germanic style, but their affiliation with either of the opposing sides in the conflict is uncertain. The relative absence of healed sharp force trauma suggests that the deposited population did not have considerable previous battle experience.

The animal tooth marks show that the bones were exposed to scavenging animals for a period of 0.5–1 y, during which time the human remains must have become at least partly skeletonized. The assemblages of bones and the four ossa coxae threaded on a stick (Fig. 4A) demonstrate that the remains of the combatants were deliberately collected at a time when the bones were largely skeletonized.

The cut marks suggest that there was some form of treatment of the remains after battle, possibly a separation of some of the bones that were still held together by ligaments. Moreover, the underrepresentation of crania (SI Appendix, Supplementary Information 4), of which a large part occurred as cranial fragments, suggests the deliberate selection and possibly crushing of particular body parts. The relatively few artifacts uncovered at the sites suggests a selective treatment of the equipment of the dead individuals.

Based on the characterization of the sediments, the finds are interpreted as being located in a near-shore environment with some wave energy, which implies that some relocation after deposition may have occurred. However, particularly in the northern trench, the unsorted distribution pattern and the absence of abrasions suggest that the relocation was limited. The find pattern is therefore best explained as the result of a deliberate deposition of the human remains in the water.

The overall distribution of the human remains and the landscape reconstruction suggest that the deposition occurred from the edge of newly formed sand-spits extending out into the lake, with a particular concentration at a slow small water course between two sand spit-barriers. Collection and redeposition in the lake may have contributed further to the overrepresentation of the large bones (SI Appendix, Table S3), as smaller bones may have been overlooked.

The site at which the first (natural) skeletonization of the human remains took place has not been identified. It is plausible that this would have coincided with the actual battlefield, where corpses were left exposed for some time before the remains were collected and redeposited in the lake. At Kalkriese (Germany), a small passage in the landscape, comparable to that at Alken Enge, has been pointed out as the likely battlefield (40). The relocation may also have occurred over a considerable distance, as other battle-related depositions suggest that, for example, at Hjortspring, the war booty was carried for at least 2 km from the coast to an inland bog. It is also possible that the sand spits were the actual scene of the battle, as they constitute a potential transport corridor and hence a tactically advantageous setting.

The dates from the new excavations are consistent with the human bones belonging to a major event taking place in the first half of the first century AD. There appears to have been periodic ritual activities at the location, not unlike other martial sites (41).

Conclusion

Alken Enge provides unequivocal evidence that the people in Northern Germania had systematic and deliberate ways of clearing battlefields. Practices of corporeal dismemberment, modification, and bone assemblage composition suggest a ritual dimension in the treatment of the human corporeal remains. Taphonomic studies indicate a postmortem exposure interval before a deposition in the lake of 0.5–1 y, which is unprecedented in relation to the known burials and bog bodies.

The estimated MNI in Alken Enge significantly exceeds the scale of any known Iron Age village community and presupposes that the fighting groups of men were recruited from a large area beyond its immediate hinterland.

The preponderance of young adult males suggests that a selected group ended up in the wetland area. High incidences of perimortem trauma show that the conflicts were extremely destructive in character, with consequently comprehensive slaughter.

Overall, the Alken Enge find is exceptional of the period, but it anticipates the comprehensive postbattle weapon depositions from the second to fifth centuries AD in Northern Germania. In this way, Alken Enge provides a new, yet older, testament to the history of the militarization of the Northern Germanic societies and stresses the formative significance of the expansion phase of the Roman Empire at the turn of the era.

Acknowledgments

This paper was written as part of the project “Army and Post-War Rituals in the Iron Age” funded by the Carlsberg Foundation. The authors thank all the project participants and the excavation team; Jacob Kveiborg, Niels Lynnerup, Rasmus B. Iversen, Uffe Rasmussen, and Xenia P. Jensen for useful comments; Casper S. Andersen for help with graphics; and Lucy Seton-Watson, Nicholas Wrigley, and Sean O’Neill for language revisions.

Footnotes

  • Author contributions: M.K.H., L.M., and J.O. designed research; M.K.H., J.H., E.H., M.L., L.M., B.V.O., J.O., N.E.S., and S.M.K. performed research; J.H. and P.J. contributed new reagents/analytic tools; M.K.H., J.H., M.L., L.M., B.V.O., J.O., and S.M.K. analyzed data; and M.K.H., M.L., and L.M. wrote the paper.

  • The authors declare no conflict of interest.

  • This article is a PNAS Direct Submission. G.R.M. is a guest editor invited by the Editorial Board.

  • Data deposition: The Alken Enge Database is available at www.alkenenge.dk/ under the Open Database License (https://opendatacommons.org/licenses/odbl/1.0/). Any rights in individual contents of the database are licensed under the Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/).

  • This article contains supporting information online at www.pnas.org/lookup/suppl/doi:10.1073/pnas.1721372115/-/DCSupplemental.

  • Copyright © 2018 the Author(s). Published by PNAS.

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51 minuti fa, ARES III dice:

L'età del ferro pre-romana (V/IV secolo a.C. - I secolo a.C.) indica la prima parte dell'età del ferro in Scandinavia, in Germania settentrionale e nei Paesi Bassi a nord del fiume Reno, tutte zone che possono vantare numerosi scavi archeologici. Gli oggetti scoperti suggeriscono che le culture sviluppatesi in questo periodo evolsero con maggior velocità rispetto a quelle dell'età del bronzo scandinava, ma che furono fortemente influenzate dalla cultura di Hallstatt dell'Europa centrale, di stampo tipico dell'età del ferro celtica. Nel I secolo a.C. l'influenza romana iniziò a giungere in Danimarca.

Gli archeologi decisero di dividere l'età del ferro in due parti (pre e post romana) dopo che Emil Vedel rinvenne numerosi artefatti nel 1866 sull'isola di Bornholm.[2] Questi oggetti non mostravano la stessa influenza romana di quelli risalenti ai primi anni dopo Cristo, il che indicava che parti dell'Europa settentrionale non erano ancora entrate in contatto col mondo romano all'inizio dell'età del ferro.

Questo fatto è chiarissimo nella celtica cultura di La Tène a sud, la cui tecnologia avanzata nella lavorazione del ferro fu molto influente, quando attorno al 600 a.C. i popoli settentrionali iniziarono ad estrarre ferro dalle rocce delle torbiere. I più antichi oggetti in ferro ritrovati sono gli aghi, ma sono stati trovati anche arnesi, spade e falcetti. Il bronzo continuò ad essere usato per tutto il periodo, ma soprattutto come decorazione.

I riti funerari mantennero l'uso in voga nell'età 

del bronzo di bruciare i cadaveri ponendo le ceneri in urne, caratteristica tipica della cultura dei campi di urne. Nei secoli precedenti, l'influenza della cultura di La Tène si sparse in Scandinavia partendo dalla Germania nord-occidentale, e gli oggetti associabili a questo periodo si trovano in tutte le provincie della Scandinavia meridionale.

Gli archeologi hanno trovato spade, elmi, punte di lancia, forbici, falcetti, pinzette, pugnali, aghi, fibbie, bollitori, ed altro relativi a questa età. Il bronzo venne usato per produrre torque e bollitori, il cui stile era un retaggio dell'età del bronzo. Alcuni dei migliori ritrovamenti sono il Calderone di Gundestrup in argento e i carri di Dejbjerg dallo Jutland, due carrozze a quattro ruote costruite in legno con parti in bronzo.

Il cambio culturale che mise fine all'età del bronzo fu segnato dall'espansione della cultura di Hallstatt da sud, ed accompagnato da un peggioramento climatico che causò modifiche radicali a flora e fauna.[3] In Scandinavia questo periodo viene spesso chiamato Età senza reperti a causa della totale mancanza di ritrovamenti. Mentre in Scandinavia questa mancanza è consistente con il calo della popolazione, la parte meridionale della cultura, la cultura di Jastorf, si stava espandendo verso sud. I cambiamenti climatici giocarono un ruolo importante nella migrazione verso meridione delle tribù, considerate germaniche, fino a raggiungere l'Europa continentale.[4]

Esistono varie scuole di pensiero riguardo all'interpretazione del dilagare innovativo culturale, se una nuova cultura dei materiali riflettesse un movimento bellico dei popoli verso sud o se sia dovuta ad un'espansione pacifica. L'idea prevalente nei Paesi Bassi 

sostiene che le innovazioni dell'età del ferro, a partire dalla cultura di Hallstatt (800 a.C.) non coinvolsero altri popoli, ma erano dovute ad un naturale sviluppo della cultura dell'età del bronzo.[5] Un altro nucleo dell'età del ferro, rappresentante del possibile sviluppo locale, è cultura di Wessenstedt (800 - 600 a.C.).

I rappresentanti dell'età del ferro nordica erano probabilmente i popoli di lingua germanica. Lo stadio di sviluppo di queste popolazioni non è noto, nonostante si suppongono essere state proto-germaniche. L'ultima fase di questo periodo vede l'inizio delle migrazioni barbariche, a partire dall'invasione di Teutoni e Cimbri fino alla loro sconfitta nella battaglia di Aquae Sextiae del 102 a.C., primo sintomo della più turbolenta età del ferro romana e dell'età delle migrazioni.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Età_del_ferro_pre-romana

Quindi alla luce delle informazioni esibite da Ares III, si tratterebbe di una "seconda età del ferro " post contatto con i romani. 


Inviato

@Adelchi66 io la vedo piuttosto come un ritardo di quell'area nel raggiungere certi standard siderurgici.

È come il Rinascimento che in Italia viene convenzionalmente fatto iniziare con la scoperta (riscoperta?) dell'America ma in molti paesi Europei del centro e del nord quest'epoca iniziò più tardi (dove in alcuni casi non iniziò neppure vista la lontananza dall'epicentro culturale).

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Inviato

Abbastanza sovrapponibile a quella dei Germani è la cronologia dei Balti occidentali, anch'essa presenta un ritardo, una suddivisione dell 'età del ferro in due fasi, pre e post contatto con la cultura romana. 

Il tutto spiegato in una misconosciuta ma pregevole mostra svoltasi a Firenze nel 1991.

 

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Inviato (modificato)

@Adelchi66 parliamo dei Prussiani, se non sbaglio ? O meglio delle popolazioni stanziate nel territorio della Prussia?

I Balti orientali dovrebbero essere Lettoni e Lituani (Estoni e Finlandesi sono a parte).

Modificato da ARES III

Inviato (modificato)

Si, dei Prussiani che vennero sterminati dai cavalieri teutonici e soppiantati a livello etnico dai tedeschi. 

Modificato da Adelchi66

Inviato (modificato)
2 ore fa, ARES III dice:

Anch'io sono scettico però ti riporto l'articolo originale e il link

Non riesco ad allegare il PDF perché supera 1,46 MB, però si trova sul link e magari si legge meglio.

Significance

Here we present direct archaeological evidence in the form of human remains of a large-scale battle in Northern Europe in the first century AD, in the wake of the northern expansion of the Roman Empire. The deposited population is estimated to 380 individuals. The relative absence of traces of healed sharp force trauma suggests that they had relatively little previous battle experience. Evidence of the systematic treatment of the human corpses, including stripping of bodies, disarticulation of bones, crushing of crania, and arrangement of body parts, points to a new form of postbattle activities, with implications for the interpretation of contemporary battlefields and later ritual traditions with regard to depositions of the spoils of war.

Abstract

New archaeological excavations at Alken Enge, Jutland, Denmark, have revealed a comprehensive assemblage of disarticulated human remains within a 75-ha wetland area. A minimum of 82 individuals have been uncovered. Based on the distribution, the total population is estimated to be greater than 380 individuals, exclusively male and predominantly adult. The chronological radiocarbon evidence of the human bones indicates that they belong to a single, large event in the early first century AD. The bones show a high frequency of unhealed trauma from sharp-edged weapons, which, together with finds of military equipment, suggests that the find is of martial character. Taphonomic traces indicate that the bones were exposed to animal gnawing for a period of between 6 mo and 1 y before being deposited in the lake. Furthermore, the find situations, including collections of bones, ossa coxae threaded onto a stick, and cuts and scraping marks, provide evidence of the systematic treatment of the human corpses after the time of exposure. The finds are interpreted as the remains of an organized and possibly ritually embedded clearing of a battlefield, including the physical manipulation of the partly skeletonized bones of the deceased fighters and subsequent deposition in the lake. The date places the finds in the context of the Germanic region at the peak of the Roman expansion northward and provides the earliest direct archaeological evidence of large-scale conflict among the Germanic populations and a demonstration of hitherto unrecognized postbattle practices.

The first century BC to the first century AD saw dramatic changes in Northern Europe. Internal transformations in the Roman Empire and its continuing expansion led to thorough-going social changes and fueled an already ongoing development in political and martial aspects of society in the areas that found themselves under Roman control and beyond the Roman domain in the Germanic regions (13).

The attempt to push the boundaries toward the Elbe in Northern Germany ended in catastrophic defeat in the Teutoburg Forest in AD 9, with the loss of three legions (4, 5). This historic turning point was followed by continuing Roman punitive campaigns into Germania until AD 16. In the centuries that followed, military relations between the Roman world and the Northern European areas beyond it became a central aspect of political development in Europe. The ferocity of the Germanic tribes and peoples and their extremely violent and ritualized behavior in the aftermath of warfare became a trope in the Roman accounts of their barbaric northern neighbors (6).

However, knowledge of the fighters and their fate as well as the character of their postbattle activities is largely indirect. Only a few suspected battle sites in central and western Germany have been uncovered, e.g., Harzhorn (7) and Kalkriese (8). The scarcity of well-preserved human remains at these sites has limited the opportunities for in-depth anthropological analysis, and the period from 200 BC to AD 200 represents a lacuna before the comprehensive postbattle weapon depositions (AD 200–550) (9). The historical sources indicate early large-scale military capabilities among the Germanic populations, but the numbers are highly uncertain and they refer primarily to conflicts with the Romans (10, 11).

The period has traditionally been seen as a form of tribal society with relatively small-scale clashes, reflecting fluctuating and highly person-bound alliances and military structures (12, 13). The absence of human remains from weapon sacrifices of a later period has led to speculation that these modest casualties indicate that conflict was directed at eradicating the military leaders, or was perhaps connected with the acquisition of slaves (13).

New archaeological investigations at Alken Enge, East Jutland, Denmark (56°02′48″ N, 9°51′08″ E), provide an exceptionally comprehensive assemblage of human remains, with clear evidence of conflict-related trauma. The remains are interpreted as the earliest finds of a large contingent of fighters from a defeated army from the early first century AD. The find allows us to address central questions regarding the character of the fighting groups and postbattle activities, including the possibilities of ritual aspects in the treatment of the dead.

In this paper, we present an outline of the results of the archaeological, anthropological, and geoscientific investigations of Alken Enge.

Results

Setting.

The Alken Enge wetlands (enge means meadows in Danish) cover 75 ha and are situated in the east/west-oriented Illerup River valley, 8 km long and 0.5 km wide, in the center of the Jutland peninsula in Denmark. The Illerup River valley and Lake Mossø occupy a Weichselian subglacial meltwater valley, surrounded by high moraine plateaus with a marked dead-ice topography. The valley is a well-known archaeological location with a number of ritual depositions. The largest of these comprise lake depositions of weapons from defeated armies (third to fifth centuries AD).

Situated at the terminal end of the Illerup River valley, the Alken Enge basin formed the eastern end of the larger Lake Mossø basin until its isolation by a coastal spit during the late Holocene. According to optically stimulated luminescence dating of the lowermost sandy spit deposit, this spit bar extended northward and reached the main deposition area by 2.51 ± 0.15 ka BP.

Pollen records from eastern Jutland suggest that the prevailing landscape type was rough pasture with scattered deciduous woodlands and groves (14, 15). Although open, this landscape would still have supported wolves (Canis lupus), whereas brown bears (Ursus arctos) had probably become extinct as a result of hunting (16).

Archaeological Investigations.

The human remains are dispersed in peat and lake sediments over a large part of the 75-ha meadows (Fig. 1). From 1957 to 1960, excavations conducted in two locations revealed dense concentrations of disarticulated human remains and dispersed artifacts. Except for an analysis of the human remains (17), the finds were published only in short, popular accounts (18, 19).

Fig. 1.

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Fig. 1.

LiDAR elevation model of Alken Enge showing excavation areas, previously uncovered finds (www.kulturarv.dk/fundogfortidsminder/), and sand spits (42). (Upper Right) Maximum extent of the Roman interest zone during the Augustinian campaigns ca. AD 4–9. Numbered finds are listed in SI Appendix, Supplementary Information 14. Graphics assistance courtesy of Casper S. Andersen (Aarhus University, Højbjerg, Denmark).

 

New excavations at Alken Enge were initiated in 2009 and continued in 2012–2014 (SI Appendix, Supplementary Information 1). Borings, geophysical prospection, and light detection and ranging (LiDAR) digital elevation models were used to reconstruct the hydrological situation at the time of deposition of the human remains. The excavation efforts were concentrated in an area with high find densities centered on a channel bisecting the spit bars that separate the Alken Enge basin from the main basin of Lake Mossø. Additional trenches were laid out in various parts of the wetlands to clarify the character of the dispersed finds and the geological development of the lake.

The excavations uncovered a dense distribution of predominantly disarticulated human remains. The stratigraphy indicates that the human remains were deposited in relatively calm water shortly after the sand spit progressed to this specific spot and thus formed a protection from the high-energy waves of Lake Mossø (SI Appendix, Supplementary Information 8 and 9). Altogether, 2,095 new human bones and human bone fragments were found. All of the finds appear to have been deposited under water, in the lowest parts probably as much as 2 m in depth.

Additional Finds.

Relatively few artifacts were unearthed apart from human bones. The finds included weapons (concentrated in the same find horizon as the human remains), pottery and animal bones (found in a broader horizon that also extends above the human bones), and parts of wagons (found in the horizon immediately above the human remains).

The weapons (SI Appendix, Supplementary Information 13) comprised seven spearheads, an axe, and fragments of swords and shields, including a complete shield found during the 1957–1960 excavation. An axe with a complete shaft of ash and a large wooden club may have been used as a weapon or as a tools in activities at the site. The horizon with the human remains also contained five iron knives and small fragments of fine wickerwork, probably from baskets. There is a complete absence of standard personal equipment such as belt fittings and dress pins, and most of the uncovered weapons are broken or damaged. Typologically, the metal artifacts are Germanic, and generally belong within the second to first centuries BC, with a few finds potentially extending into the first century AD. Metallurgical analyses indicate a local Jutish provenance (20). Two spearheads are dated to the sixth century AD, and may belong to a different event.

The find comprised approximately 25–40 ceramic pots, dominated by regular, everyday ceramics. Chronologically, the ceramics extend from the Late Bronze Age to the early Iron Age, with a concentration around the first century BC/first to second centuries AD.

A total of 674 animal bones and bone fragments were discovered, deriving from domestic species such as dogs (Canis lupus familiaris), cattle (Bos taurus), caprines (Caprinae) and pigs (Sus domesticus). Butchery marks are recognizable on several of the animal bones, but they show no sign of weathering or gnaw marks.

Chronology.

A 14C dating program was conducted to examine the chronological depth of the finds, targeting animal remains from supposed ritually deposited husbandry and wooden artifacts, and both old and newly recovered human remains from the excavations (SI Appendix, Supplementary Informations 10–12). The majority of the dates on the human remains were obtained from collagen from the lower jaws (mandibulae).

The ages are dispersed over more than two millennia, with a distinct concentration around the turn of the millennium. Including two outliers originating from peripheral parts of the Alken Enge basin, the human remains show a more significant chronological concentration than the wooden artifacts, animal remains, and ceramics (SI Appendix, Supplementary Information 10). The broader chronological (and topographical) dispersion of ceramics, wooden artifacts, and animal remains can be seen as part of a long-term use of this landscape, something also commonly seen in other Danish wetland depositional traditions (21, 22).

The newly excavated finds show a consistent picture, with all dates falling within a narrow time span, with the median at the beginning of the first century AD (Fig. 2). The narrow distribution indicates that all human remains are contemporary. In each case, the dates provide a combined date ranging from 2 BC to AD 54.

Fig. 2.

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Fig. 2.

Calibrated age probability distributions of all human individuals from Alken Enge.

 

Find Situation.

The human remains are found dispersed over the entire excavation area, with a concentration in the deepest part of the channel between the sand spits (Fig. 3). The majority of the bones from the northern trench were found in gyttja or gyttja/sand-mixed sediments, and traces of water-rolling wear and abrasions were very limited (23). Nasal bones and teeth were still preserved in situ on the crania, and fragile artifacts such as wickerwork and shield parts were preserved. This indicates relatively calm and protected waters.

Fig. 3.

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Fig. 3.

Main excavation area with distribution of the human remains and selected artifacts. The contours represent the levels of the human remains, which, in the northern excavation, correspond to the surface of the sand-spit deposits. Gray shading indicates the location of the sand spits.

 

Moving upward toward the present soil surface, the preservation of the bones deteriorates significantly, and, in the plow-layer, virtually no archaeologically relevant organic material is preserved (24, 25). Test pits and previous finds of human remains demonstrate that the find concentration extended further to the north on the eastern side of the sand spits, but modern settlement complicates an investigation of this area.

Structured Depositions.

Although most of the human bones were spread out on the past lakebed in no anatomical order, structured depositions were uncovered in the northern trench (Fig. 4).

Fig. 4.

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Fig. 4.

Examples of structured find situations. (A) Four ossa coxae threaded onto a stick. (B) Lower limbs from two individuals together with further disarticulated remains. Reprinted with permission from ref. 24, with permission from Elsevier. (C) Find assemblages of femur, tibia and fibula, and two small stones. Photos courtesy of P.J.

 

Situation A consists of an assembly of four ossa coxae from four male individuals, two left sides and two right sides. The ossa coxae were arranged on an alder branch (Alnus) through the holes of the obturator foramen in an interlocking sequence of left/right/left/right. The arrangement of the bones on the branch must have occurred after skeletonization.

Situation B consists of several articulated parts of at least two individuals, including the lower limbs of one individual, and some of the bones of the foot. The other individual is represented by fibula, tibia, and some of the bones of the foot. Altogether, the two individuals are represented by 27 and 15 bones, respectively. In addition, numerous disarticulated remains of upper and lower bodies were found in the same area. The remains were situated in the deepest part of the channel, and the articulated conditions indicate that the bones were held together by ligaments when they ended up in the lake.

Situation C consists of an assemblage of a femur, fibula, tibia, and two white stones. The bones were found on the slopes of one of the sand spits, situated in a bundle parallel to each other. All were oriented in the same proximal–distal direction, and they probably belong to at least two different individuals based on their morphology. Consequently, they must have been disarticulated when deposited. The stones are not naturally occurring in the sand spits and must have been brought in. It is possible that the assemblage was originally kept in an organic container that has not been preserved.

Characteristics of Physical Anthropology.

The 2,095 new human bones and bone fragments were uncovered in the new excavations represent at least 82 individuals, based on the most frequently occurring bone, the left femur. Mainly long bones like femora, tibiae, and humeri are present, whereas small bones such as those of hands and feet are highly underrepresented, as are crania (SI Appendix, Supplementary Information 3). Only 14 crania are complete (SI Appendix, Supplementary Information 4).

Estimates of biological sex were based on sexual morphology of ossa coxae, crania, and mandibulae of human adult bones, according to ref. 26 (SI Appendix, Supplementary Information 5). Eleven of 2,095 bones are classified as female or probably female morphology, compared with 427 bones as male or probably male morphology. It can well be argued that the whole bone sample is predominantly or exclusively male.

For subadults, the estimated age at death was based on the stage of fusion of skeletal elements, length of long bones, and dental eruption according to refs. 2628 (SI Appendix, Supplementary Information 6). A total of 4.7% of the bone material shows subadult characteristics (age less than 20 y), 68.6% is between 20 and 40 y, and 1.2% is between 40 and 60 y, whereas 25.4% could not be assessed.

Human-induced bone modifications (Fig. 5) were recorded as antemortem trauma, perimortem trauma, and postmortem modification according to refs. 2931 (SI Appendix, Supplementary Information 7). Trauma was classified as sharp force trauma, blunt force trauma, and penetrating trauma following the criteria of refs. 26 and 3235. Antemortem trauma is recorded on 19 bones, including broken limb bones (femora, humeri, radius, and ulna) as well as injuries to costa, clavicle, and crania. Perimortem trauma is recorded on 139 bones, including sharp force trauma (n = 119), penetrating trauma (n = 14), and blunt force trauma (n = 6). The postcranial perimortem trauma is dominated by small sharp force trauma on femora, tibiae, and humeri. Perimortem trauma on crania are dominated by small to medium-sized sharp force as well as some penetrating and blunt force lesions (Fig. 5).

Fig. 5.

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Fig. 5.

(Upper) Distribution of unhealed trauma. (Lower) Examples of trauma and taphonomic traces. (A) Sharp force trauma to the back of the cranium. (B) Penetrating trauma on the frontal bone. (C) Sharp force trauma on the posterior part of a left femur. (D) Punctures on the femoral heads, reflecting scavenging animals. (E) Furrows on the proximal joint of two femora, reflecting scavenging animals. (F) Spiral fracture on three femora, reflecting bone breakage by larger carnivores. (G) Sharp force trauma on the posterior surface of two femora. (H) Sharp force trauma on the proximal lateral part of a left tibia. (I) Parallel grooves on the iliac fossa of a right os coxa. Photos courtesy of Museum Skanderborg and graphics courtesy of Casper S. Andersen (Aarhus University, Højbjerg, Denmark).

 

Some bones show modifications consistent with sharp force trauma, which, in terms of size and appearance, differ from the trauma pattern described earlier and are likely to derive from a postbattle situation. Several parallel superficial grooves are seen on the posterior surface of two femora above the knee joint (Fig. 5G) and on the proximal part of three tibiae on the medial and lateral surface of the bones (Fig. 5H). The shallow grooves are all centered around the knee joint.

On a left os coxa, two long parallel grooves (63 mm and 75 mm) run across the iliac fossa (Fig. 5I), indicating sharp force trauma and a distinctive margin associated with crushing (32, 34). The angle indicates that the grooves were inflicted to a person lying down. One femur has a cut mark through the greater trochanter into the femoral head (Fig. 5C). These modifications could be the result of the deliberate removal of muscles and ligaments postmortem. Similarly, the chop marks (Fig. 5 C and I) could originate from a postmortem dismembering of the body with the purpose of separating body parts or mutilating bodies.

The human bones also exhibit a large number of tooth marks, including punctures, pits, scorings, furrows, and fractured, chipped, and channelled bones (Fig. 5 DF) (24), caused by medium-to-large scavenging animals such as fox (Vulpes vulpes), dog (C. lupus familiaris) and wolf (C. lupus). The taphonomic analysis identified 722 tooth marks on 391 of 2,095 human bones. Femora are the most affected (39% of all tooth marks), followed by the tibiae (22%) and the humeri (21%). The smaller and thinner long bones are less often gnawed (SI Appendix, Table S1).

Some large long bones show perimortem spiral fractures, which are likely to have been caused by large carnivores. Large carnivores break bones by leverage to extract bone marrow (Fig. 5F), which has been identified in several other cases (3638).

Microscopic analyses of the bones show an absence of bacterial attack in the micromorphology of the human bones. Endogenous (i.e., intrinsic gut) bacteria are the primary cause of bacterial attack to bones, and the removal of the abdomen/intestines prevent bacteria attack of the bone morphology, suggesting that the abdominal and thoracic contents were removed and probably eaten by scavengers before the deposition (24). The general preservation conditions of the bones indicate that the human corpses were left exposed for ∼0.5–1 y before being deposited in a lake environment as much as 2 m in depth, where they would have been inaccessible to scavengers. The representation of the various types of bones is consistent with such an exposure, with the small and soft bones being consumed by animals whereas the larger bones remained (SI Appendix, Supplementary Information 2).

Estimated Minimum Number of Individuals.

As the find concentration is not delimited to the north and northeast, the scale of the event can be assessed only as a minimum estimate. The estimated minimum number of individuals (MNI) is calculated by dividing the find area into four zones based on the geology and find frequency. For each zone, a total MNI is estimated based on the MNI per square meter within excavation pits, the mean of which was then used to calculate an approximate MNI for the entire zone. Based on an area of approximately 5,200 m2, the estimated MNI is 380.

Interpretation.

The demographic characteristics of the human remains sample, the trauma evidence, and the accompanying remains of weaponry are compelling indications that the Alken Enge population was involved in a large-scale armed conflict. The human bone material suggests that the entire population of at least 380 individuals consisted of young adult males. The traces of trauma are likely to reflect injuries sustained in combat in which pointed weapons were used, causing more damage to the soft tissue than the bones, whereas large sharp force lesions of the cranium point to the use of weapons with a sharp edge. This lesion pattern is consistent with the weaponry (lances, swords, and perhaps axes) and combat technique of the Germanic tribes in the centuries around the turn of the millennium (39). Some of the trauma, particularly posterior aspects of skeletal elements and cut marks on the femora, may reflect a final stage in the fighting with the immobilization and killing of fleeing, subjugated, and wounded fighters, or it could reflect postbattle treatment of captured fighters.

The estimated number of fighters is almost four times larger than the estimated size of the Hjortspring find (13). Thereby, Alken Enge confirms the indications in the historical sources of early, large-scale military capabilities in Northern Germania.

The provenance of the fighters is still unresolved. The weapons are local Germanic style, but their affiliation with either of the opposing sides in the conflict is uncertain. The relative absence of healed sharp force trauma suggests that the deposited population did not have considerable previous battle experience.

The animal tooth marks show that the bones were exposed to scavenging animals for a period of 0.5–1 y, during which time the human remains must have become at least partly skeletonized. The assemblages of bones and the four ossa coxae threaded on a stick (Fig. 4A) demonstrate that the remains of the combatants were deliberately collected at a time when the bones were largely skeletonized.

The cut marks suggest that there was some form of treatment of the remains after battle, possibly a separation of some of the bones that were still held together by ligaments. Moreover, the underrepresentation of crania (SI Appendix, Supplementary Information 4), of which a large part occurred as cranial fragments, suggests the deliberate selection and possibly crushing of particular body parts. The relatively few artifacts uncovered at the sites suggests a selective treatment of the equipment of the dead individuals.

Based on the characterization of the sediments, the finds are interpreted as being located in a near-shore environment with some wave energy, which implies that some relocation after deposition may have occurred. However, particularly in the northern trench, the unsorted distribution pattern and the absence of abrasions suggest that the relocation was limited. The find pattern is therefore best explained as the result of a deliberate deposition of the human remains in the water.

The overall distribution of the human remains and the landscape reconstruction suggest that the deposition occurred from the edge of newly formed sand-spits extending out into the lake, with a particular concentration at a slow small water course between two sand spit-barriers. Collection and redeposition in the lake may have contributed further to the overrepresentation of the large bones (SI Appendix, Table S3), as smaller bones may have been overlooked.

The site at which the first (natural) skeletonization of the human remains took place has not been identified. It is plausible that this would have coincided with the actual battlefield, where corpses were left exposed for some time before the remains were collected and redeposited in the lake. At Kalkriese (Germany), a small passage in the landscape, comparable to that at Alken Enge, has been pointed out as the likely battlefield (40). The relocation may also have occurred over a considerable distance, as other battle-related depositions suggest that, for example, at Hjortspring, the war booty was carried for at least 2 km from the coast to an inland bog. It is also possible that the sand spits were the actual scene of the battle, as they constitute a potential transport corridor and hence a tactically advantageous setting.

The dates from the new excavations are consistent with the human bones belonging to a major event taking place in the first half of the first century AD. There appears to have been periodic ritual activities at the location, not unlike other martial sites (41).

Conclusion

Alken Enge provides unequivocal evidence that the people in Northern Germania had systematic and deliberate ways of clearing battlefields. Practices of corporeal dismemberment, modification, and bone assemblage composition suggest a ritual dimension in the treatment of the human corporeal remains. Taphonomic studies indicate a postmortem exposure interval before a deposition in the lake of 0.5–1 y, which is unprecedented in relation to the known burials and bog bodies.

The estimated MNI in Alken Enge significantly exceeds the scale of any known Iron Age village community and presupposes that the fighting groups of men were recruited from a large area beyond its immediate hinterland.

The preponderance of young adult males suggests that a selected group ended up in the wetland area. High incidences of perimortem trauma show that the conflicts were extremely destructive in character, with consequently comprehensive slaughter.

Overall, the Alken Enge find is exceptional of the period, but it anticipates the comprehensive postbattle weapon depositions from the second to fifth centuries AD in Northern Germania. In this way, Alken Enge provides a new, yet older, testament to the history of the militarization of the Northern Germanic societies and stresses the formative significance of the expansion phase of the Roman Empire at the turn of the era.

Acknowledgments

This paper was written as part of the project “Army and Post-War Rituals in the Iron Age” funded by the Carlsberg Foundation. The authors thank all the project participants and the excavation team; Jacob Kveiborg, Niels Lynnerup, Rasmus B. Iversen, Uffe Rasmussen, and Xenia P. Jensen for useful comments; Casper S. Andersen for help with graphics; and Lucy Seton-Watson, Nicholas Wrigley, and Sean O’Neill for language revisions.

Footnotes

  • Author contributions: M.K.H., L.M., and J.O. designed research; M.K.H., J.H., E.H., M.L., L.M., B.V.O., J.O., N.E.S., and S.M.K. performed research; J.H. and P.J. contributed new reagents/analytic tools; M.K.H., J.H., M.L., L.M., B.V.O., J.O., and S.M.K. analyzed data; and M.K.H., M.L., and L.M. wrote the paper.

  • The authors declare no conflict of interest.

  • This article is a PNAS Direct Submission. G.R.M. is a guest editor invited by the Editorial Board.

  • Data deposition: The Alken Enge Database is available at www.alkenenge.dk/ under the Open Database License (https://opendatacommons.org/licenses/odbl/1.0/). Any rights in individual contents of the database are licensed under the Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/).

  • This article contains supporting information online at www.pnas.org/lookup/suppl/doi:10.1073/pnas.1721372115/-/DCSupplemental.

  • Copyright © 2018 the Author(s). Published by PNAS.

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    https://www.pnas.org/content/115/23/592

Bell'articolo, come in genere quelli pubblicati su PNAS (so che passano vari controlli e valutazioni - a memoria 3 - da parte di specialisti che analizzano i testi nelle preview).

Se ho ben capito attribuiscono l'evento al periodo ma non lo imputano chiaramente a truppe romane.

Le stesse analisi delle ferite dimostrano molto più comuni le ferite da taglio (e da contundenti) rispetto a quelle da penetrazione (tipiche dell'uso del gladio), con le prime abbastanza comuni negli scontri tra popolazioni germaniche (con spada lunga, asce etc...). Infatti leggo

The demographic characteristics of the human remains sample, the trauma evidence, and the accompanying remains of weaponry are compelling indications that the Alken Enge population was involved in a large-scale armed conflict. ... The traces of trauma are likely to reflect injuries sustained in combat in which pointed weapons were used, causing more damage to the soft tissue than the bones, whereas large sharp force lesions of the cranium point to the use of weapons with a sharp edge. This lesion pattern is consistent with the weaponry (lances, swords, and perhaps axes) and combat technique of the Germanic tribes in the centuries around the turn of the millennium (39). Some of the trauma, particularly posterior aspects of skeletal elements and cut marks on the femora, may reflect a final stage in the fighting with the immobilization and killing of fleeing, subjugated, and wounded fighters, or it could reflect postbattle treatment of captured fighters.

The provenance of the fighters is still unresolved. The weapons are local Germanic style, but their affiliation with either of the opposing sides in the conflict is uncertain. The relative absence of healed sharp force trauma suggests that the deposited population did not have considerable previous battle experience.

The cut marks suggest that there was some form of treatment of the remains after battle, possibly a separation of some of the bones that were still held together by ligaments. Moreover, the underrepresentation of crania (SI AppendixSupplementary Information 4), of which a large part occurred as cranial fragments, suggests the deliberate selection and possibly crushing of particular body parts. The relatively few artifacts uncovered at the sites suggests a selective treatment of the equipment of the dead individuals.

La stessa asportazione del cranio (e il culto dello stesso) del nemico sconfitto mi rimanda in ambiti germanici (o "protogermanici") (seppure gli stessi romani talvolta eseguissero decapitazioni ed ostentazione del cranio).

Tutto ciò non mutuerebbe il quadro... potrebbe essere semplicemente l'esito di uno scontro tra popolazioni locali per motivi tribali o anche spinti da qualche forza "esterna" (è noto che i Romani avevano creato una sorta di cuscinetto oltre limes pagando tributi per ottenere l'alleanza di popolazioni locali).

Il tutto detto senza voler mettere in dubbio i ricercatori ma solo per ragionare un po' assieme su un evento.

Ciao

Illyricum

;)

PS: esistono ricchi depositi di manufatti e monete rinvenuti in Danimarca e nella zona costiera danese interpretati come esiti di tributi alle popolazioni locali...

 

 

 

Modificato da Illyricum65

Inviato

@Adelchi66 se hai tempo e voglia naturalmente , potresti aprire una discussione sui Balti basandoti proprio sul testo che hai ? Arricchendola con foto ?

Te ne sarei personalmente grato, ma credo che anche tutti gli altri utenti ne sarebbero felici.

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Inviato

In tema di eventuali 'raid punitivi', attacchi (o risposte ad attacchi) portati a livelli intimidatori forse quasi terroristici, sono antichi in civiltà precedenti anche decine di secoli a Roma : ad esempio la civiltà assira, per consolidare il suo impero,  ci ha lasciato scritto il suo vanto, che si può ben definire almeno intimidatorio per i suoi vicini, di aver distrutto Babilonia rendendola simile ad un acquitrino .

Mi pare di ricordare che al tempo di Probo, l'Impero per ricacciare le diverse penetrazioni di gruppi barbari armati, conducesse operazioni anche oltre il limes non per conquista ma per sicurezza : una zona-cuscinetto 'demilitarizzata' ha spesso una funzione intimidatoria e  dissuasiva, senza contare che in tempi lontani, i nemici sopravvissuti come  prigionieri di guerra, avevano un loro mercato .

L'istituto della decimazione,poi,  chiunque lo abbia praticato, ha in fondo la stessa natura almeno  intimidatoria, uccidendo 1 ogni 10 perchè i 9 sopravvissuti e tutti quelli che hanno visto o sentito, raddrizzino le orecchie : persino la leggenda, è arrivata ad immaginare  che Massimiano Ercole avrebbe comandato lo sterminio della sua intera legione tebea per dissuadere chiunque da una insubordinazione, nel caso religiosa . 


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