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Ti saluto, vado in Abissinia


petronius arbiter

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Il 2 ottobre 1935 l’Italia dichiara guerra all’Etiopia; il Duce, dal balcone di Palazzo Venezia, annuncia agli italiani che è giunto finalmente il momento di conquistarsi “un posto al sole”.

Ed è così, senza un’esplicita dichiarazione di guerra, che nella notte tra il 2 e il 3 ottobre le truppe italiane, al comando del generale De Bono, passano il confine dell’Eritrea, già nostra colonia, ed entrano in territorio etiope.

Dell'Etiopia, in realtà, ignoravamo quasi tutto: ordinamento interno, usi, costumi, persino il numero degli abitanti.

Nel maggio 1935, quando già erano evidenti le intenzioni aggressive dell'Italia, i primi giornalisti europei cominciarono ad arrivare ad Addis Abeba.

La città che li accolse, il cui nome in amarico significa Nuovo Fiore, era inospitale, caotica, sporca, polverosa, piena di lebbrosi, di eunuchi, di schiavi e di sciarmutte :ph34r: contava, forse, 150.000 abitanti, anche se nessuno si era mai dato la pena di contarli.

Come "posto al sole" forse si poteva scegliere di meglio, ma tant'è; gran parte dell'Africa era, già dall'ottocento, sotto il dominio inglese e francese, e l'Italia, arrivata buon ultima al banchetto coloniale, quando ormai il colonialismo cominciava a mostrare le prime crepe, dovette accontentarsi di quanto era rimasto, attirandosi tra l'altro le ire degli altri paesi europei, che applicarono sanzioni economiche il cui unico effetto fu quello di rafforzare il regime <_<

E così, al suono di orecchiabili canzonette (la più famosa Faccetta nera) le nostre truppe si imbarcarono per l'Africa Orientale, salutando mamme, mogli e fidanzate.

 

petronius :)

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Il paese che ci accingevamo a conquistare era governato, con pugno di ferro, da un imperatore che si era imposto eliminando uno ad uno tutti i ras e gli altri personaggi che erano di ostacolo alla sua marcia verso il trono.

Dal 27 settembre 1916 reggente in nome della principessa Zauditù, figlia prediletta di Menelik (il vincitore degli italiani ad Adua), Ras Tafari, il cui nome significa colui che è temuto, si impegna a consolidare l'impero etiopico anche attraverso un'abile azione diplomatica, che nel 1923, grazie soprattutto all'appoggio italiano, porta l'Etiopia ad entrare nella Società delle Nazioni, costituita a Ginevra dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e che, nelle intenzioni dei paesi membri, doveva evitare all'Europa una catastrofe come quella che si era appena conclusa :rolleyes:

Nel 1928 Ras Tafari firma con l'Italia un trattato ventennale di amicizia e di commercio e nel frattempo, grazie all'aiuto di ufficiali europei rimasti disoccupati dopo la fine della guerra, getta le basi di un esercito regolare e moderno.

Inizialmente limitato nella sua azione dall'ingombrante presenza della principessa Zauditù, alla morte di questa, nel 1930, soffoca nel sangue l'ultima rivolta tentata dagli altri ras e diventa Negus Neghesti assumendo il nome di Hailè Selassiè, che significa "la potenza della Trinità".

E' a questo punto che inizia ad essere ritratto sulle banconote del suo paese.

Come in questi 2 talleri del 1933 (dal sito di Ron Wise) in cui lo vediamo insieme alla moglie, l'imperatrice Menen.

petronius :)

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In realtà, più che le banconote, la moneta corrente nel Corno d'Africa era il Tallero 1780 di Maria Teresa, un pezzo d’argento ben riconoscibile e soggetto alle oscillazioni del metallo, che non doveva superare certi limiti nell’usura dovuta alla circolazione; pare che le popolazioni locali avessero l’abitudine di giudicare il calo del metallo tastando il bottone che ferma il vestito sulla spalla dell’imperatrice, accertandosi così dell’usura della moneta.

L’Italia, nel 1935, acquista i conii dalla zecca di Vienna e inizia a battere questa moneta, proprio per l’uso nelle sue colonie africane.

Distribuiti a piene mani durante la guerra per comprare i ras abissini, ben poco potranno negli anni '40, quando si troveranno di fronte "la cavalleria di San Giorgio" le dorate sterline inglesi di re Giorgio VI :rolleyes:

petronius :)

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petronius arbiter dice:
nella notte tra il 2 e il 3 ottobre le truppe italiane, al comando del generale De Bono, passano il confine dell’Eritrea.

Il primo obiettivo è Adua, che viene raggiunta il 6 ottobre.

All’inizio gli scontri sono rari, anche perché Hailè Selassiè ha preferito concentrare il grosso delle sue truppe nell’interno; il terreno accidentato, senza strade battute, e l’organizzazione approssimativa del nostro esercito rendono però difficile l’avanzata.

Da Roma, Mussolini continua ad inviare telegrammi, spazientito per la lentezza delle operazioni: il secondo obiettivo, Macallè, viene raggiunto l’8 novembre, ma i nostri la trovano già abbandonata.

Pur se immortalata dalla propaganda di regime, la presa di Macallè è la conquista di un villaggio di nemmeno cinquecento abitanti, con catapecchie dai tetti di paglia e fango.

Il 12 novembre, un Mussolini sempre più impaziente, sostituisce De Bono con il maresciallo Badoglio, ma la cosa non dà i risultati sperati, almeno nell’immediato; anzi, il 18 dicembre, nello scontro di Dembeguinà, gli italiani vengono colti di sorpresa e sono costretti a ripiegare.

In Italia si comincia a temere che le cose possano finire male, il primo ad essere preoccupato è Mussolini, che decide di ricorrere all’arma chimica su vasta scala: l’uso dei gas rende ancora più squilibrato lo scontro, visto che gli italiani già si avvalevano di una potente arma in più, l’aviazione.

Il 15 febbraio 1936 nella battaglia dell’Endertà gli etiopi sono costretti ad una frettolosa ritirata.

La battaglia decisiva si svolge il 31 marzo a Mai Ceu, ed è ancora una volta l’aviazione a fare la differenza: la ritirata delle truppe etiopiche avviene in maniera disordinata e il successivo scontro, sul lago Ascianghi, è un vero e proprio massacro.

Il 24 aprile inizia la marcia verso la capitale, che nella notte del 2 maggio viene abbandonata da Hailè Selassiè, che fugge in treno a Gibuti e da lì, su un incrociatore inglese, ad Haifa.

Il 5 maggio Badoglio telegrafa a Mussolini:

“Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba.”

Il 9 maggio il Duce può annunciare ad una folla in delirio “il ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma”: è, probabilmente, il momento di massimo consenso per il fascismo. <_<

Vittorio Emanuele III è proclamato Re Imperatore e per celebrare l’avvenimento viene coniata (dal 1936 al 1943) la serie di monete divisionali “Impero”.

petronius :)

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La vittoria favorisce gli insediamenti di immigrati e imprenditori italiani nella nuova colonia e nelle limitrofe Eritrea e Somalia, e i tre possedimenti assumono il nome di territori dell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.).

Nel 1938 si decide di emettere per questi territori, dove già circolava come moneta ufficiale la lira italiana, una nuova moneta, sempre in lire, ma specificatamente ad essi destinata.

I biglietti sono dello stesso tipo (modelli Capranesi) di quelli già circolanti in Italia, ma con variante di colori e una duplice scritta in rosso sui bordi superiore e inferiore.

Sul bordo superiore viene stampato:

“SERIE SPECIALE AFRICA ORIENTALE ITALIANA”

e su quello inferiore:

“E’ VIETATA LA CIRCOLAZIONE FUORI DEI TERRITORI DELL’AFRICA ORIENTALE ITALIANA”

La prima emissione è effettuata il 12 settembre 1938, nei tagli da 50, 100, 500 e 1000 lire, per un totale di 1.800.000.000 di lire; ne segue un’altra, il 14 gennaio 1939, negli stessi tagli, per un ammontare complessivo di 498.500.000 lire.

petronius :)

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Complimenti petronius, davvero un lavoro eccellente! Non sarebbe affatto male inserirlo ne lamonetapedia... o di ampliarlo e renderlo scaricabile nella sezione manuali... magari aggiungendovi tutta la storia delle altre colonie italiane...

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alteras dice:
renderlo scaricabile nella sezione manuali... magari aggiungendovi tutta la storia delle altre colonie italiane...

Sulla Somalia c'è già un ottimo lavoro di Pgl ;) l'occupazione della Libia non ha generato, da parte italiana, nessuna emissione monetaria particolare, ma qualcosa si può raccontare lo stesso.

Poi ci sarebbero anche i biglietti per la legazione italiana di Tientsin, in Cina :rolleyes:

Ci penso su :D intanto grazie a te e Simone per i complimenti :lol:

petronius :)

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Mi associo ai complimeti del mio omonimo Simone e alla sua proposta di rendere questo bel lavoro disponibile su lamonetapedia.

E' sempre un piacere nonchè istruttivo leggere questi tuoi articoli Petronius... ;)

Ancora complimenti

Simone "Uzifox"

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per la Libia ho una curiosa medaglietta pubblicitaria della Cinzano a carattere propagandistico: sulla medaglietta si vedono dei segni incomprensibili, ma se si dà un competto alla medaglia essa ruota velocemente facendo apparire la scritta "W TRIPOLI ITALIANA".

Sul ruolo della società Cinzano in Libia :

"Cinzano, Fiat, Lancia, Martini & Rossi, Cora: sono alcune delle aziende piemontesi presenti nel territorio africano nella prima metà del '900. L'interesse dell'industria piemontese nei confronti dei mercati africani si può far risalire agli anni '70 del secolo scorso.

"Dagli archivi Cinzano risulta che fin dal 1863 la Casa si avvale della collaborazione dei fratelli Carpaneto, la cui funzione più importante consistette nella mediazione tra l'azienda e le compagnie di navigazione; ma "il vero salto qualitativo lo compie attraverso l'opera di Giuseppe Lampiano, entrato ufficialmente in attività nel 1878. Con la presenza di Lampiano che già nel 1898 (…) ha visitato più di 40 nazioni, sparse sui cinque continenti, si pongono le basi del definitivo radicamento del marchio Cinzano nelle varie realtà economiche e sociali".

Corrado Ferri "Cenni sulla presenza dell'impresa piemontese in Africa durante il periodo coloniale. Due casi esemplari: Cinzano e Fiat".

giuseppelampianocinzanoqr4.jpg

Giuseppe Lampiano in una curiosa foto ricordo

Modificato da numes
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'petronius arbiter dice:

Il 9 maggio il Duce può annunciare ad una folla in delirio “il ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma"

Nessun impero della storia è durato così poco come quello d'Etiopia, cinque anni appena, dal 1936 al 1941.

In quei pochi anni gli italiani spesero fiumi di denaro per migliorarlo, ma assai poco per conservarlo.

Quando l'Italia entrò nella seconda guerra mondiale, mancò del tutto un progetto, una strategia, offensiva o difensiva che fosse, convinti come si era che la guerra fosse già vinta e che sarebbe bastato

"un pugno di morti per sedere da vincitori al tavolo della pace" dry.gif

In Etiopia, come in Libia, eravamo più forti degli inglesi e in grado di batterli con facilità ma, al contrario di loro, mancò in noi la convinzione nei nostri mezzi e nelle nostre capacità; col senno di poi si può dire che non fu un male :rolleyes:

Nell’autunno 1940 gli inglesi partono al contrattacco in Etiopia: l’Africa Orientale Italiana cade nelle loro mani all’inizio della primavera del 1941.

Gli italiani organizzano alcune sacche di resistenza, la più famosa sull’Amba Alagi, sotto il comando del Duca Amedeo d’Aosta, vicerè d'Etiopia, ma la fine è ormai segnata: la sera del 17 maggio 1941 gli ultimi italiani si arrendono: ad essi viene concesso l’onore delle armi.

Il Duca d’Aosta, come riferisce il bollettino di guerra n. 348 del 19 maggio che dà notizia della resa del presidio dell’Amba Alagi “che ha resistito oltre ogni limite”, segue il destino delle sue truppe: sarà internato in un campo di prigionia in Kenia, dove morirà di tisi il 3 marzo 1942.

Il regime gli dedicherà una famosa e nostalgica cartolina di propaganda, opera di Gino Boccasile: un nostro soldato, sullo sfondo dell’Amba Alagi, con lo spirito del Duca d’Aosta che si erge protettivo alle sue spalle, giura...RITORNEREMO!

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petronius cool.gif

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A ritornare fu invece il Negus, Hailè Selassiè, che il 5 maggio del 1941, esattamente cinque anni dopo Badoglio, rientrava trionfalmente ad Addis Abeba, per essere reinsediato sul trono, dove rimarrà fino al 1974, quando un colpo di stato militare portò al potere il colonnello Menghistu che, secondo voci mai del tutto chiarite, fece torturare e poi uccidere il vecchio imperatore :(

Che però, nei lunghi anni del suo regno dopo la fine della seconda guerra mondiale, aveva continuato ad emettere splendide banconote col suo ritratto, come questo dollaro del 1945 (dal sito di Ron Wise).

petronius oo)

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E le banconote dell' A.O.I.? :ph34r:

Tranquilli :D non le ho dimenticate, così come non le dimenticò il governo italiano dell'epoca.

Furono infatti rinviate in patria e accantonate presso la sede della Banca d’Italia.

Nel novembre 1942, quando, a causa dell’inflazione, la produzione di banconote apparve insufficiente alle esigenze della circolazione, il ministro delle Finanze ne autorizzò la circolazione sul territorio nazionale nell’intento

“di evitare ogni inutile spreco della speciale carta e degli inchiostri adoperati per la fabbricazione delle banconote.”

E con l'allegato del biglietto da 100 lire chiudo il mio racconto; non ho purtroppo in collezione i biglietti da 500 e 1000 lire: se qualcuno li possiede o ne ha comunque qualche immagine è, come al solito, il benvenuto.

petronius :)

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con la presente diffido Petronius dal continuare a postare queste magnifiche banconote. Se la cosa proseguirà scatterà una denuncia per "circonvenzione d'incapace" (cioè io, incapace a resistere alle tentazioni) :P:P:P

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Per la cronaca, nelle pagine dedicate alla cultura de La Repubblica di oggi si parla dei 70 anni dall'omicidio del vicere d'Etiopia... Se a qualcuno interessa, per integrare il quadro generale...

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alteras dice:
Per la cronaca, nelle pagine dedicate alla cultura de La Repubblica di oggi si parla dei 70 anni dall'omicidio del vicere d'Etiopia

Non ho letto l'articolo, ma forse ti riferisci all'attentato a Rodolfo Graziani, allora vicerè d'Etiopia, di cui oggi ricorrono appunto i 70 anni (19 febbraio 1937).

Graziani però rimase soltanto ferito, e morì molti anni dopo (nel 1955) per cause naturali.

petronius

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petronius arbiter dice:
forse ti riferisci all'attentato a Rodolfo Graziani, allora vicerè d'Etiopia

In breve, la storia....

Si festeggiava la nascita del principe di Napoli, Vittorio Emanuele (possibile IV, l'abbiamo scampata bella :lol:) quando fu lanciata una prima bomba, seguita da altre otto nel giro di pochi minuti; pare che a lanciarle fossero stati due ex allievi della scuola militare di Olettà, ancora fedeli al negus, ma nel caos che seguì non ci fu modo di identificare gli attentatori.

Nell'attentato Graziani riportò ben 143 picole ferite, prodotte dalle schegge d'alluminio della bomba che gli era scoppiata tra i piedi; tutte ferite di poco conto, tranne, si disse, una.....

I maligni insinuarono infatti che alcune schegge avessero privato il vicerè dei "gioielli di famiglia". :rolleyes:

Non era vero, e a dimostrarlo è stata ritrovata, tra le carte del duce conservate nell'Archivio di Stato, una relazione sull'attentato scritta dallo stesso Graziani, in cui non si fa parola della presunta evirazione, ma vi è allegata una foto del maresciallo completamente nudo.. :P

petronius oo)

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Un po' OT...

Ma dato che avevo tirato in ballo l’attentato al maresciallo Graziani, vi riporto un sunto da quanto riportato da Nello Ajello su “La Repubblica” del 19 febbraio 2007. Spero di essere all’altezza dell’amico petronius nel mantenere vivo l’interesse su questa pagina oscura della storia del nostro Paese…

La mattina del 21 febbraio 1937 i giornali riportavano la notizia dell’attentato di cui il viceré Rodolfo Graziani era rimasto vittima due giorni prima. Le notizie scarne e poco fedeli (ma la stampa di quegli anni era controllata dal regime) riportavano il “Gesto di alcuni criminali durante una cerimonia benefica” (il Popolo d’Italia) che aveva causato un “lieve ferimento” (Corriere della Sera) del maresciallo. Tutti i titoli riportano comunque il contrasto tra la nobiltà (sic) delle nostre truppe e il delitto “bestialmente assurdo” di cui si sono macchiati i “malfattori”.

I giornali specificano che “l’insediamoento degli italiani in Etiopia è stato improntato a criteri di umanità e di mitezza dai quali certamente non ci allontaneremo perché corrispondono alla nostra civile natura e agli scopi della nostra stessa conquista”. Al “doloroso episodio”, assicurano le fonti ufficiali, “farà seguito una severità inesorabile contro i pochi perturbatori”.

Di fatto, durante la celebrazione per la nascita (come ricordato da petronius) di Vittorio Emanuele di Savoia, era prevista una distribuzione tra la popolazione di Talleri. Il maresciallo racconterà poi di aver radunato una quantità “di storpi, ciechi e pezzenti” quando qualcuno lancerà una prima bomba a mano in direzione del palco delle autorità. Pochi istanti dopo ci sarà una seconda e poi una terza esplosione. Alla fine si conteranno sette o otto esplosioni e la rabbiosa reazione dei militari italiani (durata tre ore), che lascerà a terra un centinaio di morti. I feriti dell’attentato saranno invece una trentina tra cui, oltre al maresciallo Graziani (ferito da 350 schegge), il generale Liotta, il federale di Addis Abeba Guido Cortese, tre giornalisti e le autorità religiose copte del Paese.

[continua]

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La rappresaglia, contrariamente alle dichiarazioni, sarà feroce. Tra il 21 ed il 22 febbraio si scatenò una caccia al moro in tutta la città, lasciando per strada 324 persone (secondo Graziani tutte con “colpabilità discriminata e provata”). Nei giorni seguenti, secondo lo storico Giovanni Del Boca, si verificarono uccisioni a casaccio perpetrate con metodi neosquadristici, con episodi di donne arse vive con la benzina, l’intero “Partito dei Giovani Etiopici” venne passato per le armi, così come agli ufficiali ed ai cadetti della Scuola militare di Olettà. E ancora si registra la distruzione dello splendido convento Coopto di Debra Libanòs, dopo che il maresciallo Graziani aveva fatto fucilare 425 tra monaci e diaconi. Dopo questo episodio la repressione contro la comunità copta si estenderà a tutto il Paese. Secondo studi recenti si può calcolare che questa repressione “religiosa” fece circa 2200 vittime. Di minori proporzioni, ma anch’essa indifendibile fu la strage degli indovini, dei cantastori e degli stregoni indigeni considerati dal regime “perturbatori dell’ordine pubblico”. Il 19 marzo, ad un mese esatto dall’attentato e con il benestare di Mussolini, ne vengono fucilati 70. Si riprese anche l’uso massiccio dei gas sulla popolazione, tanto che a caldo i giornali stranieri parlarono di repressione con più di 6.000 morti. Secondo un memorandum di parte etiope risalente al 1945 e che riporta tutte le rappresaglie sino alla caduta degli italiani, i morti sarebbero quasi 30.000. Si attribuisce anche, ma pare oggi smentita, questa frase al maresciallo: “Se il Duce volesse, si potrebbe pensare ad un’Abissinia con gli abissini o senza di essi”…

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Ed ora un po’ di considerazioni sulle conseguenze…

Ma quale fu la portata storica di questo attentato? Se di fatto l’obiettivo degli attentatori non si realizzò, questo segnò però uno spartiacque nella politica coloniale italiana. La repressione che ne seguì, invece che incutere il terrore negli etiopi, scatenò la rivolta. Se prima dell’attentato a combattere contro le truppe fasciste erano solo sacche di rivoltosi fuoriuscite dall’esercito di Sellassié, a partire dal marzo del ’37 cominciò l’attività degli “Abergnoc”, i partigiani, con bande che contarono oltre centomila uomini. Tanto che il controllo del Paese, di notte, era nelle mani dei partigiani, con gli italiani ben al riparo delle città e dei fortini. Insomma una tale repressione fu un errore sia sul piano dei diritti civili, calpestati brutalmente, sia sul piano politico, perché scatenò un’ostilità ed una voglia di riscatto in tutta la popolazione indigena.

Graziani, infine, nel 1939 diventa Capo di Stato Maggiore dell’esercito, poi, alla morte di Balbo, Governatore della Libia. Infine Ministro della Difesa nella Repubblica Sociale di Salò.

Dopo la disfatta mussoliniana, invece di pagare per le stragi ordinate, scamperà alla fucilazione ed al carcere (grazie ad una amnistia), militando tra le file del MSI, di cui sino al 1954 sarà Presidente Onorario. Morirà nel 1955, salutato da molti come un vero eroe italiano (sic)…

…ma questa, di fatto, è un’altra storia…

P.S. spero di non avervi annoiato... :)

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Grazie alteras :) per questa integrazione storica, niente affatto OT.

Aggiungo che Graziani si era già distinto nell'uso dei gas, sia nella guerra d'Etiopia che in Libia, altro territorio che, contrariamente a quanto raccontato dalla propaganda di regime, non fu mai pienamente controllato dagli italiani.

E visto che hai citato lo storico Angelo Del Boca, consiglio a chi voglia approfondire i (cattivi) comportamenti degli italiani in guerra "Italiani, brava gente?" un libro che, come dice chiaramente il titolo, sfata i molti luoghi comuni, ancora diffusi, sull'atteggiamento fondamentalmente bonario del soldato italiano "che porta, costretto, la morte, e non vorrebbe portar che la vita" (Giovanni Pascoli, sulla guerra di Libia del 1912 :glare:

petronius

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petronius arbiter dice:
E visto che hai citato lo storico Angelo Del Boca, consiglio a chi voglia approfondire i (cattivi) comportamenti degli italiani in guerra "Italiani, brava gente?" un libro che, come dice chiaramente il titolo, sfata i molti luoghi comuni, ancora diffusi, sull'atteggiamento fondamentalmente bonario del soldato italiano "che porta, costretto, la morte, e non vorrebbe portar che la vita" (Giovanni Pascoli, sulla guerra di Libia del 1912 :glare:

Del Boca è uno storico che apprezzo moltissimo :)

Per vedere quanto siamo bravi noi italiani, vi rimando al numero di Focus Storia ora in edicola :angry:

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