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IGNORED

Un bronzo con Zeus ed Ermes


apollonia

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Salve

Questo bronzo della zecca di Magnesia al Sipilo, antica città della Lidia sul corso del fiume Hermus (oggi Gediz), alle falde del monte Spil, è l’unica moneta a mia conoscenza che raffigura Zeus con il figlio Ermes, nato in una grotta del Monte Cillene in Arcadia dalla sua relazione con Maia, la pleiade figlia di Atlante e di Pleione.

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LYDIA. Magnesia ad Sipylum. Ae (Circa 2nd-1st centuries BC).
Obv: Diademed head of Artemis right, with bow and quiver over shoulder.
Rev: ΣΙΠΥΛΟΥ / ΜΑΓΝΗΤΩΝ. Zeus and Hermes standing facing one another, holding sceptre between them.
SNG von Aulock -; SNG Copenhagen 241; BMC 6-7.
Ex Hirsch 196 (24 September 1997), lot 1104.
Rare.
Condition: Good fine.
Weight: 3.37 g.
Diameter: 16 mm.

Ovidio nelle Metamorfosi ci narra che un giorno Zeus ed Ermes, desiderosi di esperienze terrene, vagano per la Frigia cercando ospitalità sotto mentite spoglie. Ovunque si nega loro accoglienza tranne che nella capanna del vecchio Filemone e di sua moglie Bauci, due poveri contadini che non possiedono nulla ma che offrono rifugio, cibo e riposo ai due viandanti di cui ignorano lo ‘status’ divino. Un inno al dovere dell’ospitalità e all’amore coniugale.

 

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La leggenda della mitologia greca di Filemone e Bauci è tramandata nell'ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio.

Zeus ed Ermes, vagando attraverso la Frigia con sembianze umane in cerca di ospitalità, si avvicinarono a molte case, bussarono a tante porte, ma ognuno, appena li vedeva, sprangava a doppia mandata porte e finestre e si rinserrava dentro, rispondendo sgarbatamente. Nonostante questa brutta accoglienza, gli dei non si scoraggiarono ma continuarono a cercare qualche essere umano ospitale e gentile finchè giunsero nei pressi di una capanna un po’ lontana dal villaggio, molto misera, dove vivevano due vecchi coniugi, Filemone e Bauci, che si amavano teneramente nonostante gli stenti e la povertà. Qui furono accolti con molta gentilezza da Filemone che li fece accomodare mentre si accingeva a cuocere del cibo, mentre Bauci li invitò a riposare sui sedili sopra i quali aveva steso una rozza coperta. Il pasto era semplice ma fu molto apprezzato dai due viandanti in incognito, sulla cui natura divina Filemone e Bauci cominciarono a sospettare quando si accorsero che durante il pasto il vino non finiva mai. Anzi, quando si resero conto che quei due ospiti dovevano avere poteri straordinari, temettero di averli offesi avendo offerto troppo cibo modesto e si apprestarono a uccidere l’unica oca che possedevano. Ma la bestia, quasi presaga delle intenzioni dei padroni, si rifugiò indispettita accanto a Zeus, che si mise a ridere prima di dire: - Noi siamo dei e abbiamo apprezzato molto la vostra ospitalità, perché siete stati gli unici abitanti di questo posto ad accoglierci con gentilezza, mentre gli altri pagheranno caro il loro egoismo. Soltanto voi vi salverete: salite dunque al più presto su quel monte!

Filemone e Bauci ubbidirono e girandosi dall’alto, videro uno spettacolo di desolazione infinita: tutto era stato sommerso dalle acque e soltanto la loro capanna era rimasta intatta. I due sposi cominciarono a piangere, quando la loro attenzione fu attratta da un enorme prodigio: i pali della capanna stavano diventando colonne di marmo, il tetto si stava coprendo d’oro e le porte si stavano adornando di intagli. Allora Zeus così parlò: - O vecchio giusto e donna degna di tale marito, esprimetemi un desiderio ed io lo esaudirò. I due si consultarono brevemente e poi chiesero di diventare sacerdoti del tempio di Zeus fino a quando non fosse giunta la loro ora, che pregavano cogliesse entrambi nello stesso istante.

Filemone implorò: - Che io non veda mai il rogo di mia moglie né sia lei a seppellire me.

E Bauci approvò.

E così fu. Finchè vissero custodirono il tempio. Poi, quando arrivarono ad un’età veneranda, mentre stavano sui gradini del tempio, Bauci notò che sul capo di Filemone spuntavano delle fronde e Filemone le notò sul capo di lei. Ebbero appena il tempo di dirsi addio che la corteccia coprì e chiuse per sempre le loro bocche; la trasformazione durò fino a che Bauci divenne un tiglio e Filemone una quercia. In quel luogo si possono ancora vedere i due tronchi uno accanto all’altro e sui loro rami qualcuno ha appeso una tavoletta su cui è scritto: “Siano uguali a dei quelli amati dagli dei e siano venerati coloro che li venerano”.

 

Alcuni spunti della narrazione sono tratti dal libro Racconti, Miti e Leggende (SEI, TO, 2010) di Bianca Maria Patti.

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L’accoglienza di Filemone e Bauci riservata secondo il mito ai due viandanti rivelatisi poi di origine divina (uno addirittura il padre degli dei!) è in linea con il fatto che l’ospitalità fosse considerata un’azione ‘sacra’ per i Greci. Il rispetto reciproco tra ospitante e ospite, cercare di soddisfare al meglio il proprio ospite (cibarlo, lavarlo e dargli vestiti puliti) e addirittura dargli un regalo nel momento del commiato era motivato dalla credenza che in un qualsiasi ospite, ricco o mendicante che fosse, si potesse nascondere un dio travestito appunto da uomo che avrebbe voluto verificare l'ospitalità del padrone di casa. Nel caso in cui l’ospite fosse stato trattato male, si temeva che gli dei si sarebbero accaniti contro quella famiglia.

Nell’Odissea l’eroe protagonista si trova più volte nella condizione dello straniero che chiede ospitalità. Quando incontra Nausicaa sarà proprio la fanciulla figlia del re dei Feaci ad invitare le proprie ancelle a non fuggire dinanzi a quell'uomo giunto dal mare bensì ad offrirgli cibo, abiti e rifugio, affermando che “poiché alla nostra città, alla nostra terra sei giunto, non ti mancheranno le vesti né nessun'altra cosa di ciò che è giusto che riceva un supplice infelice”. Ma l’ospitalità così sacra ai Feaci verrà violata in modo brutale quando Ulisse giungerà da Polifemo. E non è un caso che ad infrangere le regole ospitali sia un mostro antropofago che divora l’equipaggio di Ulisse: il suo comportamento si fa metafora dell’abbrutimento dell’uomo che rifiuta l’altro rimanendo chiuso nella sua solitudine provocata, peraltro, dalla sua stessa mostruosa diversità.

 

Come ha concluso il suo articolo Federica D’Alfonso in https://www.fanpage.it/cultura/lo-straniero-da-omero-a-ovidio-quando-lospite-era-sacro-e-non-si-lasciava-annegare-in-mare/ , il problema non è tanto guardare a chi sia lo straniero, l’Altro, il diverso; il problema non è tentare di trovare in lui la minaccia ad una libertà di cui non comprendiamo nemmeno il significato. Il problema è quello di decidere chi vogliamo essere noi: Nausicaa o Polifemo?

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