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IGNORED

Brexit


Ospite

Risposte migliori

Forse ecco il perché:

".....perché se saranno messe in atto ci saranno due grandi potenze all’interno dell’Alleanza atlantica, gli Stati Uniti e l’Unione europea, al cui confronto il Regno Unito non peserà più della Norvegia o della Turchia.

Per i britannici sarebbe la fine del loro ruolo come alleato privilegiato degli americani e del loro ruolo di tramite delle posizioni americane in Europa e nella Nato. È comprensibile che vogliano opporsi, in un momento in cui il segretario generale della Nato ha approvato l’impostazione franco-tedesca. Ma a questo punto bisogna rivolgere una domanda a Londra: “In definitiva, cosa volete?”

I britannici vogliono uscire dall’Unione continuando ad avere un ruolo, e questo è un problema con cui sono costretti a scontrarsi, perché, ci dispiace, quando si lascia un club non si ha più voce in capitolo sul suo regolamento interno".

http://www.internazionale.it/opinione/bernard-guetta/2016/09/28/brexit-bratislava-difesa-comune-europea

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@bizerba62

Ciao Michele,

io la vedo così : la Brexit danneggia l'EU ovviamente.

Quindi bisognava far propaganda contro. Poi visto che c'è stata comunque malgrado tutte le prediche ammannite agli inglesi da tutti i politici, economisti, giornali al servizio dei soliti noti e tutti a scrivere le stesse cose su ordini dall'alto, ecco che si è passati a " vedrete che se ne pentiranno, andranno a rotoli, morranno di fame e gli starà bene, bla,bla,bla..................

Non è vero niente , ma non si può dirlo perchè non è politicamente corretto. Hai mai visto un politico o un gazzettiere rimangiarsi le idiozie dette e scritte e chiedere scusa per essersi sbagliato ?

Spero di vederti a TO prossimamente. Ti darò copia di un mio scritto appena pubblicato. Un caro saluto

Roberto

Modificato da Ospite
aggiunta per visibilità
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Ciao.

Concordo anch'io con Roberto (rorey36), che ringrazio fin d'ora per la copia del Suo scritto.

Anche se qualunque seria valutazione appare ancora prematura, in quanto sono passati poco più di tre mesi dal referendum e considerando anche i britannici non sono "tecnicamente" ancora usciti dalla U.E., il bombardamento mediatico che colpisce noi disgraziati Osservatori (altrimenti considerati "Parco buoi" o anche "Rinco boys" dai predetti mass media) con il quale si vorrebbe far credere che la Brexit sia (e sarà) una iattura per gli inglesi, mi pare presti il fianco a numerose smentite, già oggi fondate su precisi indicatori economici e non su opinioni in libertà pur autorevoli.

Come al solito, la maggioranza dei mass media cavalca e ci propina l'opinione dominante secondo la quale gli inglesi sono degli irresponsabili mentre i cittadini della U.E. (che hanno invece capito come va il mondo) dei lungimiranti.

Con l'esito del Referendum, l'Inghilterra ha dimostrato ancora una volta di poter fare a meno della U.E. (così come aveva già dimostrato di poter fare a meno dell'Euro) senza che ciò abbia comportato la "Caporetto" che molti forse auspicherebbero ma che non è nei fatti.

Che poi gli inglesi (rectius: la maggioranza degli inglesi che ha votato pro Brexit) possa stare sulle balle per quell'atteggiamento di superiorità ed indipendenza è questione soggettiva, la cui importanza è però secondaria rispetto ai dati di fatto che (per ora) dimostrano come tutti i principali indicatori economici della terra di Albione siano tutt'altro che in sofferenza.

Ci si vede a Torino, a Dio e ad Alitalia piacendo.

M.

 

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Qualche nuova difficolta per i Brexiters (naturalmente di natura attuativa):

"Vi sono due altre strade possibili per Londra di sfuggire alla Brexit. Le spiega il professor Chris Thornhill, costituzionalista di Manchester. La prima è legata alla natura stessa del referendum che nel Regno Unito non ha praticamente regole essendo quasi uno sconosciuto (quello sulla Brexit è stato il quarto ad essere tenuto dal 1972). Il risultato deve essere ratificato dai deputati con una legge. Altrimenti è inutile. Ecco perché John Redwood, falco anti-europeista, anche ieri ha ribadito che la vera urgenza è un Atto del Parlamento. Liam Fox, già ministro della Difesa, ha spostato la data dell’uscita del Regno Unito dalla Ue al primo gennaio del 2019. Una calma che fra gli esponenti del Leave è parsa quantomeno sospetta. Più passa il tempo, più i rischi che si formi una coalizione di «riluttanti» in grado di ribaltare l’esito del voto di giovedì diventa concreta. È quello in fondo che ha chiesto Lord Michael Heseltine, ex vice premier conservatore, ricordando che ci sono a «Westminster 350 deputati favorevoli alla Ue che dovrebbero formare un gruppo unico e combattere i referendari».  

Altra strada per sbarrare la corsa alla Brexit è indire nuove elezioni entro fine anno. In questo caso il nuovo Parlamento è per legge svincolato a tenere conto di quello che il precedente avrebbe dovuto fare (come la ratifica del referendum). Ovviamente, spiega una fonte laburista, questa via è percorribile solo se i partiti laburista, conservatore e lib-del faranno campagna elettorale per le prossime consultazioni dicendo chiaramente che loro intenzione è quella di rivedere la Brexit. Il capo dei liberal democratici Tim Farron è già della partita: alle prossime elezioni il suo partito si presenterà chiedendo «l’adesione alla Ue». Le grandi manovre potrebbero essere solo all’inizio". 

http://www.lastampa.it/2016/09/19/cultura/scuola/e20/cronaca/brexit/la-sfida-della-scozia-bloccheremo-luscita-dalla-ue-zr6vWhNynYNLl0WoB0v0vN/pagina.html

 

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Credevo che questa discussione fosse sepolta... invece leggo ancora di come "la maggioranza dei media" cattiva se la prenda con loro che avevano capito tutto subito, ma - poveracci - per la loro eroica resistenza contro il mostro Europa (che naturalmente complotta perchè la brexit lo danneggia) vengono trattati da scemi/ignoranti. Che s'ha ddafà pe 'ccampà... ma del resto sapevamo benissimo che la brexit sarebbe stata presa da subito, da prima che l'UK avesse anche solo preso la decisione tecnica di uscire, come ghiotto pretesto per cercare di dimostrare in tutta fretta "la verità". Che l'UK non abbia ancora neanche mosso un passo verso l'uscita non fa niente, particolare secondario: l'importante è cominciare con la propaganda.

Sta di fatto che questa brexit ha creato l'effetto contrario a quello che speravano e che non hanno mai smesso di sperare i vari George Soros, John Paulson e Warren Buffet in giro per il mondo, nonchè certi politici europei, in particolar modo quelli di tendenze spiccatamente estremiste e antidemocratiche.

http://www.huffingtonpost.it/david-sassoli/europa-cittadini-brexit-_b_11049192.html

Conosciamo già lo step successivo, che sarà d'insistere per l'uscita anche dell'Italia dall'Euro e/o dall'UE, cosa già dipinta da certa stampa e certa politica, anche estera (e dai nosti amiconi finanzieri miliardari che scommettono contro l'Euro), come la strada verso un paradiso dove tutto andrà bene e tutti staranno meglio.

I venditori d'illusioni avranno di che lavorare duro nei prossimi anni.

Modificato da ART
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Il 12/9/2016 at 15:27, luke_idk dice:

Di fatto uk sta cercando di rimanere nel mercato comune, prima di uscire. Se esistesse una politica europea, glielo impediremmo come sarebbe giusto che fosse (solo gli onori senza oneri???) Così, invece, nessuno vuole rinunciare ad esportare verso Londra, quindi possono anche riuscirci

Rimanere nel mercato comune senza essere membri dell'UE è impossibile, e non esistono neanche eccezioni o esenzioni speciali varie. Esportazioni o meno potranno addolcire un po' la pillola, magari negoziando un'unione doganale, ma in fatto di mercato non avranno comunque identici diritti a chi ne fa parte.

Modificato da ART
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Prima di contrattare aspettiamo la decisione della Corte Suprema che dovrà pronunciarsi se sia necessario un preventivo voto parlamentare per rendere effettivo il voto di un referendum consultivo.

E qui ne vedremo delle belle ...... altro che teatrino politico italico (comunque non abbattiamoci siamo ancora i number 1).....

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Che squallore:

«Dateci parte delle 42 mila bottiglie» Londra reclama (anche) la cantina Ue

I prossimi effetti della Brexit: separazione dei beni come in una causa di divorzio. Oltre ai vini, la Gran Bretagna richiederà anche case e opere d’arte

Come in ogni causa di divorzio degna di questo nome, anche in quella che porterà alla definitiva separazione tra il Regno Unito e l’Unione Europea gli stracci sono pronti a volare. Con l’aggravante che sarà molto difficile e fonte di ulteriori e interminabili polemiche, districarsi tra le complessità finanziarie di un matrimonio molto affollato com’è quello europeo. Di sicuro Londra non vuole fare sconti e pretende tutto ciò che le spetta. A cominciare dal vino e dalle opere d’arte. Non è uno scherzo. Ci sono 42 mila bottiglie di pregiatissimi vini, cognac e altri alcolici, nella cantina della Commissione europea. Intere annate dei migliori Chateau francesi: Latour e Pétrus, Margaux e Haut Brion, Lafite e Figeac. Champagne da favola, come i millésime di Krug e Dom Pérignon. E poi i Sauternes, i Borgogna, gli Châteauneuf-du-Pape. Senza contare i più grandi vini italiani, austriaci, tedeschi, spagnoli. Di tutto questo, i negoziatori britannici reclamano la loro quota parte. Così come della ricca collezione d’arte contemporanea del Parlamento europeo.

Beni per 3 milioni di euro

Sul piano contabile, non sono cifre iperboliche: calcolando che Londra versa 1/8 dei contributi netti al bilancio comune, in teoria le spettano 5 mila bottiglie di vino o bollicine, 250 di cognac e opere d’arte per un valore introno ai 3 milioni di euro. Ma sono cifre che saranno sicuramente oggetto di duro contenzioso, se non altro per una questione di principio (parafrasando la Thatcher è un po’ come dire «I want my wine back!»).

Gli immobili

Più interessante e sostanziosa sarà invece la partita sulle proprietà immobiliari, l’Unione europea disponendo di un patrimonio di edifici valutato intorno ai 10 miliardi di euro ai prezzi di acquisto, vale a dire quelli degli anni 80 e 90, ma per la quale i negoziatori di Sua Maestà chiederanno sicuramente un aggiornamento agli attuali valori di mercato. Proprietà prestigiose, a cominciare dalla londinese 32 Smith Square, celebre per essere stata la sede del Central Office del Partito conservatore, che l’Unione europea ha acquistato nel 2010 per 26 milioni di sterline, circa 30 milioni di euro, per farne l’Europa House, dove oggi sono gli uffici della Commissione e del Parlamento europeo a Londra. Nigel Farage, l’ex leader dell’Ukip che in quanto europarlamentare ha un ufficio nel palazzo, ha detto al Financial Times che Londra dovrebbe riprenderne possesso e «trasformarlo in un museo dedicato a Margaret Thatcher».

Spartizione difficile

Ci sono poi gli edifici del Parlamento a Bruxelles, della Corte di Giustizia europea a Lussemburgo, lo stesso Berlaymont, quartier generale della Commissione, in affitto ma a tutto titolo fra le proprietà, potendo l’esecutivo comunitario esercitare un diritto di acquisto dal Belgio per appena 1 euro nel 2031. In tutto, nella sola Bruxelles, l’Unione europea è proprietaria di circa 1,6 milioni di metri quadrati, prime real estate di cui il governo britannico, da buon coniuge battagliero, rivendica la sua quota. Già complessa politicamente e sentimentalmente, la Brexit sarà quindi un divorzio urticante anche sul piano più prosaico della divisione dei beni. Michel Barnier e Guy Verhofstadt, capo negoziatori rispettivamente per il Parlamento e la Commissione avranno tanto filo da torcere. Soprattutto sui vini, gli inglesi saranno inflessibili. Ne producono poco, ma se ne intendono eccome.

http://www.corriere.it/esteri/16_ottobre_01/brexit-divisione-beni-dateci-parte-21-mila-bottiglie-9cf73914-8817-11e6-bf16-41bc56635276.shtml

Ridare indietro ad esempio alla Grecia i suoi beni archeologici del Partenone ?

Vogliono fare i pignoli, allora si dovrebbe fare un elenco di tutti i beni che appartengono agli altri 27 Paesi UE e che sono detenuti illegittimamente nell'UK.

Gallerie, Musei, Collezioni pubbliche e private, beni reali..... e vediamo allora come la mettono.

Brexit significa Brexit, ma vale anche per l'UE e cioè se siete fuori lo siete in tutto e per tutto, compreso il mercato unico.

PS: vedendo in questi giorni i referendum, non è che stiano andando proprio nella direzione sperata di chi li propone.

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Comunque c'è una precisazione: la Brexit potrà essere anche presentata dal Governo (senza sentire il Parlamento, cosa per me impensabile in un Paese democratico e liberale), ma per modificare le leggi o abrogarle servirà sempre il consenso dei due rami del Parlamento e mi pare che i Lord daranno dei bei grattacapi alla Signora May.

Quindi anche se si comincerà il prossimo Marzo vedremo se poi alla fine il Parlamento inglese sarà in grado o vorrà realmente arrivare all'Uscita dell'Unione.

Ci sono in ballo circa 18.000 leggi, norme e quant'altro. Siamo sicuri che in due anni riusciranno ad analizzare, trasformare, ed approvare ?

 

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26 minuti fa, ARES III dice:

Quindi anche se si comincerà il prossimo Marzo...

Già, ho sentito ieri che è stata fissata questa nuova data per la presentazione della richiesta ufficiale di uscita.

Subito dopo il voto, Cameron aveva assicurato che sarebbe stata fatta a settembre/ottobre, poi a fine anno, poi a inizio 2017, ora siamo già arrivati alla primavera prossima...e dopo la primavera viene l'estate, poi l'autunno, poi...:rolleyes:

petronius oo)

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Vi ricordate di ''mucca pazza'' ? La più colpita era proprio la Gran Bretagna. Quasi la totalità dei bovini inglesi era ammalata. Furono macellati e distrutti decine di migliaia di capi dopo la grande paura che si scatenò nel 2000. Gli allevatori inglesi furono rimborsati per i capi che avevano perso. Con fondi europei.... 

Arka

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Schizofrenia ? Mah, se c'è tra noi un medico ci darà qualche delucidazione su questo:

Paradosso Brexit: il Regno Unito esce ma detta le regole al resto d’Europa

Boris Johnson appoggia l'ingresso della Turchia nell'Unione, il ministro della difesa Michael Fallon si schiera contro l'esercito europeo. Ma non dovevano essere fuori dall’Europa?

 

Londra a un passo dall'uscita dall'Ue, ma senza rinunciare ai diktat su cosa sia giusto o sbagliato che il resto dei 27 Paesi facciano in futuro. Sembra un paradosso, ma è così. Mentre Theresa May annuncia l'avvio delle procedure per arrivare entro il prossimo mese di marzo all'annuncio formale di attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, pezzi del suo esecutivo rilasciano dichiarazioni e minacciano veti sul futuro delle altre capitali Ue.

Da Londra la Premier May ha rassicurato i cittadini britannici, l’uscita dall'Ue sarà disciplinata e seguirà passi ben precisi. E a dimostrazione di questo la nuova Lady di Ferro della politica britannica ha annunciato che prima ancora della richiesta ufficiale dei negoziati sulle relazioni tra Regno Unito e Unione europea, il Paese ha bisogno di una legge che recepisca nell'ordinamento giuridico nazionale quanto di buono è arrivato in 41 anni di vita comunitaria. Già, perché come anche Theresa May ha affermato, da Bruxelles sono arrivate anche evoluzioni giuridiche, codici del lavoro più equi e tutelanti e una serie di diritti riconosciuti e garantiti dalla Corte Ue di giustizia. Diritti, che una volta fuori dal progetto comunitario, se non recepiti e tutelati dalle istituzioni nazionali finirebbero nel dimenticatoio.

Fin qui tutto bene. A creare qualche perplessità sono le dichiarazioni di Boris Johnson e del Ministro della Difesa Micheal Fallon. L'ex sindaco di Londra, e sostenitore accanito della Brexit, che sullo spauracchio dell'adesione turca all'Ue ha costruito una parte della campagna a difesa dell'uscita dall'Ue, è arrivato a farsi promotore di un futuro europeo per Ankara. L'annuncio è arrivato durante un incontro ufficiale con il Presidente turco RecepTayyip Erdogan. «Stiamo per lasciare l'Ue, ma non l'Europa. È per questo che intendiamo appoggiare ad ogni costo la futura adesione turca all'Ue», ha dichiarato Boris Johnson. La dichiarazione ha fatto il giro dei giornali britannici e non soltanto. C'è chi ha definito la dichiarazione di Johnson la peggiore "smentita" mai fatta da un politico. La realtà, che neanche l'ex sindaco conservatore, può negare è che davanti alla crescente instabilità del Medio Oriente, l'Europa è praticamente obbligata ad avere relazioni politicamente corrette con il partner turco. Un messaggio che forse avrebbe pagato poco durante la campagna referendaria, ma che a sentirlo oggi assume un valore ancora peggiore.

 

«Stiamo per lasciare l'Ue, ma non l'Europa. È per questo che intendiamo appoggiare ad ogni costo la futura adesione turca all'Ue», ha dichiarato Boris Johnson

Londra, di fatto, continua a mettere in pratica con Bruxelles e le altre capitali lo stesso atteggiamento avuto in tutti questi anni: dare poco o nulla agli altri, ottenendo il massimo per sé. Un'eccezione, quella britannica, nota un po' a tutti e che ora con la Brexit alle porte suona per alcuni- se possibile- ancora meno gradito. Così mentre il Ministro per la Brexit David Davis continua i suoi incontri diplomatici e sguinzaglia gli sherpa nei palazzi di Bruxelles, dai corridoi degli incontri ufficiali arrivano dichiarazioni che fanno sorridere gli altri Stati membri.

È il caso recente della "minaccia di veto" al futuro esercito europeo avanzata dal Ministro della Difesa Michael Fallon. Jean Claude Juncker, Federica Mogherini e ora anche Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi chiedono il rafforzamento della politica di difesa Ue. Un principio che a Londra, che tra le capitali Ue detiene il primato militare, non è mai andato giù. E non è una novità. Ad esserlo è il tentativo di un Paese che dall'uscio della porta strilla agli altri quello che non dovranno fare.

Per fortuna del governo britannico, i lavori in vista di un esercito europeo non sono ancora iniziati e conoscendo i tempi comunitari ci vorranno ancora decenni prima di arrivare a una vera politica di difesa comune. Questo, però, non cambia il senso di fondo dell'atteggiamento di Londra, che anche sulla questione dei migranti ha mostrato scarsa cooperazione. Come dimostra il caso del muro a Calais, e la reazione nei confronti della Francia. Isolati, distaccati dal resto del continente e dei suoi problemi, ma dominanti, i britannici mantengono i loro tratti caratteristici. La loro fortuna,e la nostra sconfitta,è che davanti hanno 27 opinioni e interessi divergenti.

La prova della verità su chi l'avrà vinta o meno arriverà al momento della firma del Trattato che regolerà i nuovi rapporti tra Regno Unito e Ue. Se, come in molti ritengono, Londra otterrà gran parte delle sue richieste accettando il minimo, per il resto dei Paesi Ue gli effetti saranno pesanti da gestire, soprattutto sul lungo termine. Allo stesso tempo, però, si deve evitare di cadere in formule punitive tout court. Tutto dipenderà da quanto gli stati Ue decideranno di fare blocco e collaborare tra loro. Punto sul quale proprio Nigel Farage e Boris Johnson hanno puntato, a ragione, fino a oggi.

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/10/03/paradosso-brexit-il-regno-unito-esce-ma-detta-le-regole-al-resto-deuro/31952/

PS: non abbiamo niente contro la Turchia, ma contro gli ipocriti si .....

Modificato da ARES III
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Ciao

In questo caso non dovremmo pero criticare gli inglesi che impongono i loro diktat alla U.E., quanto piuttosto chiederci perché la U.E. se li fa imporre.

Un'Unione che si rispetti e che sia autorevole dovrebbe infischiarsene dei diktat di un Paese membro che se ne sta andando.

Appunto....parliamo di un'Unione che si rispetti....non di un'accozzaglia di Stati non coesi fra loro e messi insieme solo per motivi politici o economici sotto una bandiera che non rispetta nessuno.

Mica parliamo della Union Jack.

M.

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Quando si scherza va bene, però vogliono davvero fare delle liste di proscrizione oppure ci si spingerà addirittura a stanare e rastrellare impresa per impresa i cittadini UE che lavorano nell'UK?

Perché se così fosse, iniziamo noi. Siamo anche di più.

Brexit, «liste di lavoratori stranieri». E May non ritratta la gaffe sui medici

Theresa May rifiuta di scegliere tra una Brexit « hard» e una «soft», ma le parole delle ultime ore fanno pensare che la premier britannica e alcuni ministri del suo governo abbiano tanta voglia di sbattere la porta in faccia al mondo. O meglio: May dice e si contraddice, il ministro dell’Interno Amber Rudd sembra più decisa a costo di «sembrare razzista».

May ha detto ieri alla Bbc che i dottori stranieri potranno rimanere in Gran Bretagna sin quando non vi saranno abbastanza dottori britannici che avranno finito il tirocinio. La premier ha parlato di dottori «overseas» come a rivelare quell’idea di isola fuori dall’Unione che sembra sempre più riprendere piede a Londra. May è stata criticata per queste parole e ha rifiutato di confermarle ma non ha fatto una vera marcia indietro. In un’altra intervista ha sfumato ma non smentito: le è stato chiesto tre volte di chiarire quella frase, lei ha detto che il suo desiderio è «vedere che si formano più dottori britannici» e ha poi chiarito che dipende dagli ospedali certo non da lei. Il suo ministro della Salute Jeremy Hunt aveva però annunciato poco prima un piano per formare 1,500 dottori in più ogni anno per mettere fine alla dipendenza del sistema sanitario britannico (NHS) dai medici stranieri entro il 2025.

Nelle stesse ore un’altra donna del suo governo, il ministro Rudd annunciava che si chiederà alle imprese di rivelare il numero dei dipendenti stranieri per favorire l'assunzione di cittadini britannici. «Non chiamatemi razzista» per questo ha detto Rudd, il suo obiettivo è «stanare» quelle società che abusano delle regole esistenti e «spingerle a comportarsi meglio».

I primi a criticare l'idea di Rudd sono stati gli imprenditori mentre, riferisce la Bbc, almeno un deputato conservatore - Rudd è intervenuta oggi alla conferenza del partito in corso a Birmingham - ha definito la proposta del ministro «controversa».

Rudd, nominata agli Interni al posto del premier Theresa May a luglio, ha spiegato che i freni extra ai lavoratori e agli studenti stranieri potrebbero essere necessari «per cambiare la tendenza» dell'opinione pubblica sull'immigrazione alla luce del voto sulla Brexit (il referendum del 23 giugno con cui il 52& dei britannici hanno votato l'uscita dall'Ue).

Il ministro ha accusato le aziende di «sfuggire» alle loro responsabilità non addestrando un numero sufficienti di lavoratori britannici e ha aggiunto che andrebbe irrigidito l'attuale sistema che obbliga le società a pubblicizzare i posti disponibili nel Regno Unito solo per 28 giorni prima di rivolgersi fuori dal Paese.

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-10-05/brexit-imprese-saranno-chieste-liste-lavoratori-stranieri-bufera-tories-144901.shtml?uuid=ADl83fWB

 

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Ma comunque c'è qualche notizia rassicurante, fino ad un certo punto (perché se rimangono c'è li dobbiamo sorbire per non so quanto ancora):

Brexit, legali 'Remain': "Irlanda del Nord può opporsi all'uscita dall'Ue"

L'Irlanda del Nord potrebbe mettere il proprio veto all'uscita dall'Unione europea in base alle disposizioni dell'accordo di pace del Venerdì Santo. E' quanto ha sostenuto davanti all'Alta Corte di Belfast Ronan Lavery, uno dei legali del movimento anti-Brexit nordirlandese che si oppone al risultato del referendum del 23 giugno.

Secondo Lavery, che oggi ha preso la parola nella prima udienza della battaglia legale intentata dal movimento, in base all'Accordo del Venerdì Santo ratificato con il referendum del 1998, la provincia nordirlandese si è riappropriata di una parte della propria sovranità in tema di cambiamenti costituzionali. Ne consegue, sostiene Lavery, che Londra non ha il diritto di imporre l'uscita dalla Ue all'Irlanda del Nord, dove con circa il 56% dei voti prevalse il fronte 'Remain'.

"La sovranità sugli affari costituzionali è stata ceduta (dal Regno Unito, ndr). Non c'è più il rapporto che poteva esserci un tempo tra una parte dominante e una parte sottomessa". Il procedimento presso l'Alta Corte, riporta il Guardian, coincide con la preoccupazione del governo della Repubblica d'Iralnda che si appresta a chiedere alla Ue la concessione di uno status speciale per evitare di dover ripristinare i controlli alle frontiere tra il Nord e il resto dell'isola.

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2016/10/04/brexit-legali-remain-irlanda-del-nord-puo-opporsi-all-uscita-dall_OCu1hPkQTQutJf4QdobsdK.html?refresh_ce

http://www.lettera43.it/politica/brexit-l-irlanda-del-nord-puo-opporsi-all-uscita-dall-ue_43675262706.htm

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Supporter

Buona serata

La sanità pubblica inglese (ed anche la privata) fa letteralmente schifo. Gli inglesi che hanno soldi e che hanno malattie importanti (che la sanità inglese non rimborsa) scappano letteralmente, soprattutto in Italia.

Preferiscono venire a curarsi in Italia e pagare di tasca loro (ed avere una speranza), piuttosto che avere il nulla in Inghilterra.

Che faranno questi cittadini inglesi "extracomunitari" dopo la brexit? Saranno come tutti gli altri extracomunitari ai quali l'Italia non nega l'assistenza sanitaria?

Chissà perché devono importare medici dall'estero .......

 

saluti

luciano

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Forse le prime porte sbattute in faccia all'UK ?
 
Brexit, Norvegia: no accordo con Gb
0.09 Primo no alla Gran Bretagna sulla proposta di accordo commerciale individuale con uno Stato europeo, dopo l'uscita dalla Ue. E' stata la Norvegia a rifiutare l'offerta del Regno Unito. Ne ha dato notizia il quotidiano norvegese Dagens Naeringsliv, ripreso dal Guardian. Per la Norvegia è "inappropriato" discuterne mentre mentre la Gb è ancora a pieno titolo nella Ue.Londra si è rivolta alla Norvegia perché il Paese ha deciso di non entrare a far parte dell'intesa di libero scambio con Ue, Islanda e Liechtstein.
 
A parte gli errori di sintassi dell'ultima frase, devo purtroppo sottolineare anche il ben più rilevante errore di concetto: "Norvegia perché il Paese ha deciso di non entrare a far parte dell'intesa di libero scambio con Ue"  no la Norvegia fa parte del Mercato unico e fa parte dell'intesa di libero scambio con Ue attraverso il SEE.
Comunque sia, la Norvegia è stata sin da subito critica verso la Brexit e ha detto in anticipo che non vuole la presenza dell'Uk nell'EFTA.
Quanti si ricordano di questo:

Con una certa semplicità alcuni sostenitori della Brexit avevano ritenuto che il miglior modo per uscire dall’Unione Europea e mantenere i vantaggi dell’accesso al mercato unico fosse quello di unirsi al club che vede riunite Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein: l’Efta. Tralasciando la pur importante questione sulla libertà di movimento di persone, non è affatto detto che il Regno Unito sia il benvenuto in questa associazione.

A denunciarlo sulla testata norvegese Aftenposten è stata Elizabeth Vik Aspaker, ministro per gli affari Europei del Paese scandinavo. “Non è cosa certa che lasciar entrare in questa organizzazione un Paese grande sia una buona idea”, ha detto Aspaker, “ne muterebbe gli equilibri, il che non è necessariamente negli interessi della Norvegia”.

In particolare a rendere perplessa la visione di Oslo è che l’ingresso del Regno Unito nell’associazione comporterebbe probabilmente una lunga fase di nuove rinegoziazioni di trattati commerciali. Tecnicamente un eventuale veto norvegese basterebbe a far saltare l’eventuale adesione del Regno Unito all’Efta, visto che i membri debbono approvarla con voto unanime.

http://www.wallstreetitalia.com/brexit-norvegia-minaccia-di-deragliare-tutto/

 
Modificato da ARES III
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Il fronte Brexit inizia ad ammorbidirsi?

Brexit: May apre dibattito in Parlamento

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2016/10/12/brexit-may-apre-a-dibattito-parlamento_a4bea892-c093-47d0-92be-218cafd887ce.html

Brexit: stampa britannica, premier May promette dibattito parlamentare prima di far scattare l'addio all'Ue
Londra, 12 ott 11:47 - (Agenzia Nova) - La premier del Regno Unito, Theresa May, riferiscono i quotidiani britannici "Financial Times" e "The Times", ha risposto alle critiche per l'esclusione della Camera dei Comuni dal processo di uscita dall'Unione Europea acconsentendo a un "completo e trasparente" dibattito prima dell'invocazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, ma non ha promesso un voto parlamentare sulla strategia negoziale del governo. Il Labour presenterà oggi una mozione al riguardo, che potrebbe essere appoggiata da alcuni conservatori. Un portavoce di Downing Street ha però precisato che la posizione del governo sul coinvolgimento del parlamento non cambia e ha confermato l'impegno a dare attuazione alla volontà popolare espressa nel referendum. In evidenza, inoltre, l'annuncio del sottosegretario all'Università, Jo Johnson, sulle borse di studio per gli studenti comunitari: per quanto riguarda gli atenei dell'Inghilterra, le cose resteranno invariate nell'anno accademico 2017-18 e gli universitari dell'Ue potranno chiedere sussidi e prestiti studenteschi; si attende ora la decisione della Scozia.
 
Domanda: per modificare le leggi e i trattati non serve un'approvazione del Parlamento? E allora la Brexit potrebbe essere stoppata anche in quel frangente. Quindi la Signora May dovrà comunque far approvare il piano Brexit al Parlamento, volente o nolente.
Modificato da ARES III
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Problemini giuridici sulla Brexit:

Brexit in tribunale, può il Parlamento inglese fermare il governo?

La prima udienza è prevista per il 13, la seconda per il 17 ottobre, in un’aula della High Court di Londra: non che se ne parli molto sui media, ma i siti web che seguono la vicenda Brexit da un punto di vista tecnico giuridico sono inclini a non trascurare queste date. Tutto ruota intorno all’interpretazione del testo dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea che prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’Unione: “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”.

La Gran Bretagna non ha una Costituzione scritta ma la sua Costituzione non scritta attribuisce un ruolo fondamentale al Parlamento dai tempi in cui è stato istituito. Dunque la possibilità che il risultato di un referendum non vincolante, ma solo consultivo, possa autorizzare il governo ad agire in forza della cosiddetta Royal Prerogative attivando direttamente la procedura dell’articolo 50, senza consultare il Parlamento, a qualcuno non è parsa conforme alle norme costituzionali.

Certamente la firma di un trattato internazionale è materia riservata all’esecutivo, tuttavia, perché esso diventi legge nazionale, è necessaria la ratifica del Parlamento. Così è accaduto nel caso dello European Communities Act del 1972 con cui il Parlamento britannico ha ratificato il trattato sull’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea.

Ora alcuni cittadini dichiarano di sentirsi defraudati dei diritti acquisiti con la legge approvata nel 1972 se il Parlamento non potrà dire la sua a proposito dell’avvio della procedura dell’articolo 50 e hanno incaricato un nutrito e agguerrito gruppo di avvocati di contestare al governo l’uso della Royal Prerogative in questo caso. Infatti, se è vero che un governo, in forza della Royal Prerogative, può firmare un trattato internazionale, è anche vero che il Parlamento deve poi ratificarlo perché diventi legge nazionale. Però, una volta ratificato e divenuto legge, anche l’esecutivo deve obbedire a quella legge e, per ora, la legge dice che il trattato è in vigore.

Lo studio legale Bindmans che rappresenta una delle parti, People’s Challenge, un’associazione contraria all’uso della Royal Prerogative, ha pubblicato un documento contenente le tracce con gli argomenti a favore dell’intervento del Parlamento. Il governo, da parte sua, ma solo dopo un’intimazione del giudice, ha fatto lo stesso concedendo la pubblicazione dei propri argomenti contrari.

 

Sarà il Lord Chief Justice of England and Wales, Lord Thomas of Cwmgiedd, a presiedere l’udienza. Tre sono gli studi legali che hanno accettato di sostenere le ragioni dei ricorrenti: Edwin Coe, Bindmans e Mishcon de Reya, che ne ha incaricato l’avvocato David Pannick, una delle star del firmamento legale britannico. Per il governo, qui nella persona di David Davis, ministro per la Brexit, parleranno, fra gli altri, l’avvocato James Eadie e l’Attorney General Jeremy Wright.

Quale che sia la decisione del giudice ci sarà certamente, saltando la fase dell’Appello, un ricorso alla Corte Suprema che dovrebbe discutere il caso entro la fine dell’anno.

Se le tesi dei ricorrenti avessero la meglio e la decisione fosse rimandata al Parlamento il risultato sarebbe incerto. L’attuale maggioranza parlamentare è notoriamente contraria all’uscita dall’Ue e potrebbe profilarsi la necessità di nuove elezioni in cui i candidati, alla luce dell’esito del referendum, sarebbero tenuti a chiarire in anticipo le loro posizioni per permettere agli elettori di scegliere consapevolmente i nuovi rappresentanti.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/12/brexit-in-tribunale-puo-il-parlamento-inglese-fermare-il-governo/3091762/

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