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Inviato (modificato)

Ciao,

non seguo in modo particolare la numismatica medioevale, ma sono affascinato, in particolar modo, da alcune dinamiche monetarie del periodo. Premetto di non avere molto materiale a disposizione e credo che la risposta alla mia curiosità possa essere facilmente reperita in questi libri di Carlo M. Cipolla:

  1. Il fiorino e il quattrino. La politica monetaria a Firenze nel Trecento;
  2. Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI,

che cercherò di procurarmi quanto prima.

So anche che @magdi ha scritto un bell'articolo a riguardo, che ho avuto modo di leggere, e che mi ha invogliato ad iniziare la discussione.

Detto questo, so che il XIV secolo per Firenze è stato un secolo piuttosto complicato, tra crisi del debito, crisi bancaria, crisi monetaria, alluvioni, carestia e peste. Vorrei però soffermarmi sulla crisi monetaria.

In estrema sintesi, mi pare di capire che la goccia che fece traboccare il vaso sia stato il repentino apprezzamento del valore dell'argento rispetto all'oro. Questo fece sì che le monete in argento in circolazione presentavano ora un valore intrinseco maggior del valore nominale, determinando una loro tesaurizzazione e successiva fusione per venderne il metallo prezioso all'estero, dove c'era maggior convenienza per via di un rapporto più stabile rispetto all'oro. 

Questo ha sostanzialmente determinato una grave carenza di circolante.

La soluzione adottata dal governo fiorentino credo sia stata quella di creare una nuova moneta in argento (un nuovo Grosso), dal valore nominale maggiore e con un intrinseco sì più elevato, ma in misura minore, in proporzione, rispetto all'incremento del valore nominale. Si era così disincentivata la pratica della tesaurizzazione (valore nominale > valore intrinseco) e il circolante è tornato ad aumentare. 

In questo modo, inoltre, si sarebbe mantenuto elevato il differenziale di valore della moneta in oro rispetto a quello della moneta in argento che, a seguito della rivalutazione, si era ridotto, andando a beneficio di quella classe che guadagnava in oro e pagava in argento. 

Una svalutazione mi sembra ci sia stata anche sul quattrino, nel quale è stata semplicemente ridotta la quantità di argento, senza modificarne il peso.

Le domande che vorrei porre sono le seguenti:

  1. quali sono state le conseguenze per la popolazione di una tale mancanza di circolante?
  2. in che modo la soluzione individuata dal governo di Firenze (la creazione del nuovo grosso e la svalutazione del quattrino) ha comunque avuto effetti negativi sulla popolazione (se ne ha avuti)? Potrebbe essere corretto dire che, di fatto, l'obiettivo finale era quello di mantenere il più elevato possibile il differenziale di valore tra la moneta in oro e quella in argento (grosso) e mistura (quattrino)?

Spero di essere stato chiaro e di non aver detto troppe inesattezze.

Grazie!

 

Modificato da Matteo91
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Inviato

Grazie del commento. Cerco di dare degli spunti per quel che posso, mi permetto di puntualizzare il contesto a beneficio di tutti i lettori della discussione:

  • Andrà innanzi tutto considerato che l'ascesa economica di Firenze tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento era legata all'aumento del fiorino d'oro (che nasce al cambio di 240 denari ma arriva a valerne 780 nel primo quarto del Trecento). Nel bel mezzo di una crisi, il rialzo dell'argento minacciava di stravolgere questa situazione positiva e provocava deflazione, perchè il mercato interno si basava sull'argento, ed è chiaro che aumentando il valore della moneta tendono al ribasso i prezzi delle merci.
  • Nel '45 la quotazione dell'Ag si era tanto impennata che non v'era più convenienza nel monetarlo, come giustamente scrivi. Cipolla descrive come la stessa libbra di argento valeva circa 6'000 denari se venduta sfusa, mentre in grossi se ne ottenevano circa 5'000 (riporto a memoria). Questa situazione portò anche alla fusione di gran parte dell'Argento circolante, come è chiaro (fondere moneta grossa, al netto delle spese e sulla base delle quantità, rendeva fino ad un 25%). A rimanere in circolazione erano invece i quattrini, la cui fusione era sconveniente, perché il valore intrinseco era sostanzialmente pari al valore nominale (il Villani ce ne conferma la disponibilità sul mercato).
  • Venezia, che si trovò nella stessa situazione, non potendo svalutare il grosso, impegnato sugli scambi internazionali, svalutò il mezzanino, ma questa soluzione (l'unica percorribile per loro) causò la scomparsa del circolante che venne in gran parte fuso. A Firenze la posizione era diversa, perchè la moneta internazionale era il fiorino, che non doveva svalutarsi in alcun modo. Anche svalutare il grosso, tuttavia, non fu una decisione semplice, perchè era comunque impegnato nei commerci regionali. 
  • Va ricordato che in questa situazione le arti minori erano da pochissimo entrate nella cabina di controllo, è tuttavia evidente che loro si rendessero conto di aver necessità delle competenze dell'oligarchia finanziaria cittadina, che su queste faccende è sempre molto ascoltata. La decisione presa da Firenze è molto rischiosa: coniano un grosso da 48 denari in luogo dei vecchi da 30 svalutandolo del 20% e tentando di far leva sul fattore psicologico della dimensione, diminuendo i costi di produzione sul valore coniato. L'operazione riuscì ed il valore nominale era superiore a quello dell'intrinseco di un buon 10%. Coniare moneta grossa tornava così ad essere conveniente, e infatti in molti accorsero alla zecca  dopo il provvedimento (Cipolla e Bernocchi ricostruiscono il numero di pezzi coniati che ora chiaramente non ricordo).
  • Il valore dell'Ag continuava tuttavia a salire e nel '47, solo 2 anni dopo, il valore intrinseco dei grossi aveva di nuovo superato quello nominale, e questa volta anche nei piccioli e nei quattrini. Tutto questo caos tirava in basso anche il fiorino, che perdeva valore a scapito anche dei pesci grossi dell'economia. Le autorità dunque svalutano il quattrino ed il grosso. Le autorità furono molto capaci nel contenere la svalutazione nell'ambito dei nominali scelti, senza praticamente toccare mai il fiorino d'oro.

 

Ora cerco dare la mia lettura rispetto alle questioni che sollevi:

1. L'assenza di circolante combacia con la tesaurizzazione dei metalli: non coniare significa anche non spendere ed è una scelta ben precisa; in un periodo in cui i medi e piccoli investitori (il popolo, cioè coloro che lavorano autonomamente e non sono proletari) accantonano la ricchezza (scelte aggravate dalla sfiducia verso uno Stato incapace di saldare i propri debiti e da una situazione economica instabile e pericolosa), diminuiscono i consumi, il lavoro, e di conseguenza il mercato del lavoro porta ad una riduzione degli stipendi. La crescita di circolante corrisponde sempre ad una crescita di consumi, e dunque di benessere.

2. Le operazioni del Comune non hanno avuto effetti negativi nell'immediato, anzi: il periodo 1349-69 viene definito "ventennio del consumismo"; c'è da dire che è molto complesso definire dagli effetti quanto le svalutazioni abbiano contribuito: nella peste del '48 metà dei fiorentini muoiono e c'è una redistribuzione della ricchezza che prescinde dalle manovre, inoltre il prezzo dell'argento subisce un'inversione di tendenza legata alla diminuzione della domanda in rapporto alla disponibilità... insomma: tutto un'altro quadro, con un aumento sensibile dei salari e quello che ne conseguì.

Sempre nell'immediato, possiamo dire che in ogni caso ci furono comunque buoni riscontri per il mercato (e quindi per il popolo ed il popolino a caduta); questo si desume dall'attività della zecca, che mostra quanti andarono effettivamente a monetare argento (e quindi poi a metterlo in circolo). Dobbiamo pensare al medioevo come un periodo in cui si riservano le spese al momento in cui sono opportune, proprio sulla base della convenienza della moneta (come oggi siamo abituati a fare per le grandi spese aspettando i tassi per i mutui più vantaggiosi)... era quello che non si voleva avvenisse sulle grandi monete internazionali, che dovevano essere sempre rassicuranti e stabili per garantire la continuità dei mercati stessi.

L'altro aspetto positivo era quello fiscale: il Comune rientrava di una parte piccola ma significativa del debito attraverso i tassi della zecca, mantenendo elevata l'operatività e aumentando la speculazione.

 

3.  Direi che l'obiettivo non era quello di mantenere elevato il differenziale tra argento e oro, anzi... credo che il disallineamento dei nominali creasse non pochi problemi. Credo invece sia stata una scelta sofferta e necessaria quella di riversare sulla moneta d'argento gli effetti della deflazione per non assoggettare la moneta d'oro a fluttuazioni. Dunque direi che l'obiettivo è quello di limitare i danni nell'ambito di un nominale senza interessare gli altri, diversificando la ricezione dei nominali. Preso atto che il problema è l'argento, lo staccano dal Sistema per non danneggiare anche le altre valute.

 

Spero di esserti stato utile. In ogni caso ti consiglio, come dicevi, di prendere "Il Fiorino e il Quattrino" su cui troverai gran parte delle notizie che cerchi.

Un caro saluto,

Magdi

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Inviato

Caro @magdi, grazie della tua dettagliata risposta, che avevo già letto ieri in tarda serata. Mi serve un po' di tempo per risponderti come si deve, dovrei riuscirci questa sera.

Grazie.
Matteo

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Inviato (modificato)

Eccomi @magdi. Ancora grazie per il tuo intervento.

Ribadisco che la mia è solo curiosità, non avendo sufficienti elementi per poter avanzare ipotesi concrete. 

Sono arrivato alla crisi monetaria fiorentina per vie un po' indirette... Stavo leggendo un articolo di un numismatico inglese sulla testimonianza di Maria Graham circa la mancanza di circolante in Cile all'inizio dell'800: secondo la viaggiatrice e scrittrice inglese, infatti, in quegli anni in Cile sarebbe stata in atto una vera e propria "truffa" messa in piedi da ricchi mercanti con il benestare del governo, per sfruttare la carenza di moneta di rame a proprio vantaggio.

In estrema sintesi, il governo non si preoccupò affatto di produrre moneta di rame, essenziale per gli scambi al minuto. I poveri cittadini cileni si videro così costretti a comprare i beni di cui necessitavano legandosi in un pericoloso rapporto con i commercianti: scambiavano le monete di cui disponevano (di valore relativamente elevato per le spese quotidiane) con una sorta di titolo di credito a loro emesso direttamente da un mercante, che poteva essere speso esclusivamente presso l'emittente. In questo modo:

  1. il commerciante faceva incetta di monete di valore medio in cambio del credito riconosciuto al cliente;
  2. il cliente poteva spendere tale credito esclusivamente presso l'emittente;
  3. l'emittente poteva variare i prezzi delle merci, sfruttando il vincolo che lo legava al cliente, ottenendo guadagni sempre maggiori;
  4. considerata il livello di analfabetismo presente in Cile, il cliente poteva essere truffato ancor più facilmente;
  5. molti dei titoli di credito emessi potevano essere persi dal cliente, garantendo al venditore che lo aveva emesso un'entrata di pari valore.

Allego l'articolo:

https://www.academia.edu/33034920/Maria_Graham_and_the_Problem_of_Small_Change

Mi chiedevo, dunque, se altre crisi monetarie potessero aver presentato caratteri simili, con particolare riferimento a:

  1. l'interferenza dei mercanti nelle politiche monetarie
  2. e ai rapporti debito/credito tra clienti e mercanti.

Con riferimento all'interferenza dei mercanti nelle politiche monetarie, devo dire che ero quasi convinto di aver trovato una similitudine con la crisi fiorentina nella testimonianza di Villani:

 

[...] il fiorino d’oro ogni dì calava, ed era per calare da libre III in giù;
onde i lanaiuoli, a cui tornava a interesso, perché pagavano i loro ovraggi a piccioli, e vendeano i loro panni a fiorini, essendo possenti in Comune,
feciono ordinare al detto Comune nuova moneta d’argento e nuovi quattrini,
piggiorando l’una e l’altra moneta per lo modo diremo apresso, acciò che ’l fiorino d’oro montasse, e non abassasse
[...].

 

Mi sembrava di scorgere in questa frase l'ingerenza dei "lanaiuoli" nel far emettere nuove monete in argento di minor valore rispetto a quelle attualmente in circolazione, al fine di massimizzare il differenziale di valore tra oro e argento e, conseguentemente, i propri guadagni. 

Questa ricostruzione, nella mia testa, aveva un senso.

Ammetto però di non aver ben capito come la politica monetaria attuata abbia consentito di salvaguardare il valore del Fiorino nei mercati esteri. Mi sembrava, invece, una manovra con effetti esclusivi sul piano locale. Mi spiego: se il Grosso si apprezzava nei confronti del Fiorino, come poteva determinare un minor valore del Fiorino in...Cina? Sarei portato a pensare che la "rivalutazione" del Grosso sul Fiorino incidesse solo localmente, visto che all'estero il Fiorino sarebbe stato apprezzato sempre sulla base del suo peso e della qualità dell'oro con cui era prodotto.

Ma, come dicevo, ho grosse lacune sul periodo e, tanto più, sull'economia monetaria. Mi dovrò procurare quanto prima i libri di Cipolla :)

Grazie. 

Matteo

 

Modificato da Matteo91
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Inviato
10 minuti fa, Matteo91 dice:

Mi spiego: se il Grosso si apprezzava nei confronti del Fiorino, come poteva determinare un minor valore del Fiorino in...Cina? Sarei portato a pensare che la "rivalutazione" del Grosso sul Fiorino incidesse solo localmente, visto che all'estero il Fiorino sarebbe stato apprezzato sempre sulla base del suo peso e della qualità dell'oro con cui era prodotto.

 

Ciao Matteo!

Mi permetto di intervenire e credo che tu ti sia dato la risposta corretta. Sono certo che Firenze non avesse problemi gestionali riguardo al loro Fiorino, così come Venezia non li aveva con il proprio Ducato. Entrambi servivano per pagare grosse transazioni mercantili con l'estero ed il loro valore, in quelle piazze, era preservato.

Differente era la situazione in casa propria, dove oscillazioni sui cambi potevano avvenire a seconda della minore o maggiore disponibilità di argento contro oro e vicevera. Non conosco la politica monetaria di Firenze, ma posso dirti che Venezia riuscì a gestire i cambi (fino ad un certo punto) grazie all'uso delle "monete di conto" dove il valore di una data moneta (Lira o Ducato/Zecchino) era fissato dallo Stato a seconda del circuito nel quale veniva speso ed esisteva un differenziale tra la moneta di conto e quella fisica ben noto ed accettato fino ad una determinata percentuale (aggio); c'è da dire che spesso c'era chi faceva il furbo ed è per questo che tantissime grida rammentavano alla popolazione quale percentuale di aggio era lecita.

La moneta di conto è una grossa "rottura di scatole" ed avulsa dal nostro modo di operare .... non voglio portarti fuori strada, ma se desideri leggere qualche esempio .....

saluti

luciano

 

  • Grazie 1

Inviato

Grazie @417sonia per il commento e i link alle discussioni, che leggerò con interesse.

@magdi no problem, mi sei già stato di grande aiuto ;)

Matteo

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