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IGNORED

Minerva testa


Lucreziamaria

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Martita

 

Il crepitio dei ceppi

riscalda vecchi cuori

vivi e perduti amori

e ti sveglia, Martita,

tu che hai dormito la vita,

che hai sperato nel Covid 19

per non uscire

per non sperare

per non amare

per abbracciare il buio

per baciare il silenzio

per tracannare gocce dell'assenzio

che mi hai versato dentro la tua ampolla

e bere e poi morire

e aspettar fine aprile o il 4 maggio

e trovare il coraggio

di dire che la vita

è libertà o servaggio

e la tua pelle

mia dolce, mia Martita

è come un tratto lieve di matita.

 

 

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Donna Matilda a Le Fontanelle

                    I

Donna Matilda a Le Fontanelle

parla con le capuzzelle.

E' tempo del Mundus che si apre

e voci antiche e nuove

come carezze le sfiorano la nuca.

“Nun ce pensà,

pure il virus incoronato passerà,

lo so ben io che ho vissuto

i tempi del colera nella città

di Partenope, la bella.

Per le leggi del corso condottiero

qua mi ritrovo tra le capuzzelle

non nella chiesa dell'amico gelataio,

Cara Matilda, nun ce pensà,

nun avé paura.

Del Maligno e di Mammona

è figlio il virus incoronato,

contro il satanico inganno

il tuo sognar d'amore

sarà la mascherina.”

 

Leopardi.jpg

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Qualche giorno nella vita di Michel Onfray

 

Qualche giorno dopo, lascio la Martinica. Si annuncia un confinamento più drastico, ci sarà l’embargo totale dei voli, il divieto di scambi tra l’isola e la Francia metropolitana e il prossimo volo è previsto per giugno… Dorothée ci riserva un biglietto di ritorno con urgenza. Partiamo. Mia madre ha 85 anni, non è in gran forma, non vorrei non potermi occupare di lei. E poi, se il coronavirus deve fare il suo lavoro, essendo il mio passato una zavorra, infarto, attacco ischemico, guai cardiaci, preferisco trovarmi in Francia metropolitana. Soprattutto non voglio esporre Dorothée a una situazione che non sarebbe il meglio per lei. Abbiamo mascherine e guanti. Ma la situazione sanitaria in aeroporto è catastrofica: una fila di attesa di un centinaio di metri, le persone sono spalla-spalla, non un’uniforme né un poliziotto, né un gendarme, né un militare, nessun personale aeroportuale, bisogna attendere tre ore gli uni incollati agli altri. Le valigie e le borse si accavallano in un grande disordine tropicale. Fa caldo, tiepido, umido. Le persone vanno e vengono. I bambini sono seduti sui bagagli. Non solo: all’atto dell’imbarco, tutti si accalcano gli uni sugli altri.

L’aereo è un Boeing 747 noleggiato da Corsair, e cioè vi è un branco di 400/500 persone… Tutti pensano al coronavirus in questo momento: come schivarlo? Tanto più che le 8 ore di volo si faranno con un’aria condizionata che è il brodo di coltura di tutto… Il mio vicino starnutisce come un eroe di Rabelais e ne distribuisce dovunque… Io leggo “Il destino delle civiltà” di Frobenius ma ho l’impressione di imparare di più da questo volo che dal libro… Arrivo in un aeroporto vuoto: recuperiamo la nostra auto, rientriamo in Normandia. 3 ore su un’autostrada solitaria. Caen è una città morta. Eccomi a casa. Dal mio balcone scorgo una città che sembra dipinta da De Chirico: non un’anima viva, il mio frigo è vuoto, la luce è quella di una città dopo la fine del mondo, un genere di chiarore adeguato all’idea che io mi faccio dell’Apocalisse… all’indomani mattina ho un terribile mal di testa, dolori come se fossi stato coperto di botte, comincia la febbre – abitualmente la sopporto molto male… Salirà di continuo fino ad arrivare a 40 ° e non mollerà questo valore per tutta la settimana notte e giorno. Ho paura per Dorothée che ha imprestato il suo appartamento a suo figlio. È al confino con me. Non vorrei esporla al contagio; le confesso i miei sintomi e mi confessa di avere gli stessi…. chiamiamo il nostro medico che sentendo ciò che gli raccontiamo conclude che tutto questo assomiglia perfettamente al Covid-19… Con prudenza e forte circospezione, ammette che è questo: “ Ve la siete beccata”… ci dice con una vera tristezza nella voce. Dunque viviamo il Covid-19: non bisogna più averne paura, è arrivato. Non c’è più bisogno di temere che ci caschi addosso, è dentro noi. Ormai è una roulette russa. Mi viene in mente una sortita dalle trincee durante la Prima Guerra Mondiale: alcuni si prendono la pallottola in piena testa, e per loro è finita: è finita la guerra ma anche la vita; altri passano attraverso i colpi delle pallottole e degli obici che fischiano e non ne prendono nessuna, tutti i colpi passano miracolosamente vicini; un terzo si prende un colpo nella spalla, va giusto bene per uscire dalla partita e ritrovarsi all’l’ospedale e non è tanto da trovarsi poi allungati in una bara, due dita più in là c’era l’arteria. Che cosa giustifica il buco in fronte? i colpi sfiorati? la pallottola nel posto giusto che vi libera? Nient’altro che il caso … Dio non esiste altrimenti avrebbe una bella faccia tosta. Penso dunque a questo virus e a ciò che farà di Dorotea e di me. Penso ai miei morti, non immaginavo che avrei dovuto considerare la possibilità di rivederli guidato da questo genere di virus uscito da una zuppa cinese di pangolino o da un minestrone di pipistrelli. Sudo notte e giorno a 40 °C. Il mio cuore batte all’impazzata, sento le aritmie ben note di diastoli e di sistoli. Ritrovo i crepitii, il picchiettio, i graffi sulla pelle del mio cervello danneggiato da piccole ischemie.

Mi ritrovo con le perforazioni che mi avevano forato il cervello in quell’occasione. Un giorno, due giorni, tre giorni, quattro giorni, cinque giorni, sei giorni a questo ritmo tra 38° e 40° di temperatura… Il batticuore, la pressione arteriosa che spinge contro le tubature. Non mi stupirei se tutto cedesse d’improvviso. Dorothée non sta bene. Accusa dei sintomi di meningite. Viene ricoverata in ospedale 6 giorni. Sono solo di fronte a questo cervello bruciante e bruciato, spiando la febbre che forse mi porterà via del tutto, come un’ascia trancia di colpo un nodo Gordiano.

Ogni mattina nel mio letto bagnato come una zuppa mi risveglio dicendomi che non è stata questa notte. Poi il 28 marzo alle 20 e 30, mi decido a mandare un testo al professor Raoult per raccontargli quello che mi capita in poche righe: diarrea, emicrania, febbre, dolori, precedenti di infarto e di mini ischemie, pressione alta, aggiungo che Dorothée è nel mio stesso stato ma ospedalizzata… mi richiama entro un quarto d’ora e mi chiede se soffro di perdita del senso dell’olfatto o del gusto, no non ho perso il senso del gusto ma si è modificato, tutto è diventato terribilmente amaro. La conversazione è durata meno di 4 minuti. Conclude: “Questo non è Covid”. Poi una frase che si perde dopo questa informazione che mi lascia basito e che dà una posologia di non so quale medicina per non so quale caso. Io, noi eravamo positivi al Covid: adesso non lo eravamo più. Ma allora cos’era?Non c’era più nessuno all’altro capo del telefono. Tranne quella folgorazione di cui è capace soltanto chi sa perché vede. Qualche ora più tardi l’ospedale comunicò a Dorothée che non aveva il Covid, dunque probabilmente neanch’io. Era una dengue, detta anche malattia tropicale. Colui che aveva letto Nietzsche quando aveva 15 anni non aveva passato tutto questo tempo in compagnia della Gaia scienza invano, ne aveva imparato la vera sapienza. È un capo. Si capisce che visioni del genere mettono fuori strada i sempliciotti che non le capiscono...

 

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Un sonetto del Petrarca, non perfetto in un poeta che è stato modello di perfezione per alcuni secoli, adatto però allo spirito del momento. mia intenzione era omaggiare il sommo poeta e il grande numismatico che era in lui.

La vita fugge, et non s’arresta una hora”

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(Canzoniere 272)

La vita fugge, et non s’arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi dànno guerra, et le future anchora;

e ’l rimembrare et l’aspettar m’accora,
or quinci or quindi, sí che ’n veritate,
se non ch’i’ ò di me stesso pietate,
i’ sarei già di questi penser’ fòra.

Tornami avanti, s’alcun dolce mai
ebbe ’l cor tristo; et poi da l’altra parte
veggio al mio navigar turbati i vènti;

veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.

 

 

 

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Un frammento di un mio libro dove dialogo con la sposa di Satana

 

Luigi, sei mai stato vicino alla morte?

Una volta, sì.

La città è Loja, in Ecuador.

Al mattino mia moglie ed io dobbiamo partire per Quito, dove nel tardo

pomeriggio ci aspetta il volo per Torino via Madrid.

Andiamo in agenzia per comprare i biglietti di quel volo interno.

Ci dicono di presentarci un’ora e mezza prima in aeroporto, diversamente

non partiremo. Al nostro stupore, la risposta è semplice e stringata. ‘C’è

vento forte durante il viaggio, partono i più svelti’.

Luigi, questo è assurdo!

No, non è assurdo. Virginia, non siamo a Francoforte o ad Amsterdam.

Bisogna attraversare una gola battuta da venti forti, l’aereo deve partire

leggero.

Finalmente ci imbarchiamo. All’inizio il volo è tranquillo, poi,

all’improvviso, ci sentiamo sballottati come una nave in mezzo a una

tempesta, come una casetta senza fondamenta sul ciglio dell’abisso.

Qualche bagaglio cade dalle cappelliere e il carrello dei generi di conforto

inizia a prendere la via del corridoio.

Il comandante avrà cercato di tranquillizzare i passeggeri…

Niente, silenzio assoluto. Sparita anche l’unica hostess. Poi, il muso

dell’aereo si alza, la sensazione è netta.

Sono nipote di un ingegnere aeronautico, morto a 32 anni durante un volo

di collaudo. So che se il muso di quel trabiccolo volante non si abbassa,

andiamo in stallo.

Se andiamo in stallo, veniamo giù come una frittella e ci schiantiamo.

Virginia, stai certa che in quei casi è quasi impossibile trovare corpi interi.

Solo pezzi, brandelli.

Guardo mia moglie ma non le dico nulla. Penso: i miei genitori sono morti,

non ho figli. I miei fratelli hanno la loro vita. Mi dispiace per mia moglie,

morire a ventitre anni è una bella fregatura. Io ho superato i quaranta, ho

vissuto più a lungo della quasi totalità dei miei antenati maschi.

Penso alla nostra tomba di famiglia a Castelnuovo Rangone. Che cosa

metteranno nella bara?

Sarà vuota come quella del mio antenato Tonino, partigiano comunista morto

a vent’anni, impiccato dai nazifascisti e il cui corpo non fu mai ritrovato?

Pensieri che rimbalzano contro le preghiere di due donne che recitano

l’Ave Maria in spagnolo. Gente che pensa ad una madre che forse salverà

quei figli disperati.

Dios te salve, Maria, eres llena de gracia, bendita tu eres entre todas

las mujeres…

D’improvviso tutto si calma. L’aereo abbassa il muso e atterriamo a Quito

senza problemi.

Effetti collaterali?

L’anno seguente andiamo a pregare davanti ad una cappella a El Cajas,

sopra la città di Cuenca. In quel luogo ci sono state presunte apparizioni

della Vergine e mia moglie pensa che dobbiamo qualcosa alla Madonna.

Dalla città sali in taxi fino a 3.600 metri. Fa freddo, tanto. Molte donne

vanno verso la cappella ginocchioni. Dev’essere dura, durissima.

Senonché a volte la fede fa dimenticare il dolore, la fatica.

Volti di contadine. Volti scavati dalle preghiere e dalla miseria. Cercano le

carezze di un essere apparso anni prima a una ragazza ecuadoriana,

Patricia Talbot.

La Madonna, dicono. Una curiosa Madonna con gli occhi azzurri e la pelle

bianca, bianca come la neve delle Ande. Le Ande non ci hanno voluto.

Siamo qui, a guardare il nostro miracolo. Del resto non ci importa. Non

ancora.

 

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Per gli amici le prime due stanze di una mia Canzone a Satana

Satanae Mundus patet (Canzone)

 

Anche se vano è il mio parlare

a Satana immortale,

or che s' apron i Mani nel buio tondo,

domando, come povera mortale

che ardisce d' imprecare,

al Padrone ormai dio di questo mondo

che ha toccato il fondo:

Quale altra atrocità ti resta da fare?

Dall'Alpi alle Piramidi e al Reno

dal Tigri all' Eufrate almeno

fino al Giordano e al Persico mare

hai spinto i cuori ad odiare

e a rinnegare il vero,

col duro Marte servitor di Mammona

nel silenzio del clero

di una chiesa divenuta una battona.

 

Alla bella Europa giunga il mio parlare

alla speranza nostra,

madre di civiltà e di bellezza

di storia e di diritto grande mostra,

che osa oscurare

della memoria nostra la grandezza,

a servire avvezza

la barbara superbia che porta guerra

in nome della pace col terrore.

Un dio preso da amore

dall'oriente ti portò sulla terra

che dolci fiori serra

e baciò le tue mani

per farti la regina d' ameni campi.

Caccia gli immondi cani

servi di Satana e dei suoi lampi.

(se gradita posterò le altre stanze)

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RICORDO IMPERFETTAMENTE

 

 

Berlino Est, mille anni fa. Ricordo le file per entrare nei negozi di alimentari, non i volti. Cioè, li rivedo, quei volti, ma sono...come posso dire? Appannati, come monete avvolte dalla patina. Volti poveri, certo. Occhi che guardano noi occidentali, noi che possiamo entrare nei locali di lusso destinati a chi viene dalla vita beata. Beata come un sogno che non si spegne all'alba. Quegli occhi...mi ricordo quegli occhi, guardavano i miei marchi dell'ovest come un vecchio guarda le curve di una pulzella. E li volevano, quei marchi... e ti davano mucchi dei loro poveri marchi dell'est.

Passavano, rare volte, le auto nere dei funzionari di partito. Noi guardavamo curiosi, loro no. Forse non guardare aiuta a dimenticare, ad illudersi per un attimo che tutto quello non è vero, è solo un incubo figlio di un caporale austriaco che sognava di essere l'imperatore del mondo.

Budapest, mille anni fa. I tuoi occhi, Magdolna. Più azzurri del cielo, più tristi di un amore perduto. Si può essere giovani e poveri? No, la gioventù è la ricchezza delle illusioni. E a te bastava, Magdolna. Ricordo imperfettamente. Le tue parole, sbriciolate sui muri delle lacrime. Parole. Limate di sguardi e di voglia di amare. Opache di un tempo che non ha voglia di rinverdire. Dove sei gita, Magdolna? Indossi anche tu una mascherina azzurra o hai imparato a parlare con gli angeli?

Ieri sono stato dalla mia dentista. Guardavo i suoi occhi mentre trafficava con un mio dente. E gli occhi della sua assistente. Occhi chiusi da visiere che proteggono dai virus. Perfettamente.

 

 

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Europa.thumb.jpg.cd803056b29d734c25bc172da0855eb5.jpg

Europa

Bella è la principessa fenicia,

Europa dagli occhi di viola.

Di lei Zeus si invaghisce

e bianco toro diventa.

Europa per nulla intimorita

gli sale sul dorso

e il dio la rapisce,

il mare attraversa

e a Cnosso la porta.

Il mito di Europa,

le corna del toro

e la falce della luna

ricordino agli scettici

la migrazione dalle terre

del Sole che sorge alle rive

del Sole che tramonta.

 

 

Europa.jpg

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Questo scrisse mio padre quando sua madre volò fra gli angeli

 

Eri un fiore, mamma!
Cattive e indelebili macchie di sangue ne tingevano i petali, ad uno ad uno.
Ma tu, piccola e grande mamma, sentivi, nel sacrificio, nella sofferenza, il
bacio puro del tuo sposo, l’alito innocente dei tuoi figli, il sorriso del tuo
Gesù.
Tutto intorno a te era profumo, mamma. E ne attingevano, come a una
fonte, tutti i fiori appassiti. Colla tua forza nel dolore rialzavi i petali
stanchi. Dicevi col tuo esempio a tutti che Gesù amò con la Croce.
Nascosta nella Tua casa sembravi un piccolo uccello cui fossero state
spezzate le ali. Ma non amavi andare lontano, volevi soltanto preparare il
volo che non ha soste, per trapiantare il tuo nido nel Cielo.
Come erano belle, stamattina, le tue ali, mamma!
Ma ancora, ancora una volta, hai donato il frutto del tuo lavoro, del tuo
dolore, del tuo spasimo. E le hai lasciate con noi. Il tuo sposo è venuto a
rapirti. Ma la culla rimane, sollevata dalla terra, nel dolce dondolìo
impresso dalla tua mano bianca, al tepore del tuo respiro caldissimo.
Non una volta hai allontanato la mano che ti feriva. Era talmente pieno di
gioia il tuo cuore che non poteva ospitare un soffio solo di lamento.
Nel giardino che lasci tutte le aiuole cantano.
Tu ad ogni fiore hai ripetuto il tuo inno, ogni giorno, ogni attimo, con un
ritmo sempre nuovo, con uno slancio sempre crescente pur sotto la cappa
d’un dolore senza fine.
Quest’inno che ci hai insegnato non è di questa terra, mamma! Lo dicono
tutti gli uccellini discesi dal Cielo ad ascoltarlo, sopra un ramo fiorito,
mentre lo cantavi a noi per l’ultima volta.
I petali sono tornati bianchi. Tu sola sapevi trasformare le cattive e
indelebili macchie di sangue in tanto profumo di cielo.
Vittorio

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Grazie a Vittorio, a cui dedico un mio pensiero

Mamma,

Riportami le stelle di bambina

quando il presepe illuminavi per me

Rifa' la magia del gatto mammone

quando i mostri neri scacciavi per me

Ricuci di rosa quella mia veste

quando mi preparavi a Pasqua con te.

L'Infiorata spandeva dolci umori

e tu mi apparivi tra la mortella

con quella gonna come eri bella.

Il tempo m'è mancato per scusarmi,

per gustare il sapore del tuo pane,

per vergognarmi delle tue lacrime.

Sali sull'arcobaleno e vieni

a mostrarti ancora una volta

l'ultima volta a tenermi la mano.

Che io possa alfine scusarmi con te,

vergognarmi delle tue lacrime,

mostrarti il sapore del mio pane.

Il presepe ho illuminato per te,

sulla scena di Betlemme splendono le luci

non lasciarmi sola per il finale.

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splendida, grazie!

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SERENA

 

 

La luna è piena

dolce Serena...

ti accarezza le mani

ti fruga fra la tunica ed il seno

si nasconde ai tuoi occhi

cerca i fiori e le foglie e la verzura

e una pera matura

caduta sulla sabbia e dentro il fango...

vieni Serena, dai, balliamo un tango

una musica nata in Argentina

quando la notte piega alla mattina

quando sorseggi il Legui

lentamente

quando prende la mente

una scodella traboccante Mate

quando aspetti il tuo lupo

quando accarezzi il pelo dell'agnello

quando dormi sul vello

delle speranze disperate

delle veglie sognate

e aspetti un sonno senza sogni

senza tracce di vita

e lacrime e speranze

e le silenti stanze

senza grida e rancore

senza le ragnatele dell'amore.

 

 

 

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Terza e quarta stanza dellla Canzone a Satana

Voi cui Fortuna donò nuova terra

quando perseguitati

abbandonaste la rabbia d'Albione

pellegrini da Satana tentati

imparaste la guerra,

da perseguitati persecutori

diveniste, agli albori

del gran terrore su mansueto gregge.

Satàn rideva della vostra virtù

che rinnegava Gesù.

Poi l'intelletto vostro con la legge

s'univa, come si legge,

all' uccisor di Cristo

per far denari nel continente nero

di schiavi grande acquisto:

pronto era il piano dell'impero.

Insinuato Satàn nel vostro petto

fece l'erbe sanguigne

delle rosse pelli da voi straziate.

Oramai preda di forze maligne

vi abbandonò l'Abietto

per portare le serpi e gli avvoltoi

su quanti furon eroi.

E qual mattanza per le nostre piagge!

Fin che vinse l'Aquilone

con l'Orso e con Albione.

L'abietto scatenò guerre selvagge

dai monti alle spiagge

per conquistare l'oro

quello assai prezioso quello nero,

bramato dalle terre

dell' occidente altero.

 

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Guerra.PNG

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NADIA

 

Nadia, ci sei, sei tu, dai...ti ricordi?

Eravamo due pallidi virgulti

giovani ed imbottiti di speranze

di errori e sogni e di segrete stanze

e di sorrisi e grida

e pensavamo di essere un re Mida

che muta in oro i palpiti e i ricordi

e in astronavi il volo di due tordi...

Nadia ti ho amato

forse perché neppure ti ho sfiorato

come un fiore d'inverno

morto vergine

avanti

di chiudere i suoi petali all'Averno.

 

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V stanza della Canzone a Satana

Non v'accorgete oggi delle prove

del Satanico inganno

ch'alzando il dito con la morte scherza?

Peggiore è lo strazio del grave danno

del sangue che commuove,

della spada che largamente sferza

sulle teste e non scherza.

Ridotto in miseria il sangue gentile

fa idolo un nome che non ha pietà

e ignora la carità.

Satana ha reso l'Aquila vile

che annaspa nel porcile

dei templi di Mammona,

e voi dell'Aquila vili servitori

pulite la corona

ai templi di Mammona nei dolori.

 

Tower of Babel.jpg

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MILENA

 

 

 

Milena

la tua pelle

ha il sapore sottile

di un prato colorato d'asfodelo

e la tua voce

mi accarezza i pensieri

come zucchero a velo

caduto sul pandoro di Natale...

sei noci e latte e miele

e candele scordate nel cassetto

e sogni impacchettati dentro al petto

e ciliegie e crostate d'albicocca...

come sei bella, cocca!

odori di risate e di spumante

e lacrime tagliate col diamante.

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VI Stanza della Canzone a Satana

Ora l' evangelica schiera vola

col Talmud in quel nido,

ove nutrita fu sì dolcemente,

per costruire il loro terzo nido

di Satana in gola.

Perdio, questo vi faccia meditare

e senza indugiare

le lacrime del popol doloroso

con pietà asciugate

e fiducia ridate

al giusto che merita il riposo

dal barbaro borioso.

Virtù contro il furore

con gran pietate et fides riprenderà

il remoto valore

che il sacro equilibrio stabilirà.

 

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Canzone, dal mio petto

le mie ragion cortesemente porta,

nel nome di quel sol che mai tramonta,

per Satana gran onta.

Di Michele la sacra spada risorta

il cuor gentile esorta

e sulla testa oscena

dell' infido perverso il bardo affonda.

Ora usciamo di scena,

Dolce Canzone che cavalchi l'onda.

San Michele.PNG

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BOLESLAVA

 

 

Ho baciato i tuoi occhi, Boleslava!

Cos'è? Da dove?

Un breve sciabordìo

mi percorre le labbra...

ecco, lo sento!

E' quel gusto di latte appena munto

di miele appena tolto dal suo favo

di pezzetti di pane

dentro la tua scodella...

Non mettere

Chanel numero cinque

quando scendi a vedermi dal maniero...

sporcheresti i sapori

Boleslava,

contadina col cuore di fanciulla.

Adesso stop o ti monti la testa

e credi che ti pensi

come un giglio o una rosa

un tulipano oppure una mimosa.

Eh no, dolcezza mia, fai una sosta!

Sei glicine

che i miei pensieri culla,

un cilestrino grappolo

di nulla.

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Per Lucio Anneo Seneca

 

A te, caro Lucio,

che della filosofia divenisti servo

per poter godere la vera libertà,

rivolgo il mio caldo saluto.

Mi piaceva allora

il tuo insegnarmi a vivere,

quando solevi ripetere:

“Per imparare a vivere

ci vuol tutta la vita”,

Concludo io la lezione capita:

“Ci vuol tutta la vita

per imparare a morire”.

Ma non rattristarti,

torna agli amati diletti,

alle fanciulle in fiore,

farfalle di vetro

danzanti al calor

di una lampada solitaria

nell' erudito studio.

Seneca.jpg

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Lettera di Grigoriy Grigorevic Tanejeff a sua sorella Lyudmila

 

Kostroma, 14 luglio 2018

Cara Lyudmila,


 

Volentieri soddisfo la tua originale richiesta di scriverti una lettera, un cartaceo come si usava ai tempi dei nostri genitori, sperando che arrivi a Los Angeles in tempi decenti.

Ho visto le foto della tua famiglia che mi hai mandato su WhatsApp. Tu sei sempre bella, tuo marito sempre più serio. Sacha sta venendo su in gran gala e Kira è una bimba splendida, degna figlia di tanta mamma.

Qui a Kostroma non succede mai niente di particolare e anche se i miei concittadini la considerano una metropoli per me è solo un paesone, ma è il mio paesone e io ci sto tanto bene.

Il mese scorso abbiamo festeggiato con Irina due anni di convivenza.

Lei è proprio innamorata, vuole un bambino e mi vuole sposare, non so bene in quale ordine.

Papà e mamma dicono che ho quaranta due anni e a quest’età bisognerebbe aver già messo da tempo la testa a posto, che tradotto vuol dire che devo mettere la fede al dito.

A parte il fatto che a novembre compio solo 41 anni e Irina a gennaio ne compie 34, non capisco tutta questa fretta di firmar contratti.

Pensa che l’altra sera i nostri amatissimi genitori hanno invitato a cena il nuovo pope.

Lui si chiama Vassili Nicolaevic Vorodin ed è un omone grande e grosso... lo scambieresti per il fratello di Yuri il fabbro. Ha la barba lunga ma ben curata e lo sguardo curioso. Ha voluto vedere le nostre galline e la mamma gli ha regalato un cestino con delle uova fresche.

A tavola, fra un bicchiere di vodka e l'altro ha accennato alla santità del matrimonio, sicuramente imbeccato da quella santa donna di nostra madre.

Ha mangiato come un lupo ma la sua barba non ha mai colato dei succhi del suo pasto.

Dopo cena siamo andarti nel salottino per il caffè; il pope ci ha raccontato di un suo pellegrinaggio in terra Santa. Racconto molto interessante, però quando parla pare che dorma.

Il mio lavoro al giornale procede bene e mi piace molto occuparmi della cronaca cittadina.

Incontro spesso Nadezda Petrovna. Com’è bella! E’ più bella oggi (ha compiuto trentacinque anni a gennaio) di quando l’ho conosciuta e quando la vedo con il suo piccolo Florentiy è proprio raggiante. Ti ricordi? Arrivò in città nel dicembre del 2006 e appena la vidi sentii che le volevo bene da sempre.

Tu sai bene che andavo alla messa delle 9 solo per guardarla. Me la immaginavo con un vestito azzurro lungo fino ai piedi e sul capo un diadema d’oro tempestato di pietre preziose. Altre volte la vedevo come la Madonna di Kazan.

Una domenica, durante la messa, le cade un fazzoletto. E’ il segno del destino, mi dico! Mi alzo, faccio per precipitarmi da lei per darglielo, ma Laurentiy Vissarionovic Mendejev, che allora era solo un funzionario di Polizia, è più veloce di me. Raccoglie il fazzoletto e glielo porge. Lei sorride. Quel sorriso per me è come una pugnalata al cuore. Infatti, come ben sai, Nadezda lo ha sposato.

Guarda, io voglio un bene enorme a Nadezda, provo per lei una specie di amore ma voglio che sia felice con il suo poliziotto e che suo figlio cresca in una famiglia serena e unita.

Fra l’altro Laurentiy ha comprato un terreno dietro la chiesa; pare che voglia costruirci una grande casa. Devi credermi, sono contento che il poliziotto abbia fatto carriera, così sulla loro tavola non mancheranno mai il pane e il companatico e anche le bollicine che a Nadezda piacciono tanto.

Non ti ho raccontato cosa è successo a Pasqua. Dopo la messa Irina si è avvicinata ai suoi parenti per il consueto scambio delle uova decorate. Anche Laurentiy stava parlando con qualcuno così mi sono avvicinato a Nadezda per farle l’augurio pasquale di noi ortodossi.

Lei dice: “Christos voskrese!” (Cristo è risorto!) E io: “Voistinu voskrese” (davvero è risorto!). Nadezda mi dona il suo uovo. E' davvero ben decorato, c'è il suo cane che fa da chioccia a dei pulcini. Io le offro il mio uovo... ho dipinto una principessa con un abito azzurro lungo fino ai piedi e sul capo un diadema d'oro tempestato di pietre preziose.

Lei guarda l'uovo, sorride e mi fa una carezza. Il mio cuore ha cominciato a battere così forte che l’avranno sentito persino in canonica.

Dimenticavo! Da qualche mese hanno assunto al giornale un vero principe. Si chiama Alexander Alexandrovic Yussupov. E' un signore sulla sessantina, magro e con gli occhi di chi ha visto tante stagioni e le ha vissute appieno. Il suo bisnonno fuggì a Parigi nel 1918 e fece il tassista. Un mestiere che passò anche al figlio e al nipote. Lui invece ha lavorato nella redazione del Figaro a Parigi. Appena pensionato ha perso la moglie e ha deciso di tornare in Russia. Tramite conoscenze ha saputo che cercavamo un redattore per la pagina estera della nostra Gazieta ed stato subito assunto dal giornale. In realtà pubblica anche poesie e racconti nella pagina della cultura. Pare che faccia sognare tutte le femmine della città, ma nessuno (a parte me) sa qual è la sua Musa, quella che ho la fatto diventare un poeta.

"Pochi giorni dopo l'arrivo del principe in città, al Maxim Gorkij danno " il giardino dei ciliegi"; il nostro Cechov attira sempre tanta gente. Durante l'intervallo siamo nel foyer e Alexander mi si avvicina.

"Grigoriy, chi è quella donna? Chi è quella principessa?"

"E' Nadezda Petrovna, la moglie del nostro capo della Polizia...vieni, te la presento."

Nadezda ha un vestito tutto bianco e sembra un angelo in mezzo a tanto ciarpame. Il principe le bacia la mano e lei lo guarda con quegli occhioni che scioglierebbero anche i ghiacci di Plutone....

Il giorno dopo mi trovo al caffè con Alexander.

Volevo parlarti di ieri sera...” Il principe ha qualcosa di urgente da dirmi. Il suo sguardo è luminoso, sognante.

Grigoriy, io ho passato l'esistenza a mangiare, a bere, a giocare e a correre dietro alle femmine. Pur di vederle abbassarsi le mutandine, ho mentito spergiurando sentimenti e trasporti che non provavo affatto. Pur di continuare a portarmele a letto ho giurato che mia moglie era per me come una sorella, quando invece abbiamo fatto sempre l'amore finché una morte improvvisa me l'ha strappata.

Non mi considero peggiore degli altri, so che la vita della maggior parte degli uomini è questa.

Ma adesso ho conosciuto Nadezda, una creatura che sembra riflettere una luce divina e ho deciso di spendere gli anni che mi restano a fare del bene al prossimo, portando negli occhi la bellezza e la grazia di questa donna. Per merito suo scrivo delle poesie che sono giudicate molto belle e io ringrazio il cielo di avermela fatta conoscere.”

Qualche giorno fa ho fatto un sogno.

Stavo camminando lungo un sentiero di campagna. Il pomeriggio era pieno di sole, sentivo cantare gli uccellini e le farfalle volavano sulle margheritine e sui fiori di lavanda.

All'improvviso, prima di una curva, sento parlottare...ma c'è gente lì...che bello! Sedute su un prato ci sono Irina e Nadezda. Sono bellissime! Irina ha jeans e maglietta e Nadezda è vestita di rosso. Il rosso le dona tantissimo. Davanti a loro una tovaglia bianca con sopra una torta ai mirtilli, dei bicchieri e una caraffa di vino bianco.

Nadezda mi invita a partecipare al picnic e io mi ritrovo seduto fra le due donne. Irina mi chiede una fetta di torta e un bicchiere di vino e io la servo subito.

“Grigoriy, puoi tagliare una fetta di torta anche per me? Anche un po' di vino, per favore”. Le parole di Nadezda mi avvolgono il cuore, ma la mia risposta è sorprendente. “Tagliati la fetta di torta da sola e versa il vino nel tuo bicchiere, non sono mica il tuo servitore!”.

Irina sbotta: “Grigoriy, ma cosa stai dicendo, ma sei scemo? Con me sei stato gentile e con lei ti stai comportando come un cafone, ma perché?”

“Perché lei la amo di più”.

Cara Lyudmila, sposerò Irina e cercherò di essere un buon marito e un buon padre. Ma nessuno mi impedirà di volere un bene grandissimissimo a Nadezda, di desiderare la sua felicità e di esserci se avrà bisogno di un amico che le asciughi una lacrima.

Belle e nobili frasi, no? Però l'altro mese le ho fatto un fantastico scherzo.

Tu sai che sono amico d'infanzia di Velislav Lazarovic, il tipografo. Bene, all'inizio di maggio gli mando un messaggino dove gli spiego che ha saputo da fonte certa che il marito di Nadezda a metà mese sarebbe andato a San Pietroburgo per la consueta riunione annuale dei capi della Polizia. Per Giove Pluvio, gli dico, l'occasione è ghiotta per organizzare un super scherzo alla dolce Nadezda.

Ci vediamo una sera a casa del mio amico e come due cospiratori prepariamo il piano. Velislav stamperà un magnifico falso, un manifesto con tanto di firma della nostra amata sindaca, in cui quest'ultima, per festeggiare il suo prossimo compleanno, organizzerà allo stadio una mega festa offrendo fiumi di vodka gratis a tutti. Tu sai che la nostra prima cittadina Nastasia Adrianova cerca in tutti i modi di combattere la piaga dell'alcolismo e questa iniziativa pro ubriaconi farà andare su tutte le furie Nadezda. A questo punto puoi giurare che chiamerà la sua amica sindaca per chiedere spiegazioni di questa assurda decisione alcolica. Per rendere più credibile il tutto, Velislav preparerà anche una lettera su carta intestata del Comune, con tanto di firma falsa della sindaca, lettera in cui Nastasia chiederà alla tipografia di preparare i manifesti.

Il mattino in cui Laurentiy è lontano ci presentiamo a casa di Nadezda. Con aria seria e indignata le mostriamo il manifesto e la lettera dichiarando il nostro stupore e il nostro dolore per l'iniziativa.

Nadezda è furente, chiama subito la sindaca al cellulare e mette in viva voce. Appena gliela passano, sbotta:

“Nastasia, devi essere impazzita. Ho appena visto la lettera con cui hai ordinato la stampa del manifesto che presto inonderà la città!

“Quale lettera, quale manifesto, scusa?

“Nastasia, non fare la mammola. Parlo della lettera del Comune a tua firma che chiede di preparare un manifesto in cui inviti la cittadinanza allo stadio per il tuo compleanno, promettendo vodka gratis per tutti! Ti sei rimangiata gli impegni presi in campagna elettorale per moralizzare questa città piena di maschi ubriaconi! Vergognati!

“Calmati Nadezda, non esistono né lettere né manifesti. Ti stanno prendendo per il sottocoda. Scommetto che c'è lo zampino di Velislav Lazarovic. Ridici sopra e pensa alla salute...

Nadezda è incavolata nera.

“Fuori di qui, brutta coppia di lazzaroni e ringraziate che non vi tiro un piatto in testa. Mi avete fatto fare una figura di cacca con la sindaca. Non mi stupisco di te, Velislav, che sei un perdigiorno e uno sciupafemmine, ma tu Grigoriy! Da te proprio non me l'aspettavo! Meno male che scrivi di volermi tanto bene e che hai esaurito gli aggettivi per definire la mia bellezza e che sono nel tuo cuore e che quando scrivi pensandomi ti sembra di essere in un'isola da sogno. A questo punto credo che siano tutte balle. Se invece è vero che mi vuoi tutto questo bene, perché mi hai fatto questo scherzo imbecille?

“Perché quando ti arrabbi sei ancora più bella!

Lo spazio mi manca, ti abbraccia forte il tuo fratellino Grigori

 

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Kostroma, 14 luglio 2018

Cara Lyudmila,


 

Volentieri soddisfo la tua originale richiesta di scriverti una lettera, un cartaceo come si usava ai tempi dei nostri genitori, sperando che arrivi a Los Angeles in tempi decenti.

Ho visto le foto della tua famiglia che mi hai mandato su WhatsApp. Tu sei sempre bella, tuo marito sempre più serio. Sacha sta venendo su in gran gala e Kira è una bimba splendida, degna figlia di tanta mamma.

Qui a Kostroma non succede mai niente di particolare e anche se i miei concittadini la considerano una metropoli per me è solo un paesone, ma è il mio paesone e io ci sto tanto bene.

Il mese scorso abbiamo festeggiato con Irina due anni di convivenza.

Lei è proprio innamorata, vuole un bambino e mi vuole sposare, non so bene in quale ordine.

Papà e mamma dicono che ho quanrantadue anni e a quest’età bisognerebbe aver già messo da tempo la testa a posto, che tradotto vuol dire che devo mettere la fede al dito.

A parte il fatto che a novembre compio solo 41 anni e Irina a gennaio ne compie 34, non capisco tutta questa fretta di firmar contratti.

Pensa che l’altra sera i nostri amatissimi genitori hanno invitato a cena il nuovo pope.

Lui si chiama Vassili Nicolaevic Vorodin ed è un omone grande e grosso... lo scambieresti per il fratello di Yuri il fabbro. Ha la barba lunga ma ben curata e lo sguardo curioso. Ha voluto vedere le nostre galline e la mamma gli ha regalato un cestino con delle uova fresche.

A tavola, fra un bicchiere di vodka e l'altro ha accennato alla santità del matrimonio, sicuramente imbeccato da quella santa donna di nostra madre.

Ha mangiato come un lupo ma la sua barba non ha mai colato dei succhi del suo pasto.

Dopo cena siamo andarti nel salottino per il caffè; il pope ci ha raccontato di un suo pellegrinaggio in terra Santa. Racconto molto interessante, però quando parla pare che dorma.

Il mio lavoro al giornale procede bene e mi piace molto occuparmi della cronaca cittadina.

Incontro spesso Nadezda Petrovna. Com’è bella! E’ più bella oggi (ha compiuto trentacinque anni a gennaio) di quando l’ho conosciuta e quando la vedo con il suo piccolo Florentiy è proprio raggiante. Ti ricordi? Arrivò in città nel dicembre del 2006 e appena la vidi sentii che le volevo bene da sempre.

Tu sai bene che andavo alla messa delle 9 solo per guardarla. Me la immaginavo con un vestito azzurro lungo fino ai piedi e sul capo un diadema d’oro tempestato di pietre preziose. Altre volte la vedevo come la Madonna di Kazan.

Una domenica, durante la messa, le cade un fazzoletto. E’ il segno del destino, mi dico! Mi alzo, faccio per precipitarmi da lei per darglielo, ma Laurentiy Vissarionovic Mendejev, che allora era solo un funzionario di Polizia, è più veloce di me. Raccoglie il fazzoletto e glielo porge. Lei sorride. Quel sorriso per me è come una pugnalata al cuore. Infatti, come ben sai, Nadezda lo ha sposato.

Guarda, io voglio un bene enorme a Nadezda, provo per lei una specie di amore ma voglio che sia felice con il suo poliziotto e che suo figlio cresca in una famiglia serena e unita.

Fra l’altro Laurentiy ha comprato un terreno dietro la chiesa; pare che voglia costruirci una grande casa. Devi credermi, sono contento che il poliziotto abbia fatto carriera, così sulla loro tavola non mancheranno mai il pane e il companatico e anche le bollicine che a Nadezda piacciono tanto.

Non ti ho raccontato cosa è successo a Pasqua. Dopo la messa Irina si è avvicinata ai suoi parenti per il consueto scambio delle uova decorate. Anche Laurentiy stava parlando con qualcuno così mi sono avvicinato a Nadezda per farle l’augurio pasquale di noi ortodossi.

Lei dice: “Christos voskrese!” (Cristo è risorto!) E io: “Voistinu voskrese” (davvero è risorto!). Nadezda mi dona il suo uovo. E' davvero ben decorato, c'è il suo cane che fa da chioccia a dei pulcini. Io le offro il mio uovo... ho dipinto una principessa con un abito azzurro lungo fino ai piedi e sul capo un diadema d'oro tempestato di pietre preziose.

Lei guarda l'uovo, sorride e mi fa una carezza. Il mio cuore ha cominciato a battere così forte che l’avranno sentito persino in canonica.

Dimenticavo! Da qualche mese hanno assunto al giornale un vero principe. Si chiama Alexander Alexandrovic Yussupov. E' un signore sulla sessantina, magro e con gli occhi di chi ha visto tante stagioni e le ha vissute appieno. Il suo bisnonno fuggì a Parigi nel 1918 e fece il tassista. Un mestiere che passò anche al figlio e al nipote. Lui invece ha lavorato nella redazione del Figaro a Parigi. Appena pensionato ha perso la moglie e ha deciso di tornare in Russia. Tramite conoscenze ha saputo che cercavamo un redattore per la pagina estera della nostra Gazieta ed stato subito assunto dal giornale. In realtà pubblica anche poesie e racconti nella pagina della cultura. Pare che faccia sognare tutte le femmine della città, ma nessuno (a parte me) sa qual è la sua Musa, quella che ho la fatto diventare un poeta.

"Pochi giorni dopo l'arrivo del principe in città, al Maxim Gorkij danno " il giardino dei ciliegi"; il nostro Cechov attira sempre tanta gente. Durante l'intervallo siamo nel foyer e Alexander mi si avvicina.

"Grigoriy, chi è quella donna? Chi è quella principessa?"

"E' Nadezda Petrovna, la moglie del nostro capo della Polizia...vieni, te la presento."

Nadezda ha un vestito tutto bianco e sembra un angelo in mezzo a tanto ciarpame. Il principe le bacia la mano e lei lo guarda con quegli occhioni che scioglierebbero anche i ghiacci di Plutone....

Il giorno dopo mi trovo al caffè con Alexander.

Volevo parlarti di ieri sera...” Il principe ha qualcosa di urgente da dirmi. Il suo sguardo è luminoso, sognante.

Grigoriy, io ho passato l'esistenza a mangiare, a bere, a giocare e a correre dietro alle femmine. Pur di vederle abbassarsi le mutandine, ho mentito spergiurando sentimenti e trasporti che non provavo affatto. Pur di continuare a portarmele a letto ho giurato che mia moglie era per me come una sorella, quando invece abbiamo fatto sempre l'amore finché una morte improvvisa me l'ha strappata.

Non mi considero peggiore degli altri, so che la vita della maggior parte degli uomini è questa.

Ma adesso ho conosciuto Nadezda, una creatura che sembra riflettere una luce divina e ho deciso di spendere gli anni che mi restano a fare del bene al prossimo, portando negli occhi la bellezza e la grazia di questa donna. Per merito suo scrivo delle poesie che sono giudicate molto belle e io ringrazio il cielo di avermela fatta conoscere.”

Qualche giorno fa ho fatto un sogno.

Stavo camminando lungo un sentiero di campagna. Il pomeriggio era pieno di sole, sentivo cantare gli uccellini e le farfalle volavano sulle margheritine e sui fiori di lavanda.

All'improvviso, prima di una curva, sento parlottare...ma c'è gente lì...che bello! Sedute su un prato ci sono Irina e Nadezda. Sono bellissime! Irina ha jeans e maglietta e Nadezda è vestita di rosso. Il rosso le dona tantissimo. Davanti a loro una tovaglia bianca con sopra una torta ai mirtilli, dei bicchieri e una caraffa di vino bianco.

Nadezda mi invita a partecipare al picnic e io mi ritrovo seduto fra le due donne. Irina mi chiede una fetta di torta e un bicchiere di vino e io la servo subito.

“Grigoriy, puoi tagliare una fetta di torta anche per me? Anche un po' di vino, per favore”. Le parole di Nadezda mi avvolgono il cuore, ma la mia risposta è sorprendente. “Tagliati la fetta di torta da sola e versa il vino nel tuo bicchiere, non sono mica il tuo servitore!”.

Irina sbotta: “Grigoriy, ma cosa stai dicendo, ma sei scemo? Con me sei stato gentile e con lei ti stai comportando come un cafone, ma perché?”

“Perché lei la amo di più”.

Cara Lyudmila, sposerò Irina e cercherò di essere un buon marito e un buon padre. Ma nessuno mi impedirà di volere un bene grandissimissimo a Nadezda, di desiderare la sua felicità e di esserci se avrà bisogno di un amico che le asciughi una lacrima.

Belle e nobili frasi, no? Però l'altro mese le ho fatto un fantastico scherzo.

Tu sai che sono amico d'infanzia di Velislav Lazarovic, il tipografo. Bene, all'inizio di maggio gli mando un messaggino dove gli spiego che ha saputo da fonte certa che il marito di Nadezda a metà mese sarebbe andato a San Pietroburgo per la consueta riunione annuale dei capi della Polizia. Per Giove Pluvio, gli dico, l'occasione è ghiotta per organizzare un super scherzo alla dolce Nadezda.

Ci vediamo una sera a casa del mio amico e come due cospiratori prepariamo il piano. Velislav stamperà un magnifico falso, un manifesto con tanto di firma della nostra amata sindaca, in cui quest'ultima, per festeggiare il suo prossimo compleanno, organizzerà allo stadio una mega festa offrendo fiumi di vodka gratis a tutti. Tu sai che la nostra prima cittadina Nastasia Adrianova cerca in tutti i modi di combattere la piaga dell'alcolismo e questa iniziativa pro ubriaconi farà andare su tutte le furie Nadezda. A questo punto puoi giurare che chiamerà la sua amica sindaca per chiedere spiegazioni di questa assurda decisione alcolica. Per rendere più credibile il tutto, Velislav preparerà anche una lettera su carta intestata del Comune, con tanto di firma falsa della sindaca, lettera in cui Nastasia chiederà alla tipografia di preparare i manifesti.

Il mattino in cui Laurentiy è lontano ci presentiamo a casa di Nadezda. Con aria seria e indignata le mostriamo il manifesto e la lettera dichiarando il nostro stupore e il nostro dolore per l'iniziativa.

Nadezda è furente, chiama subito la sindaca al cellulare e mette in viva voce. Appena gliela passano, sbotta:

“Nastasia, devi essere impazzita. Ho appena visto la lettera con cui hai ordinato la stampa del manifesto che presto inonderà la città!

“Quale lettera, quale manifesto, scusa?

“Nastasia, non fare la mammola. Parlo della lettera del Comune a tua firma che chiede di preparare un manifesto in cui inviti la cittadinanza allo stadio per il tuo compleanno, promettendo vodka gratis per tutti! Ti sei rimangiata gli impegni presi in campagna elettorale per moralizzare questa città piena di maschi ubriaconi! Vergognati!

“Calmati Nadezda, non esistono né lettere né manifesti. Ti stanno prendendo per il sottocoda. Scommetto che c'è lo zampino di Velislav Lazarovic. Ridici sopra e pensa alla salute...

Nadezda è incavolata nera.

“Fuori di qui, brutta coppia di lazzaroni e ringraziate che non vi tiro un piatto in testa. Mi avete fatto fare una figura di cacca con la sindaca. Non mi stupisco di te, Velislav, che sei un perdigiorno e uno sciupafemmine, ma tu Grigoriy! Da te proprio non me l'aspettavo! Meno male che scrivi di volermi tanto bene e che hai esaurito gli aggettivi per definire la mia bellezza e che sono nel tuo cuore e che quando scrivi pensandomi ti sembra di essere in un'isola da sogno. A questo punto credo che siano tutte balle. Se invece è vero che mi vuoi tutto questo bene, perché mi hai fatto questo scherzo imbecille?

“Perché quando ti arrabbi sei ancora più bella!

Lo spazio mi manca, ti abbraccia forte il tuo fratellino Grigori

 

Modificato da 1412luigi
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@Brios   Ho mandato una mail all'amico tedesco. Vedremo.

La lettera qui sopra è frutto della mia fantasia. Spero di non aver scritto troppe sciocchezze....

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Supporter

Quando mio nonno si sposò, suo fratello scrisse questa poesiola

 

Un giorno Pepo alla sua Pepa disse
Pepa at voi ben se vuoi ti sposerò
e intanto ac pizzicò le braccia tgnisse
la Pepa advintò rossa e non parlò
Pressappoco così è capitato
a quei due che siedono laggiù
lui veramente ha parlato più elevato
lei veramente ha detto un po’ di più
Oggi voi siete sposi: in alto i cuori
che è questa la felicità
che sono sacri per sempre i vostri amori
e il frutto che da questi nascerà
Anche il Pepo e la Pepa i se spuson
gran giorn ad festa fu per lor cal dé
disse Pepa: et cuntent Pepo? – S’al son ?
perbacch se psessa ac turnerev adré
Nel mio bicchier spumeggia lo sciampagna
sale la spuma in rivoli odorosi
“Viva Tonino e la so cumpagna”
in elt i biccer, sgnor, Viva gli sposi!

 

 

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Asmara, piccola Roma africana

 

Asmara, piccola Roma africana,

la bella farfalla che porti nel nome

mi è tatuata nel cuore.

Ti ho conosciuto nella gente,

Asha era il tuo nome di speranza

e mi cantavi ninne nanne lente,

ma le tue fiabe con te dalla mia stanza

insieme ai dik dik sono volate via.

Poi, nel porto, tornavo a casa mia,

ti ho visto nei tuoi piccoli gigli

gettarsi in fondo al mare

a raccattare monetine che la superbia bianca

lanciava a scherno ai tuoi neri figli.

Dolente ti riconosco ogni volta

che la storia si fa spillo sulla bella farfalla

rubando il sorriso ai tuoi bambini in fiore,

offrendo nell'esodo ai tuoi figli

l'ingrato letto di Nettuno

tra lampi di speranza e tuoni di paura

nelle onde che si fanno cavalli di terrore.

 

 

Eritrea-1Nakfa.jpg

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