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Il denario anonimo. Puntata n. 1: datazione


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Sono passati ormai anni da quando discutevamo su questo forum dei problemi cardine della monetazione repubblicana. Da allora non sono emersi nuovi studi (che io sappia - ho dovuto forzatamente isolarmi per un bel po') e noi, che frequentavamo il forum allora, siamo cresciuti dando per scontato le conclusioni cui eravamo giunti.

Vedo però nuove leve, nuovi appassionati che si presentano dicendosi appassionati di questa monetazione affascinante: vorrei quindi riproporre, a loro beneficio, gli elementi più salienti di quello che fu uno degli strumenti di conquista (culturale, oltre che economica) del Mediterraneo: il denario, un nominale sopravvissuto per secoli e secoli.

 

Cominciamo quindi con il problema dei problemi: la data della sua introduzione

 

Vi propongo , al riguardo, tre riletture delle teorie tradizionali (tradizionale, ribassista, intermedia)

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Cominciamo con Salati e Bassi[1], che sostengono l’introduzione del denario nel 269

L'introduzione dell'aes grave di 327 grammi (Cr. 14, 18 e 19) potrebbe essere anteriore ai funerali di P. Valerio Publicola (509) e Menenio Agrippa (493) cui, secondo Livio, la plebe contribuì con (rispettivamente) un sestante e un quadrante, oppure alla Lex Julia Papiria (430) che - riferisce Cicerone - commutò le multe da bestiame in assi (levis aestimatio); dubbî rimangono tuttavia se questi termini indichino unità ponderali o monete. La moneta doveva comunque essere ormai presente a fine V secolo, quando fu riconosciuto lo stipendium ai legionari (durante la guerra contro Veio, forse nel 406). In favore di una datazione "alta" dell'aes grave militano i ritrovamenti di ripostigli, particolarmente numerosi nel territorio corrispondente all'espansione di Roma a cavallo tra il V e IV secolo (centro Italia, soprattutto Lazio) e, invece, del tutto assenti in Sicilia (conquistata durante la I Guerra Punica, 264-241), Sardegna e Magna Grecia. Inoltre, la scelta di tipi zoomorfi è espressione di una religiosità primitiva di tipo naturalistico che avvalora una datazione alta. Infine, una datazione alta evita la sovrapposizione con le emissioni di argento e le connesse, minuscole litre bronzee. A fine IV secolo (vittoria di Anzio, 338-335; istituzione dei duoviri navales, 311; costruzione della via Appia, 312-308), con le guerre contro gli Etruschi e le prime due Guerre Sannitiche, avviene una prima svalutazione a 268 grammi (serie Cr. 21, 24, 25, 26 e 35). Le emissioni cominciano ad essere consistenti. Non è quindi necessario ipotizzare un ricorso alla libra osco-latina. La riduzione semilibrale (a 130 grammi, serie Cr. 38 e 39) va collocata al tempo della terza Guerra Sannitica (298-290). Si hanno prime emissioni in città alleate (forse Capua).

La riduzione trientale (o post-semilibrale) avviene agli inizi del III secolo; contemporaneamente, per le nuove esigenze finanziarie (iniziano in conflitti contro i regni orientali) Roma delega alle nuove colonie (Neapolis, Luceria, Metaponto, Crotone), la coniazione del didracma a legenda "ROMANO", con un volume di emissione limitato (come risulta dagli scarsi ritrovamenti); un'emissione sperimentale, delegata appunto alle colonie, che ricoprì un ruolo di transizione cronologicamente ristretto. Nel 289 viene creata la magistratura dei III viri monetales e la coniazione si sposta in città[2], con i più abbondantle didracme a legenda "ROMA".

L'emissione del denario e la contemporanea riduzione sestantale, in accordo con Plinio e Livio (Epitome XV), avvengono nel 269-268. Gli assi hanno pesi che vanno dai 45 grammi ai 35-30 grammi, rapidamente calanti (evidentemente nel corso del conflitto con Cartagine si dovette trovare un equilibrio con il rapporto 10:1 stabilito per legge). Il denario entra in scena, quindi, in preparazione del primo conflitto con Cartagine e lo sostiene con l'impressionante volume di emissioni (complessivamente tra denarî, quinari, vittoriati ed emissioni in bronzo si parla di più di 400 varianti), che si confanno ad un periodo di emissione protratto come la Prima Guerra Punica (264-241, la più lunga guerra dell'antichità) che coinvolse centomila fra marinai e soldati. Collocarne l'emissione nel 211, all'indomani della disfatta di Canne, invece risulta forzato: è il periodo di massima crisi, un momento inadatto per "provare" un nuovo e complesso sistema monetario. Inoltre la teoria ribassista, abbassando la data del denario, lascia scoperto tutto il periodo della Prima Guerra Punica che non è stata certo condotta solo con le didracme, prodotti in quantità limitata, né tantomeno con l'aes grave. Tutte le svalutazioni, poi, si concentrerebbero in soli 4-5 anni, cosa poco credibile. Inoltre, le numerose tipologie delle prime emissioni anonime (ben 73 tipi diversi solo per il denario) risulterebbero compresse in un arco di tempo di pochissimi anni. A favore della teoria ribassista rimangono però alcuni elementi: il reperimento di monete annibaliche frammiste a bronzi semilibrali e la constatazione che i ribelli campani adoperarono una metrologia quadrientale. Nel 217 (all'indomani di Canne) avviene la ritariffazione del denario a 16 assi e la conseguente riduzione onciale, in accordo con Plinio. La sporadica emissione d'oro si potrebbe collocare al termine del conflitto con Annibale, come suggerito da Plinio.

 

[1]   Salati e Bassi, Riflessioni sulla cronologia delle prime emissioni romane repubblicane, su www.sesterzio.eu.

[2]   Plinio afferma che populus Romanus ne argento quidem signato ante Phyrrhum regem devictum (nel 275) usus est; potrebbe significare che l'argento di tipo greco non veniva considerato come una vera moneta romana.  

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L’ipotesi di Coarelli[1], la mia preferita: un “argento” fu introdotto nel 269, ma era il vittoriato; il denario seguì nel 215

L’aes signatum doveva essere in uso nel corso del IV secolo, ma prima della coniazione dell’aes grave, quindi verso il 375-325. L’emissione dell’aes grave inizia nell’ultimo quarto del IV secolo con la serie Cr. 14.

Dal 326 al 312 si deve datare la didracma Cr. 13/1. Il D/ richiama l’immagine dell’ara Martis e rinvia, quindi, al lustrum che chiudeva la censura. Il R/ alluderebbe invece alla cavalleria e alla Campania (territorio celebre per le sue messi); l’iconografia quindi alluderebbe a un censimento di cavalieri (recognitio equitum) campani. Sappiamo che i Capuani dovettero pagare 450 “denarii nummi” all’anno, per il sostentamento dei 1.600 equites campani, e a ciò potrebbe essere servita la coniazione di queste didracme. Quanto alla data, la recognitio è necessariamente susseguente alla concessione della cittadinanza optimo iure, che Livio fissa al 340 ma (come ha osservato Michel Humm nel 2005) non può non essere successiva al 338-334, quando fu concessa la sola cittadinanza sine suffragio ai Capuani. All’epoca era disponibile, per Roma, la sola zecca di Napoli: potrebbe allora essere una successiva foedusi del 326. Al più tardi, potrebbe essere risalire alla censura di Appio Claudio (312 - Diodoro 20, 36, 5), valida occasione per iscrivere i nuovi civites nelle liste del censo. L’iconografia sarà poi copiata dal bronzo di Cosa (successivo al 273) HN Italy 210.

Al 292 vanno collocati la didracma Cr. 15/1 e l’asse Cr. 18/1, che sono contemporanei, condividendo l’iconografia di Apollo, inconsueta per Roma. Per la corona d’alloro, questi va identificato con la divinità di Delfi. Nel 292, in occasione di una grave pestilenza, una delegazione romana, guidata da Q. Ogulnio Gallo (futuro console del 269) si recò a Epidauro, da dove importò a Roma il culto di Esculapio, figlio di Apollo. Secondo Ovidio, la delegazione si recò anche appunto a Delfi, a consultare l’oracolo di Apollo; a questo potrebbe alludere appunto l’immagine di Apollo. Il cavallo al R/ potrebbe invece ricordare l’intervento di Q. Fabio Rulliano che, sempre nel 292, se fece nominare legato dal figlio, il console Q. Fabio Massimo Gurges, lo salvò dalla disfatta contro i Sanniti. Sappiamo infatti che Rulliano intervenì in battaglia a cavallo, e a cavallo seguì il figlio durante il trionfo (nel 291). Questa emissione potrebbe essere stata ottenuta monetando l’argento mostrato al trionfo sui Sanniti, nel 293, di L. Papirio Cursore.

L’emissione Cr. 20/1 è del 290-289. La lupa rievoca il simulacro collocato nel Comizio dai fratelli Ogulnii durante la loro edilità (296). L’immagine al D/ (ripresa, per la particolarità di essere imberbe e portare il diadema, dalla monetazione di Alessandro) richiamerebbe invece Ercole Invitto, così come era rappresentato nell’Ara Maxima, la cui edificazione dovrebbe essere di poco posteriore al 293. Trattandosi chiaramente della commemorazione di una vittoria, e considerato che il dio era ritenuto antenato dei Fabii, l’Ara potrebbe essere stata fondata da Q. Fabio Massimo Gurges, quando trionfò sui Sanniti (nel 291), e dedicata durante la sua censura (nel 289). La coniazione potrebbe quindi risalire al 290-289. Questa emissione potrebbe essere stata monetando l’argento mostrato ai due trionfi di Gurges e di L. Postumio Megello sui Sanniti, nel 291.

Al 272 si data l’emissione Cr. 22/1. Per l’identificazione del D/ sono state proposte Bellona (Breglia) e Diana (Thomsen 1957), ma oggi si ritiene pacifico che sia Roma (Alföldi, Thomsen 1961, Crawford), di cui l’elmo frigio celebra le origini troiane. Per il R/, si deve fare riferimento a Livio (10.47.3), che ci informa che in occasione dei Ludi Romani del 293, per la prima volta, fu importata a Roma l’abitudine greca di offrire rami di palma ai vincitori. La perfetta e mai più riproposta coincidenza fra il sistema di numerazione (due serie, semplici e doppie, di lettere greche, da 1 a 50) adottato qui e sulle monete di Arsinoe II denuncia la contemporaneità delle emissioni; nel 273 Roma aveva stipulato un trattato di amicitia con l’Egitto e le monete di Arsinoe II, seppur correntemente datate al 270, potrebbero in realtà essere del 272. Quell’anno, Roma conquistava a Taranto e là avrebbe quindi coniato le didracme, allusive di questo e degli altri successi conseguiti nel conflitto contro Pirro. Significativo anche che l’ambasceria in Egitto del 273 fosse costituita da Q. Ogulnio Gallo e da due Fabii. La datazione è confermata da valutazioni ponderali: questa didracma risente del calo dello standard da 7,24 g a 6,6 g, che si registra nella monetazione magno greca e siracusana ed è attribuibile agli anni ’70 del III secolo (come dimostra il fatto che non si presenta a Metaponto, abbandonata entro il 275).

Cr. 25/1, 26/1 e 27/1, ultime emissioni romano-campane, di poco antecedenti al quadrigato, sono un prolungamento di quelle a legenda ROMANO (di cui ripetono gli elementi iconografici), reso necessario da esigenze forse militari. Il cambio di legenda indicherebbe l’attivazione di una zecca centralizzata, forse già quella di Roma.

Nel 269 viene introdotto il quadrigato, prima moneta ufficiale in argento di Roma, coniata nella zecca dell’Urbe con intendimento di farne un’emissione stabile, duratura e numerosa. Si tratta, quindi, dell’argentum la cui coniazione, secondo Plinio, inizia nel 269 (la data alternativa del 268 discende da un’errata interpretazione dell’Epitome XV a Livio, che in realtà indica, anch’essa, il 269). Nello stesso anno cominciava anche l’attività dell’officina Monetae e, forse, fu istituita la magistratura dei tresviri monetales. La datazione è confermata dai rinvenimenti: 1 esemplare e un tesoretto di 31 esemplari a Selinunte, città distrutta nel 250; 1 esemplare a Kerkouane, città punica distrutta da Attilio regolo nel 256. Il viso al D/ non può che riprodurre Fons, figlio di Giano e di Giuturna. Si tratterebbe di una citazione, sulla prima emissione argentea ufficiale, della prima emissione enea (Cr. 14/1). Fra l’altro, il suo tempio era stato dedicato il 13 ottobre, festa dei Fontinalia (il che dimostra un collegamento con le fonti, così come le raffigurazioni di toro androcefalo sulla monetazione magnogreca) ed era sito nei pressi della zecca. La quadriga al R/ rappresenta sì l’acroterio del tempio di Giove Capitolino, ma non quello originale in terracotta, bensì quello in bronzo, che lo sostituì nel 296 a cura degli edili, i fratelli Ogulnii. Essa allude a un’importante successo militare: verosimilmente, la recente vittoria su Pirro. Gli esemplari più antichi sono quelli, piuttosto rari, con legenda in rilievo entro tavoletta. La legenda in incuso sarebbe venuta dopo, quella in rilievo entro cornice sarebbe l’ultima. Il quadrigato doveva essere ancora in corso nel 219-218, quando fu introdotto l’aureo Cr. 28/1, connesso sul piano ponderale. Inoltre, Zonara ricorda come dopo la sconfitta al Trasimento (216) i romani mescolarono rame all’argento, fatto effettivamente accertato per gli ultimi quadrigati e per i vittoriati. La coniazione finì probabilmente proprio nel 216.

Occorre evidenziare come le emissioni Cr. 15/1, 18/1, 20/1, 22/1 e l’introduzione del quadrigato siano tutte riconducibili a un gruppo politico composto dalla potente famiglia dei Fabii e da Q. Ogulnio Gallo, della gens Ogulnia di origine etrusca (forse discendente dagli Uclina di Volsinii); gruppo politico cui, quindi, andrebbe imputata l’iniziativa di aver fortemente promosso l’introduzione della moneta romana.

Nel 260-258 viene emessa la serie della prora, Cr. 35. Nel 260 infatti, a Mylae, i Romani ottengono la loro prima grande vittoria navale. La fondazione del tempio di Giano al Foro Olitorio si collega proprio con il trionfo navale di C. Duilio, e in questo senso si coniuga l’iconografi al D/ e al R/ di questo asse. Sappiamo dall’iscrizione della colonna rostrata di Duilio che egli, durante il trionfo, si impegnò ad assegnare al popolo la preda navale: si trattava probabilmente della restituzione del tributum, che durante la Prima Guerra Punica era stato particolarmente oneroso, e potrebbe essere avvenuta in bronzo, mediante elargizione di questi assi. La data dell’elargizione potrebbe essere fissata al 258, quando Duilio ricoprì la censura e probabilmente inaugurò il tempio di Giano. L’emissione dell’aes grave dovrebbe quindi essere successiva all’esposizione della preda durante il trionfo (260) ma precedente all’elargizione (258).

Dal 245-242 al 222 si data lo standard semilibrale. La metrologia dimostra che gli assi semilibrali coniati appartengono agli anni finali della Prima Guerra Punica; discende quindi dalla crisi finanziaria causata dalle gravi sconfitte navali. A conferma di questa datazione, due semionce Cr. 38/7 sono state rinvenute in una tomba della necropoli di Falerii veteres (Celle), città abbandonata nel 241. Tutti gli altri reperti archeologici della necropoli sono databili ai primi decenni del III secolo. Questo standard doveva essere ancora in corso nel 222, quando furono votati i ludi Maximi del 217 (come illustrato nella nota alla riduzione quadrantale).

Dal 222-219 (probabilmente 220) al 217 si data invece lo standard trientale, che non può che incastrarsi fra la fine dello standard semilibrale (dal 222) e la riduzione quadrantale (nel 217).

Nel 219 viene emesso il primo aureo, Cr. 28/1. Plinio infatti afferma che il primo aureo romano fu coniato LI anni dopo l’argento (i codici più recenti riportano LXII, ma è certamente un errore), quindi, a seconda del metodo di computo utilizzato, dal 219 al 217. Si tratta sicuramente dell’Oro del giuramento, Cr. 28/1, che è tagliato sullo standard di 6 scrupoli, come i primi quadrigati, cui pertanto è connesso. Al R/, è stata supposta la rappresentazione di un foedus, che come sappiamo veniva stipulato (per Roma) da due feziali, di cui uno era il pater patratus e l’altro un gregario, un verbenarius. In effetti, le due figure di sinistra portano una veste particolare, che lascia il corpo nudo e presenta un elemento globulare alle spalle: probabilmente il cinctus Gabinus, di cui si servivano i sacerdoti, e quella in piedi è raffigurata come uomo anziano, che regge una lancia, prerogativa del pater patratus, antenata (secondo l’Alföldi) dello scettro e quindi simbolo dell’imperium. La figura di destra invece, staccata dalle altre due, è giovane e veste una corazza anatomica. Secondo Mommsen e Crawford (che colloca l’aureo al 217), è qui riprodotto il foedus Caudinum, stipulata nel 321 dal console T. Veturius Calvinus (per questo, l’iconografia sarà ripresa in seguito da un altro Veturius, con il denario Cr. 234/1), prototipo (mitico e non storico, secondo Crawford) della pax Numantina. Si tratta invece del foedus tra Romolo e Tito Tazio (peraltro, in sabino cures era il nome sia della città di Tito Tazio che della lancia), di cui esisteva un gruppo scultoreo, verosimilmente qui riprodotto, lungo la sacra via. L’aureo potè essere emesso grazie alle prime miniere aurifere cadute in mano ai Romani: le miniere di Victimulae, presso Vercelli, che sappiamo furono sottratte a Roma, da Annibale, alla fine del 218. Sappiamo da Zonara che nel 220 i due consules suffecti, Lucio Veturio Philo e Gaio Lutazio, a completamento della guerra contro i Celti della Gallia Cisalpina (conclusasi nel 222 con la presa di Milano) spinsero le conquiste di Roma “fino alle Alpi”: probabilmente è questa la data di conquista delle miniere. Quindi, nel 219, con l’oro acquisito grazie alle operazioni di Lucio Veturio Philo, fu commemorata la fine delle operazioni militari iniziate nel 225, quando i Galli cisalpini Boi e Insubri e transalpini Gesati, avevano invaso l’Italia, creando grande preoccupazione e causando una spontanea adesione degli Italici a Roma: evento cui allude la citazione dei foedus originario tra Tito Tazio e Romolo.

Dal 218-215 (probabilmente nel 217) al 215 si data lo standard quadrantale. Infatti, secondo Plinio, una riduzione ponderale fu introdotta “Hannibale urguente Q. fabio Maximo dictatore”, quindi nel 217. Quello stesso anno, furono stanziati per i ludi Maximi 333.333 assi e un triente, anziché 200.000 assi, chiaramente perché si voleva mantenere, a seguito della riduzione, il peso (un milione di once) corrispondente alla cifra precedente, per non “ingannare gli dei”. Il valore di 200.000 deve essere fatto risalire a quando i ludi furono votati, verosimilmente tra il 225 e il 222, momento di massima apprensione per le sorti della guerra contro i Galli. La data del 222 è più probabile, perché normalmente passavano o 5 oppure 10 anni fra il voto e l’esecuzione dei ludi. Fino al 222, pertanto, dovevano ancora essere in vigore gli assi semilibrali ridotti (di 5 once); nel frattempo era intervenuta la riduzione trientale, e ora, nel 217, quella quadrantale. Le riconiazioni confermano che lo standard quadrantale era in corso nel 216, quando iniziarono le emissioni delle città campane alleatesi con Annibale.

Nel 216-215 dovette essere in uso il vittoriato. Thomsen infatti ha dimostrato come sia leggermente precedente al denario; deve quindi incastrarsi fra la fine dell’emissione del quadrigato e la riforma denariale.

Riforma sestantale e l’introduzione del denario (che, pacificamente, sono connesse e contemporanee) risalgono verosimilmente al 215. Marchetti ha dimostrato come il ritrovamento di Morgantina debba essere collegato alla conquista cartaginese (213), piuttosto che alla riconquista finale romana. Egli inoltre, sulla base delle riconiazioni di monete siracusane, ritiene che lo standard sestantale non possa essere posteriore al 214. Peraltro, 52 aurei della serie marziale (Cr. 44), chiaramente connessa, sul piano ponderale, con il denario, sono stati rinvenuti ad Agrigento e sembrano dover essere attribuiti alla conquista cartaginese della città (213). Livio ricorda che nel 214 il censo minimo fu portato da 50.000 assi (qual era sino al censimento del 220) a 100.000 assi, iniziativa che può essere spiegata ritenendo che nel 220 fosse ancora in vigore lo standard trientale, nel 214 quello sestantale. Tutto questo fa ritenere che il denario sia stato introdotto nel 215. Il R/ del denario riprende l’iconografia di un octobolo dei Bruzi della fine della guerra contro Pirro (quando essi erano alleati di roma), ma con impostazione più guerresca (con le lance in resta, anziché la mano alzata). I Dioscuri alludono a un rapporto mitico tra Bruzi e Romani, per l’associazione fra la battagtlia della Sagra con quella del Lago Regillo. L’iconografia del denario può essere interpretata, allora, come una promessa di riscatto rivolta ai cittadini di Locri e quanti altri, come loro, cercavano di resistere alle pressioni belliche di Annibale. Infatti, proprio nel 215 Locri aveva deciso di opporsi ad Annibale; convinti da Annone avevano poi capitolato, ma non prima di aver fatto mettere in salvo la guarnigione romana.

Lo standard onciale fu introdotto prima del 211. Le riconiazioni dimostrano che è presente nella monetazione delle città campane alleatesi con Annibale, quindi necessariamente prima del 211. Anche Marchetti, sulla base delle riconiazioni di monete siracusane, ritiene che lo standard onciale non possa essere posteriore al 211.

 

[1]   Filippo Coarelli, Argentum signatum, Roma 2013.

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L’ipotesi più accreditata (introduzione del denario nel 215 o 214) nell’attenta ricostruzione di Alberto Campana

La moneta Cr. 1/1 deve essere stata coniata in occasione del foedus neapolitanum del 326, a cura del partito filoromano di Napoli (i conii non furono approntati ad hoc ma si riutilizzarono quelli napoletani). Non deve sorprendere questa comparsa tardiva della moneta: l'espansionismo romano fino ad allora fu sostenuto da numerosi altri fattori, soprattutto da alleati e da elargizioni di terre; solo dopo il foedus neapolitanum tale espansionismo assunse un andamento quasi esponenziale, proiettandosi prepotentemente sulla Magna Grecia, con conseguente necessità per Roma di disporre di monete. I primle didracme da 7,3 g (Cr. 13), furono coniati furono coniati sempre a Napoli (piuttosto che a Metapontum, come sostenuto dal Crawford) attorno al 280, in discreta quantità (esistettero almeno 15 conii di D/ e 20 di R/). L'introduzione del didracma d'argento nel sistema monetario romano, collocata cronologicamente dal Babelon e dal Grueber intorno al 335, e dal Crawford prima al 280-276, poi, con cronologia rialzata, intorno al 312, fu la naturale conseguenza dei frequenti contatti commerciali intrattenuti da Roma con le città greche dell'Italia meridionale, come testimonia la costruzione, negli stessi anni, della via Appia, che collegava più facilmente Roma colla Campania. Le colonie greche dell'Italia meridionale erano abituate ai sistemi monetari e ponderali greci, basati sulla circolazione della moneta d'argento di peso e diametro ridotto, facile da maneggiare e pratica da gestire. La moneta di bronzo fusa, impiegata nei commerci interni e con le città etrusche e centro-italiche, non poteva competere, nei mercati dei centri magno-greci, colla piccola moneta coniata d'argento. Fu proprio alle zecche meridionali, come Capua e Neapolis, che Roma si appoggiò per coniare le prime serie dle didracme in argento a suo nome, e da ciò si giustifica la qualifica di queste monete come "romano-campane". Tutti i soggetti iconografici utilizzati, fatta eccezione per il tipo della lupa con i gemelli, sono di derivazione ellenica, così come è greco il sistema ponderale in base al quale sono stati tagliati i diversi nominali. Oltre alla serie in argento, composta da didracme e dracme, fu coniata una serie in bronzo con doppie litre, litre o mezze litre, e un'unica serie d'oro, il cosiddetto "oro del giuramento" dalla scena rappresentata, con due diversi nominali il cui peso è rapportato alla serie d'argento. I ripostigli dimostrano che le didracme circolarono a lungo nella Magna Grecia, ma non a Roma, dove invece circolavano i cosiddetti quadrilateri, ovvero lingotti di aes signatum emessi dallo Stato romano. È verosimile che il primo (con legenda POMAIΩN) risalga all'epoca dei primi contatti con l'ambiente greco-campano, nel 326; poiché tuttavia uno reca l'elefante, sconosciuto ai Romani prima del 280 (quando furono definiti "buoi di Lucania"), non possono essere molto anteriori a questa data. Se interi, hanno infatti un peso piuttosto costante (circa 1,5 kg) e, quindi, furono emessi in un arco di tempo abbastanza contenuto. Subito dopo o parallelamente ai quadrilateri comparve anche l'aes grave da 327,46 g (288 scrupoli). Il sistema continuava ad essere monometallico e basato sul peso, ma per la prima volta veniva esplicitato il valore. La circolazione fu rivolta soprattutto verso le regioni interne (mentre le monete coniate saranno rivolte verso le regioni di influenza greca); alcune città di frontiera (Ariminum, Luceria) successivamente emisero monete sia fuse che coniate.

Con la vittoria su Pirro (276) Roma si trovò quasi padrona della Magna Grecia e dovette cambiare politica monetaria, comprendendo che per una città greca battere moneta era segno tangibile di indipendenza politica. Proibì quindi alle città sconfitte (Taranto, Metaponto, Heraclea, Velia) di coniare monete; mantenne le monete di Napoli (affiancate, per ragioni logistiche, da quelle coniate a Taranto, senza tuttavia apporre il proprio nome) e di altre città (Cales, Suessa, Teano); introdusse, per supplire alla carenza di circolante, i nuovle didracme con ROMANO da 7,2 e 7,1 g (rispettivamente Cr. 15, emessa al più tardi nel 275 e Cr. 20), cui si affiancarono vari nominali in bronzo sullo standard ponderale di Napoli[1]. Queste monete continuano a essere rinvenute soprattutto nell'Italia meridionale e solo molto sporadicamente anche nel Lazio. Roma quindi impose, di fatto, la propria moneta, dando tuttavia alle popolazioni magnogreche l'illusione che nulla fosse cambiato.

Colla Prima Guerra Punica (264-241) la didracma subì, in tutta la Magna Grecia, una svalutazione. A differenza delle guerre pirriche, le città della Magna Grecia si allearono con Roma (la flotta fu allestita da Napoli, Taranto e Locri); si interruppe quindi la produzione delle monete campano-tarentine e ripresero le emissioni a nome di Taranto, Thurium e Crotone, mentre l'Urbe emetteva didrammi da 6,6 g con ROMANO e ROMA (Cr. 22, 25, 26, 27)[2]. Il sostegno economico e materiale assicurato dai Greci a Roma spiega il perfetto allineamento tra la moneta d'argento romana e quella magno greca. Per la circolazione verso l'interno continuò l'emissione di fusi, ora basati sull'aes grave di 286,52 e 272,88 g (rispettivamente 252 e 240 scrupoli, quest'ultimo detto anche "osco-latino"). L'ultima emissione alla fine della Prima Guerra Punica sembra essere la Cr. 35, basata sull'asse di 240 scrupoli (che quindi andrebbe fatta risalire nel tempo rispetto alla cronologia di Crawford).

Tra il 242 e il 225 (data della battaglia di Telamone) Roma fu coinvolta nella guerra contro i Celti. Furono allora introdotti l'aes grave semilibrale di 120 scrupoli (136,44 g, a partire da Cr. 38), con cui crollò il sistema monometallico valutato a peso, cominciando la moneta bronzea ad assumere connotati fiduciari; le emissioni bronzee coniate, che sostituirono quelle fuse; il quadrigato (ancora un didracma di 6,6 g), grazie alla ragguardevole affluenza di argento conseguente alla sconfitta di Cartagine (bottino militare, penali pagate dai Cartaginesi e miniere sarde); l'aureo del giuramento, che potrebbe quindi ricordare l'alleanza tra italici e mercenari, contro il nemico sceso dal nord[3].

I sistemi ponderali romano e siceliota erano originariamente disomogenei, rispettivamente basati sullo scrupolo (1/288 di libbra romana = 1,137 g) e la litra (originariamente 1/5 di dracma attica = 0,875 g). La litra subì, tuttavia, successive riduzioni per effetto del deprezzamento del talento siceliota, che nel V secolo valeva 12 tetradrammi attici[4], nel IV 12 didrammi corinzi e agli inizi del III 6 didrammi italici (o stateri) di 7,8 g (calanti a 7,7-7,5 g). Poiché un talento valeva 120 litre, la litra scese a 0,39 g[5]. Al tempo di Pirro lo statere scese a 7,3 g; i primle didracme romani avevano questo peso, pari a 6,5 scrupoli (7,39 g)[6]; non circolarono in Sicilia ma solo nella Magna Grecia. Durante la Prima Guerra Punica lo statere scese a 6,6 g; i quadrigati avevano questo peso, pari a 6 scrupoli (6,82 g), ed ebbero grande diffusione in Sicilia grazie alle truppe romane ivi stanziate. Per il bronzo siceliota si diffuse inoltre una nuova unità di misura, il chalkos, originariamente una moneta di 1/8 obolo). Allo scoppio della Seconda Guerra Punica Siracusa emise numerosi nominali con base ponderale oscura[7]; è possibile che le monete in argento fossero conteggiate in scrupoli, a seguito degli stretti rapporti con Roma[8]. Forse Ierone II, per fare fronte alle spese di guerra, introdusse una complessa riforma monetaria collegando lo scrupolo (mutuato dall'argento romano) al chalkos (originario del bronzo greco); se questo è vero, ne deduce che la litra era ormai precipitata a 0,227 grammi e, di fatto, veniva chiamata chalkos. Ieronimo, successo a Ierone nel 214, reintrodusse la litra di 0,85 g per ripristinare l'antico splendore e l'autonomia di Siracusa; inoltre, il conseguente didracma da 10 litre (8,5 g), rispetto al precedente di 6 scrupoli (6,82 g) e al quadrigato (6,6 g), gli permetteva una posizione più avvantaggiata anche se più onerosa nel reclutamento di mercenari. Si perse così il collegamento fra l'argento siceliota e quello romano[9].

Nel frattempo, a Roma, il quadrigato iniziava a degradare (in termini di peso, titolo e stile). Dopo la disfatta di Canne e la morte di Ierone (216) una grave crisi militare ed economica si riflettè anche sulla monetazione; i quadrigati si svilirono enormemente e le monete di bronzo calarono rapidamente di peso, con una sequenza dracmaticamente rapida, dal piede di 120 scrupoli a quelli di 96 scrupoli (trientale, forse già nell'estate 215), 72 scrupoli (quadrantale) e infine di 48 scrupoli (piede sestantale). Difficile dire se sia stata reale svalutazione o crescente fiduciarietà. Visto il precipitare della situazione in Sicilia (divenuta il principale fronte militare, con conseguente dispendio di risorse per le truppe e il foraggio), fu attuata una radicale riforma monetaria anche nell'argento: dapprima (forse nel 216/215) si introdusse, per mantenere l'aggancio col sistema duodecimale, il vittoriato, una dracma da 3 scrupoli (3,41 g), col tipo del Giove romano beneaugurante (in chiara contrapposizione a Zeus Eleutherios, "della liberazione dallo straniero", adottato da Ieronimo); nel 215 o dopo l'uccisione di Ieronimo (marzo 214) fu emesso il denario di 4 scrupoli (4,54 g), agganciato quindi alla vecchia dracma di Ierone[10], con tipi militari (Roma elmata / Dioscuri protettori dell'esercito). L'asse nel frattempo si era attestato a valori sestantali (48 scrupoli, seppur con ampie oscillazioni); l'ancoraggio al sistema sestantale fu comunque solo un pretesto in quanto bene si prestava a una chiara definizione metrologica. È probabile che il talento (6 scrupoli d'oro) corrispondesse in quel momento a 12 denarî; Roma emise infatti gli aurei marziali del valore di 60 assi (3 scrupoli), 40 assi (2 scrupoli) e 20 assi (1 scrupolo). A dimostrazione di questa datazione, a Morgantina, negli strati "sigillati" dalle distruzioni del 211[11], sono stati trovati, oltre a monete siracusane di Ierone II, di Ieronimo e della V Democrazia (214-211), pochi denarî (tutti delle prime fasi di emissione e di alta conservazione), un aureo marziale da 20 assi (in altissima conservazione) ed alcuni quadrigati (poco più consunti). Nel 211, quindi, denarî e aurei marziali facevano la loro prima comparsa[12].

Il piede sestantale non rimase a lungo in vigore: già nel 212, poco prima della conclusione dell'assedio di Siracusa, si affermava il piede onciale (con asse di 24 scrupoli)[13], anche per una maggiore maneggevolezza. L'oncia ora pesava 4,55 grammi e i Romani poterono ricavare molte uncie di tale peso tagliando a metà i comuni bronzi ieroniani con Poseidone/Tridente di modulo largo. Il denario diminuì contemporaneamente a 3,5 scrupoli (3,96 g) e quinario, sesterzio e vittoriato non furono progressivamente più coniati. Verso la fine del III secolo nelle province il piede scese al livello semionciale, come attestano i bronzi coniati a Vibo Valentia e Copia dopo la fondazione (rispettivamente 193 e 192). Erano ormai monetine fiduciarie, con peso variabile, garantite dall'aggancio a denario e talento (di 120 assi).

 

[1]    La cosiddetta litra (quasi 1/180 di libbra) poteva convivere con l'aes grave per la separazione dei due sistemi, quello fuso per le regioni etrusco-italiche e quello bimetallico (con bronzo fiduciario) per la Magna Grecia. Emblematica Luceria, città di confine fra le due aree di circolazione, con monete sia fuse che coniate. Sembra quindi errata la definizione di "litra" data da Cr.; ad esempio in Cr. 27/4 si nota una S sopra il Pegaso; si tratta quindi di una semioncia di valore fiduciario.

[2]   Non sembra tuttavia corretta la coesistenza nella serie 25 di monete di bronzo fuse e coniate.

[3]   Il Crawford data invece queste il quadrigato e l'aureo alla fine della guerra celtica.

[4]   È questo il classico talento attico, pari a 60 mine.

[5]   Dalle cosiddette "Tavole di Locri", in parte redatte al tempo di Pirro, sappiamo che 5 litre d'argento (1,95 g) venivano cambiate con una imprecisata "litra pesante" di bronzo, forse l'asse librale romano da 327,46 g

[6]   Con una piccola differenza dovuta all'aggio.

[7]   La dottrina generalmente computa questa monetazione sulla base di una litra (lievemente ridotta) di 0,85 g, deducendone tuttavia una metrologia anomala.

[8]   Es.: nominale Gelone/Biga (6,66 g) = 6 scrupoli (teorico 6,82 g) = didracma; nominale Filistide/Biga (4,55 g) = 4 scrupoli (teorico 4,55 g) = dracma.

[9]   Per la prima volta si verificò tuttavia l'equivalenza fra bronzo siceliota (moneta Ieronimo/Fulmine da 1 litra, 8,63 g) e romano (coeva oncia trientale, 9,1 g). Quando l'oncia romana si svalutò al livello quadrantale di 6,82 g, Siracusa emise emesso un bronzo di 6,24 g (Poseidone/Tridente di modulo stretto). Il bronzo siracusano da 1 litra, detta appunto "litra", sarebbe in realtà un chalkos; in effetti, in Sicilia il chalkos fu a un certo punto chiamato anche "onkia".

[10] Anche le monete da 2 e 1 scrupoli (quinario e sestertzio), che circolarono quasi esclusivamente in Sicilia e Apulia, trovano corrispondenza nel sistema di Ierone II.

[11] A Morgantina, presso Enna, intorno al 560 giunsero coloni greci di origine calcidese, forse provenienti da Katane; nel 459 fu distrutta da Ducezio. Nel 396 fu conquistata da Dionisio I e con ogni probabilità rimase sotto l'influenza siracusana; solo dopo il 340 riprese a fiorire. Durante la Prima Guerra Punica rimase saldamente in mano dei siracusani. All'inizio della Seconda Guerra Punica ospitò una guarnigione romana, ma nel 213 Morgantina si ribellò ed acolse lo stratega cartaginese di origine siracusana Ippocrate. Caduta di Siracusa (212) subì un violento assedio romano, a cura del propretore Marco Cornelio Cethego. Nel 211 capitolò e subì violente distruzioni. Per punizione fu ceduta a legionari ausiliari spagnoli, guidati da Moericus. Cessò di esistere intorno al 30.

[12] Infatti sarebbe difficile immaginare la presenza di monete risalenti alla Prima Guerra Punica in un contesto sicuramente riconducibile alla seconda, per di più con assenza di usura. Tuttavia i dati di Morgantina devono indurre necessità di alcuni correttivi alla sistemazione proposta dal Crawford. Se un aureo di 20 assi con quinari e sesterzi era già presente nel 211, esso non poteva risalire allo stesso anno di emissione, ma almeno alcuni anni prima.

[13] Sull'esistenza del piede onciale prima della fine della guerra vd. La Sicilia tra l'Egitto e Roma. La monetazione siracusana dell'età di Ierone II, Messina 1995.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Complimenti a @L. Licinio Lucullo per la completezza con la quale hai sintetizzato più di 30 anni di dibattito storico, archeologico e numismatico.

Anch’io trovo estremamente affascinante la ricostruzione di Coarelli (peraltro il libro è godibilissimo), che tiene insieme fonti storiche, evidenze archeologiche e ricerche numismatiche.

purtroppo poco dopo l’uscita di Argentum Signatum sono stati pubblicati gli studi metalloscopici sull’argento dei quadrigati, che hanno mostrato come essi siano in massima parte coniati in argento ispanico, dunque da miniere acquisite da Roma durante la seconda guerra punica.

Segnalo  il link a questo interessante articolo di critica alla teoria di Ciarelli, ricco, a sua volta, di link ad ulteriori approfondimenti sul tema.

https://www.google.it/amp/s/livyarrow.org/2019/10/30/the-quadrigatus-coarelli-and-the-scuola-inglese/amp/

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