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IGNORED

Accadde nella prima metà di aprile


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Inviato

Buongiorno,

quanti eventi sono accaduti nella prima metà di aprile!

  • 1 aprile

-          VENERALIA: festività romana celebrata il 1 aprile dedicata a Venere Verticordia (che apre i cuori) e alla compagna Fortuna Virile.

Le donne, sia sposate che nubili, si recavano al tempio di Venere, rimuovevano le collane d’oro che decoravano la statua; dopo un lavaggio rituale le collane venivano rideposte assieme a fiori di rosa. Successivamente le devote si recavano ai bagni pubblici maschili, coprendosi con schermi fatti di mirto, per ricordare il mito in cui Venere, sorpresa nuda a fare il bagno da alcuni satiri, si ricoprì per salvarsi. Qui, denudatesi, offrivano a Fortuna Virile dell'incenso, ottenendo dal dio la concessione di nascondere agli uomini i loro difetti fisici. Infine bevevano papavero  macinato e sciolto nel latte, addolcito col miele, la stessa bevanda bevuta da Venere nel giorno del suo sposalizio con Vulcano.

https://it.wikipedia.org/wiki/Veneralia

  • 4 aprile

-      LUDI MEGALENSES

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Erano feste che si celebravano nell'antica Roma, accompagnate da giuochi pubblici. Il loro nome, derivato dal greco, ricordava le solennità che si celebravano nella Frigia in onore della Grande Madre (μεγάλη μήτηρ), epiteto di Cibele (v.). In Roma ricorrevano nell'anniversario del solenne ingresso della pietra sacra trasportata da Pessinunte nell'anno 204 a. C.

Le feste, in gran parte adattate dalle cerimonie frigie, avevano inizio il 15 marzo con la solenne e caratteristica processione dei portatori di canne (cannophori). Il 22 marzo il collegio dei dendrophori, o portatori dell'albero, trasportava e immetteva con grande pompa nel tempio di Cibele sul Palatino un grosso pino, albero simbolico, particolare del culto di Attis, che, dapprima separato, fu unito a quello di Cibele al tempo dell'imperatore Claudio. Dopo queste cerimonie preliminari, si svolgevano dal 22 al 24 marzo le feste vere e proprie. Il 24 marzo era detto giorno del sangue, perché in esso i Galli, sacerdoti addetti al culto della Magna Mater, durante le danze sacre, nel parossismo dei loro trasporti frenetici, si tagliuzzavano le braccia. Nel seguente giorno, 25 marzo, la festa aveva invece un carattere giocondo, con divertimenti di vario genere, tanto da prendere il nome di Hilaria. Il giorno 29 aveva luogo la cerimonia, verosimilmente d'origine frigia, del bagno della dea nel fiumicello Almone, presso l'Appia. Vi si portava solennemente il simulacro del tempio del Palatino, il cui capo era formato dalla pietra nera, con rilegatura argentea. Una processione scortava il simulacro fino all'Almone, ove lo s'immergeva, dopo di che lo si riportava con lo stesso corteggio al tempio. Il popolo si abbandonava dopo la cerimonia alla gioia più sfrenata, ed era permesso in quel giorno l'uso delle maschere. A questa serie di feste facevano seguito, quale chiusura, i ludi megalesî, dal 4 al 10 aprile. La loro cura era affidata, ai tempi della repubblica, agli edili curuli; Augusto la trasferì al pretore urbano. Le Megalesie restarono fino agli ultimi anni dell'impero.

http://www.treccani.it/enciclopedia/megalesie_%28Enciclopedia-Italiana%29/

 -      186 d.C. Nasce CARACALLA

  Lugdunum (Lione) – Nasce Lucio Settimio Bassiano, figlio di Lucio Settimio Severo, governatore della provincia gallica al tempo della sua nascita, divenuto poi imperatore nel 193 d.C., e della sira Giulia Domna, augusta. Settimio Bassiano diverrà imperatore, succedendo al padre, con il nome di Marco Aurelio Antonino (Caracalla), dal 211 al 217 d.C..

  •             5 aprile

-          FORTUNA PUBBLICA

Sul colle Quirinale si festeggia la dedica al Tempio della Fortuna Pubblica. E’ uno dei tre templi dedicati alla Fortuna che insisteva sul colle oltre  a quello suddetto, tanto che l’area coinvolta era detta “ad tres Fortunas”(alle tre Fortuna). Il Tempio della Fortuna Pubblica era indicato come “citerior”(interno) in quanto in posizione interna rispetto agli altri due.

Una sommaria descrizione del tempio possiamo trovarla in un passo di Vitruvio (III, 2, 2):
"Il tempio sarà "in antis" quando avrà sulla facciata le ante delle pareti che racchiudono la cella, e fra le ante nel centro due colonne e sopra un fastigio messo con quella simmetria che sarà descritta in questo volume. Un suo esemplare poi si troverà presso le Tre Fortune, fra i tre templi quello che è più vicino alla Porta Collina."

Si trattava pertanto di un piccolo tempio che probabilmente venne dedicato prima del I secolo a.C. e che doveva trovarsi, stando alle parole di Cassio Dione (42, 26, 3-4), presso gli Horti di Cesare, poi confluiti negli Horti Sallustiani.

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-     346 d.C. Vulcacio Rufino diviene comes per orientem Aegypti et Mesopotamiae per easdem vice sacra iudicans: imparentato con la dinastia constantiniana, la sua carriera lo vide pontefice massimo, consolare per la Numidia, comes ordinis primi intra consistorium sotto l’imperatore Costante I o suo fratello Costanzo II, comes per orientem Aegypti et Mesopotamiae per easdem vice sacra iudicans dal 5 aprile 342, praefectus praetorio per l’Italia dal 344 al 347 (tra le prefetture di Fulvio Placidio e Ulpio Limenio), console ordinario prior per il 347 con Flavio Eusebio, praefectus praetorio per l’Illyricum tra il 347 e il 352. Mentre era prefetto, fu inviato dall’usurpatore Magnenzio, che aveva spodestato Costante, in una ambasciata presso Costanzo II, assieme a Marcellino, Massimo e Nunechio. Rufino non venne arrestato, a differenza dei suoi compagni, e rimase prefetto dell’Illyricum per Costanzo. Nel 354, dopo la caduta di Magnenzio, fu prefetto in Gallia, risiedendo nella capitale Constantina (Arles), ma fu rimpiazzato da Gaio Ceionio Rufio Volusiano Lampadio, forse in quanto parente di Costanzo Gallo, quando questi cadde in disgrazia presso l’imperatore. Tra il 365 e il 368 fu prefetto del pretorio per l’Italia, la Gallia e l’Africa, succedendo a Claudio Mamertino. Morì in servizio.


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  • 6 APRILE

-           46 a.C. BATTAGLIA DI TAPSO battaglia di Tapso (H e V) e di Pollenzo 402  (S R)

La battaglia di Tapso fu uno scontro militare, avvenuto il 7 febbraio del 46 a.c. (secondo il calendario gregoriano), tra le legioni guidate da Caio Giulio Cesare e le restanti forze a disposizione della Repubblica Romana, dopo la sconfitta a Farsalo e l'uccisione di Pompeo.

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Tapso è annoverata tra i capolavori tattici e strategici di Cesare, poiché i suoi uomini sbaragliarono completamente gli avversari, spianando quindi la strada al proprio comandante, il quale, grazie a questa vittoria, rafforzò la propria posizione politica avvicinandosi ad ottenere un potere assoluto. La successiva fuga dei repubblicani in Iberia porterà allo scontro di Munda, dove furono annientati completamente e dove Cesare ottenne il trionfo totale.

Cesare, sbarcato in Africa, avviò con la parte rivale una serie di scaramucce, per poi dirigersi e mettere sotto assedio la città di Tapso. Dapprima il dictator bloccò l'accesso meridionale alla città ereggendo tre linee fortificate. Ciò era un punto forte della sua tattica: aveva utilizzato le fortificazioni anche ad Alesia contro i galli, a Brindisi, durante l'assedio di Alessandria d'Egitto e infine contro il monarca del Ponto Farnace II a Zela.
Metello Scipione, comandante in capo delle truppe repubblicane, tentò di tagliare ogni via di uscita ai cesariani dividendo le proprie forze (rinforzate anche dalle truppe del re numido Giuba) e attestandole sull'istmo, ove si erano piazzate le legioni di Cesare, sia sull'ulteriore passo che collegava la città alla terraferma, situato a Nord-Ovest dalla posizione cesariana.

Il dictator era completamente accerchiato: ogni possibilità di ritirarsi gli era stata preclusa. Se avesse tentato di sfondare su di un lato sarebbe stato vulnerabile ai fianchi, rischiando quindi di essere sconfitto. Una situazione veramente spinosa.
Quest’ultima si rendeva ancora più grave per il conquistatore delle Gallie per via della sua inferiorità numerica: secondo diverse fonti (le più attendibili sono Plutarco e i Commentarii cesariani), Cesare disponeva di circa 10 legioni; Scipione, invece, aveva sotto il proprio comando almeno 40.000 uomini (ovvero una decina di legioni), delle unità di auxilia, le quali erano composte da elefanti, diverse unità di cavalleria (secondo alcune stime 2500), e infine i soldati numidi di Giuba. Nonostante la posizione sfavorevole e la disparità numerica nei confronti degli avversari, Cesare serbava un asso nella manica: il terreno paludoso di Tapso. Infatti, Scipione e Giuba avevano accerchiato sì Cesare, ingabbiandolo all'interno dei due istmi, ma allo stesso tempo questa mossa si era rivelata per loro come un'arma a doppio taglio, poiché furono costretti a disporre il proprio schieramento su un suolo acquitrinoso e ristretto. Il vantaggio tattico che comportava per Cesare era che il terreno riduceva la forza d'urto della cavalleria e degli elefanti, oltre che della fanteria leggera.
I cesariani quindi scesero in battaglia e si stabilirono adottando la tattica privilegiata dal loro comandante: la fanteria al centro, in modo da sostenere l'urto nemico, la cavalleria, gli arcieri e i frombolieri ai fianchi. Dietro la formazione fu posizionata la V° Legione, addestrata appositamente per combattere gli elefanti. Il vincitore di Farsalo e Alesia si posizionò sul lato destro, come sua abitudine. Secondo Plutarco, Cesare ebbe uno dei suoi attacchi epilettici, che gli impedirono di comandare e combattere durante lo scontro.
Scipione, di contro, schierò gli elefanti di fronte ai legionari avversari, e adottò anche lui lo schema classico romano: cavalleria ai fianchi e fanti al centro.

Secondo le cronache, la battaglia ebbe inizio non con un ordine diretto di Cesare ma per volontà della X° Legione, che si lanciò all'assalto nonostante i continui richiami all'ordine dei loro ufficiali. Cesare diede l'ordine di attaccare dopo la presa d'iniziativa della Decima.

Il primo pericolo immediato per i legionari cesariani era costituito dagli elefanti, che furono prontamente respinti grazie all'intervento della Quinta, la quale riuscì, tramite vari stratagemmi, come quello di lanciare sassi e fare un forte rumore, a spaventare i pachidermi e quindi a far in modo che essi fuggissero. Nella loro fuga travolsero le file dei repubblicani, i quali, assieme ai numidi, finirono in rotta. Cesare aveva vinto anche questa volta, ma la battaglia non era finita.

Nonostante la fuga dei nemici, i soldati cesariani, stanchi della lunga guerra civile e delle campagne guidate dal dictator precedentemente, non obbedirono agli ordini diretti del loro comandante di fermarsi, e quindi continuarono il loro inseguimento: fu una strage, un inaudibile bagno di sangue. Stando ai resoconti dell'epoca, i militi di Scipione subirono circa 10.000 perdite, mentre tra i legionari di Cesare morirono circa 50 uomini. Non fu risparmiato nemmeno chi presentò la resa. Nessun prigioniero.

I sopravvissuti non ebbero vita facile: molti loro comandanti, tra cui lo stesso Scipione e Catone l'Uticense, si suicidarono all'indomani dell'esito della battaglia. Altri, come Tito Labieno e i figli di Gneo Pompeo Magno, organizzarono un'ultima disperata resistenza in Spagna con i reduci della disastrosa “Campagna d'Africa”.

Nel giro di poche settimane, l'intero Nord Africa cadde nelle mani del Dictator, il quale rivolgerà la propria attenzione agli ultimi irriducibili, trionfando.

http://www.difesaonline.it/news-forze-armate/storia/la-battaglia-di-tapso

-          406 d.C.: BATTAGLIA DI POLLENZO

La battaglia fu un tentativo di Stilicone di allontanare i Visigoti di Alarico I dopo i saccheggi nella valle padana e l’assedio di Mediolanum. Stilicone giunse dalla Rezia con rinforzi e dopo aver liberato Mediolanum dall’assedio raggiunse e sconfisse i Visigoti presso Pollentia (nei pressi di Cuneo). Il combattimento fu aperto dalle ali dell’esercito romano, costituito da Alani che attraversarono il Panaro e attaccarono i Visigoti che celebravano la messa. I Visigoti si ripresero dall’attacco ma quando gli Alani iniziarono a ritirarsi Stilicone fece avanza il centro della fanteria romana. Schiacciati contro il monte San Vittore ed impossibilitati a muoversi ben presto i Visigoti soccombettero. Il successivo scontro avvenne l’anno seguente presso Verona.
  •             8 APRILE

- MORTE DI CARACALLA

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Nato a Lugdunum il 4 aprile del 186 d.C.,Caracalla fu ucciso l'8 aprile del 217 (Cassio Dione, 79, 5) mentre preparava una seconda spedizione contro i Parti, nel viaggio tra le città di Carre ed Edessa, per mano della sua stessa scorta armata. Ecco come Elio Sparziano descrive l'uccisione dell'imperatore nella Historia Augusta (Caracalla, 7):

"L'assassinio avvenne esattamente a metà del viaggio tra Carre ed Edessa; Bassiano [Caracalla], che viaggiava in mezzo ai soldati della sua guardia, tutti complici della congiura, era sceso da cavallo per orinare. Stava risalendo in sella quando il suo staffiere, facendo atto di aiutarlo, gli piantò un pugnale nel fianco."


Ad ucciderlo fu Marziale, uno dei suoi pretoriani, sembra come conseguenza di una mancata promozione o per vendicare un fratello ucciso nelle epurazioni dell'imperatore. Mandante dell'omicidio sembra essere stato il prefetto del pretorio Macrino, che diventerà suo successore.

 


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  • 11 APRILE

-          146 d.C.: nasce a Leptis Magna  (odierna Libia) SETTIMIO SEVERO.

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-          217 d.C.:  MACRINO ELETTO IMPERATORE. Nella primavera del 217 Caracalla si trovava nelle province orientali per organizzare una campagna contro i Parthi e Macrinus lo accompagnava come componente dello staff imperiale. Mentre si trovava in visita al tempio della Luna presso il sito della battaglia di Carrhae, accompagnato dalla Guardia Imperiale, Caracalla fu ucciso da Marziale, un soldato secondo alcuni al soldo di Macrino, secondo altri (Erodiano) per vendicare un fratello fatto uccidere dall’Imperatore e infine (Cassio Dione) per vendicare il fatto di non esser stato promosso a centurione. Dopo l’assassinio, quale fosse la causa, Marziale fu ucciso da un arciere. Le truppe offrirono il trono all’altro Prefetto Pretorio, Coclatinio Avvento, che però rifiutò. Dopo tre giorni, visto il rifiuto di Coclatinio, fu offerta la porpora a Macrino che, fingendo dolore per la morte di Caracalla, accettò. Fu il primo imperatore eletto senza esser stato prima membro del Senato. Nominò Cesare su figlio Diadumeniano e si fregiò anche del titolo di Severo ma non avendo alcun legame con la famiglia ciò suscitò la derisione da parte di tutti. Scrisse al Senato, promettendo sottomissione e rispetto.

 

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  •             12 APRILE

CEREALIA /LUDI CERIALES

Festività romana dedicvata a Cerere che iniziava il 12 aprile seguita da giochi che si protraevano fino al giorno 19. Comprendevano, oltra al sacrificio a Cerere di una scrofa, anche delle processioni notturne che si snodavano tra una folla festante che lanciava a piene mani noci e dolci. Quindi nel Circo Massimo seguivano delle corse di cavalli e una caccia alle volpi ricca di significati magici, di fecondazione e di purificazione dei campi.

"Poi i giochi di Cerere: non c'è necessità di dichiararne il motivo, il dono e il merito della dea sono evidenti di per sé. [...] Cerere chiamò per prima gli uomini a cibo migliore e sostituì alla ghianda alimenti più nutritivi. [...] Basta a onorare la dea un'offerta di farro e sale crepitante, e granelli d'incenso sugli antichi focolari; se non c'è incenso, accendete le resinose torce: a Cerere piacciono i doni modesti, ma fatti con cuore puro. [...] Il bue si impieghi nell'aratura; sacrificate la pigra scrofa. [...] Il bianco si addice a Cerere: nelle sue feste vestite abiti bianchi."                                             

Ovidio (Fasti, IV, 393-712)

"Ora devo spiegare perché le volpi, anch'esse lanciate nella corsa, abbiano il dorso avvinto da fiaccole accese. La terra di Carseoli è fredda e non adatta a produrre olive, ma il suolo è ben più propizio alle messi. Passando per di là, mi recavo tra i Peligni, mio paese natale, piccolo, ma sempre fornito di acque perenni. Entrai nella casa di un vecchio che di solito mi ospitava; costui usava narrarmi molte storie e, fra le altre, questa che può venire inserita nella mia presente opera: "in questa pianura una frugale contadina possedeva un piccolo podere con il rozzo marito. Lui lavorava la terra sia con l'aratro, sia usando il sarchio o la falce ricurva. Lei ora spazzava il casale sostenuto da travi, ora metteva le uova da covare sotto le piume della chioccia, oppure raccoglieva verdi malve o bianchi funghi, o con gradita fiamma scaldava l'umile focolare. E tuttavia impegnava le braccia in assidua tessitura di vesti, preparando così le armi contro le minacce del freddo. Aveva un figlio ancora ragazzo e spensierato, che allora raggiungeva l'età di due lustri e due anni. Questo, nella valle alla fine del saliceto, cattura una volpe che aveva rubato molti volatili del loro cortile. Avvolge la prigioniera con stoppa e fieno e le appicca il fuoco: quella fugge dalle mani che la bruciano, e per dove corre incendia i campi già vestiti di messi: il vento dava forza a quelle fiamme rovinose. Il fatto è dimenticato, ma l'ammaestramento resta: una certa legge di Carsoli vieta in questo giorno di nominare la volpe. E perché la specie sconti la pena, nella festa di Cerere si brucia una volpe: a quel modo che fece perire le messi, essa perisce."

Ovidio (Fasti, IV, 681-712)

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“I Cerealia” dipinto di Lawrence Alma-Tadema conservato presso il Getty Center Museum di Los Angeles. 1894.

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-       Nello stesso giorno, il 12 aprile del 46 a.C., a Utica, moriva CATONE L’UTICENSE.

Racconta Plutarco che dopo aver capito che in città molti pensavano di passare dalla parte di Cesare, appena trionfante a Tapso, passò un'intera nottata a leggere il Fedone di Platone, esclamando infine che la virtù non era altro che una parola, trafiggendosi subito dopo con la spada. Ritrovato ancor ancora vivo, venne salvato, ma si riaprì le ferite decidendo di morire.
Dopo la vittoria in Africa Cesare sarebbe poi passato in Spagna dove avrebbe sconfitto, non senza difficoltà, Labieno a Munda, nel 45 a.C. Rientrato a Roma sarà nominato prima dittatore e poi nel febbraio del 44 dittatore a vita.

  • 13 APRILE

Il tempio di Giove Vincitore (Iuppiter Victor) venne costruito dal console Quinto Fabio Massimo Rulliano dopo la battaglia di Sentino (295 a.C.) durante la terza guerra sannitica (Livio, X, 29, 14), contro un esercito nemico formato dalla coalizione di popoli italici (Sanniti, Etruschi, Umbri) e Galli, ottenendo una vittoria che permise ai Romani di unificare la penisola italiana. Localizzato generalmente sul Palatino perché identificato con il tempio di Giove Invictus (il cui giorno di dedica cadeva però il 13 giugno) il tempio di Giove Vincitore doveva invece trovarsi probabilmente sul Quirinale come sembra testimoniare un'iscrizione del III secolo a.C. trovata nell'area del Palazzo del Quirinale (CIL. VI, 30767a).
Per quanto riguarda invece il culto della Libertà sembra che il tempio di cui ricorreva la dedica in questo giorno fosse quello fatto costruire sull'Aventino dal console Tiberio Sempronio Gracco nel 238 a.C. In questo tempio Tiberio Gracco, figlio del console, fece collocare una pittura che celebrava la sua vittoria nella battaglia di Benevento (214 a.C.) durante la seconda guerra punica, come ricorda Livio (24, 16, 19):

"Al suo ritorno in Roma Gracco fece rappresentare quel giorno solenne in una pittura posta nel tempio della Libertà che suo padre aveva fatto costruire e aveva consacrato sull'Aventino, col denaro ricavato dalle ammende."

Secondo alcune ipotesi il tempio della Libertà coincideva con quello di Iuppiter Libertas (Giove Libertà), che compare nella lista dei santuari restaurati da Augusto (Res Gestae, 4, 6).

(Tratto da honosetvirtus.it )

  • 14 APRILE

- BATTAGLIA DI FORUM GALLORUM

- il 14 aprile del 43 a.C. si svolgeva la battaglia di Forum Gallorum (attuale Castelfranco Emilia, presso Modena), tra le forze del Senato, alleato con Ottaviano, e quelle di Marco Antonio.

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Subito dopo la morte di Cesare a Roma scoppiò la guerra civile e il primo atto di questo conflitto interno fu rappresentato dalla guerra di Modena (44-43 a.C.). Motivo scatenante fu la decisione di Marco Antonio di attaccare Decimo Giunio Bruto che rifiutò di cedergli il comando della Gallia Cisalpina. Così iniziò l'assedio di Mutina (Modena), nel dicembre del 44 a.C., città nella quale si era rifugiato Decimo Bruto. Nel frattempo Marco Antonio aveva perso il suo prestigio per l'entrata in scena di Ottaviano, erede di Cesare, e per l'azione politica di Cicerone, ostile al console. Il Senato di Roma riuscì così ad organizzare un esercito da inviare contro Antonio in aiuto di Decimo Bruto, grazie anche alla collaborazione ottenuta da Ottaviano, agli ordini dei consoli del 43 a.C., Aulo Irzio e Vibio Pansa. La prima e decisiva battaglia avvenne il 14 aprile del 43 a.C. nella zona paludosa intorno a Forum Gallorum (odierno Castelfranco Emilia), vicino Modena, che vide contrapporsi le forze di Antonio a quelle del console Vibio Pansa. La battaglia si svolse in mezzo alle paludi, tra soldati che un tempo furono compagni d'armi (vi furono infatti molti passaggi da uno schieramento all'altro nei mesi precedenti), in un'atmosfera quasi irreale che ben descrive Appiano (Guerra civile, III, 68):
"Così spinti da ostilità e ambizione si assalivano a vicenda, considerando questa lotta come un proprio interesse, piuttosto che dei loro generali. Essendo veterani non emettevano grida di battaglia, dal momento che non potevano aspettarsi di terrorizzare l'altro, né nel combattimento emettevano un suono, sia come vincitori sia come vinti. Dato che non potevano essere effettuate né formazioni affiancate né cariche tra le paludi e i fossi, si scontrarono insieme in stretto ordine, e dal momento che nessuno poteva smuovere l'altro si bloccavano insieme con le loro spade come in un incontro di lotta. Nessun colpo mancò il segno. C'erano ferite e colpi mortali, ma nessun grido, solo gemiti; e quando uno cadeva veniva subito portato via e un altro prendeva il suo posto. Non avevano bisogno né di rimproveri né di incoraggiamenti, poiché l'esperienza aveva fatto di ciascuno il proprio generale. Quando venivano sopraffatti dalla fatica si ritraevano a vicenda per una breve pausa per prendere fiato, come nei giochi ginnici, e poi si precipitavano nuovamente nello scontro. Lo stupore si impossessò delle nuove leve reclutate, poiché videro tali azioni compiute con tale precisione e in questo silenzio."
Il console Vibio Pansa stesso venne ferito durante la battaglia che rimase equilibrata anche per l'arrivo delle truppe di Aulo Irzio che raggiunsero lo scenario dello scontro. Senza un preciso vincitore questa battaglia fu comunque decisiva per le sorti della guerra di Modena perché aveva fatto fallire il piano militare di Antonio che, tornato a Modena per l'assedio della città, verrà sconfitto qualche giorno dopo (21 aprile 43 a.C.). Aulo Irzio e Vibio Pansa morirono per le ferite riportate durante questa guerra, lasciando Roma senza consoli. Qualche tempo dopo, questa vittoria delle forze repubblicane del Senato alle quali aveva partecipato anche Ottaviano, venne vanificata dal voltafaccia dello stesso Ottaviano che stipulò il secondo triumvirato proprio con Marco Antonio ed Emilio Lepido (27 novembre 43 a.C.).

(Tratto da honosetvirtus.it )

-          BATTAGLIA DI BEDRIACO

La (prima) Battaglia di Bedriaco fu combattuta il 14 aprile del 69 d.C. nel sito eponimo, nei pressi di Cremona, tra l’esercito di Otone (Legio I Adiutrix e Legio XIII Gemina) e quello di Vitellio (Legio XXI Rapax e Legio V Alaudae), pretendenti al trono dopo la morte di Galba.

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La sconfitta dell’esercito otoniano portò lo stesso Otone a togliersi la vita il 16 aprile seguente, lasciando l’Impero nelle mani di Vitellio.

 

 

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  • 15 APRILE

-      FORDICIDIA

I Fordicidia erano delle festività romane in onore alla dea Tellus, protettrice della fecondità e contro i terremoti, che si celebravano il 15 di aprile, tre giorni dopo la fine delle Idi di aprile. Si offrivano in sacrificio a Tellus delle mucche gravide in ciascuna delle trenta curie In seguito gli embrioni dei vitelli venivano bruciati dalla vestale più anziana (Vestalis Maxima) che ne usava le ceneri per purificare il popolo spargendole sui fuochi dei Palilia (il 21 aprile) mischiate a sangue di cavalli sacrificati e fusti di fave. Questa festa facevano parte del ciclo agrario per ingraziarsi la fecondità della terra, del bestiame e forse anche di quella umana. Il nome Fordicidia derivava “bos forda = vacca gravida".

Fordicidia a fordis bubus: bos forda quae fert in ventre. Quod eo die publice immolantur boves praegnantes in curiis complures, a fordis caedendis Fordicidia dicta. Palilia dicta a Pale, quod ei feriae, ut Cerealia a Cerere.

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Fordicidia deriva da fordae boves - forda bos è la vacca pregna, perché in questo giorno venivano pubblicamente immolate nelle curie. Fordicidia è da fordae e caedere (uccidere). Palilia (festa in onore di Pale) è detta da Pales, così come i Cerealia prendono il nome da Cerere

Varrone, De Lingua Latina lib. IV

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Si trattava certamente di una festa arcaica che affondava le origini nel periodo monarchico.

 

-       68 a.C. Nasce ad Arezzo Gaio Cilnio Mecenate/Gaius Cilnius Maecenas

Discendente di una famiglia patrizia di origine etrusca, La sua vita pubblica si fonda sullo stretto rapporto che lo lega ad Ottaviano, futuro Augusto, per il quale ricoprirà sempre il ruolo di fido consigliere, delegato e ambasciatore per le questioni più delicate.

In particolare, nella primavera del 37 a.C. ottiene un’importante missione: farsi capo di una delegazione diplomatica e incontrarsi a Brindisi con i rappresentanti di Antonio, tentando di smussare gli attriti che erano maturati proprio tra Ottaviano e Antonio in seguito alla rottura del patto che avevano stipulato nel 40. La missione, voluta soprattutto da Ottavia, sorella di Ottaviano e moglie di Antonio, non sortisce gli effetti sperati, ma rappresenta, comunque, un tentativo notevole di riconciliazione; di essa Orazio fornisce una singolare testimonianza nella Satira quinta del libro primo.

L’anno successivo, Ottaviano, impegnato nella guerra contro Sesto Pompeo, gli affida il supremo controllo amministrativo dell’Italia; durante la battaglia di Azio, poi, nominato vicereggente dello stesso Ottaviano, si distingue per la fermezza con cui sventa, in segreto, la congiura ordita da Marco Emilio Lepido il Giovane.

Benché sia stato anche un abile statista, Mecenate è ricordato, soprattutto, come fondatore del circolo culturale ufficiale della corte augustea, nonché come protettore di talenti letterari, che sosteneva sempre con munificenza: il suo circolo annoverava, infatti, poeti quali Virgilio, Properzio, Ovidio e Orazio. Da qui, il termine “mecenatismo”.

Mecenate istituisce questo circolo perché intimamente convinto del fatto che la poesia non sia una mera vanità, ma uno strumento efficace per esaltare il principato augusteo e promuovere al suo interno un nuovo ordine ispirato ai principi del bene e della giustizia.

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Egli ha saputo stabilire con il Principe e con tutti i suoi protetti un rapporto di sincera benevolenza, ma è con Orazio, in particolare, che intesse un’amicizia assolutamente unica, basata sull’affetto, il rispetto e la dedizione reciproca. I due si conoscono per intercessione di Virgilio; da subito Mecenate capisce il valore artistico e umano del poeta e, sostenendolo con appoggi finanziari e l’elargizione di una villa con podere in Sabina, gli permette di comporre le sue Odi.

( https://www.archart.it/gaio-cilnio-mecenate.html )

 

Ciao

Illyricum

;)

Modificato da Illyricum65
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