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Gettoni, buoni e simili emessi da enti locali (comune, regione).


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Inizio con il mio gettone dedicato ad Antonio Ligabue, emesso dal Comune di Milano nel 1980.

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Sul diritto il busto di tre quarti a destra del pittore naif con nome e cognome in alto e, in basso, città e data di nascita e data e località (comune in provincia di Reggio Emilia) della morte. Sotto il nome dell’incisore (VALLUCCI INC.).

Sul rovescio il nome del comune, lo stemma comunale coronato tra due rami di quercia, la data e il controvalore di Lire 20.000. Nel campo la sigla dell’argentiere a sinistra e il titolo dell’argento a destra.

Argento 986/1000: 12,3 g, 30 mm.

Contorno liscio. Allineamento a moneta ↑↓

 

Il gettone, già schedato sul forum e descritto in altre discussioni, è servito da modello per l’emissione del Comune di Bordighera nel 1981 e del Museo Villa Ciani di Lugano nella stessa data.

 

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Allo stesso gettone è ispirata l’emissione della Sicilia nel 1984 come buono del valore di L. 30.000.

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Lega in metallo bianco: 10,2 g, 28 mm.

Contorno liscio. Allineamento a moneta ↑↓

 

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Sul gettone la versione della triscele, lo storico simbolo della Sicilia chiamata anche trinacria, è quella della testa di una donna dalla quale spuntano delle ali che simboleggiano il trascorrere del tempo, contornata da serpenti per indicare la saggezza.

In seguito i serpenti furono sostituiti dai Romani con spighe di grano, sia come simbolo di fertilità della terra dell’isola sia perché la Sicilia fu la prima provincia e ‘granaio’ di Roma.

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Stemma della Regione Siciliana

 

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Si dice ‘la triscele’ o ‘il triscele’? Il dubbio sul genere che la nostra lingua attribuisce al simbolo della Regione Siciliana sorge dal fatto che, pur prevalendo negli scritti il genere femminile, in alcuni articoli o recensioni ‘triscele’ è considerato di genere maschile.

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Da https://tanogabo.com/il-triscele-della-sicilia-un-simbolo-che-viene-da-lontano/

Personalmente penso che, in questo come in altri casi, per sciogliere il dubbio sia opportuno fare riferimento agli ‘addetti ai lavori’, cioè ai linguisti.

La pagina di Wikipedia che si apre mettendo ‘triscele’ in Google, all’inizio della prima riga indirizza al rif. [4]^ Bruno Migliorini et al., Scheda sul lemma "Triscele", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, 2007, ISBN 978-88-397-1478-7. Bruno Migliorini , noto per aver realizzato la prima storia scientifica della lingua italiana e per essere stato per vari anni presidente dell'Accademia della Crusca, attribuisce al lemma il genere femminile.

A lui si allinea Aldo Gabrielli nel Grande Dizionario Italiano edito dalla Hoepli, nella versione online

http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/T/triscele.aspx?query=triscele

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Quindi sostantivo femminile, che al plurale fa “trìsceli” con l’accento sulla prima “i”.

L’accordo tra i due emeriti linguisti (che in alcuni casi manca!) sul genere femminile è ribadito dal Vocabolario on line dalla Treccani

http://www.treccani.it/vocabolario/triscele/

 

Ritengo quindi ci siano dei motivi più che validi per considerare il lemma “trìscele” di genere femminile. Può darsi che chi lo considera di genere maschile abbia pure dei validi motivi che giustifichino la sua scelta, a meno che non lo faccia per gusto o convinzione personale.

 

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La trìscele è una raffigurazione di un essere con tre gambe, più generalmente tre spirali intrecciate, o per estensione qualsiasi altro simbolo con tre protuberanze e una triplice simmetria rotazionale. La figura dà il nome anche al simbolo. La storia dell'antica Triquetra è articolata e complessa e per alcuni versi ancora avvolta nel mistero poiché si ricollega alla mitologia. Secondo alcuni studiosi si tratta di un simbolo indoario, secondo altri celtico.

La triscele, già diffusa sulle monete di paesi orientali dell'antica Grecia, apparve per la prima volta anche in Sicilia sulla monetazione siracusana del III secolo a. C. Il simbolo trovò particolare fortuna sotto il periodo di Agatocle,il quale fece coniare monete con la triscele anche nei territori italioti posti sotto la sua influenza politica.

Ma la triscele ha origini figurative ancor più remote sul territorio siciliano. Essa venne infatti ritrovata su della ceramica di produzione gelese, con caratteristiche prettamente locali, risalente a VII-VI sec. a. C. Dal ritrovamento (triscele in terracotta conservata al Museo Archeologico di Agrigento) sarebbe da accreditare l’ipotesi dell’origine minoica delle prime civiltà sull’isola, in quanto nella civiltà minoica (2000 a. C.) questo simbolo esprimeva il movimento delle tre gambe, ovvero Cosmo, Vita e Divenire. Ciò spiega che la triscele non ha origini prettamente siciliane ma, in maniera più generale, mediterranee e quindi niente ha a che vedere con la forma triangolare dell’isola. Tuttavia, con il passare dei secoli, la triscele è diventata il simbolo che più rappresenta la Sicilia, tanto da metterlo sulla bandiera della Regione. 

L’ipotesi più accreditata confermerebbe le origini micenee della Sicilia, dato che le prove della frequentazione cretese sull’isola sono ormai riconosciute e parrebbero confermare le notizie riportate da Omero. Secondo il mito, infatti, Minosse partì da Cnosso per sbarcare in Sicilia, all'inseguimento del fuggiasco Dedalo. Le vicende che determinarono la fuga e l’inseguimento sono oggetto del mito connesso al Labirinto di Cnosso di cui dirò in seguito.

 

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Triscele in terracotta ritrovata a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, e conservata nel Museo Archeologico di Agrigento, dalla quale sarebbe da accreditare l’ipotesi dell’origine minoica delle prime civiltà in Sicilia.

Qui la storia si collega col mito dello sbarco di Minosse sull’Isola, all'inseguimento del fuggiasco Dedalo per vendicarsi dell’aiuto che l’artista aveva sicuramente dato a Teseo per uccidere il Minotauro e uscire poi dal labirinto. Questo dopo che Dedalo, condannato a restare chiuso nel labirinto con il figlioletto Icaro, riuscì ad evadere in volo con lui grazie a due paia d’ali attaccate alle spalle con della cera. E’ noto che durante il volo Icaro, disubbidendo al padre, si avvicinò troppo ai raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero precipitare nel mare dove morì.

Quando a Cnosso giunse notizia della tragica fine di Icaro, ma che Dedalo era vivo e aveva trovato rifugio da qualche parte, Minosse, che non aveva rinunciato a riacciuffare il fuggitivo dal labirinto, escogitò per rintracciarlo questo piano. Allestì una grande flotta con la quale lo cercava ad ogni approdo, portando con sé una conchiglia e un filo di lino e promettendo una grossa ricompensa a chiunque avesse trovato il modo di far passare il filo da un capo all’altro della conchiglia, attraverso le sue spirali. Minosse sapeva che solo la genialità di Dedalo avrebbe potuto risolvere questo problema. Infatti, quando Minosse giunse a Camico, antica città nei dintorni di Agrigento, e offrì la conchiglia a Cocalo proponendogli di tentare la prova, e Cocalo la passò a Dedalo, questi scoprì subito come fare praticando nella conchiglia un forellino, legando il filo di lino a una formica e facendola entrare da lì dopo aver unto il forellino con del miele. La formica uscì dall’altro capo della conchiglia dopo aver tirato il filo lungo tutta la spirale della conchiglia stessa.

Cocalo portò la conchiglia attraversata da un capo all’altro dal filo a Minosse chiedendo la ricompensa promessa, ma questi, certo d’aver trovato finalmente il nascondiglio di Dedalo, ordinò che gli fosse consegnato. Però Cocalo non volle privarsi del suo ingegnoso ospite e decise di uccidere il re per salvare Dedalo. Vi riuscì con l’aiuto delle figlie che, dopo aver convinto Minosse a prendere un bagno in una delle maestose vasche (costruite da Dedalo) della reggia che sarebbe servito a dargli l’eterna giovinezza, versarono acqua bollente nella vasca, uccidendolo. Le giovani principesse giustificarono poi la morte di Minosse attribuendola alla sua distrazione, facendo credere che fosse caduto in una calderone d’acqua bollente dopo esser inciampato in un tappeto.

Il cadavere di Minosse venne restituito ai suoi compagni che lo seppellirono a Camico con un grande rito, in una tomba che occupava il centro del tempio di Afrodite. Infatti Minosse fu onorato per molte generazioni da una folla di Siciliani che giungevano qui per rendere omaggio ad Afrodite, finchè le sue ossa non furono restituite a Creta da Terone, tiranno di Agrigento.

 

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Medaglia per il bimillenario di Publio Virgilio Marone emessa dall’ex Comune di Virgilio (MN), in quanto soppresso il 4 febbraio 2014 per costituire il nuovo Comune di Borgo Virgilio mediante fusione con il Comune di Borgoforte.

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Argento 986/1000: 12,07 g – 30 mm

 

Andes è il luogo di nascita del poeta latino autore dell'Eneide e anche il nome di una frazione del Comune di Virgilio, al confine con la città di Mantova.

Sulla medaglia si è sviluppata una patina marrone ancora più intensa ed evidente lungo il bordo del diritto di questo esemplare (da eBay).

 

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  • 2 anni dopo...
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Esemplare nella confezione sigillata della zecca

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Versione in oro 750/1000: 4,0 g, 22 mm

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