Vai al contenuto
IGNORED

Un giglio "anomalo" su alcuni denari di Carlo I d'Angiò.


Risposte migliori

Salve a tutti.

Quest’oggi vorrei concentrarmi sulla presentazione di un paio di piccole monetine in mistura emesse in Italia meridionale durante i primi anni di regno di Carlo I d’Angiò come Re di Sicilia (1266-1282). Mi riferisco a:

 

1.      D/ + K DEI GRACIA.

Giglio fiorentino tra due globetti. 

R/ + REX SICILIE.

Croce patente con quadrato nel mezzo, accantonata da quattro stelle a sei punte. 

Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) di zecca incerta tra Brindisi o Messina.

Cfr. R. SPAHR, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582-1282), vol. I, Zurich-Graz 1976, p. 230, n° 25 e MEC 14, p. 674, n° 632. 


5a648543adbfb_1den.jpg.b5ba237cdcd9b5f233499712b623bcf4.jpg 

 Fig. 1 (ex LAC, auction D, n° 310).

 

2.      D/ + K DEI GRA REX SICIL.

Croce patente accantonata da quattro gigli. 

R/ + DVCAT APVL PRIC CAPVE.

Giglio fiorentino con due globetti sottostanti. 

Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) della zecca di Messina.

Cfr. SPAHR, Op. cit., manca e MEC 14, p. 676, n° 656-658/658A

Di questo stesso tipo esistono anche dei multipli di denaro (per questa dicitura e per il suo utilizzo in questo caso specifico si rimanda a MEC 14, p. 201) classificati in MEC 14, p. 676, n° 654-655.

 

5a64858ab4873_2den.jpg.7f03489b3ed4cc8a3302534a2d910bce.jpg

Fig. 2 (ex Ranieri 4, n° 667). 

 

Cosa hanno di così particolare queste due tipologie monetarie angioine del Sud Italia all’apparenza piuttosto “banali” e neanche troppo rare? Già lo Spahr, in una nota che accompagnava la descrizione della moneta qui riportata al n° 1, asseriva precisamente: «Questo denaro fu coniato nel 1267 quando Carlo ottenne la signoria di Firenze». Non a caso, infatti, l’interesse di un attento osservatore si focalizzerà necessariamente sul particolare araldico rappresentato dal giglio, elemento iconografico che unisce entrambe le tipologie oggetto di questa discussione. Il giglio, da sempre emblema della monarchia francese e della dinastia angioina (fig. 3), non deve essere confuso, in questo caso, con quello fiorentino (fig. 4), da cui si differenzia in primis per la mancanza dei pistilli laterali.

 

5a6485cbc0314_angi.png.57059cb9c3c020478fc0ffba7b1939fc.png

Fig. 3: Stemma angioino. 

 

 111px-FlorenceCoA_svg.png.dc88daf8a299bc989f9e1b098a512694.png

Fig. 4: Stemma fiorentino. 

Se ne deduce, quindi, che su questi denari di Carlo I d’Angiò sia effigiato un giglio fiorentino e non il consueto fiordaliso francese. Ma perché? Cosa centra l’Angioino con Firenze e come spiegare questo inconsueto richiamo su delle monete che forse non circolarono mai in Toscana? Cercherò di contestualizzare, di seguito, tali emissioni (per una prima analisi della monetazione in mistura di Carlo I nel Mezzogiorno italiano si rimanda a MEC 14, pp. 201 ss. con relativa bibliografia precedente). Tutto ebbe inizio verso la metà del XIII secolo, quando il Papato, nella persona di Innocenzo IV (1243-1254) si sentiva gravemente minacciato dall’ormai annosa questione dell’unificazione de facto delle corone del Regno di Sicilia e dell’Impero germanico sotto la dinastia sveva. Corrado I (1250-1254), nel 1252, aveva chiesto al Pontefice di poter unire ufficialmente i due poteri sotto un unico scettro, concentrando il dominio di una vasta compagine territoriale nelle sue mani. Lo Stato della Chiesa ne sarebbe risultato pericolosamente accerchiato ed Innocenzo IV non poteva permettersi di correre tale rischio. Pensò bene, quindi, di avviare delle trattative per scegliere un nuovo sovrano che prendesse il posto di Corrado I. Già a partire dal maggio del 1253 il Papa si mise in contatto con Carlo d’Angiò, inserendolo in una più larga cerchia di candidati. Il giovane rampollo francese non costituiva per Innocenzo la prima scelta, ma rimaneva di fatto il più ambizioso e predisposto per affrontare una simile impresa. Le trattative, però, fallirono e la morte sia del Papa che del Re svevo lasciarono il ruolo di Carlo ancora marginale per la politica italiana, anche perché in quegli stessi anni la Provenza stava attirando quasi tutte le sue attenzioni con rivolte continue difficilmente controllabili. Tuttavia i successori di Innocenzo IV non desistettero dal loro intento: sebbene Carlo penetrò in Italia già nel 1259, nel 1262 lo ritroveremo nuovamente in Provenza alle prese con l’ennesimo atto di ostilità verso il suo potere in quella regione. I continui tumulti provenzali riuscivano a tenere occupato l’Angioino abbastanza da stornarlo dalle sue mire italiane: i rivoltosi francesi, infatti, erano appoggiati, neanche tanto segretamente, dagli Aragonesi: l’Infante Pietro, futuro sovrano (1276-1285), terzo con questo nome, aveva infatti preso in moglie Costanza II, figlia del Re di Sicilia Manfredi di Svevia (1258-1266). Quest’ultimo era osteggiato dal Papato e presto si sarebbe trovato a fare i conti con le lance angioine. Con l’incoronazione di Urbano IV (1261-1264), originario di Troyes, iniziò un periodo felice per le ambizioni di Carlo e, nel contempo, segnò l’inizio della fine per la dominazione sveva in Italia meridionale. Le trattative, questa volta, furono così lunghe che si conclusero solo con il francese Clemente IV (1265-1268), successore di Papa Urbano. Il 6 gennaio del 1266 Carlo d’Angiò fu incoronato Re di Sicilia a Roma, nel Laterano, e già il 20 gennaio era in marcia verso Sud per combattere contro Manfredi, il quale, spinto da una rivolta dei Capuani, stava cercando di raggiungere la Puglia, le cui città si erano dimostrate molto più leali verso gli Svevi. Ma il 26 febbraio del 1266, in una località poco lontana da Benevento, le truppe francesi sbaragliarono quelle di Manfredi, il quale perse la vita sul campo di battaglia. Nonostante la netta vittoria di Carlo d’Angiò, questi non poteva ancora dedicarsi tranquillamente alla riorganizzazione amministrativa del Regno: numerose sacche di resistenza erano presenti su tutto il territorio, il quale richiese una conquista più “meticolosa” del previsto. Inoltre, i fuoriusciti ancora fedeli alla causa sveva si stavano riorganizzando in altre parti d’Italia per sferrare un nuovo attacco all’Angioino. Per questo motivo, i primi anni di regno di Carlo, tra il 1266 ed il 1268, furono da lui dedicati al consolidamento della sua posizione politica prima al di fuori dei confini regnicoli. I Ghibellini, in Italia settentrionale ed in particolare in Toscana, capeggiati da Guido Novello, avevano unito le proprie forze con quelle dei sostenitori svevi con la speranza di riuscire a contrastare il partito avverso dei Guelfi, i quali, al contrario, chiamarono in loro aiuto le truppe di Carlo I. Già all’indomani della vittoria angioina a Benevento si era verificato l’allontanamento da Firenze del Novello, nel novembre del 1266, ma i loro piani non vennero messi in discussione: in risposta alla cacciata operata da Carlo di tutti i mercanti senesi e pisani dal Regno di Sicilia, i Ghibellini ed il partito filo-svevo, nel marzo del 1267, gli opposero Corrado II, comunemente noto come Corradino, che era stato già Re di Sicilia dal 1254 al 1258. Egli era l’ultimo rappresentante vivente della dinastia sveva degli Hohenstaufen ed in quel tempo si trovava in Germania (1254-1268). Il trono siciliano di Carlo, appena conquistato con la forza e l’appoggio papale, si trovava ora in grave pericolo: Corrado II poteva contare sull’appoggio di un esercito più numeroso e meglio rifornito del suo, i cui ranghi potevano avvantaggiarsi dell’ausilio portato loro dai dissidenti italiani. La situazione richiedeva un intervento immediato: Carlo in persona, al comando del suo esercito, si mise in marcia verso Settentrione (aprile 1267), riuscendo ad entrare in Firenze il 17 aprile 1267. Nella città, egli ricoprì la carica di podestà almeno fino al 1273, favorendo senza troppi scrupoli la fazione guelfa. Nonostante l’azione di Carlo coinvolse, quasi sempre con esito positivo, gran parte della Toscana, Siena e Pisa continuavano a resistergli, anzi, costituirono delle ottime roccaforti per la conduzione della lotta filo-sveva. Ben presto, anche Clemente IV si affrettò a legittimare la posizione dell’Angioino a Firenze, nominandolo «pacificatore», senza opporsi alla sua autoproclamazione a vicario imperiale per la Toscana. Probabilmente, come credette lo Spahr, i denari ed i presunti multipli sopra elencati ricorderebbero proprio le felici gesta fiorentine di Carlo I da lui compiute nel corso del 1267. Corradino, nell’agosto di quello stesso anno, lasciò Augusta con l’intenzione di scendere in Italia ed affrontare Carlo d’Angiò sul campo. Contemporaneamente, gli Arabi di Tunisi, amici ed alleati degli Svevi grazie all’antica politica conciliatrice condotta a suo tempo da Federico II, organizzarono una spedizione navale contro la Sicilia, mettendo l’isola a ferro e fuoco. Gli Angioini si trovarono, così, accerchiati su due fronti. Mentre i Tunisini imperversavano in Sicilia, la colonia saracena di Lucera, da sempre fedele a Federico II e ai suoi discendenti, si sollevò (febbraio 1268), estendendo la rivolta a tutta la Puglia. Carlo, che aveva provato a bloccare la discesa di Corradino al Nord, fu costretto a lasciare Firenze per sedare i disordini nati all’interno del suo Regno: nonostante l’arrivo del Re e il conseguente assedio da lui portato senza successo a Lucera, la ribellione si propagò ulteriormente raggiungendo anche la Calabria. Ora, sia Carlo che Corrado II erano in cerca dello scontro definitivo per il possesso del Regno di Sicilia. La battaglia si registrò il 23 agosto 1268 in una località distante appena una decina di chilometri da Tagliacozzo: nonostante l’iniziale successo di Corradino, l’esperienza militare di Carlo I fu ripagata con la vittoria definitiva. Il destino riservato allo Svevo è tristemente noto: solo dopo la sua morte Carlo poté riorganizzare in tutta tranquillità i suoi nuovi possedimenti italiani. Ma l’Angioino conservò ancora per qualche tempo i suoi diritti sulla Toscana ed in particolare su Firenze, di cui era ancora podestà e vicario imperiale. Mentre il primo titolo fu perduto, come abbiamo visto, nel 1273, il secondo gli fu rinnovato da Innocenzo V nel 1276. Fu, infine, con l’intervento di Papa Niccolò III (1277-1280) che il vicariato non gli fu più concesso a partire dal 1278. A cominciare da quell’anno, l’influenza esercitata fino ad allora da Carlo I sulla Toscana e sugli altri centri dell’Italia settentrionale iniziò gradualmente a declinare, fino a sfuggirgli del tutto in favore di una politica filo-papale. La floridezza registrata nella Firenze della seconda metà del XIII secolo fu opera, soprattutto, dell’intervento carolino, che incentivò lo sviluppo di contatti diplomatici ed economici tra la città, il Regno siciliano, la Roma pontificia e la Francia, suo Paese d’origine.   

  • Mi piace 5
Link al commento
Condividi su altri siti


2 ore fa, Caio Ottavio dice:

Salve a tutti.

Quest’oggi vorrei concentrarmi sulla presentazione di un paio di piccole monetine in mistura emesse in Italia meridionale durante i primi anni di regno di Carlo I d’Angiò come Re di Sicilia (1266-1282). Mi riferisco a:

 

1.      D/ + K DEI GRACIA.

Giglio fiorentino tra due globetti. 

R/ + REX SICILIE.

Croce patente con quadrato nel mezzo, accantonata da quattro stelle a sei punte. 

Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) di zecca incerta tra Brindisi o Messina.

Cfr. R. SPAHR, Le monete siciliane dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582-1282), vol. I, Zurich-Graz 1976, p. 230, n° 25 e MEC 14, p. 674, n° 632. 


5a648543adbfb_1den.jpg.b5ba237cdcd9b5f233499712b623bcf4.jpg 

 Fig. 1 (ex LAC, auction D, n° 310).

 

2.      D/ + K DEI GRA REX SICIL.

Croce patente accantonata da quattro gigli. 

R/ + DVCAT APVL PRIC CAPVE.

Giglio fiorentino con due globetti sottostanti. 

Denaro in mistura databile al primo periodo (1266-1278) della zecca di Messina.

Cfr. SPAHR, Op. cit., manca e MEC 14, p. 676, n° 656-658/658A

Di questo stesso tipo esistono anche dei multipli di denaro (per questa dicitura e per il suo utilizzo in questo caso specifico si rimanda a MEC 14, p. 201) classificati in MEC 14, p. 676, n° 654-655.

 

5a64858ab4873_2den.jpg.7f03489b3ed4cc8a3302534a2d910bce.jpg

Fig. 2 (ex Ranieri 4, n° 667). 

 

Cosa hanno di così particolare queste due tipologie monetarie angioine del Sud Italia all’apparenza piuttosto “banali” e neanche troppo rare? Già lo Spahr, in una nota che accompagnava la descrizione della moneta qui riportata al n° 1, asseriva precisamente: «Questo denaro fu coniato nel 1267 quando Carlo ottenne la signoria di Firenze». Non a caso, infatti, l’interesse di un attento osservatore si focalizzerà necessariamente sul particolare araldico rappresentato dal giglio, elemento iconografico che unisce entrambe le tipologie oggetto di questa discussione. Il giglio, da sempre emblema della monarchia francese e della dinastia angioina (fig. 3), non deve essere confuso, in questo caso, con quello fiorentino (fig. 4), da cui si differenzia in primis per la mancanza dei pistilli laterali.

 

5a6485cbc0314_angi.png.57059cb9c3c020478fc0ffba7b1939fc.png

Fig. 3: Stemma angioino. 

 

 111px-FlorenceCoA_svg.png.dc88daf8a299bc989f9e1b098a512694.png

Fig. 4: Stemma fiorentino. 

Se ne deduce, quindi, che su questi denari di Carlo I d’Angiò sia effigiato un giglio fiorentino e non il consueto fiordaliso francese. Ma perché? Cosa centra l’Angioino con Firenze e come spiegare questo inconsueto richiamo su delle monete che forse non circolarono mai in Toscana? Cercherò di contestualizzare, di seguito, tali emissioni (per una prima analisi della monetazione in mistura di Carlo I nel Mezzogiorno italiano si rimanda a MEC 14, pp. 201 ss. con relativa bibliografia precedente). Tutto ebbe inizio verso la metà del XIII secolo, quando il Papato, nella persona di Innocenzo IV (1243-1254) si sentiva gravemente minacciato dall’ormai annosa questione dell’unificazione de facto delle corone del Regno di Sicilia e dell’Impero germanico sotto la dinastia sveva. Corrado I (1250-1254), nel 1252, aveva chiesto al Pontefice di poter unire ufficialmente i due poteri sotto un unico scettro, concentrando il dominio di una vasta compagine territoriale nelle sue mani. Lo Stato della Chiesa ne sarebbe risultato pericolosamente accerchiato ed Innocenzo IV non poteva permettersi di correre tale rischio. Pensò bene, quindi, di avviare delle trattative per scegliere un nuovo sovrano che prendesse il posto di Corrado I. Già a partire dal maggio del 1253 il Papa si mise in contatto con Carlo d’Angiò, inserendolo in una più larga cerchia di candidati. Il giovane rampollo francese non costituiva per Innocenzo la prima scelta, ma rimaneva di fatto il più ambizioso e predisposto per affrontare una simile impresa. Le trattative, però, fallirono e la morte sia del Papa che del Re svevo lasciarono il ruolo di Carlo ancora marginale per la politica italiana, anche perché in quegli stessi anni la Provenza stava attirando quasi tutte le sue attenzioni con rivolte continue difficilmente controllabili. Tuttavia i successori di Innocenzo IV non desistettero dal loro intento: sebbene Carlo penetrò in Italia già nel 1259, nel 1262 lo ritroveremo nuovamente in Provenza alle prese con l’ennesimo atto di ostilità verso il suo potere in quella regione. I continui tumulti provenzali riuscivano a tenere occupato l’Angioino abbastanza da stornarlo dalle sue mire italiane: i rivoltosi francesi, infatti, erano appoggiati, neanche tanto segretamente, dagli Aragonesi: l’Infante Pietro, futuro sovrano (1276-1285), terzo con questo nome, aveva infatti preso in moglie Costanza II, figlia del Re di Sicilia Manfredi di Svevia (1258-1266). Quest’ultimo era osteggiato dal Papato e presto si sarebbe trovato a fare i conti con le lance angioine. Con l’incoronazione di Urbano IV (1261-1264), originario di Troyes, iniziò un periodo felice per le ambizioni di Carlo e, nel contempo, segnò l’inizio della fine per la dominazione sveva in Italia meridionale. Le trattative, questa volta, furono così lunghe che si conclusero solo con il francese Clemente IV (1265-1268), successore di Papa Urbano. Il 6 gennaio del 1266 Carlo d’Angiò fu incoronato Re di Sicilia a Roma, nel Laterano, e già il 20 gennaio era in marcia verso Sud per combattere contro Manfredi, il quale, spinto da una rivolta dei Capuani, stava cercando di raggiungere la Puglia, le cui città si erano dimostrate molto più leali verso gli Svevi. Ma il 26 febbraio del 1266, in una località poco lontana da Benevento, le truppe francesi sbaragliarono quelle di Manfredi, il quale perse la vita sul campo di battaglia. Nonostante la netta vittoria di Carlo d’Angiò, questi non poteva ancora dedicarsi tranquillamente alla riorganizzazione amministrativa del Regno: numerose sacche di resistenza erano presenti su tutto il territorio, il quale richiese una conquista più “meticolosa” del previsto. Inoltre, i fuoriusciti ancora fedeli alla causa sveva si stavano riorganizzando in altre parti d’Italia per sferrare un nuovo attacco all’Angioino. Per questo motivo, i primi anni di regno di Carlo, tra il 1266 ed il 1268, furono da lui dedicati al consolidamento della sua posizione politica prima al di fuori dei confini regnicoli. I Ghibellini, in Italia settentrionale ed in particolare in Toscana, capeggiati da Guido Novello, avevano unito le proprie forze con quelle dei sostenitori svevi con la speranza di riuscire a contrastare il partito avverso dei Guelfi, i quali, al contrario, chiamarono in loro aiuto le truppe di Carlo I. Già all’indomani della vittoria angioina a Benevento si era verificato l’allontanamento da Firenze del Novello, nel novembre del 1266, ma i loro piani non vennero messi in discussione: in risposta alla cacciata operata da Carlo di tutti i mercanti senesi e pisani dal Regno di Sicilia, i Ghibellini ed il partito filo-svevo, nel marzo del 1267, gli opposero Corrado II, comunemente noto come Corradino, che era stato già Re di Sicilia dal 1254 al 1258. Egli era l’ultimo rappresentante vivente della dinastia sveva degli Hohenstaufen ed in quel tempo si trovava in Germania (1254-1268). Il trono siciliano di Carlo, appena conquistato con la forza e l’appoggio papale, si trovava ora in grave pericolo: Corrado II poteva contare sull’appoggio di un esercito più numeroso e meglio rifornito del suo, i cui ranghi potevano avvantaggiarsi dell’ausilio portato loro dai dissidenti italiani. La situazione richiedeva un intervento immediato: Carlo in persona, al comando del suo esercito, si mise in marcia verso Settentrione (aprile 1267), riuscendo ad entrare in Firenze il 17 aprile 1267. Nella città, egli ricoprì la carica di podestà almeno fino al 1273, favorendo senza troppi scrupoli la fazione guelfa. Nonostante l’azione di Carlo coinvolse, quasi sempre con esito positivo, gran parte della Toscana, Siena e Pisa continuavano a resistergli, anzi, costituirono delle ottime roccaforti per la conduzione della lotta filo-sveva. Ben presto, anche Clemente IV si affrettò a legittimare la posizione dell’Angioino a Firenze, nominandolo «pacificatore», senza opporsi alla sua autoproclamazione a vicario imperiale per la Toscana. Probabilmente, come credette lo Spahr, i denari ed i presunti multipli sopra elencati ricorderebbero proprio le felici gesta fiorentine di Carlo I da lui compiute nel corso del 1267. Corradino, nell’agosto di quello stesso anno, lasciò Augusta con l’intenzione di scendere in Italia ed affrontare Carlo d’Angiò sul campo. Contemporaneamente, gli Arabi di Tunisi, amici ed alleati degli Svevi grazie all’antica politica conciliatrice condotta a suo tempo da Federico II, organizzarono una spedizione navale contro la Sicilia, mettendo l’isola a ferro e fuoco. Gli Angioini si trovarono, così, accerchiati su due fronti. Mentre i Tunisini imperversavano in Sicilia, la colonia saracena di Lucera, da sempre fedele a Federico II e ai suoi discendenti, si sollevò (febbraio 1268), estendendo la rivolta a tutta la Puglia. Carlo, che aveva provato a bloccare la discesa di Corradino al Nord, fu costretto a lasciare Firenze per sedare i disordini nati all’interno del suo Regno: nonostante l’arrivo del Re e il conseguente assedio da lui portato senza successo a Lucera, la ribellione si propagò ulteriormente raggiungendo anche la Calabria. Ora, sia Carlo che Corrado II erano in cerca dello scontro definitivo per il possesso del Regno di Sicilia. La battaglia si registrò il 23 agosto 1268 in una località distante appena una decina di chilometri da Tagliacozzo: nonostante l’iniziale successo di Corradino, l’esperienza militare di Carlo I fu ripagata con la vittoria definitiva. Il destino riservato allo Svevo è tristemente noto: solo dopo la sua morte Carlo poté riorganizzare in tutta tranquillità i suoi nuovi possedimenti italiani. Ma l’Angioino conservò ancora per qualche tempo i suoi diritti sulla Toscana ed in particolare su Firenze, di cui era ancora podestà e vicario imperiale. Mentre il primo titolo fu perduto, come abbiamo visto, nel 1273, il secondo gli fu rinnovato da Innocenzo V nel 1276. Fu, infine, con l’intervento di Papa Niccolò III (1277-1280) che il vicariato non gli fu più concesso a partire dal 1278. A cominciare da quell’anno, l’influenza esercitata fino ad allora da Carlo I sulla Toscana e sugli altri centri dell’Italia settentrionale iniziò gradualmente a declinare, fino a sfuggirgli del tutto in favore di una politica filo-papale. La floridezza registrata nella Firenze della seconda metà del XIII secolo fu opera, soprattutto, dell’intervento carolino, che incentivò lo sviluppo di contatti diplomatici ed economici tra la città, il Regno siciliano, la Roma pontificia e la Francia, suo Paese d’origine.   

Molto interessante, complimenti

Carlo D'angiò fece  incetta di cariche politiche in Italia. Re Di Napoli, Senatore dello Stato della Chiesa, Signore di Firenze.

Link al commento
Condividi su altri siti


Il ‎21‎/‎01‎/‎2018 alle 16:02, eliodoro dice:

Molto interessante, complimenti

Carlo D'angiò fece  incetta di cariche politiche in Italia. Re Di Napoli, Senatore dello Stato della Chiesa, Signore di Firenze.

Grazie @eliodoro! A proposito di titoli: si riuscirebbe a fare il punto anche sulla titolatura che compare al rovescio del denaro qui descritto al n° 2? DVCAT APVL PRIC CAPVE, com'è intuibile, fa riferimento ai titoli di Duca di Puglia e Principe di Capua. Andando a memoria, la prima volta che comparve fu ai tempi dei Normanni, sotto Guglielmo I (1154-1166) su una frazione di follaro della zecca di Salerno: al D/ troviamo l'Agnus Dei rivolto a sinistra e al R/ una croce accantonata da W-RE//DVX-PNC, cfr. Travaini, p. 310, n° 305, dove appunto la legenda di rovescio viene chiarita facendo riferimento alla triplice titolatura "Rex Siciliae, Dux Apuliae, Princeps Capuae". 

Link al commento
Condividi su altri siti


33 minuti fa, Caio Ottavio dice:

Pareri, interventi? :) 

Buongiorno Caio Ottavio, il mio intervento sarebbe da "ignorante" in materia.....ma voglio farti i miei complimenti per le  discussioni approfondite e chiare che ci fai leggere.

Grazie,

Link al commento
Condividi su altri siti


Adesso, Caio Ottavio dice:

Ciao @Rocco68, grazie mille per l'interesse: mi piace, ogni tanto, focalizzare l'attenzione anche sul periodo medievale della storia del Regno di Napoli. 

Anche se non intervengo ti leggo con molto interesse.

  • Mi piace 1
Link al commento
Condividi su altri siti


Unisciti alla discussione

Puoi iniziare a scrivere subito, e completare la registrazione in un secondo momento. Se hai già un account, accedi al Forum con il tuo profilo utente..

Ospite
Rispondi a questa discussione...

×   Hai incollato il contenuto con la formattazione.   Rimuovere la formattazione

  Only 75 emoji are allowed.

×   Il tuo collegamento è stato incorporato automaticamente.   Mostra come un collegamento

×   Il tuo contenuto precedente è stato ripristinato..   Cancella editor

×   You cannot paste images directly. Upload or insert images from URL.

Caricamento...
×
  • Crea Nuovo...

Avviso Importante

Il presente sito fa uso di cookie. Si rinvia all'informativa estesa per ulteriori informazioni. La prosecuzione nella navigazione comporta l'accettazione dei cookie, dei Terms of Use e della Privacy Policy.