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Risposte migliori

Inviato

Vediamo se c'è ancora qualche proposta, a voler guardare qualche spunto ci sarebbe, penso alla monetazione straniera, a zecche poco conosciute, alle Papali, o a monete a ridosso tra medioevo ed età moderna, in caso contrario come già detto indubbiamente abbiamo fatto comunque una gran bella opera divulgativa...


Inviato

Continuo con uno Chervonets della ormai defunta U.R.S.S.

Il motto è, come tutti sappiano, fra i più famosi (o "famigerati" a seconda di come la si pensava):

ПРОЛЕТАРИИ ВСЕХ СТРАН, СОЕДИНЯЙТЕСЬ !

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Ovvero: "lavoratori di tutto il mondo, unitevi!"

La frase, una delle più popolari parole d'ordine del comunismo, viene da Karl Marx e Friedrich Engels ne il Manifesto del partito comunista; divenne poi il motto ufficiale della Germania orientale. Una variazione ("Proletari di tutti i paesi, unitevi!") è scritta sulla lapide di Marx. 

Con essa si esortava i lavoratori  a sindacalizzare o comunque intraprendere un'azione collettiva al fine di utilizzare la forza dei loro numeri per ottenere condizioni migliori.

Buona serata.

 

 

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Inviato

Anche le monete ossidionali davano messaggi, anzi loro ancor di più...

Siamo a CASALE con Carlo I Gonzaga - Nevers ( 1627 - 1637 ) con questo ducatone ossidionale del 1628 dove in cartella troviamo questa scritta :

CASALIS IN OBSIDE INIVSTA

CASALE ASSEDIATA INGIUSTAMENTE

Siamo al periodo in cui Carlo I ricevette i possedimenti del Mantovano e del Monferrato che erano però devastati come le stesse città di Mantova e Casale a causa di un lungo assedio delle truppe spagnole imperiali e sabaude.

La moneta ossidionale " allora parla, racconta, racconta il momento drammatico e difficile ...", è quasi un urlo di dolore quel " ingiustamente "la moneta diventa mezzo di linguaggio più che di valore...

Altissima e straordinariamente affascinante moneta....e noi siamo qui per raccontarle queste incredibili monete per voi...

 

casale ossidionale.jpg

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Inviato

Un classico questa volta, TORINO, Repubblica Subalpina, 1800 - 1802 da 20 franchi della Nac 68

LIBERTE' EGALITE' ERIDANIA

LIBERTA' UGUAGLIANZA, ERIDANIA

Qui c'è poco da dire....se non che Eridania prese il nome dall'antico nome del Po, Eridanus, ed indica i paesi bagnati dal fiume.

Forse ripensandoci le sezioni speciali avrebbero potuto contribuire maggiormente a questa discussione che è poi di tutti realmente sia in termini qualitativi che quantitativi ma ormai così è...

Di certo non sono però mancati straordinari protagonisti e attori nel portarla avanti con impegno e bravura....tale da averla poi resa così....una pagina per me importante del forum....

Torino NAC 68.jpg

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Inviato

Mentre vi inviterei a continuare a raccontare e far vedere belle monete, nei limiti perché molto è' stato  effettivamente già postato..., mi sta venendo una piccola idea per fine anno, d'altronde qui ormai c'è " una pepita numismatica" incredibile che ha un nome il messaggio e il linguaggio delle monete, peccato lasciarlo poi cadere...vediamo nei prossimi giorni.

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Supporter
Inviato

Mi sa tanto che sono agli scoccioli... e gioco quindi il jolly :D . Di motti e legende ce ne saranno tantissimi altri, ma ho preferito postare monete che effettivamente posseggo. Ne inserisco una con una dicitura più che conosciuta che ho acquistato tre anni fa e con la quale ho partecipato al concorso "La più bella del 2013".

Concorso - La più bella del 2013

 

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EX AURO ARGENTEA RESURGIT

(risorge attraverso oro e argento)

Non mi sento in verità di scopiazzare un pò qui ed un pò là, in questo post di seguito la dicitura è descritta in modo superbo, anche se è riferita al tipo del 1732 con la dicitura nella sua formula completa, è un post della discussione "COME CAMBIA LA MONETA NEL TEMPO....... " di @dabbene.

 

COME CAMBIA LA MONETA NEL TEMPO.......

 

Spero di cogliere nel segno in quanto anche questa moneta è rappresentativa di un cambiamento :

L’oncia (o più regionalmente “onza”) era una antica moneta (mai coniata e quindi una moneta virtuale) risalente all’epoca dei Normanni dopo che nel 1088 d.C. Ruggero I fondò appunto il “Regno di Sicilia”.

Nel 1732 Carlo III di Sicilia volle simboleggiare quel “riportare in vita dalle ceneri” la moneta dell’antico Reame e ne fece coniare una nuova e di oltre 5 centimetri di diametro affinchè fosse bene in vista il risorgere di quel Regno di cui la moneta stessa era autorevolmente rappresentativa. La “fenice” presente al retro dell’oncia da 30 tarì fu quindi utilizzata come emblema della volontà di confermare la “rinascita” del Regno di Sicilia. La stessa dicitura che contorna la “fenice” conferma questa volontà: “OBLITA EX AURO ARGENTEA RESURGIT” (dall’oblio risorge attraverso oro e argento).

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Inviato (modificato)

Quando vedi questa moneta e quello che c'è dietro ti viene da dire....allora qualcosa di molto interessante c'è ancora e allora conviene aspettare ancora un attimo....

Siamo a Chambery con Emanuele Filiberto ( 1559 - 1580 ) con una mezza lira del 1562 della NAC 32

INFESTVS INFESTIS

NEMICO AI NEMICI ( ma anche ostile verso coloro che gli sono ostili )

Qui abbiamo una fantastica rappresentazione di un elefante tra le pecore, l'impresa dell'elefante che con la proboscide allontana le pecore è associata a un episodio accaduto nella battaglia di Hesdin nel 1553.

Emanuele Filiberto uccise con un colpo di pistola il Conte di Valdeck il quale aveva trasgredito al suo ordine di non saccheggiare ma aveva inoltre reagito con la sua spada.

In parole povere potremmo anche dire : buoni rapporti con chi ti porta rispetto, ma inesorabili con chi ti minaccia....o come diremmo oggi sono buono con tutti ma non pestarmi i piedi....:D

chambery elefante.jpg

Modificato da dabbene
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Inviato

Ancora una osella troppo bella...ma ovviamente ce ne sarebbero tante ancora...

Ricordo che non devono essere necessariamente monete proprie basta attingere dal mondo delle aste , dal nostro catalogo...

BINIS IMMOTA MANEBO

CON DUE ANCORE RESTERO' FERMA

E' una osella di Alvise IV Mocenigo Doge, anno III - 1765 della NAC 43, abbiamo una nave da guerra battente bandiera veneziana ancorata a poppa e a prua tra due forti.

Ricorda le opere intraprese di difesa e sorveglianza per evitare le incursioni dei pirati barbareschi che infestavano i mari.

Un monito e un avvertimento...

osella con barca.jpg

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Io direi ancora un 5 o 6 esempi meritevoli, poi magari cerchiamo di fare qualche riflessione su quanto abbiamo creato...chi vuol darmi una mano ancora  :D ?

Modificato da dabbene

Inviato (modificato)

Vi propongo una piastra di papa Sisto V per Ancona del 1588 che riporta al R/ SVB TVVM PRAESIDIV CONFVGIMVS ( Ci siamo rifugiati sotto la tua protezione)

Trattasi di una moneta per la zecca di Ancona tratta dall'asta Nac 30 - lotto 524 

Al D/ troviamo il busto del papa Sisto V, mentre al R/ abbiamo la Vergine velata e seduta a destra sulla Santa Casa di Loreto con il Bambino in braccio.

Questo motto, lo troviamo anche su molte altre monete (od imitazioni), pontificie e non.

 

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Modificato da miroita
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Inviato (modificato)

"La porta è aperta ai giusti"

E' il motto che si legge in questo testone di Gregorio XIII per Ancona emesso in occasione dell'anno Giubilare del 1575

Tale moneta potrebbe essere inserita anche nell'altra discussione sulle monete degli anni giubilari 

 

 

Chiedo scusa per la qualità della moneta, ma non ho di meglio (al momento).

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Modificato da miroita
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Inviato

Emilia...Emilia terra di motti e leggende...e belle monete...

PARMA, Odoardo Farnese ( 1622 - 1646 ), con un ducatone del 1638 della NAC 85

Ripeto qui stiamo vedendo tra le più belle monete delle zecche italiane....

MILE CLYP PENDENT

MILLE SCUDI PENDENTI

L'immagine è altissima, di quelle sacre, importanti, vediamo la Vergine che allatta il Bambino.

Per capire però questa legenda dobbiamo tornare a Odoardo Farnese che era molto devoto alla Madonna della Steccata e che interpreta i monili e le collane appesi al collo della Vergine come i mille scudi pendenti dalla torre di David.

L'immagine della Madonna riproduce l'immagine affrescata nella chiesa di Santa Maria della Steccata di Parma costruita in quegli anni.

 

 

Parma 85.jpg

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Inviato
3 ore fa, dabbene dice:

...chi vuol darmi una mano ancora  :D ?

Ci provo in questo modo:

qualche anno fa, era il 2010, su quella bella rivista (della quale sentiamo tutti la mancanza) che era «Cronaca Numismatica», ebbi modo di pubblicare un articolo, in due puntate, che potrei definire "in tema" con questa discussione.

Si trattò di una riflessione su alcune emissioni papali, coniate quasi tutte in un determinato periodo, con le quali i Pontefici del tempo, proprio attraverso le monete e i messaggi che attraverso le legende impresse su di esse era possibile veicolare, cercarono di insegnare un uso corretto del denaro e della ricchezza in generale.

Il titolo dell'articolo era: Tra elemosina e dannazione. La ricchezza nelle monete dei Papi.

Il curatore Roberto Ganganelli, al quale lo avevo proposto, e che lo accolse, mi fece il grande onore di dedicargli anche la copertina del primo dei due numeri sul quale comparve, in quanto servizio di apertura.

Ecco qui la copertina di allora:

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Penso - e spero di non sbagliare in questo - che una sua riproposizione all'interno di questa discussione possa risultare utile come ulteriore contributo alla stessa, oltre che una occasione per chi non lo lesse allora di farlo adesso.

 

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Inviato

Tra elemosina e dannazione. La ricchezza nelle monete dei papi

(versione pre-print di un articolo pubblicato in due puntate su «Cronaca Numismatica», nn. 232 e 233, settembre e ottobre 2010).

Prima di affrontare l’oggetto della presente indagine, occorre subito precisare che la stesura della stessa è stata enormemente facilitata dalla possibilità di usufruire di un prezioso strumento di lavoro: il repertorio di motti, imprese e legende delle monete italiane costituito dal volume Il linguaggio delle monete di Mario Traina. Di questo libro è stato detto e scritto in numerose e più che positive recensioni, ma è certo che, al di là delle parole, la sua importanza e la sua utilità saranno sempre più rimarcate dagli studi che sarà possibile realizzare grazie ad esso e dalle tante citazioni che, per un lunghissimo futuro, questo volume inevitabilmente riceverà da parte di chi, trovandosi a scrivere di numismatica, non potrà che trarre giovamento dall’utilizzo di uno strumento che mette a disposizione, in un’unica fonte, una miriade di preziose indicazioni e informazioni.

Fatta questa doverosa premessa, ci si può addentrare nel tema specifico della trattazione, ossia l’utilizzo delle monete come strumento per la trasmissione di determinati messaggi. Più nel dettaglio, saranno oggetto di questo articolo alcune monete papali, prevalentemente (ma non solo) emesse tra il pontificato di Innocenzo XI (1676-1689) e quello di Clemente XII (1730-1740), attraverso le quali i papi dell’epoca hanno voluto diffondere, mediante appropriate legende, alcuni specifici insegnamenti relativi al denaro.

In particolare sembrerebbe di poter classificare queste coniazioni in tre tipologie a seconda che quanto su di esse iscritto (e in qualche caso effigiato) sia riconducibile a proverbi o massime, a insegnamenti o raccomandazioni relativi alla ricchezza, a incitamenti alla (o esaltazione della) carità. In sostanza si ritiene di poter individuare, anche per la contiguità cronologica, una sorta di fil rouge che, in quel determinato periodo della storia della Chiesa, ha accomunato diversi pontefici che hanno scientemente utilizzato le loro monete per realizzare una sorta di ‘catechismo numismatico’ volto a insegnare un uso corretto del denaro.

La cosa non deve stupire perché molto spesso la moneta ha avuto, tra le sue funzioni, anche quella di mezzo di propaganda e di trasmissione di messaggi da parte di chi aveva l’autorità per coniarla a chi doveva riceverla e utilizzarla. L’esistenza di una tale funzione, sia pure accessoria, tra quelle assolte dalla moneta, è confermata anche dal fatto che in qualche caso si è verificato il processo contrario, ossia l’apposizione di segni dei quali l’autorità era non mittente, ma destinataria e bersaglio: è questo il caso, ad esempio, delle contromarche OLIM e BOMBA apposte su alcune piastre di Ferdinando II delle Due Sicilie, proprio per sfruttare le potenzialità ‘comunicative’ delle monete a scapito del monarca.

Semmai, d’acchito, ci si potrebbe meravigliare del fatto che sia stata la Chiesa ad utilizzare il denaro, cioè, come lo definì Giovanni Papini, lo ‘sterco del demonio’, per la diffusione del proprio insegnamento. In effetti, se si pensa all’episodio di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio di Gerusalemme – raccontato in tutti e quattro i Vangeli – si potrebbe essere tentati di concludere che Egli abbia inesorabilmente emesso una condanna senza appello nei confronti del denaro. Opinione, questa, che parrebbe rafforzata anche da alcune parole pronunciate da Gesù nei confronti dei ricchi, come quel “guai a voi” a loro indirizzato secondo quanto riportato dall’evangelista Luca, oppure il “voi non potete servire Dio e Mammona” di cui parla Matteo.

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Fig. 1: Roma, Clemente XIII (1758-1769), Mezzo Grosso 1761. Al R/: VAE VOBIS DIVITIBVS, “guai a voi ricchi”, in tre righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2588.

Né può essere dimenticato che, nella storia del cristianesimo, si annoverano figure che hanno fatto del disprezzo del denaro una vera e propria norma di vita: il pensiero non può che correre a San Francesco che, nella sua Regola, ordinò fermamente ai suoi frati “di non accettare in alcun modo denari o pecunia per sé o per interposta persona” (nota 1).

Tali considerazioni, tuttavia, non devono condurre automaticamente a concludere che sussista una incompatibilità assoluta tra l’essere buoni cristiani e l’agiatezza, perché ciò che viene condannato, in realtà, è il cattivo uso che può essere fatto della ricchezza e non la circostanza in sé di essere benestanti o, comunque, di avere del denaro.

Già la Bibbia ebraica, infatti, non metteva in contrapposizione il possesso di beni col servizio a Dio; anzi conferiva alla ricchezza una dimensione teologica, configurandola come segno della benevolenza del Signore. Ciò che era richiesto al credente era l’offerta delle primizie del raccolto o dei primogeniti del gregge; egli doveva, cioè, separarsi da una parte del suo guadagno (non una parte qualsiasi, ma la prima) perché questo, oltre ad esprimere la riconoscenza verso Dio, rappresentava anche il fondamento teologico dell’elemosina. La condanna espressa dai profeti in diversi passi (nota 2)  riguardava quindi non il possesso dei beni, ma il suo abuso, specialmente se si concretizzava in una spoliazione altrui.

Gesù di Nazareth era un uomo, un ebreo, del tutto inserito nel contesto storico-geografico del suo tempo; ed era perfettamente a conoscenza delle Scritture e del loro significato più profondo. Perché, allora, sembra contraddire quanto rilevato poc’anzi, nel momento in cui lancia un’alternativa secca tra l’essere seguaci di Dio e la ricchezza, attribuendo a quest’ultima addirittura un nome? Eppure Gesù stesso ha dimostrato di conoscere ugualmente bene il denaro, tanto da utilizzarlo non solo come strumento per mettere a tacere i suoi detrattori nel famoso episodio della moneta di Cesare (nota 3),  ma da citarlo, a volte con precisione, anche nelle sue parabole e nei suoi insegnamenti (nota 4).

In realtà la contrapposizione è soltanto apparente o, meglio, c’è senz’altro, ma non è tra Dio e la ricchezza bensì tra la ‘deificazione’ di quest’ultima e Dio. Il denaro, Gesù ne è consapevole, può diventare in certe circostanze un dio, ecco perché gli attribuisce un nome, e come tale si contrappone inesorabilmente all’unico Signore. Anche la scelta dell’appellativo non è casuale: mammona, infatti, deriva dalla radice ebraica âman (nota 5),  che indica la stabilità, la sicurezza, la solidità; dunque Mammona si offre come un dio che promette ai suoi adepti questi benefici, ma si rivela anche bugiardo perché non può liberare l’uomo dalla sua vera e più grande paura, che è quella della morte (nota 6).  Il Vangelo però, dopo aver condannato questo falso dio, suggerisce anche la via giusta da seguire, che non coincide necessariamente col ripudio della ricchezza o con la rinuncia totale ad essa, bensì con il suo impiego ‘giusto’. L’episodio che conferma tutto ciò è quello di Zaccheo, il capo degli esattori inviso e odiato dai suoi concittadini di Gerico sia per le modalità della sua professione, sia per il fatto che essa lo rendeva complice (nota 7) dell’occupante romano: quando Gesù lo scorge in cima all’albero sul quale era salito per vederlo, gli domanda ospitalità; il pubblicano, pieno di gioia per questa richiesta e per l’incontro con Lui, non rinuncia al suo denaro né lascia la sua professione (come aveva fatto Lévi-Matteo e come farà Francesco d’Assisi) ma promette di dare la metà dei suoi beni ai bisognosi e di compensare i suoi torti finanziari rimborsando ben più di quanto aveva sottratto agli altri. Ecco dunque che il corretto uso del denaro e della ricchezza non si contrappone affatto all’essere un buon credente, anzi un buon cristiano, tanto che i propositi di Zaccheo sono così ben accolti e apprezzati da Gesù da fargli affermare: “oggi la salvezza è entrata in questa casa” (nota 8).  In altri termini si può parlare di “libertà evangelica (nota 9)  riguardo ai beni: si può decidere di fare una scelta radicale, come appunto quella di Matteo o di San Francesco, o di optare per una via meno definitiva, ma altrettanto valida, come quella di un utilizzo corretto della ricchezza, aperto, soprattutto, alla carità e alla costruzione della giustizia sociale.

Tutto ciò premesso, non ci si deve stupire più del fatto che diversi pontefici abbiano voluto, in qualche misura, ribadire queste considerazioni facendo imprimere su alcune loro monete delle legende volte a istruire il popolo a un uso ‘cristiano’ del denaro, attraverso – come si diceva in apertura – proverbi, ammonizioni o raccomandazioni, inni alla carità. 

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Fig. 2: Roma, Clemente XII (1730-1740), Testone. Al R/: DABIS DISCERNERE INTER MALVM ET BONVM, “darai la facoltà di distinguere il bene dal male”, in quattro righe. Ex Asta Artemide XXIII, 2008, lotto n. 414. Secondo Traina, la legenda, tratta da un versetto del Primo Libro dei Re si riferisce al denaro, che può essere usato a fin di bene o male; da qui l’appello affinché Dio ne conceda un giusto uso.

 

Note:

1 - Precipio firmiter fratribus universis ut nullo modo denarios aut pecuniam recipiant per se vel per interpositam personam. Cfr. Merlo G.G., in Travaini 2009, p. 150.

2 - Cfr., ad es., Isaia 10, 1-3.

3 - Cfr. Lémonon in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-24.

4 - Sulle citazioni numismatiche fatte direttamente da Gesù o comunque presenti nel Vangelo, cfr. Colombo 2003 e Amisano 2009, nonché le relative indicazioni bibliografiche per trattazioni meno recenti di tale tematica.

5 - Queste considerazioni sul valore della ricchezza nell’Antico Testamento, sul significato del nome “Mammona” e sull’interpretazione delle parole di Gesù in proposito sono tratte da un saggio a sua volta contenuto in un fascicolo di una rivista religiosa dedicato in gran parte al tema del rapporto tra Dio e denaro. Cfr. Marguerat in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 5-9. 

6 - Cfr. la parabola del ricco proprietario in Luca 12, 16-20, che si conclude con le parole “stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. V. infra.

7 - Cfr. Andreau, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 17-19.

8 - Cfr. Luca 19, 1-10. La “salvezza” deriva a Zaccheo dall’aver saputo capovolgere, grazie all’incontro con Gesù, il suo rapporto col denaro: prima era quest’ultimo a scandire la sua vita causandogli invidie e isolamento e perciò distruggendo le sue relazioni; ora è lui a dominarlo e a decidere della sua funzione e, quindi, a costruire grazie ad esso dei ‘ponti’ verso gli altri.

9 - Cfr. Marguerat, cit., p. 9.

 

segue...

 

 

 

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Inviato (modificato)

Proverbi o massime

 

AERVGO ANIMI CVRA PECVLII, “l’amore del denaro (è) la ruggine dell’anima”. Non usa mezze misure papa Clemente XI (1700-1721), al secolo Giovanni Francesco Albani, quando fa imprimere questa legenda, ispirata ad un versetto (330) dell’Ars Poetica di Orazio, su un mezzo scudo d’argento (nota 10).

Benedetto Odescalchi, invece, divenuto il 240° papa col nome di Innocenzo XI (1676-1689), sceglie il metallo più prezioso per far scrivere a chiare lettere dai suoi zecchieri su una doppia d’oro che QVI CONFIDIT IN DIVITIIS CORRVET, “chi confida nelle ricchezze andrà in rovina”. Concetto  ribadito su un’altra doppia emessa a nome dello stesso pontefice sulla quale si può leggere MVLTOS PERDIDIT AVRVM, “l’oro ha mandato molti in rovina”, così come sul testone del già citato Clemente XI, sul quale la dicitura è MVLTOS PERDIDIT ARGENTVM (ove quest’ultimo vocabolo, oltre a riferirsi al metallo della moneta specifica, può essere tradotto anche semplicemente come denaro). 

In definitiva si potrebbe dire che FERRO NOCENTIVS AVRVM, “l’oro (è) più dannoso del ferro”, come sosteneva già Ovidio nelle Metamorfosi (1, 141) e come, evidentemente, pensava anche Clemente XI che fa imprimere tali parole sia su uno scudo d’oro che sul suo multiplo da due.

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Fig. 3: Roma, Clemente XI (1700-1721), Scudo d’oro A. XII. Al R/: FERRO NOCENTIVS AVRVM, in quattro righe (Da internet: rhinocoins).

  Sembra quasi che i due pontefici abbiano voluto fare a gara nel ricordare agli uomini i pericoli derivanti dal denaro, inteso come falso dio: così papa Albani ribadirà sull’oro (scudo) il versetto del Libro dei Proverbi (11,4) che recita DIVITIAE NON PRODERVNT, “le ricchezze non gioveranno”, che papa Odescalchi aveva già utilizzato su uno scudo d’argento con maggiore precisione: NON PRODERVNT IN DIE VLTIONIS, vale a dire “non gioveranno nel giorno del giudizio”. 

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Fig. 4: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Scudo d’argento. Al R/: NON PRODERVNT IN DIE VLTIONIS, in quattro righe. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2520.

Infatti QVI AVRVM DILIGIT NON IVSTIFICABITVR, “chi ama l’oro non sarà giustificato”; questo è quello che Clemente XI fa imprimere ancora sull’oro (doppia). 

Il perché lo ricorda Antonio Pignatelli di Spinazzola, divenuto papa col nome di Innocenzo XII (1691-1700); questo pontefice pio e benevolo, che sarà ricordato anche per la sua forte presa di posizione contro il nepotismo nella Chiesa e per aver affermato “i poveri sono i miei nipoti”, prese in prestito dal Libro della Sapienza (7, 9) le parole che si possono leggere su un suo testone: TAMQVUAM LVTVM AESTIMABITVR (nota 11), (il denaro) “sarà valutato come fango” (nota 12).

Le conclusioni di questa ‘catechesi’ impartita da ben suoi tre predecessori saranno poi tratte qualche anno più tardi da Lorenzo Corsini, papa Clemente XII (1730-1740), che su un grosso farà osservare ai fedeli che quelli che accumulano denaro sono IMPLETI ILLVSIONIBVS, “pieni di illusioni” (nota 13),  su un’altra moneta col medesimo nominale ricorderà che il denaro, se non impiegato cristianamente, VANVM EST VOBIS, “è cosa vana per voi”.

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Fig. 5: Roma, Clemente XII (1730-1740), Grosso 1739. Al R/: IMPLETI ILLVSIONIBVS, in quattro righe con la data. Ex Asta Artemide XXV, 2009, lotto n. 1873.

Del resto già i due papi che lo avevano preceduto dopo la morte del suo omonimo avevano in qualche misura espresso quest’ultimo concetto: Innocenzo XIII (Michelangelo Conti, 1721-1724), infatti, aveva fatto osservare con un mezzo grosso che il denaro SATIS AD NOCENDVM, “basta per nuocere”( nota 14);  Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini, 1724-1730), a sua volta, aveva scelto il grosso per ribadire che (il denaro) IVVAT ET NOCET, “giova e nuoce”, a seconda, evidentemente, dell’uso che se ne fa.

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Fig. 6: Roma, Benedetto XIII (1724-1730), Grosso. Al R/: IVVAT ET NOCET, in tre righe. Ex Asta Negrini 31, 2010, lotto n. 1749.

Cosa fare, allora, della propria ricchezza? Lo si vedrà meglio nella parte della trattazione riservata a quelle legende che sono state classificate come ammonimenti e raccomandazioni oppure come incitamenti alla carità. Qui si può invece dire cosa non fare del denaro, almeno secondo l’insegnamento lasciato dai pontefici sulle monete.

Di sicuro non è il caso di pensare soltanto ad accumularlo, o perché poi ne godranno altri, oppure perché farà una fine diversa da quella auspicata: è Innocenzo XIII, infatti, che su un giulio fa imprimere QVI ACERVAT ALIIS CONGREGAT, “chi accumula ammucchia per gli altri”, mentre Clemente XI lascia detto su un mezzo grosso CONSERVATAE PEREVNT, ossia “conservate (le ricchezze) vanno in fumo”.

Né va dimenticato che una gran bella moneta fatta coniare tempo prima da Fabio Chigi, una volta divenuto papa col nome di Alessandro VII (1655-1667), aveva già avvertito, non soltanto a parole, ma anche con l’immagine presente nel campo, della circostanza che la quantità di preoccupazioni è proporzionale a quella del denaro. Su un giulio, infatti, attorno alla rappresentazione di un tavolo sul quale sono ammucchiate delle monete, si può leggere il verso tratto dalle Odi di Orazio (3, 16,17) che recita: CRESCENTEM SEQVITVR CVRA PECVNIAM, “l’affanno segue l’aumento del denaro”.

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Fig. 7: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Giulio. Al R/: CRESCENTEM SEQVITVR CVRA PECVNIAM, attorno a un tavolo, drappeggiato, con monete. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1325.

Mai prestare denaro con un tasso di interesse eccessivo! E’ Clemente XI, con una doppia d’oro, a riprendere un concetto già espresso in proposito da papa Leone I Magno (440-461) (nota 15):  FOENVS PECVNIAE FVNVS EST ANIMAE, “l’usura è la morte dell’anima” .

Tanto meno pare opportuno lasciarsi sopraffare da atteggiamenti quali la cupidigia o l’avarizia. La prima, infatti, è definita da Innocenzo XI, non a caso su un pezzo dal gran valore intrinseco (una quadrupla d’oro), e sulla scorta della Prima Lettera a Timoteo (6, 10), come RADIX OMNIVM MALORVM, “radice di tutti i mali”. Alla seconda sono dedicate numerose emissioni, proprio per sottolinearne la lontananza dalla morale cristiana; così, seguendo la successione cronologica dei papi, si possono ricavare diverse sentenze in proposito: Innocenzo XI fa apporre su un mezzo scudo la legenda AVARVS NON IMPLEBITVR, “l’avaro non sarà (mai) saziato” (dal denaro), mentre affida ad una doppia, dunque al metallo più pregiato, il messaggio NIHIL AVARO SCELESTIVS, “niente (è) più scellerato dell’avaro”.

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Fig. 8: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Mezzo Scudo A. VII. Al R/: AVARVS NON IMPLEBITVR, in tre righe. Ex Asta Künker 165, 2010, lotto n. 600.

Clemente XI, questa volta dalla zecca di Ferrara, dedica due coniazioni al tema in esame; la dicitura SCELERVM MATER AVARITIA, “l’avarizia (è) madre di delitti”, ispira quasi ribrezzo in chi la legge su un testone, mentre un sentimento di commiserazione si può forse provare  meditando sulle parole QVIS PAVPER? AVARVS, “chi è povero? l’avaro”, impresse su un analogo nominale, con tanto di punto interrogativo.

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Fig. 9 e 10, nell’ordine: Ferrara, Clemente XI (1700-1721), Testone 1717. Al R/: QVIS PAVPER? AVARVS, in quattro righe con la data; Testone 1717. Al R/: SCELERVM MATER AVARITIA, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotti 2557 e 2558.

Innocenzo XIII, infine, ribadisce una sorta di senso di pena per chi si fa soggiogare da questa condotta perché, come riportato su un testone, NVLLVS ARGENTO COLOR EST AVARIS, “il denaro non ha luce per gli avari”, dato che lo tengono sempre nascosto.

Volendo tirare le fila del discorso sin qui seguito, si potrebbe dire con due monete di Clemente XI – un testone e un giulio, rispettivamente – che il denaro, a seconda del rapporto che si instaura con esso, IMPERAT AVT SERVIT, “comanda o serve”, e che PRVDENTIA PRETIOSIOR EST ARGENTO, “la saggezza è più preziosa”. 

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Fig. 11 e 12, nell’ordine: Roma, Clemente XI (1700-1721), Testone 1702. Al R/: tavolo con sacchetti di monete; intorno IMPERAT AVT SERVIT e la data. Da Internet (Rhinocoins);  Giulio. Al R:/ PRVDENTIA PRETIOSIOR EST ARGENTO, in quattro righe. Ex Asta Negrini 31, 2010, lotto n. 1746.

Ciò è talmente vero che, come ricorda Innocenzo XI sia su un grosso che sulla sua metà, la saggezza non è un bene acquistabile col denaro; la legenda QVID PRODEST STVLTO, “che giova allo stolto”, richiama infatti un passo del Libro dei Proverbi (17, 16) nel quale si legge: quid prodest stulto habere divitias, cum sapientiam edere non possit? E cioè: “che giova allo stolto avere ricchezze, dal momento che non può comprare la saggezza”?

La conclusione, a questo punto, la si può ricavare da un testone del medesimo papa che, parafrasando una frase di Gesù ricordata negli Atti degli Apostoli (20, 35), riporta: MELIVS EST DARE QVAM ACCIPERE, “è meglio dare che ricevere”.

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Fig. 13: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone 1686. Al R/: MELIVS EST DARE QVAM ACCIPERE, in cinque righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2522.

 

Note:

10 - Si approfitta di questa nota per dar conto al lettore di alcune avvertenze: i nomi attribuiti alle varie monete citate nel presente lavoro sono quelli per esse adoperati da Mario Traina nel volume Il Linguaggio delle monete; in alcuni casi, come correttamente lo stesso Autore di volta in volta indica, essi differiscono da quelli utilizzati da altri (es. Muntoni); lo stesso discorso vale per le traduzioni in italiano e per quelle che vengono indicate come fonti alle quali le legende si ispirano. A titolo di esempio, per il Muntoni, la moneta con la legenda AERVGO ANIMI… è una mezza piastra e si cita come fonte San Giovanni Crisostomo. Cfr. Muntoni 1972-1974, vol. IV, p. 295.

11 - Nel presente articolo le legende sono presentate nella oro forma completa e corretta con l’avvertenza che sulle monete esse potevano apparire in realtà variamente abbreviate o con diverse grafie. Nel caso di specie la moneta in questione presenta la parola TANQVAM (per TAMQVAM).

12 - Su uno scudo d’oro  di Clemente XII si legge: DE LVTO FAECIS, “dal fango della feccia”; la legenda, tratta dal Salmo 39, sottintende “il Signore mi ha liberato” e, per Traina, è riferita appunto all’oro. Cfr. Traina 2006, cit., p. 85.

13 - Traina ricorda come la fonte biblica (Salmi 37,8: Lumbi mei impleti sunt illusionibus) sia di incerta interpretazione, tanto che la legenda presente sulla moneta viene tradotta in vari modi come, per esempio, “pieni di fiamme” o “pieni di ignominie”. Cfr. Traina 2006, cit., p. 198.

14 - Secondo alcuni, la legenda va interpretata nel senso che anche una piccola moneta, come appunto il mezzo grosso in questione, “basta a far male”. Cfr. Monti 1883, III, p. 181. Ciò a conferma di quanto già presente su altre monete di pontefici precedenti: tanto Innocenzo XI sul grosso e sulla sua metà, che Clemente XI sul mezzo grosso, avevano fatto scrivere NOCET MINVS, “fa meno danni”. L’Autore sostiene che “potendosi con il denaro commettere molto di male, esso nuoce meno quando la moneta è piccina, come appunto le monetuzze su cui è impressa questa sentenza, che furono sempre di modesto valore” (cfr. p. 175).

15 - Dottore della Chiesa. La citazione completa è in Traina 2006, cit., p. 168.

 

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P.S.: continuerò più tardi col secondo argomento "ammonimenti o raccomandazioni)

... adesso la famiglia chiama :hi:

 

 

 

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Ammonimenti o raccomandazioni

Si è visto quanto sostanzialmente costante, pur nel succedersi sulla Cattedra di Pietro di diverse personalità, sia stato l’insegnamento dei papi menzionati a proposito della ricchezza e del giusto modo di rapportarsi ad essa; magistero espresso attraverso una lunga teoria di ‘massime’ inserite come legende sulle loro monete. Nulla di strano, perciò, nel fatto che tale originale forma di ‘catechesi’ sia stata impiegata per far circolare, insieme ai soldi, anche una altrettanto corposa serie di raccomandazioni o ammonimenti, nella speranza di far sì che nessuno, un giorno, debba sentirsi indirizzare le parole conclusive della parabola del ricco stolto; quelle stesse parole che si possono leggere sull’oro di una quadrupla di Alessandro VII: HAEC AVTEM QVAE PARASTI CVIVS ERVNT, “ma quanto hai procacciato di chi sarà”? 

Come quando si ricompone un puzzle mettendo insieme i vari pezzi, così ci si potrebbe divertire nel tentativo di riunire le legende utilizzate da diversi pontefici – magari a distanza di decenni – per costruirne altre di senso ancor più completo. Alcuni esempi potrebbero essere i seguenti: all’auspicio di Innocenzo XII che su un testone fa imprimere NON SIT TECVM IN PERDITIONEM (nota 16),  (il denaro) “non sia con te nella perdizione”, si potrebbe far seguire l’invito di Benedetto XIII, che su un grosso comanda DA NE NOCEAT, “dallo perché non ti sia di danno”.

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Fig. 14: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Testone. Al R/: NON SIT TECVM IN PERDITIONEM, in quattro righe. Da Internet. (discussione su lamoneta.it)

Oppure, il perentorio TOLLE ET PROICE, “prendi (il denaro) e dallo via”, presente su un grosso di Clemente XII può essere completato da NE FORTE OFFENDICVLVM FIAT, “perché non diventi un inciampo”, che lo stesso papa Corsini fa scrivere dai suoi maestri di zecca su un testone.

Ancora, volendo sottolineare nuovamente che un corretto utilizzo del denaro può contribuire alla salvezza dell’uomo, si potrebbero leggere in sequenza le legende FAC VT IVVET, “fa che sia utile”, e PRO PRETIO ANIMAE, “per il riscatto dell’anima”, che Innocenzo XII e il suo omonimo XI fanno apporre, rispettivamente, su un mezzo grosso e su uno scudo d’oro.

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Fig. 15: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo grosso 1692. Al R/: FAC VT IVVET, in quattro righe con la data. Ex Asta Artemide XXIV, 2009, lotto n. 3316. 

Ben si prestano, infine, ad essere lette come una sola frase le due raccomandazioni NEQVE DIVITIAS (nota 17),  “non le ricchezze”, e POSSIDE SAPIENTIAM, “possiedi la saggezza”, che Innocenzo XI fa brillare sull’oro con due differenti scudi.

L’esercizio che si è voluto tentare manipolando le iscrizioni in esame può apparire, e forse realmente è, un po’ forzato. Meno azzardato sembra, invece, sostenere che molti dei pontefici di quel particolare periodo siano stati i compilatori di una sorta di ‘codice’, alla composizione del quale ciascuno ha contribuito dettando alcune ‘norme’. Queste ultime, scritte non su carta o pergamena, bensì sul metallo delle monete, si sostanziano in ‘raccomandazioni’ oppure in ‘ammonimenti’, a seconda che il loro contenuto si traduca, rispettivamente, in un invito ad un comportamento attivo o omissivo nei confronti del denaro; in altri termini a fare o non fare determinate cose.

Proprio perché si è utilizzata l’immagine del codice, se ne dà conto qui di seguito in un elenco numerato, comprendente anche l’indicazione dei papi alla cui monetazione afferiscono i vari pezzi citati, partendo dalle legende che chiamano il fedele ad una condotta di tipo attivo.

1. DIVES IN HVMILITATE, “il ricco (si glori) della sua umiltà”. Innocenzo XI, 2 scudi d’oro (o doppia); legenda tratta dalla Lettera di Giacomo (1, 10).

2. TEMPERATO SPLENDEAT VSV, “risplenda (il denaro) con un uso moderato”. Alessandro VII, mezzo grosso. L’iscrizione, tratta da un verso delle Odi di Orazio (2, 2, 3), è la continuazione della legenda NVLLVS ARGENTO COLOR EST AVARIS già citata in precedenza da un testone di Innocenzo XIII, e bene esprime il contrasto tra il tener nascosta la propria ricchezza o il farla rilucere attraverso un suo giusto impiego.

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Fig. 16: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Mezzo grosso. Al R/: TEMPERATO SPLENDEAT USV, in cinque righe. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1132.

3. REDDE PROXIMO IN TEMPORE SVO, “rendi al prossimo a suo tempo” (i denari avuti in prestito). Due monete e due metalli per questa sollecitazione che papa Clemente XI fa apporre su una doppia d’oro e su un giulio.

4. IN TESTIMONIA TVA ET NON IN AVARITIAM, “verso le tue leggi e non verso l’avarizia”. Come la precedente, anche questa legenda afferisce alla monetazione di Clemente XI che, per la zecca di Ferrara, la fa apporre su uno scudo d’argento (nota 18). È tratta da un Salmo (118 o 119, v. 36) [nota 19] nel quale è preceduta dalle parole (rivolte al Signore): inclina cor meum, “piega il mio cuore”.  

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Fig. 17: Ferrara, Clemente XI (1700-1721), Scudo d’argento 1709 A. IX. Al R/: IN TESTIMONIA TVA ET NON IN AVARITIAM, in quattro righe. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2556

5. THESAVRIZATE IN COELIS, “accumulate tesori nei cieli”. Il versetto, tratto da una frase di Gesù riportata nel Vangelo di Matteo (6, 20), appare su un giulio di papa Clemente XIII (Carlo della Torre di Rezzonico, 1758-1769). È l’immediata continuazione di un altro invito fatto da Cristo (Matteo 6, 19) che costituisce, in questo elenco (vedi n. 6), il primo di quelli che, ai fini del presente lavoro, sono stati definiti ‘ammonimenti’.

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Fig. 18: Roma, Clemente XIII (1758-1769), Giulio 1761. Al R/: THESAVRIZATE IN COELIS, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1428.

 

 

Note

16 - La legenda è ispirata a un versetto degli Atti degli Apostoli (8, 20) costruito, in realtà, come una condanna. Pietro, infatti, ad un uomo che voleva acquistare col denaro il potere di dare lo Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani, indirizza questo anatema: pecunia tua tecum sit in perditione, il tuo danaro sia con te nella perdizione. Papa Innocenzo, invece, impostando la frase come negazione, sembra voler scongiurare la condanna.   

17 - La legenda NEQVE DIVITIAS è stata utilizzata anche da Clemente XI su un mezzo grosso.

18 - La seconda parte della legenda, NON IN AVARITIAM, è presente su altre due monete di Clemente XI per Roma; più esattamente: mezzo scudo d’oro e grosso.

19 - I 150 salmi che compongono il Salterio hanno una numerazione diversa a seconda che facciano riferimento al testo ebraico masoretico (versione della Bibbia ufficialmente in uso tra gli Ebrei) o ai manoscritti greci.   

 

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6 - NOLITE THESAVRIZARE, “non tesaurizzate”. Innocenzo XI, testone.

7 - AVRI IMPERIO NE PARETO, “non obbedire al comando dell’oro”, Clemente XI, scudo d’oro.

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Fig. 19: Roma, Clemente XI (1700-1721). Scudo d’oro. Al R:/ AVRI IMPERIO NE PARITO (evidente errore per PARETO). Da Internet (rhinocoins)

8. NON AVRVM SED NOMEN, “non l’oro ma la reputazione”. Lo scudo di Clemente XI per Ferrara, sul quale campeggia tale espressione, è un chiaro avvertimento fatto dal papa a privilegiare l’essere stimati per il proprio buon nome piuttosto che per la ricchezza.

9. NON CONCVPISCES ARGENTVM, “non bramerai il denaro”. Questo frammento di un versetto del Deuteronomio (7, 25) può apparire come naturale prosecuzione – quasi una conseguenza – dell’iscrizione precedente; anch’esso fa parte dell’insegnamento lasciato da papa Clemente XI che la fa apporre su cinque tipi variati di giulio.

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Fig. 20: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio. Al R/: NON CONCVPISCES ARGENTVM, in quattro righe. Ex Asta Artemide XXIII, 2008, lotto n. 409.

10. NOLI AMARE NE PERDAS, “non amare (il denaro) per non perdere” (la tua anima). L’ammonizione compare su un testone di Innocenzo XII e si ispira ad uno scritto di Sant’Agostino (nota 20).

11. NOLI ANXIVS ESSE, “non ti angustiare” (per il denaro). Anche in questo caso è un testone, emesso però a nome di Innocenzo XI, a riportare l’ennesimo avvertimento contro l’ansia da possesso di denaro.

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Fig. 21: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone. Al R/: NOLI ANXIVS ESSE, in tre righe. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1344. 

12. NOLI LABORARE VT DITERIS, “non ti affannare per arricchire”. Clemente XI trae dal Libro dei Proverbi (23, 4) questo versetto che occupa il campo di un giulio per sottolineare, ancora una volta, il concetto della futilità dell’atteggiamento di chi, in qualche misura, si ‘tormenta’ pur di arricchire.

13. SI AFFLVANT NOLITE COR APPONERE, “se affluiranno non date loro il cuore”. Soggetto della legenda proposta da papa Clemente XI su un giulio sono le ricchezze che, evidentemente, non devono diventare oggetto d’amore da parte di chi dovesse vederle comparire tra le proprie disponibilità. La fonte dalla quale è stata tratta questa raccomandazione è il Salmo 61 (v. 11) ed è presente, in forma ridotta, anche su altre due tipologie monetali: un grosso dello stesso Clemente XI, dove compare come NOLI COR APPONERE, e un testone di Innocenzo XI sul quale, invece, l’imperativo è impresso nella forma plurale NOLITE.

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Fig. 22: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio 1703. Al R/: SI AFFLVANT NOLITE COR APPONERE, in sei righe con la data. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1195.

14 - NON SIBI SED ALIIS, “non per sé ma per gli altri”. L’iscrizione, che si trova su un mezzo scudo di Innocenzo XII, sovrasta la figura di un pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi pulcini. Un tempo si riteneva erroneamente che questo palmipede avesse la capacità di nutrire o,  addirittura, di resuscitare i suoi piccoli nutrendoli del proprio sangue. Per questo nella simbologia cristiana è stato spesso accostato allo stesso Cristo, in quanto segno di Colui che offre la propria vita per la salvezza di quelli che sono stati da Lui generati. Nella teologia medievale il pellicano rappresenta più esattamente Gesù che si lascia inchiodare alla croce, donando il suo sangue per la redenzione dell’umanità. Un simile accostamento è presente, ad esempio, nella Divina Commedia (nota 21),  così come in una preghiera del Corpus Domini di Tommaso d’Aquino (nota 22).  La moneta descritta fu emessa per ricordare la carità fatta dal papa ai poveri accolti nell’ospizio di San Michele e nel palazzo del Laterano; chiaro, perciò, il significato da attribuire all’insieme immagine-legenda: il denaro va speso per il bene altrui e non per il proprio.

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Fig. 23: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo Scudo 1693. Al R:/ NON SIBI SED ALIIS, disposta ad arco su pellicano che si squarcia il petto per alimentare i suoi piccoli; sulla destra la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2533.

Si è scelto di chiudere l’insieme di norme in materia di comportamenti da tenere nei confronti della ricchezza – che si è voluto definire ‘codice’ – con quest’ultimo invito presente sulla bella moneta appena illustrata, perché sembra fungere da naturale raccordo con quella che rappresenta la terza parte del presente lavoro e il completamento della ‘catechesi numismatica’ in esame: l’esaltazione della carità e il conseguente incoraggiamento a praticarla costantemente.

 

NOTE

20 - S. Agostino, Trattato 124 sul vangelo di Giovanni. Cfr. Traina 2006, cit., p. 290.

21 - Dante accosta la scena dell’ultima cena in cui l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro con la figura del pellicano: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto”. Cfr. Paradiso, XXV, 112-114. Il “grande officio” è costituito dal compito di accogliere Maria nella sua casa, assunto da Giovanni allorché Gesù gli disse, dall’alto della croce: “ecco tua madre” (Cfr. Giovanni, 19, 27).

22 - “Fa’, Gesù, Signore e Salvatore, prezioso Pellicano, che io peccatore riceva purificazione dal tuo sangue”. Cfr. Schmidt 1988, p. 90, richiamato da Traina 2006, cit., p. 298. 

 

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Inni o incitamenti alla carità

Nell’Antico Testamento l’elemosina costituisce prevalentemente un dovere religioso che finisce con l’assumere, in seconda battuta, una valenza sociale. Con l’insegnamento di Gesù, queste due funzioni vengono a coincidere perché attraverso la ‘carità’ si persegue l’imitazione di Cristo e, contemporaneamente, si conferisce al denaro una doppia funzione salvifica: da una parte si liberano i bisognosi dalle loro necessità materiali e imminenti, dall’altra ci si prepara a godere, un giorno, dei frutti della ricompensa divina. In questa ottica, il denaro, se così impiegato, si trasforma per poveri e ricchi in sorgente di vita e perde quella caratteristica di essere generatore di ingiustizia, che gli deriva dal suo naturale distribuirsi in maniera non uniforme tra gli uomini.

Non a caso, dunque, nella monetazione in esame in questo lavoro, sono ravvisabili numerosi esempi di legende che si sostanziano in incitamenti alla – o esaltazione della – carità.

SERITE IN CARITATE, “seminate (o distribuite) in carità”. È l’invito espresso che papa Benedetto XIII fa apporre su un mezzo grosso (nota 23). 

Ma il suo insegnamento non finisce qui; egli, infatti, ricorda, facendolo scrivere su un giulio, che il denaro dato IN CARITATE MVLTIPLICABITVR, “per carità, si moltiplicherà”, mentre su un testone ripropone un versetto del Libro dei Proverbi (19, 17) già utilizzato in precedenza da Clemente XI su un nominale analogo: FOENERATVR DOMINO QVI MISERETVR PAVPERI, “fa un prestito al Signore chi ha compassione del povero”.

In proposito Gesù è stato molto esplicito. Nel racconto del giudizio finale Egli anticipa che separerà i giusti dagli iniqui, premiando i primi per avergli dato da mangiare e da bere, per averlo ospitato, vestito,  e curato attraverso la carità fatta ai bisognosi: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25, 40). Si può perciò essere certi che il Signore non dimenticherà il suo essere in qualche modo ‘debitore’ nei confronti di chi si è dimostrato caritatevole verso i poveri; questo è il senso del PRODERIT IN TEMPORE, (la carità) “gioverà a suo tempo”, che si può leggere su un grosso di Benedetto XIII, nonché del DELICTA OPERIT CARITAS, “la carità riscatta le colpe”, e del QVI MISERETVR PAVPERI BEATVS ERIT, “chi ha pietà del povero sarà beato”, che Clemente XI affida, rispettivamente, a un giulio e a un testone.

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Fig. 24: Roma, Clemente XI (1700-1721), Giulio. Al R/: DELICTA OPERIT CHARITAS, in tre righe. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1197

Dunque l’invito che il Maestro rivolge al cristiano, e che alcuni papi ribadiscono in moneta, è chiaro; così Innocenzo XII, prendendo in prestito le parole del profeta Daniele (4, 24) scrive su un giulio: PECCATA ELEEMOSYNIS REDIME, “riscatta i peccati con le elemosine”, mentre Benedetto XIII incoraggia il cristiano ricordandogli, con un mezzo grosso, PRO TE EXORABIT, (la carità) “pregherà per te”.

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Fig. 25: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Giulio 1699. Al R/: PECCATA ELEEMOSYNIS REDIME, in quattro righe con la data. Ex Asta Nomisma 39, 2009, lotto n. 2537.

DA ET ACCIPE, “da’ e ricevi”. Questo doppio imperativo presente su un mezzo grosso di Clemente XI altro non fa se non ribadire l’idea che la carità arricchisce chi ne beneficia e anche chi la pratica. Già molti anni prima il papa Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni, 1572-1585) aveva dedicato a questo concetto due belle monete, battute nella zecca di Ancona, sulle quali la legenda DAT ACCIPIT REDDIT, “dà, riceve e restituisce”, si accompagnava con la rappresentazione allegorica di questa forma superba di amore: la Carità con in braccio due bimbi e un terzo al fianco (scudo d’oro) oppure un bambino tra le braccia e due ai lati (giulio) [nota 24].

San Paolo, che nella Prima Lettera ai Corinzi eleva alla Carità quello che è considerato il suo inno più bello (13, 1-13), suggerisce nella Seconda Lettera inviata alla stessa comunità (9, 7) di donare con gioia. Le sue parole sono state riprese da Alessandro VII, che su una doppia fa riportare: NON EX TRISTITIA AVT EX NECESSITATE, “non (dare) con tristezza o per forza” e su un grosso HILAREM DATOREM DILIGIT DEVS, “Dio ama chi dona con gioia”.

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Fig. 26: Roma, Alessandro VII (1655-1667), Grosso. Al R/: HILAREM DATOREM DILIGIT DEVS. Ex Asta Nomisma 103, 2009, lotto n. 1128.

Il concetto di caritas, specialmente dopo il suo compimento con l’insegnamento e l’esempio di Gesù Cristo e la sua esatta definizione negli scritti del Nuovo Testamento, andrebbe inteso col significato generale e più ampio di amore del prossimo e di dono di sé. Non si può però negare che esso abbia anche una valenza specifica di attenzione e sostegno ai poveri e ai miseri, dato che questi ultimi hanno sempre goduto di particolare attenzione e predilezione da parte di Dio, come testimoniato in numerosi passi delle Sacre Scritture e come ribadito anche in moneta: il grosso di Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini, 1740-1758) sul quale si leggono le parole OCVLI EIVS IN PAVPEREM, “i suoi occhi rivolti al povero”, ne è una conferma.

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Fig. 27: Roma, Benedetto XIV (1740-1758), Grosso 1743. Al R/: OCVLI EIVS IN PAVPEREM, in quattro righe con la data. Da Internet (Rhinocoins) 

HABETIS PAVPERES, “avete i poveri” (con voi). Questa frase, attribuita nel Vangelo di Matteo (cfr. 26, 11) a Gesù, è presente su un grosso di Clemente XII, quasi come promemoria per ricordare a tutti che, purtroppo, la povertà e il bisogno sono sempre presenti. Perciò non può che definirsi retto chi li ha a cuore. Due papi hanno voluto ricordare in moneta questo ultimo concetto espresso anche nel Libro dei Proverbi (29, 7): NOVIT IVSTVS CAVSAM PAVPERVM, “il giusto non ignora la causa dei poveri”, è infatti quanto si può leggere su uno scudo e su un grosso, rispettivamente, di Innocenzo XII e Benedetto XIV.

Non stupisce, quindi, la pressante serie di esortazioni a prestare attenzione ai miseri che il gruppo di pontefici in esame si preoccupò di pronunciare facendo parlare le proprie monete. DA PAVPERI, “da’ ai poveri” è la forma più sintetica e immediata di questi inviti che fanno apporre prima Innocenzo XII su un mezzo grosso, e poi Clemente XIII su un grosso (nota 25),  ma non è l’unica.

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Fig. 28: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Mezzo grosso 1696. Al R/: DA PAVPERI, in tre righe con la data. Da Interne (CNG coins).

 

Note

23 - Sulla moneta compare CHARITATE che è “grafia tarda e specificamente cristiana per accostamento paretimologico col greco CHARIS, grazia”. Cfr. Traina 2006, cit., p. 398. Considerazioni analoghe valgono per le legende IN CHARITATE MVLTIPLICABITVR e DELICTA OPERIT CHARITAS.

24 - La stessa impronta sarà ripresa in pieno XX secolo nella monetazione di Pio XII e Giovanni XXIII. Molto simile anche lo scudo d’oro di Gregorio XIII, con la Carità in piedi, un bimbo in braccio e due ai fianchi, e la scritta DEVS CHARITAS EST, “Dio è amore”, tratta dalla Prima Lettera di Giovanni Apostolo (4, 8). 

25 - In qualche caso i papi non si limitarono soltanto a invitare ad opere di carità, ma provvidero essi stessi direttamente. Un grosso e un mezzo grosso di Clemente XI con la legenda DEDIT PAVPERIBVS, “ha dato ai poveri”, ricordano l’azione del pontefice che, appena salito al soglio pontificio, destinò 10.000 scudi del suo patrimonio privato all’acquisto di cibo e altri beni per i poveri. Cfr. Traina 2006, cit., p. 87.

 

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NE OBLIVISCARIS PAVPERVM, “non dimenticarti dei poveri”. È ancora Innocenzo XII a lasciare questa sollecitazione, in tal caso su un giulio. Sarà poi imitato dal successore Clemente XI, che la farà imprimere su un testone.

Alla monetazione di quest’ultimo papa appartengono anche un grosso e la sua metà con la scritta PAVPERI PORRIGE MANVM TVAM, “stendi la tua mano al povero”, versione integrale di una legenda presente in forma ridotta anche su altri nominali dello stesso pontefice, nonché di suoi tre successori (nota 26).

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Fig. 29: Roma, Clemente XI (1700-1721), Grosso. Al R/: PAVPERI PORRIGE MANVM TVAM, in quattro righe. Da Internet (Rhinocoins).

Ad Innocenzo XII si deve la riproposizione in moneta di un frammento del Libro di Giobbe (5, 16) riportato su sei tipi variati di grosso che presentano la dicitura EGENO SPES, “speranza per il bisognoso” , nonché quella del versetto del Deuteronomio (15, 11) EGENO ET PAVPERI, (porgi la mano) “al bisognoso e al povero”, visibile su un testone. Su quest’ultima moneta compare anche una bellissima rappresentazione: una donna, con una fiamma sul capo, che avanza tenendo una cornucopia capovolta dalla quale cadono più monete. Come spiega Traina nel magistrale volume ricordato all’inizio di questo lavoro, la fiamma è tradizionalmente simbolo di illuminazione, purificazione e amore spirituale, mentre la cornucopia è emblema di abbondanza, speranza e carità.

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Fig. 30: Roma, Innocenzo XII (1691-1700), Testone 1694. Al R/: EGENO ET PAVPERI, attorno a donna che avanza con fiamma sul capo e cornucopia in mano dalla quale cadono monete; in esergo la data. Ex Asta Nomisma 38, 2009, lotto n. 1364.

Il mezzo grosso di Innocenzo XIII con IN EGENIS, “per i bisognosi” e il pezzo di valore doppio di Clemente XII con la scritta CVM EGENIS, “dalla parte dei poveri”, arricchiscono ulteriormente il panorama delle coniazioni di questo tipo.

BEATVS QVI INTELLIGIT SVPER EGENVM, “beato chi comprende i bisogni del povero”. L’iscrizione appena citata da un giulio di Innocenzo XIII ricorda che non soltanto occorre individuare i bisognosi, ma anche saper discernere esattamente quali siano le loro effettive necessità. Non v’è dubbio che, tra queste, quella del cibo sia primaria ed è proprio a tale specifico aspetto che sono dedicate le parole leggibili su tre grossi (a volte con varianti) di due diversi pontefici: IN CIBOS PAVPERVM, “per i cibi dei poveri” (Clemente XII), EDENT PAVPERES ET SATVRABVNTVR, “i poveri mangeranno e saranno saziati”, e VT ALAT EOS IN FAME, “perché dia da mangiare agli affamati” (Benedetto XIV).

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Fig. 31: Roma, Benedetto XIV (1740-1758), Grosso. Al R/: EDENT PAVPERES ET SATVRABVNTVR, in quattro righe. Da Internet (Rhinocoins).

Nel Vangelo di Luca è scritto PETENTI TRIBVE, “da’ a chi chiede” (6, 30), e, poco oltre, DATE ET DABITVR, “date e vi sarà dato” (6, 38). Entrambe le espressioni sono presenti pure su moneta: rispettivamente, su un mezzo grosso di Benedetto XIII e su un grosso di Clemente XI. Lette insieme, esse danno, ancora una volta, la certezza che la carità giova anche a chi la pratica e, soprattutto, che non lo impoverisce. La legenda QVI DAT PAVPERI NON INDIGEBIT, “chi dà al povero non andrà in rovina”, che Innocenzo XI  pone su un giulio, può essere interpretata, allora, come una conferma di quella che si è voluta definire ‘doppia funzione salvifica’ della carità stessa. 

La conclusione di questo lungo percorso di ‘catechesi numismatica’ è forse quella che si può leggere tanto su un testone che su una quadrupla di papa Clemente XI: A DEO ET PRO DEO, “da Dio e per Dio”. Quasi per dire che la ricchezza viene dal Signore ed è a Lui che deve ritornare, attraverso l’attenzione verso i bisognosi che, come riscontrabile nelle Scritture sia vetero che neotestamentarie, godono della Sua predilezione.

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Fig. 32: Roma, Clemente XI (1700-1721), Testone. Al R/: A DEO ET PRO DEO, intorno a donna con un bimbo in braccio, tra due bambini che versano monete da due cornucopie. Da internet (Rhinocoins). 

L’invito è che ognuno, riconoscendo la verità di quanto appena affermato, possa andare incontro al prossimo che si trova nel bisogno con le parole che Pietro rivolse ad uno storpio che chiedeva l’elemosina davanti al tempio di Gerusalemme (cfr. Atti, 3, 6), e che Innocenzo XI ha voluto fossero impresse su un suo testone: QVOD HABEO TIBI DO, “quello che ho lo do a te”.

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Fig. 33: Roma, Innocenzo XI (1676-1689), Testone Anno II 1677. Al R/: QVOD HABEO TIBI DO, S. Pietro, stante a destra, aiuta lo storpio.

 

NOTE :

26 - PAVPERI PORRIGE: Clemente XII, grosso. PAVPERI PORRIGE MANVM: Clemente XI, grosso, mezzo grosso; Clemente XII, grosso. Benedetto XIV, grosso (o mezzo paolo); Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, 1800-1823), grosso. Quest’ultima moneta è stata coniata anche nella zecca di Bologna. 

 

BIBLIOGRAFIA

Amisano G. 2009, Le monete della Bibbia e dei Vangeli con monete e parole, Cassino (FR), Editrice Diana.

 

Andreau J., La cattiva reputazione dei pubblicani, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 17-19.

Colombo C. 2003, Trenta monete d’argento. Le monete nel Nuovo Testamento, Pessano (MI), Mimep-Docete (Bereshit; 1).

Lémonon, J-P., La questione del denaro di Cesare, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-24.

 

Marguerat D., Dio e il denaro sono compatibili?, in «Il Mondo della Bibbia», n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 5-9.

Merlo G.G., Francesco d’Assisi e il denaro, in Travaini 2009, pp. 145-152.

Monti A. 1883, Motti sopra alcune monete dei Pontefici, in «Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d’italia», 1883, fasc. II e III.

Muntoni F. 1972-1974, Le monete dei Papi e degli Stati Pontifici, Roma, P&P. Santamaria. Vol. I: Da Adriano I alla Sede Vacante 1559 (772-1559), Roma 1972; Vol. II: Da Pio IV alla Sede Vacante 1676 (1559-1676), Roma 1972; Vol. III: Da Innocenzo XI alla Sede Vacante 1758 (1676-1758), Roma 1973; Vol. IV: Da Clemente XV a Paolo VI (1758-1971), Roma 1974.

Schmidt Heinrich e Margarethe 1988, Il linguaggio delle immagini. Iconografia cristiana, Roma, Città Nuova.

Traina M. 2006, Il linguaggio delle monete. Motti, imprese e legende di monete italiane, Sesto Fiorentino (FI), Editoriale Olimpia.

Travaini L. 2009 (a cura di), Valori e disvalori simbolici delle monete. I Trenta denari di Giuda, Roma, Quasar (Monete; 3).

 

*****

Ecco... ho finito. 

L'articolo originale, in realtà, proseguiva con una piccola parte conclusiva che però, ai fini di questa discussione, può essere omessa.

Mi scuso se la lettura potrà risultare un po' scomoda, ma il semplice allegare la scansione della rivista avrebbe impedito di vedere bene le immagini.

@dabbene , al quale avevo chiesto preventivamente se poteva essere utile portare questo contributo, mi perdonerà se mi sono preso tutto questo spazio.

 

Modificato da tornese71
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Inviato

Altro che occupare spazio... Ll'hai occupato dandoci cultura :)

grazie e bellissima discussione ! 

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Inviato

Caspita...avevo chiesto anche un momento di riflessione direi che ora abbiamo anche questo....e che momento...

Un grande grazie e i migliori complimenti a @tornese71per averci donato queste pagine che ora, tra una moneta e l'altra, leggeremo e metabolizzeremo con calma...buona lettura a tutti noi...ma non finisce comunque qui....:D

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Inviato

Dimenticavo...ogni tanto bisogna fare una chiosa, stiamo coniugando qualità e quantità ( senza accorgersi questa discussione e' diventata la più partecipata nel tempo della sezione monete moderne), ma quello che conta e conterà e' il cercare di far vedere la moneta da un altro punto di vista, di quello che rappresentava e voleva trasmettere, il messaggio della moneta...

A volte parliamo anche giustamente di scarsa partecipazione, qui non sembrerebbe, anzi..., e per il resto ...altro che FB... ma questa mi è' scappata :D, scusate ...

Da parte mia ho ancora almeno due esempi da far vedere, uno veramente un super jolly che di solito si cala alla fine...:D, poi vedremo di passare a quella che io chiamerò fase 2 per rendere tutti ancor più partecipi di quello che e' stato finora..., a presto quindi...


Inviato

Torno un'ultima volta sull'articolo per raccontarvi un ricordo personale che lega quel testo a Mario Traina.

Dopo che Roberto Ganganelli mi comunicò che sarebbe stato pubblicato, lo indirizzai anche a Traina, sia per farglielo leggere in anteprima che per ringraziarlo ancora una volta per aver scritto il libro Il Linguaggio delle monete che era stato così prezioso.

Mi rispose, sempre per lettera, dal mare.

Ecco un estratto di quel che mi scrisse:

"Caro Vittorio [...] grazie anche per il sostanzioso servizio che mi hai inviato in visione sugli insegnamenti morali elargiti attraverso le monete dei Romani Pontefici. Un ottimo servizio, complimenti. [...] Un solo suggerimento: nella Bibliografia inserirei lo studio pubblicato sulla «Numismatica» dei Santamaria proprio sullo stesso argomento: purtroppo sono al mare (da qui il ritardo nel risponderti) e non ho a mia disposizione la mia libreria; non mi ricordo l'anno, il numero della rivista e il nome dell'autore (Donini?). Dovresti trovarlo citato nella Bibliografia de "Il linguaggio delle monete". E' stato quello lo Studio più ampio e critico pubblicato in materia; non può essere ignorato. Un caro saluto e grazie per le sempre generose parole di apprezzamento nei miei riguardi che mi hanno fatto arrossire di vergogna".

Ecco... questo era Mario Traina.

Uno che rispondeva persino quando era in vacanza al mare, scusandosi per il ritardo e suggerendo con delicatezza come colmare una lacuna...

Non feci in tempo a integrare la bibliografia perché l'articolo era già in stampa ma... aveva ragione!!!

Lo studio da lui ricordato era questo:

Augusto Donini, Per i ricchi e per i poveri. Di alcune sentenze morali sulle monete dei Papi, in «Numismatica», 1949, Anno XV, n. 1-6, pp. 56-60.

E non feci in tempo a scusarmi... proprio quando uscì la seconda parte dell'articolo, all'inizio di ottobre del 2010, venni a sapere della sua improvvisa scomparsa. E così quella era stata l'ultima volta che ci siamo sentiti e che ho potuto approfittare della sua competenza e della sua cortesia.

Ogni anno, nell'anniversario, ho cercato di ricordarlo sul forum.

Quest'anno avevo deciso di soprassedere ma... proprio quasi a ridosso della data della sua scomparsa, @dabbene ha dato il via a questa stupenda discussione. E ha scritto più volte che a Traina sarebbe piaciuta.

Ho interpretato la cosa come un segno del destino ed è verissimo che l'avrebbe apprezzata. Probabilmente ne avrebbe scritto anche perché qui, a differenza del suo libro, le monete le possiamo anche vedere.

E ora davvero mi ritiro in buon ordine e, contando di vedere ancora altri bei pezzi e di imparare tante altre cose nuove, aspetto con curiosità la "fase due".

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Ciao, Mario!

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Inviato

Caspita @tornese71 grazie per la condivisione e complimenti per lo studio pubblicato nell'articolo postato. Continuo con qualcosa d'oltreoceano.

 

 

A mari usque ad mare .

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"dal mare fino al mare" è una locuzione latina tratta dalla Vulgata ("salmo 72, v. 8" ;  traduzione in latino della Bibbia dall'antica versione greca ed ebraica, realizzata alla fine del IV secolo da Sofronio Eusebio Girolamo). Nel salmo, attribuito a Salomone, viene profetizzato l'arrivo del messia Cristo Gesù e il suo futuro dominio spirituale sul mondo, appunto, "dal mare fino al mare".

La locuzione,oggi visibile nello stemma di stato, è il motto nazionale del Canada, in ragione del fatto che questa nazione si estende tra due "mari": l'oceano Atlantico e l'oceano Pacifico.

canada-crest.jpg

Buona giornata

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