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Carlo VIII Napoli


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Il  Fusco l'attribuisce alla zecca di Reggio Calabria, pur non avendo ritrovato  alcun documento che testimoniasse l'esistenza di una zecca funzionante nella città nel periodo aragonese.

L'attribuzione del Cavallo a Reggio Calabria fu fatta sulla base di un duplice motivo:

- La similitudine ad altro Cavallo, questa volta attribuito a Cosenza ( sempre da attribuire a Napoli e classificata MIR 99/2)

https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-CVIII/4

- Al fatto che Reggio Calabria si schierò a favore di  Carlo VIII, contro gli Aragonesi che la dovettero riconquistare con le armi.

 Fusco attribuiva alla zecca di Reggio Calabria anche un rarissimo mezzo  carlino emesso da Ferdinando d'Aragona con legenda IVSTICIA E FORTITVDO MEA. in quanto presentava caratteri franco gallici, in luogo di quelli latini.

https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-FIAR/14

Fu lo studioso Michele Pannuti che, con una articolo intitolato "Due monete aragonesi da restituire alla zecca di Napoli",, pur non parlando mai  del cavallo di Carlo VIII, nega l'esistenza di una zecca a Reggio Calabria, città che, da sempre, aveva avuto simpatie per glI Angioini,  non essendosi mai ritrovati documenti ( fatto confermato dallo stesso Fusco un secolo prima) con cui gli Aragonesi attribuissero alla città il privilegio di battere moneta.

In tal modo Pannuti restituì alla zecca di Napoli le due monete, in passato, attribuite alla zecca di Reggio Calabria: il mezzo carlino di Ferdinando I D'aragona ed il Cavallo di Carlo VIII.

Il Cavallo di Carlo VIII, pertanto, è una moneta del popolo che ha una lunga e bella storia da raccontare.

Saluti Eliodoro

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Anche Mario Rasile nel suo “ I Cavalli delle zecche Napoletane nel periodo Aragonese”del 1980,descrive in maniera inequivocabile la storia di questa “svista”.

Nel post precedente la scansione della pagina .

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Buonasera stavo leggendo questa discussione sulla zecca di Reggio Calabria ho trovato questo appunto non so se può essere d'aiuto. Nel 1038, posta di nuovo al centro degli eventi, Reggio coniò per finanziare l’impresa di Giorgio Maniace, che tentò di riconquistare la Sicilia dalle mani dei Saraceni. Pochi anni dopo, persa la libertà con i padroni normanni, la zecca reggina continuò a battere moneta divisionale, anche se non in quantità elevata. I secoli successivi segnarono il dominio sterile di Svevi e Angioini, che spogliarono la città gradualmente, fino a impoverirla del tutto, ma ci fu ancora il tempo per un’ultima coniazione, quando i maggiorenti reggini chiesero al Re di Napoli, Ferrante d’Aragona, di inviare a Reggio il figlio Alfonso, al fine di soggiogare le Motte ribelli intorno alla città. Il Re chiese allora il pagamento delle spese di guerra, che vennero affrontate dai Reggini nello sforzo di chiudere decenni di lotte intestine contro i feudatari circostanti.
 

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In Nomisma - Reggio e le sue monete, a cura di C. Malacrino e D. Castrizio, a p. 85 si legge, facendo riferimento al raro mezzo carlino battuto a nome di Ferdinando I d'Aragona: "Tutti i nominali in argento appena citati presentano al dritto il ritratto del sovrano ed al rovescio le armi di Napoli e di Aragona. Solo il mezzo carlino riporta, in luogo delle armi di Napoli, la croce di Calabria. Per tali motivi alcuni studiosi hanno pensato di attribuire la moneta ad una ipotetica zecca aragonese di Reggio. Le caratteristiche stilistiche dei mezzi carlini, molto rari, sembrano in effetti differenti da quelle dei nominai usciti dalla zecca napoletana, ma l'attribuzione ad una zecca reggina, di cui peraltro non abbiamo notizia, è da considerare solo un'ipotesi".

Di seguito la moneta citata (NAC 32, lotto 79)

279927.jpg

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17 ore fa, paoloilmarinaio dice:

Buonasera stavo leggendo questa discussione sulla zecca di Reggio Calabria ho trovato questo appunto non so se può essere d'aiuto. Nel 1038, posta di nuovo al centro degli eventi, Reggio coniò per finanziare l’impresa di Giorgio Maniace, che tentò di riconquistare la Sicilia dalle mani dei Saraceni. Pochi anni dopo, persa la libertà con i padroni normanni, la zecca reggina continuò a battere moneta divisionale, anche se non in quantità elevata. I secoli successivi segnarono il dominio sterile di Svevi e Angioini, che spogliarono la città gradualmente, fino a impoverirla del tutto, ma ci fu ancora il tempo per un’ultima coniazione, quando i maggiorenti reggini chiesero al Re di Napoli, Ferrante d’Aragona, di inviare a Reggio il figlio Alfonso, al fine di soggiogare le Motte ribelli intorno alla città. Il Re chiese allora il pagamento delle spese di guerra, che vennero affrontate dai Reggini nello sforzo di chiudere decenni di lotte intestine contro i feudatari circostanti.
 

Ciao, se non ricordo male, il testo da te citato dovrebbe essere quello relativo alla presentazione della mostra che si è  tenuta alcuni anni ifa a Reggio Calabria relativa alle monete ivi coniate nel corso dei secoli.

Modificato da eliodoro
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Aggiungo un'altro testo del prof.Castrizio

182017

STORIA DI REGGIO: LA RIUNIFICAZIONE DEL MERIDIONE: IL REGNO DELLE DUE SICILIE E IL SISTEMA MONETARIO

Prima di designare come proprio erede al trono di Napoli Renato, la regina Giovanna II aveva chiesto aiuto contro Luigi III, nel 1420, ad Alfonso d’Aragona. Alfonso fu poi allontanato quando la regina si riavvicinò a Luigi III e nuovamente reintegrato come erede nel 1433.

Nel 1435, alla morte della sovrana, Alfonso cercò di impadronirsi del Regno, ma la sua marcia fu bloccata dalla disastrosa sconfitta che subì a Ponza, dove la sua flotta fu quasi completamente distrutta: dopo poco, Renato entrava a Napoli. Alfonso, tuttavia, seppe sfruttare al meglio la situazione, e grazie anche all’alleanza con Filippo Maria Visconti, duca di Milano, riprese la sua lotta per impadronirsi del trono di Napoli. La vittoria, infine, gli arrise nel 1442, quando Napoli cadde dopo che Renato aveva abbandonato la città: avveniva così l’unione tra il Regno di Napoli e quello di Sicilia (di Trinacria), tanto che l’anno seguente il papa Eugenio IV riconobbe Alfonso re Utriusque Siciliae. Alfonso, soprannominato ‘il magnanimo’ già in vita, fu un patrono delle arti e della letteratura, precorrendo la figura del sovrano rinascimentale.

La sua monetazione è molto varia, poiché il sovrano non fece alcun tentativo di unificare il sistema monetario siciliano con quello del Regno di Napoli. Ma mentre la monetazione siciliana perpetua i due nominali tradizionali (pierreale e denaro), quella napoletana è ricca di novità. L’oro fu reintrodotto, con la coniazione degli alfonsini, larghe monete che mostrano da un lato il sovrano al galoppo e dall’altro le armi inquartate di Napoli e di Aragona. Le stesse armi inquartate figurano nei carlini d’argento, dove sostituiscono il giglio angioino; in argento venne coniata una nuova moneta, il reale, del valore di ¾ di carlino, che mostra, oltre alle armi consuete in tutta la monetazione napoletana di Alfonso, il ritratto del sovrano. Alfonso continuò a coniare denari di mistura molto bassa, con impronte simili a quelle del reale. Alla morte di Alfonso nel 1458, il Meridione continentale e la Sicilia si separarono nuovamente, poiché, mentre la Sicilia e gli altri domini della corona aragonese andavano al fratello di Alfonso e suo erede naturale Giovanni, e poi al figlio di quest’ultimo, Ferdinando il Cattolico, il Regno di Napoli andava a Ferrante, suo figlio illegittimo. Ferrante regnò per quasi tutta la seconda metà del XV secolo, e i suoi eredi regnarono per pochi anni prima che il Regno di Napoli si unisse nuovamente alla Sicilia, all’inizio del Cinquecento, essendo conquistato da Ferdinando il Cattolico. La monetazione di Ferdinando è estremamente complessa, sia perché continua la tendenza, già presente nel regno di Alfonso, di moltiplicare i nominali in ogni metallo, sia per le numerose riforme che subì nel corso di un così lungo regno. In una prima fase Ferrante coniò il ducato in oro; in argento, non soltanto il carlino ma anche il suo doppio, la sua metà ed il suo quarto; infine, il denaro di mistura. Tutte queste monete presentano al diritto il ritratto del sovrano (di profilo o in trono) ed al rovescio le armi inquartate di Napoli e di Aragona. L’unico nominale a riportare, al posto delle armi di Aragona, la croce di Calabria, è il mezzo carlino. Questo ha portato alcuni studiosi, primo dei quali Fusco, ad attribuire la moneta a Reggio Calabria. Tale attribuzione è stata contestata da Pannuti, che attribuisce la moneta a Napoli, seguito da Travaini.

Dopo pochi anni di regno, Ferrante aumentò il peso della moneta argentea, riportandola a quello del vecchio gigliato: da una libbra di metallo si dovevano così ricavare non più 88 monete ma soltanto 80. Tali monete recano, al diritto, la rappresentazione dell’incoronazione del sovrano avvenuta a Bari nel 1459, ed al rovescio una grande croce di Calabria ad occupare tutto il campo.

A causa della scena che occupa il diritto, tale moneta fu chiamata ‘coronato’. Una terza fase della monetazione di Ferrante si può individuare a partire dal 1472, quando venne abolito il denaro di mistura, sostituito col cavallo di puro rame, così chiamato in ragione dell’animale che occupa il rovescio. L’ultima fase della monetazione napoletana sotto Ferrante coincide con la sostituzione della croce di Calabria dei coronati con la raffigurazione dell’Arcangelo Michele che trafigge un drago, e con il nome del sovrano che, sui vari nominali, non appare più come Ferdinandus ma come Ferrandus. Le coniazioni dei successori di Ferrante seguono sostanzialmente il sistema messo in piedi dal sovrano, con emissioni di ducati, coronati e loro frazioni, e cavalli, con iconografie monetali spesso mutate.

La circolazione della Calabria meridionale nella seconda metà del XV secolo è ancora da studiare nei dettagli. Se, con la separazione di Reggio dalla Sicilia seguita alla morte di Alfonso, la città e il suo territorio avrebbero dovuto utilizzare moneta napoletana, questa non è attestata nei ritrovamenti dal territorio pubblicati. Anzi, analizzando i due ripostigli di Calamizzi, occultati negli anni Sessanta del XV secolo, sembra che Reggio abbia utilizzato moneta siciliana; nella stessa direzione vanno le informazioni ricavabili dai ritrovamenti di privati sul territorio. Malgrado il Meridione continentale e quello insulare fossero in mano a due diversi sovrani, questi appartenevano entrambi alla casa d’Aragona, per cui Reggio, città di frontiera tra i due regni, non ebbe difficoltà a restare nell’orbita della sua area di circolazione tradizionale, ancorata alla Sicilia orientale, perlomeno relativamente alla monetazione di minor valore. Nella seconda metà del secolo la maggior parte delle monete divisionali in circolazione nel Reggino erano quindi quelle coniate da Giovanni II e poi da Ferdinando il Cattolico per la Sicilia. Relativamente al primo, forse non si tratta dei reali d’oro o dei pierreali d’argento (e della loro metà e quinta parte), ma certamente dei denari in mistura.

Nel 1479 Ferdinando diventa re di Sicilia, succedendo a Giovanni, e nel 1503 conquista Napoli: i due Regni sono nuovamente uniti sotto un unico sovrano. Egli governò in maniera spregiudicata, con provvedimenti che non incontrarono il favore del popolo: fu introdotta nel Regno l’Inquisizione e le tasse furono aumentate pesantemente, spesso per finanziare operazioni, come la conquista di Granada, che nessun interesse avevano per i sudditi italiani. La monetazione di Ferdinando rimase distinta per i possessi continentali e per quelli insulari, ed in questi ultimi è resa complessa dalle numerose modifiche introdotte. A Napoli si coniarono ducati d’oro, carlini d’argento e sestini in rame, ma non conosciamo con precisione la circolazione reggina durante il regno di Ferdinando il Cattolico, per cui non sappiamo se tale monetazione sia stata in uso a Reggio e nella Calabria meridionale limitatamente ai nominali di maggior valore, come potremmo ipotizzare se confrontiamo la situazione con quanto emerso relativamente all’epoca di Ferrante, o in misura differente; né se dalla zecca di Messina provenissero soltanto i divisionali o anche le monete di maggior valore prodotte per la Sicilia. La monetazione prodotta per la circolazione siciliana consisteva, prima del 1490, solo di un raro denaro in mistura. Le emissioni successive si possono dividere in tre fasi. La prima di esse vide la coniazione del trionfo d’oro, prima moneta aurea siciliana ad essere allineata, per peso e purezza, al ducato veneziano, che raffigura Ferdinando in trono e un’aquila simile a quella dei pierreali; ed il suo doppio, col ritratto del sovrano di profilo; in argento venne coniata l’aquila o tarì, che manteneva le stesse caratteristiche del pierreale, e la sua metà: queste monete, in luogo della raffigurazione del re, presentano le armi di Castiglia/Leon inquartate con quelle di Aragona/Sicilia.

La seconda fase delle coniazioni siciliane, probabilmente iniziata contemporaneamente a quelle napoletane, vide l’introduzione del ritratto del sovrano su tutti i nominali e la coniazione di ‘doppie aquile’in argento. L’ultima fase della monetazione siciliana, prodotta negli ultimi anni di vita di Ferdinando, vide la coniazione di esemplari in argento chiamati tradizionalmente tarì: l’unità ed il suo doppio, assieme alla metà ed al quarto, con l’utilizzo delle consuete tipologie: busto di profilo, aquila siciliana e stemma d’Aragona; venne inoltre coniato un picciolo (denaro) in rame o bassa mistura.

Tratto da “La zecca di Reggio attraverso i secoli” a cura del professore Daniele Castrizio

 
 

 

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12 minuti fa, paoloilmarinaio dice:

Aggiungo un'altro testo del prof.Castrizio

182017

STORIA DI REGGIO: LA RIUNIFICAZIONE DEL MERIDIONE: IL REGNO DELLE DUE SICILIE E IL SISTEMA MONETARIO

Prima di designare come proprio erede al trono di Napoli Renato, la regina Giovanna II aveva chiesto aiuto contro Luigi III, nel 1420, ad Alfonso d’Aragona. Alfonso fu poi allontanato quando la regina si riavvicinò a Luigi III e nuovamente reintegrato come erede nel 1433.

Nel 1435, alla morte della sovrana, Alfonso cercò di impadronirsi del Regno, ma la sua marcia fu bloccata dalla disastrosa sconfitta che subì a Ponza, dove la sua flotta fu quasi completamente distrutta: dopo poco, Renato entrava a Napoli. Alfonso, tuttavia, seppe sfruttare al meglio la situazione, e grazie anche all’alleanza con Filippo Maria Visconti, duca di Milano, riprese la sua lotta per impadronirsi del trono di Napoli. La vittoria, infine, gli arrise nel 1442, quando Napoli cadde dopo che Renato aveva abbandonato la città: avveniva così l’unione tra il Regno di Napoli e quello di Sicilia (di Trinacria), tanto che l’anno seguente il papa Eugenio IV riconobbe Alfonso re Utriusque Siciliae. Alfonso, soprannominato ‘il magnanimo’ già in vita, fu un patrono delle arti e della letteratura, precorrendo la figura del sovrano rinascimentale.

La sua monetazione è molto varia, poiché il sovrano non fece alcun tentativo di unificare il sistema monetario siciliano con quello del Regno di Napoli. Ma mentre la monetazione siciliana perpetua i due nominali tradizionali (pierreale e denaro), quella napoletana è ricca di novità. L’oro fu reintrodotto, con la coniazione degli alfonsini, larghe monete che mostrano da un lato il sovrano al galoppo e dall’altro le armi inquartate di Napoli e di Aragona. Le stesse armi inquartate figurano nei carlini d’argento, dove sostituiscono il giglio angioino; in argento venne coniata una nuova moneta, il reale, del valore di ¾ di carlino, che mostra, oltre alle armi consuete in tutta la monetazione napoletana di Alfonso, il ritratto del sovrano. Alfonso continuò a coniare denari di mistura molto bassa, con impronte simili a quelle del reale. Alla morte di Alfonso nel 1458, il Meridione continentale e la Sicilia si separarono nuovamente, poiché, mentre la Sicilia e gli altri domini della corona aragonese andavano al fratello di Alfonso e suo erede naturale Giovanni, e poi al figlio di quest’ultimo, Ferdinando il Cattolico, il Regno di Napoli andava a Ferrante, suo figlio illegittimo. Ferrante regnò per quasi tutta la seconda metà del XV secolo, e i suoi eredi regnarono per pochi anni prima che il Regno di Napoli si unisse nuovamente alla Sicilia, all’inizio del Cinquecento, essendo conquistato da Ferdinando il Cattolico. La monetazione di Ferdinando è estremamente complessa, sia perché continua la tendenza, già presente nel regno di Alfonso, di moltiplicare i nominali in ogni metallo, sia per le numerose riforme che subì nel corso di un così lungo regno. In una prima fase Ferrante coniò il ducato in oro; in argento, non soltanto il carlino ma anche il suo doppio, la sua metà ed il suo quarto; infine, il denaro di mistura. Tutte queste monete presentano al diritto il ritratto del sovrano (di profilo o in trono) ed al rovescio le armi inquartate di Napoli e di Aragona. L’unico nominale a riportare, al posto delle armi di Aragona, la croce di Calabria, è il mezzo carlino. Questo ha portato alcuni studiosi, primo dei quali Fusco, ad attribuire la moneta a Reggio Calabria. Tale attribuzione è stata contestata da Pannuti, che attribuisce la moneta a Napoli, seguito da Travaini.

Dopo pochi anni di regno, Ferrante aumentò il peso della moneta argentea, riportandola a quello del vecchio gigliato: da una libbra di metallo si dovevano così ricavare non più 88 monete ma soltanto 80. Tali monete recano, al diritto, la rappresentazione dell’incoronazione del sovrano avvenuta a Bari nel 1459, ed al rovescio una grande croce di Calabria ad occupare tutto il campo.

A causa della scena che occupa il diritto, tale moneta fu chiamata ‘coronato’. Una terza fase della monetazione di Ferrante si può individuare a partire dal 1472, quando venne abolito il denaro di mistura, sostituito col cavallo di puro rame, così chiamato in ragione dell’animale che occupa il rovescio. L’ultima fase della monetazione napoletana sotto Ferrante coincide con la sostituzione della croce di Calabria dei coronati con la raffigurazione dell’Arcangelo Michele che trafigge un drago, e con il nome del sovrano che, sui vari nominali, non appare più come Ferdinandus ma come Ferrandus. Le coniazioni dei successori di Ferrante seguono sostanzialmente il sistema messo in piedi dal sovrano, con emissioni di ducati, coronati e loro frazioni, e cavalli, con iconografie monetali spesso mutate.

La circolazione della Calabria meridionale nella seconda metà del XV secolo è ancora da studiare nei dettagli. Se, con la separazione di Reggio dalla Sicilia seguita alla morte di Alfonso, la città e il suo territorio avrebbero dovuto utilizzare moneta napoletana, questa non è attestata nei ritrovamenti dal territorio pubblicati. Anzi, analizzando i due ripostigli di Calamizzi, occultati negli anni Sessanta del XV secolo, sembra che Reggio abbia utilizzato moneta siciliana; nella stessa direzione vanno le informazioni ricavabili dai ritrovamenti di privati sul territorio. Malgrado il Meridione continentale e quello insulare fossero in mano a due diversi sovrani, questi appartenevano entrambi alla casa d’Aragona, per cui Reggio, città di frontiera tra i due regni, non ebbe difficoltà a restare nell’orbita della sua area di circolazione tradizionale, ancorata alla Sicilia orientale, perlomeno relativamente alla monetazione di minor valore. Nella seconda metà del secolo la maggior parte delle monete divisionali in circolazione nel Reggino erano quindi quelle coniate da Giovanni II e poi da Ferdinando il Cattolico per la Sicilia. Relativamente al primo, forse non si tratta dei reali d’oro o dei pierreali d’argento (e della loro metà e quinta parte), ma certamente dei denari in mistura.

Nel 1479 Ferdinando diventa re di Sicilia, succedendo a Giovanni, e nel 1503 conquista Napoli: i due Regni sono nuovamente uniti sotto un unico sovrano. Egli governò in maniera spregiudicata, con provvedimenti che non incontrarono il favore del popolo: fu introdotta nel Regno l’Inquisizione e le tasse furono aumentate pesantemente, spesso per finanziare operazioni, come la conquista di Granada, che nessun interesse avevano per i sudditi italiani. La monetazione di Ferdinando rimase distinta per i possessi continentali e per quelli insulari, ed in questi ultimi è resa complessa dalle numerose modifiche introdotte. A Napoli si coniarono ducati d’oro, carlini d’argento e sestini in rame, ma non conosciamo con precisione la circolazione reggina durante il regno di Ferdinando il Cattolico, per cui non sappiamo se tale monetazione sia stata in uso a Reggio e nella Calabria meridionale limitatamente ai nominali di maggior valore, come potremmo ipotizzare se confrontiamo la situazione con quanto emerso relativamente all’epoca di Ferrante, o in misura differente; né se dalla zecca di Messina provenissero soltanto i divisionali o anche le monete di maggior valore prodotte per la Sicilia. La monetazione prodotta per la circolazione siciliana consisteva, prima del 1490, solo di un raro denaro in mistura. Le emissioni successive si possono dividere in tre fasi. La prima di esse vide la coniazione del trionfo d’oro, prima moneta aurea siciliana ad essere allineata, per peso e purezza, al ducato veneziano, che raffigura Ferdinando in trono e un’aquila simile a quella dei pierreali; ed il suo doppio, col ritratto del sovrano di profilo; in argento venne coniata l’aquila o tarì, che manteneva le stesse caratteristiche del pierreale, e la sua metà: queste monete, in luogo della raffigurazione del re, presentano le armi di Castiglia/Leon inquartate con quelle di Aragona/Sicilia.

La seconda fase delle coniazioni siciliane, probabilmente iniziata contemporaneamente a quelle napoletane, vide l’introduzione del ritratto del sovrano su tutti i nominali e la coniazione di ‘doppie aquile’in argento. L’ultima fase della monetazione siciliana, prodotta negli ultimi anni di vita di Ferdinando, vide la coniazione di esemplari in argento chiamati tradizionalmente tarì: l’unità ed il suo doppio, assieme alla metà ed al quarto, con l’utilizzo delle consuete tipologie: busto di profilo, aquila siciliana e stemma d’Aragona; venne inoltre coniato un picciolo (denaro) in rame o bassa mistura.

Tratto da “La zecca di Reggio attraverso i secoli” a cura del professore Daniele Castrizio

 
 

 

Molto interessante la previsione della circolazione della monetazione siciliana a Reggio.

Modificato da eliodoro
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Nelle zone di confine del regno di Napoli circolavano regolarmente monete delle terre vicine.lo stesso accadeva in Abruzzo dove, in epoca angioina, venivano emessi Bolognini e quattrini. Sui ritrovamenti in Abruzzo, c'è un meraviglioso studio di @adolfos  ed Achille Giuliani pubblicato su monete antiche. La presenza di zecche in tutto il regno, fino a Carlo V serviva proprio ad aumentare la quantità di monete in circolazione, nelle zone lontane dalla capitale

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Metto un po' di pepe alla discussione postando un documento. Si tratta dell'autorizzazione del vicerè Giovanni della Nuca, datata 30 maggio 1495, in cui si autorizza la zecca di Messina a battere monete con i conii napoletani per favorire Ferdinando II d'Aragona (fuggito da Napoli)  nella lotta proprio contro Carlo VIII. Nel documento si legge che eventualmente si poteva coniare queste monete anche nella città di Reggio o in qualsiasi altro luogo del Regno. Il documento è tratto da C. Trasselli "Note per la storia dei Banchi in Sicilia nel XV secolo - Parte I" Palermo 1959, p. 169. 

L. Travaini e G. Ruotolo alla voce la zecca di Reggio Calabria in "Le zecche italiane fino all'Unità" riportando un passo di questo documento affermano, giustamente a mio avviso, che queste monete non sono identificabili e che non è certo che tale coniazione sia avvenuta.

Però una cosa appare certa. Reggio Calabria alla data del documento era nella disponibilità di Ferdinando II d'Aragona o comunque non assoggettata a Carlo VIII. Ma allora esisteva una zecca a Reggio??? 

 

IMG_20181208_161040.jpg

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Quindi, a Reggio non poteva coniare Carlo VIII, per cui è da escludersi l'attribuzione del cavallo della discussione alla città di Reggio. allo stesso tempo, nel 1495 poteva esistere una zecca a Reggio che coniasse per Ferrandino?

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1 minuto fa, eliodoro dice:

allo stesso tempo, nel 1495 poteva esistere una zecca a Reggio che coniasse per Ferrandino?

Ai posteri l'ardua sentenza... Non vi è prova. Esiste il documento ma magari le monete sono state battute a Messina o magari non sono mai state battute... 

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