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Brexit


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Attenti alla Scozia perché potrebbe mettersi di traverso alla Brexit o potrebbe renderla ancor più difficoltosa:

Annuncio del Primo Ministro

Esteri: Brexit, Scozia prepara legge per referendum secessione

(DIRE-SIR) – Il governo della Scozia preparerà il disegno di legge necessario per convocare un nuovo referendum sulla secessione dalla Gran Bretagna: lo ha annunciato oggi il primo ministro Nicola Sturgeon, con un discorso pronunciato di fronte al parlamento di Edimburgo. Il capo del governo ha presentato la decisione come un passo per garantire il rispetto della volontà degli scozzesi, che nel referendum di giugno hanno votato nel 67 per cento dei casi contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Secondo Sturgeon, la possibilità di una consultazione popolare sarà valutata non appena gli orientamenti dei cittadini sembreranno favorevoli alla secessione dal Regno Unito, che a giugno nel suo insieme si è espresso in favore della Brexit.

http://agensir.it/quotidiano/2016/9/6/esteri-brexit-scozia-prepara-legge-per-referendum-secessione/

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Però per completezza:

Finestra sul mondo: Regno Unito, Sturgeon accantona il piano per un secondo referendum a breve termine sull'indipendenza scozzese
 
Londra, 07 set 10:47 - (Agenzia Nova) - Nicola Sturgeon, leader del governo della Scozia e del Partito nazionale scozzese (Snp), riferisce il quotidiano britannico "The Guardian", ha accantonato il piano per un secondo referendum a breve termine sull'indipendenza a causa dei dati negativi sulla spesa pubblica e del calo del sostegno alla causa secessionista: ha annunciato una consultazione su un disegno di legge per istituirlo, ma ha aggiunto che il voto referendario sarà indetto solo se sarà considerato l'opzione migliore per la nazione costitutiva; l'iniziativa sarà avviata l'anno prossimo senza una scadenza per la sua conclusione. Appena due mesi fa la leader di Edimburgo aveva definito "altamente probabile" un nuovo referendum entro due anni, a causa della scelta del Regno Unito di lasciare l'Unione Europea, in contrasto con la posizione europeista della Scozia. La decisione di Londra di non invocare subito l'articolo 50 del Trattato di Lisbona ha reso meno urgente il lancio di un'altra campagna indipendentista da parte di Sturgeon. La leader scozzese, invece, sta cercando di accrescere l'influenza della Scozia nel processo che porterà all'accordo finale con l'Ue; non a caso ha nominato come ministro per la Brexit Mike Russell, una delle figure più esperte e combattive di Holyrood. Secondo un recente sondaggio di YouGov per "The Times" solo il 40 per cento degli elettori scozzesi è per l'indipendenza e solo il 37 per cento è favorevole a votare di nuovo prima dell'uscita dall'Ue. Il deficit di bilancio della Scozia, inoltre, è arrivato a quindici miliardi di sterline l'anno scorso, a causa del crollo dei proventi petroliferi, equivalenti al 21 per cento della spesa e al 9,5 per cento del prodotto interno lordo. Il programma legislativo per l'anno prossimo include un piano di stimolo all'economia con investimenti di 500 milioni di sterline e un sistema di garanzie sui prestiti per le piccole e medie imprese. Sarà introdotta una nuova legge sulla sicurezza sociale, con misure a favore dei genitori meno abbienti, e una legge contro la povertà infantile. Tra gli altri provvedimenti, la fusione tra la polizia britannica dei trasporti e la polizia scozzese, il rafforzamento dell'azione contro la violenza domestica e la riduzione del cinquanta per cento delle tasse aeroportuali per i passeggeri a partire dall'aprile 2018.
 
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Un po' sul Ministro alla Brexit , Mr Davis

Davis, 67 anni, ex operatore dello Special Air Service, le forze speciali aviotrasportate di sua maestà, si porta addosso già settimane di critiche perché è accusato di non essere in grado di fornire dettagli su quello che il suo dicastero sta facendo: “Forse perché non fanno proprio niente” commentano fonti inglesi vicine ai laburisti, “e infatti sono arrivati in parlamento senza un piano da poter spiegare”. Affermazioni in linea col partito: Yvette Cooper del Labour ha parlato di “dichiarazioni vuote”; tra l’altro la deputata ha chiesto se il governo aveva maturato la decisione sul se restare o meno tra i membri di Europol, il sistema di sicurezza congiunto europeo, ma non ha ottenuto risposte chiare. Gli stessi conservatori hanno espresso critiche, comunque: Soubry ha detto che il momento di “Brexit significa Brexit” (slogan che ha caratterizzato l’insediamento di May) “è scaduto ed è arrivato il momento di entrare nei particolari”. Secondo l’Independent le dichiarazioni di Davis rappresentano “le più profonde crepe nel gabinetto di Theresa May”, e la stessa Bower alla domanda dei giornalisti sul se Davis avesse parlato a nome del governo, mentre negava, ha dovuto ammettere anche che ci sono “diverse posizioni” all’interno dell’esecutivo. Davis non sarà la linea politica, ma anche la stessa May al G20 cinese aveva accennato a preferire un sistema per l’immigrazione basato sul merito, tipo un contratto di lavoro, che quello a punti (nota preventiva anti-complotti a proposito del G20: la prima ministro inglese non è stata posizionata ai margini della foto ufficiale come rappresaglia diplomatica post Brexit, come ha spiegato il Guardian a fronte delle migliaia di commenti piovuti in Gran Bretagna a proposito).

Anche nel bollettino sulla Brexit della Bloomberg si critica l’esecutivo per l’assenza di una strategia su come procedere: “Davis dice di avere 180 persone nel suo staff interno a Londra e altre 120 a Bruxelles, quello che non ha però è un piano”. Per ora, dice l’analisi dell’agenzia newyorkese, l’unica cosa chiara è che l’immigrazione è il punto in cima alla lista (e d’altronde è uno dei temi che ha spostato più voti al referendum). Poi c’è l’aspetto commerciale ed economico.

http://formiche.net/2016/09/07/come-litigano-may-e-davis-su-brexit-e-immigrazione/

 

 

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Brexit significa Brexit, ma solo per alcuni lavoratori.......

Brexit, il Tesoro rassicura la City: libera circolazione per i banchieri

Dopo le preoccupazioni di Giappone e colossi finanziari, il ministro britannico
Hammond ha garantito che le preannunciate limitazioni nei confronti dei flussi
d’immigrazione di cittadini dell’Ue non avranno impatto sulla scelta dei dirigenti

I «muri» della Gran Bretagna non saranno alzati per i banchieri. Philip Hammond, ministro del tesoro britannico, ha infatti rassicurato la City di Londra sulla Brexit e la libera circolazione dei top manager. In particolare, il ministro si è rivolto ai grandi istituti di credito e finanziari per garantire che le preannunciate limitazioni post-Brexit nei confronti dei flussi d’immigrazione di cittadini dell’Ue sull’isola non avranno impatto quanto meno sulla scelta dei loro dirigenti e le loro esigenze aziendali.

Nessun «muro» per i professionisti specializzati

Le dichiarazioni di Hammond sono una risposta alle preoccupazioni per le conseguenze negative della Brexit avanzate dal Giappone, grande investitore nel Regno, e da alcuni colossi bancari. Riferendosi ai controlli sulla libera circolazione che Londra vuole introdurre, Hammond ha precisato che saranno usati in modo oculato e che sarà comunque facilitato il movimento di professionisti altamente specializzati fra le istituzioni finanziarie.

http://www.corriere.it/economia/16_settembre_09/brexit-tesoro-rassicura-city-libera-circolazione-banchieri-934bee28-7674-11e6-b673-b2cde5239b18.shtml

 

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Ma guarda cosa ti combinano alle spalle i figli di Albione:

Così Londra sta aggirando Brexit:
accordi bilaterali senza Bruxelles

La premier May ha avviato contatti (informali) per intese commerciali Punta a dividere gli Stati. Il fastidio della Commissione e dei leader dell’Unione

Forse è una strategia per rompere il fronte comune europeo in vista dei negoziati o forse è davvero «confusione» politica, come osservano alcuni. Londra si è messa in moto per la Brexit anche se ancora non in modo ufficiale: ha intrapreso una serie di colloqui con alcune capitali, in perfetto stile british — raccontano a Bruxelles — lasciando trapelare la possibilità di accordi commerciali bilaterali, creando più di qualche imbarazzo nelle controparti nazionali.

Le mosse di Londra

I rumors sono arrivati ovviamente anche in Commissione, dove più di qualcuno ai massimi livelli si è infastidito. Tanto più che Londra ha detto di voler attivare solo agli inizi del 2017 l’articolo 50 del Trattato, la clausola di recesso dalla Ue vincolante per l’avvio dei negoziati che porteranno al «leave». I colloqui informali delle scorse settimane non rappresentano certo un comportamento sanzionabile, ma la percezione che Londra sia in movimento è chiara e la strategia scelta non molto gradita. C’è chi vi vede un modo per sondare il terreno e per cercare consensi con trattative individuali, strumentali al negoziato con la Ue, quando comincerà il confronto vero. La premier britannica Theresa May sa bene che nella Ue convivono 27 interessi nazionali, che peseranno quando il Consiglio europeo dovrà formulare le linee guida della posizione dell’Unione. Venerdì prossimo a Bratislava si terrà il primo vertice Ue dei capi di Stato e di governo senza Londra, e sarà l’occasione per un confronto tra gli Stati membri.

Il fattore tempo

La linea ufficiale al momento è che «serve tempo a noi e all’Ue per preparare i negoziati per la Brexit» (così due giorni fa la portavoce di May al termine di un incontro di oltre un’ora a Downing Street con il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk). Una delle prime mosse della Gran Bretagna è stata istituire il ministero del Trade. Proprio mentre le discussioni sul Ttip, il trattato di liberalizzazione commerciale tra Stati Uniti e Ue, sembrano arenarsi, la premier Theresa May ha detto che vuole fare della Gran Bretagna un «leader mondiale del libero scambio». Su questo non ha perso tempo e a margine del G20 in Cina ha intavolato discussioni su possibili accordi commerciali bilaterali con Australia, India e Corea del Sud. Con Sidney è già stato lanciato il Trade Working Group che lavorerà a un accordo per quando la Brexit sarà effettiva. Una mossa così plateale che Steffen Seibert, portavoce della cancelliera Angela Merkel, mercoledì scorso spiegava durante il consueto appuntamento con la stampa che «la situazione è chiara: un Paese membro dell’Ue non può, finché ne fa parte, negoziare accordi di libero scambio bilaterali al di fuori della Ue». Insomma, Londra è avvertita. E data l’impostazione scelta dalla Gran Bretagna anche solo per attivare la clausola di uscita, per il «leave» ci vorranno diversi anni, probabilmente più dei due indicati dal Trattato.

http://www.corriere.it/esteri/16_settembre_10/cosi-londra-sta-aggirando-brexit-865fd218-76c6-11e6-b673-b2cde5239b18.shtml

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PS: scusate se sto inondando il post con tutte queste notizie, ma penso (e qui posso sbagliare ed essere smentito) che molti non siano informati abbastanza sull'argomento per varie cause (mancanza di tempo, interesse,....) quindi magari chi fra i foristi vuole avere qualche spunto, senza navigare troppo sulla rete, può sfruttare questo post ed aggiornarsi più comodamente.

Poi le notizie possono essere anche inesatte, incomplete o sbagliate, però è già qualcosa.

 

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Direi che col penultimo post sei entrato in pieno nella strategia che Londra vorrà applicare, di certo già pensata anche prima del referendum, il tempo dirà la sua ma un piano ce l'hanno ...rimane certo la UE , la Germania , ma tenete conto che la Germania poi esporta in UK e credo che altre mosse verranno attuate a livello fiscale e per l'immobiliare ...vedremo, certo bisogna ripeto vedere il tutto nel lungo periodo e capire più che la sorte che avrà UK quella di noi Italia in tutto questo...in fondo siamo italiani e dobbiamo vedere anche la nostra situazione e con i problemi che non ci mancano di certo...

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Supporter
6 ore fa, ARES III dice:

Ma guarda cosa ti combinano alle spalle i figli di Albione:

Così Londra sta aggirando Brexit:
accordi bilaterali senza Bruxelles

La premier May ha avviato contatti (informali) per intese commerciali Punta a dividere gli Stati. Il fastidio della Commissione e dei leader dell’Unione

Forse è una strategia per rompere il fronte comune europeo in vista dei negoziati o forse è davvero «confusione» politica, come osservano alcuni. Londra si è messa in moto per la Brexit anche se ancora non in modo ufficiale: ha intrapreso una serie di colloqui con alcune capitali, in perfetto stile british — raccontano a Bruxelles — lasciando trapelare la possibilità di accordi commerciali bilaterali, creando più di qualche imbarazzo nelle controparti nazionali.

Le mosse di Londra

I rumors sono arrivati ovviamente anche in Commissione, dove più di qualcuno ai massimi livelli si è infastidito. Tanto più che Londra ha detto di voler attivare solo agli inizi del 2017 l’articolo 50 del Trattato, la clausola di recesso dalla Ue vincolante per l’avvio dei negoziati che porteranno al «leave». I colloqui informali delle scorse settimane non rappresentano certo un comportamento sanzionabile, ma la percezione che Londra sia in movimento è chiara e la strategia scelta non molto gradita. C’è chi vi vede un modo per sondare il terreno e per cercare consensi con trattative individuali, strumentali al negoziato con la Ue, quando comincerà il confronto vero. La premier britannica Theresa May sa bene che nella Ue convivono 27 interessi nazionali, che peseranno quando il Consiglio europeo dovrà formulare le linee guida della posizione dell’Unione. Venerdì prossimo a Bratislava si terrà il primo vertice Ue dei capi di Stato e di governo senza Londra, e sarà l’occasione per un confronto tra gli Stati membri.

Il fattore tempo

La linea ufficiale al momento è che «serve tempo a noi e all’Ue per preparare i negoziati per la Brexit» (così due giorni fa la portavoce di May al termine di un incontro di oltre un’ora a Downing Street con il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk). Una delle prime mosse della Gran Bretagna è stata istituire il ministero del Trade. Proprio mentre le discussioni sul Ttip, il trattato di liberalizzazione commerciale tra Stati Uniti e Ue, sembrano arenarsi, la premier Theresa May ha detto che vuole fare della Gran Bretagna un «leader mondiale del libero scambio». Su questo non ha perso tempo e a margine del G20 in Cina ha intavolato discussioni su possibili accordi commerciali bilaterali con Australia, India e Corea del Sud. Con Sidney è già stato lanciato il Trade Working Group che lavorerà a un accordo per quando la Brexit sarà effettiva. Una mossa così plateale che Steffen Seibert, portavoce della cancelliera Angela Merkel, mercoledì scorso spiegava durante il consueto appuntamento con la stampa che «la situazione è chiara: un Paese membro dell’Ue non può, finché ne fa parte, negoziare accordi di libero scambio bilaterali al di fuori della Ue». Insomma, Londra è avvertita. E data l’impostazione scelta dalla Gran Bretagna anche solo per attivare la clausola di uscita, per il «leave» ci vorranno diversi anni, probabilmente più dei due indicati dal Trattato.

http://www.corriere.it/esteri/16_settembre_10/cosi-londra-sta-aggirando-brexit-865fd218-76c6-11e6-b673-b2cde5239b18.shtml

Buona giornata

Ecco che viene fuori il collaudato (e spesso vincente) pragmadismo anglosassone; valutare il solo interesse nazionale, fregandosene bellamente di lacci e lacciuoli europei, mettere i partners europei (finché lo saranno) di fronte al fatto compiuto e ....... trattare sottobanco anche con qualcuno di questi (potremmo essere anche noi) per raggiungere i loro scopi, salvando una situazione critica.

saluti

luciano

 

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Secondo alcuni senza la forza lavoro qualificata europee (circa il 5%) nel settore della sanità, in virtù anche del pochissimo personale nel pubblico, il sistema sanitario dell'UK potrebbe collassare. Forse saranno esagerati, però il fatto fa pensare:

http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2016/09/11/news/gran_bretagna_i_dubbi_sulla_brexit_senza_europei_sanita_al_collasso_-147547196/

 

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Brexit: non si capisce più niente, vero Theresa May?

A proposito di Brexit, io non ci capisco piu’ niente, e purtroppo mi sa che Theresa May non e’ messa meglio di me! Che la confusione regnasse sovrana si era capito subito dopo il referendum, ma che a 3 mesi di distanza il governo e la classe politica inglese ancora non abbiano almeno un’idea di come impostare le relazioni con l’Europa se non un vago “Brexit means Brexit” e’ dimostrare di essere al colmo dell’incompetenza fatta persona. Benvenuti nella Fantasyland della politica, se non addirittura una forma di autismo tutto british.

Questi politici, che si dichiarano ottimisti sul futuro della Gran Bretagna fuori dall’Unione, se la cantano e se la suonano da soli! Come se le negoziazioni le conducessero solo loro! Immaginano un paese che acceda al mercato europeo ma chiuso agli europei. Questo fino a ieri, oggi la May ha detto che “ci sara’ un po’ di controllo sull’immigrazione europea”, escludendo pero’ un sistema a punti. L’altra settimana dicevano che noi expats gia’ residenti qui dovremmo rinunciare alla social security etc, pero’ questa settimana ci hanno assicurato che proteggeranno i nostri diritti. Oggi Theresa May ancora racconta a tutti che la Gran Bretagna sara’ leader nella globalizzazione e piu’ forte al di fuori dell’Europa anche se Obama le ha detto che predilige il trattato TTIP, la Gran Bretagna viene in secondo piano.

Forte del fatto che l’Australia e’ aperta ad un eventuale accordo, May non sembra prestare molta attenzione alle preoccupazioni del Giappone o dei tanti colossi finanziari che hanno gia’ dichiarato di spostare le loro sedi all’estero se perdessero il passaporto per via del Brexit. Fino a ieri Theresa May sembrava prediligere piu’ il controllo sull’immigrazione che l’accesso della Gran Bretagna al mercato europeo, rischiando di far ripiombare GB indietro di almeno 43 anni! Stasera il ministro per il Brexit doveva presentare un piano e invece solo vaghe idee. Brexit means Brexit! Si’ ma come se ne esce Theresa? May I ask?

http://italians.corriere.it/2016/09/08/44441/

Ecco cosa capisce un europeo, nella specie una nostra connazionale, che vive nello UK.

Pensa un po' noi cosa possiamo capire e i nostri governanti ?

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Di fatto uk sta cercando di rimanere nel mercato comune, prima di uscire. Se esistesse una politica europea, glielo impediremmo come sarebbe giusto che fosse (solo gli onori senza oneri???) Così, invece, nessuno vuole rinunciare ad esportare verso Londra, quindi possono anche riuscirci

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Un'interessante articolo sugli aspetti giuridici che la Brexit comporterà sul diritto britannico.

Brexit in punto di diritto

Al di là degli sconvolgimenti di natura politica, economica e finanziaria determinatisi immediatamente dopo l’annuncio dell’esito del referendum su Brexit, al di là delle problematiche poste dalla interpretazione dell’articolo 50 del Trattato UE e dall’esito delle negoziazioni che si potranno avviare per ridefinire i rapporti tra il Regno Unito e l’ Unione europea, quali saranno le conseguenze del recesso sull’ordinamento inglese? È un interrogativo che, data la sua natura tecnica particolarmente complessa, è rimasto ai margini dei dibattiti esplosi in tutti gli ambienti, dopo l’inattesa e imprevedibile svolta registrata nelle ultime ore dello spoglio dei voti. Se ne occupano due giuristi di vaglia, Andrea Biondi, professore di diritto dell’ Unione europea al King’s College London, e Patrick Birkinshaw, professore di diritto pubblico europeo all’Università di Hull. Nella raccolta di saggi scritti da autorevoli giuristi e curata con grande tempestività si affrontano tutti i temi sollevati dalla Brexit nel diritto interno: gli aspetti costituzionali, il rapporto con la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord, gli effetti sugli accordi assunti dal Regno Unito in materia di inquinamento e tutela dell’ambiente, i riflessi sul diritto penale, sulla cittadinanza, sulle politiche sociali, sulla (dis)applicazione della Carta europea dei diritti umani, sugli aiuti di Stato, sul controllo del sistema bancario.

Ciò che emerge è una panoramica molto complessa (gli Autori erano sostanzialmente contrari al recesso) , e costituisce, anche se ogni Paese Membro ha una sua storia, una sua costituzione, una sua evoluzione , una sorta di vademecum per capire non solo gli esiti di Brexit, ma anche gli esiti di qualsiasi recesso , essendo, questa, la prima vicenda accaduta nella storia dell’ Unione europea.

Veniamo ai contenuti. Nonostante lo scetticismo nei confronti del diritto dell’ Unione europea manifestato dalla gran parte dei giuristi, il diritto britannico ha risentito notevolmente dell’adesione, perché il Regno Unito ha puntualmente applicato i regolamenti comunitari, ha attuato le direttive comunitarie, spesso ha anticipato con i suoi modelli legislativi, le misure di armonizzazione prese dagli Organi comunitari. Vi sono libri che descrivono la “europeizzazione” anche di interi settori di quello che noi chiamiamo” diritto privato”, come il diritto della responsabilità civile, il diritto contrattuale dei consumatori, il diritto dei dati personali, la costruzione del mercato digitale , oltre che, naturalmente, il diritto bancario e finanziario (quest’ultimo fortemente debitore dell’esperienza britannica).

Si tornerà indietro? Difficile pensarlo , scrivono gli Autori. Probabilmente certi indirizzi prenderanno un percorso imprevisto, diverso da quello ipotizzabile. Due esempi. Il settore dei diritti fondamentali. Il Regno Unito aveva limitato l’uso della Carta, aveva preferito attuare la Convenzione europea con l’Act del 1998,e in Parlamento era in corso il dibattito sulla adozione di un Bill of Rights.

Ora si potrebbero pensare due soluzioni opposte: il venir meno del legame con l’ Unione recide anche i rapporti con la Carta, quindi dovrebbe avere per effetto la sollecitazione dell’iter per l’approvazione del Bill. Ma quali saranno le decisioni politiche sulla cittadinanza e sui diritti fondamentali di ogni persona in quanto tale?

Altro esempio.I diritti sociali e le misure anti-discriminazione. L’adesione all’ Unione non ha avuto un grande impatto in questo settore. Ma ora che i rapporti si sono risolti, quale sarà il futuro dei diritti sociali nel Regno Unito?

Brexit si è rivelata un cataclisma, ne deriveranno forse anche benefici per il Regno Unito ( se è vero che si appresta a diventare un paradiso fiscale) e forse per i Paesi del continente (dove si dovrebbero riallocare le istituzioni e gli operatori economici). Per il sistema giuridico la situazione sarà diversa: riprenderà l’isolamento, la contrapposizione tra common law e civil law, anche se si registrerà – come dicono gli Autori – la continuità della primazia della giustizia arbitrale e delle prassi finanziarie internazionali.

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-09-10/brexit-punto-diritto-145130.shtml?uuid=ADkiKiDB

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Qualcuno inizia a capire le cose:

 Il ministro degli Interni Amber Rudd non ha illusioni sulle difficoltà dei negoziati con l’Unione europea in preparazione della Brexit. Se durante il fine settimana è emerso che Bruxelles sta considerando la possibilità di estendere alla Gran Bretagna la tariffa di 60 euro per l’accesso alla zona Schengen, applicabile ai cittadini di alcuni Paesi extracomunitari, Rudd ha precisato che le voci sono «la conferma che il dialogo sull’uscita dall’Unione va in due direzioni».

La Gran Bretagna, ovvero, non può credere di ottenere ciò che vuole senza compromessi. Meglio quindi prepararsi al peggio.

http://www.corriere.it/esteri/16_settembre_12/tra-gran-bretagna-unione-europea-spettro-visti-b67938d8-7921-11e6-a466-5328024eb1f5.shtml

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Ostacoli interni di natura giuridica alla Brexit:

Brexit, Camera dei Lord contro May

La luna di miele è finita: ora Theresa May deve combattere la battaglia su Brexit su diversi fronti. Il segnale della fine della tregua estiva è venuto dalla Camera dei Lord, che ha criticato la decisione della premier di gestire l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea senza coinvolgere il Parlamento.

Un rapporto della Commissione Costituzionale della House of Lords sostiene che il Governo britannico dovrebbe ottenere l’approvazione del Parlamento prima di invocare l’articolo 50 dei Trattati e avviare i negoziati formali di uscita dalla Ue. Procedere senza consultare Westminster creerebbe un «precedente preoccupante» e sarebbe «costituzionalmente dubbio», secondo la Commissione.

La May ha ribadito che il suo Governo è sovrano e può agire senza il via libera del Parlamento. «Questa è una decisione che spetta al Governo, - ha detto la portavoce della premier. – Entrambi i rami del Parlamento hanno deciso di porre la decisione se restare o meno membri della Ue nelle mani del popolo britannico e ora è tempo di procedere e renderla realtà». Il Governo, secondo la posizione della May, ha il dovere di rispettare la volontà della maggioranza degli elettori,che è stata espressa con chiarezza il 23 giugno, con il 52% dei voti a favore di Brexit.

Il dibattito sul ruolo del Parlamento dopo il referendum era partito subito dopo l’esito inatteso del voto. Costituzionalisti ed esperti di legge sono divisi in materia. Alcuni sostengono la teoria della May che il Governo ha il potere di procedere invocando la “prerogativa reale”, cioè la facoltà di governare per conto della Regina. Altri invece dichiarano che il Parlamento è sempre sovrano e una decisione di tale portata storica non può essere presa senza l’approvazione formale dei rappresentanti del popolo.

La questione arriverà anche in tribunale, dato che un gruppo di esperti rappresentati da uno degli studi legali più prestigiosi del Paese ha avviato una causa all’Alta Corte, sostenendo che se la premier dovesse invocare l’articolo 50 senza l’approvazione del Parlamento agirebbe oltre i suoi legittimi poteri. Il giudice ha già dichiarato che il caso è «di grande importanza costituzionale» e potrebbe passare alla Corte Suprema entro l’anno.

Il partito conservatore ha la maggioranza in Parlamento, ma gran parte dei deputati hanno votato a favore di restare nella Ue. La Camera dei Lord rappresenta un ostacolo ancora maggiore, perchè è a maggioranza laburista e inoltre numerosi Lord conservatori sono contrari a Brexit.

Quella sul ruolo del Parlamento è solo una delle numerose polemiche sui tempi, i modi e i contenuti di Brexit. C’è un dibattito aperto sui tempi, se avviare i negoziati il prima possibile oppure se attendere il prossimo anno, forse anche dopo le elezioni in Germania. Il Paese, il Governo e il partito conservatore sono inoltre divisi sulla strada migliore da imboccare: se tentare di mantenere rapporti il più stretti possibili con la Ue, oppure se tagliare i ponti e uscire dal mercato unico.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-09-15/brexit-camera-lord-contro-may-063712.shtml?uuid=ADnZRkKB

Adesso bisognerà aspettare anche il responso della Suprema Corte, tanto che fretta c'è.......

 

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eh, sì, il Sole 24 ore parla della situazione attuale come di un "cataclisma", ma non pare proprio così; del resto parliamo della stessa testata che prima del referendum invitava a "punire" il Regno Unito in caso di Brexit, quindi...

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Questo è un boom economico o una bolla speculativa?

Secondo alcuni "Theresa May non può permettersi di subire pressioni interne dal suo partito, mentre sul versante economico i managing director della City fanno notare che il mini-boom post Brexit dei consumi e delle esportazioni è solo un effetto a breve termine: il prolungarsi dell’incertezza politica non farebbe che nuocere alle prospettive di crescita, resuscitando lo spettro della recessione".

http://www.corriere.it/esteri/16_settembre_18/accelerazione-brexite-partita-boris-johnson-f33af750-7d01-11e6-a681-74fa8db9d638.shtml?refresh_ce-cp

Certo è che un'iniezione di questo tipo ci farebbe comodo anche a noi, però aspettiamo alla fine cosa accadrà. 

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Teutonici sul piede di guerra:

Se il Regno Unito lasciasse il mercato unico, la posizione di Londra come centro finanziario potrebbe subire “un duro colpo”. Parola del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Stando alla sua intervista rilasciata a un quotidiano britannico, alle banche di Londra sarebbe negato il diritto di operare negli altri 27 Stati della Unione.

Per Weidmann, i cosiddetti diritti di passporting verranno automaticamente meno se il Regno Unito non dovesse restare nello spazio economico europeo.

http://it.euronews.com/2016/09/19/brexit-weidmann-banche-gb-potrebbero-perdere-diritti

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Porgo alla Vostra attenzione questa notizia passata inosservata..... chissà perché........

La piccola (e ignorata) Brexit della Svizzera

Mentre il problema della Brexit è perennemente al centro del discorso pubblico, molta meno attenzione è stata dedicata a una vicenda simile che si sta svolgendo nel cuore dell’Europa e che ha molti punti di contatto con ciò che è avvenuto e sta avvenendo in Gran Bretagna. E cioè la crisi che stanno affrontando i rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea.

Anche in questo caso l’origine del problema nasce da un referendum il cui possibile esito è stato colpevolmente sottovalutato dalla politica. Il 9 febbraio 2014, infatti, gli svizzeri hanno votato un’iniziativa popolare dell’Udc – Unione Democratica di Centro, che proponeva di reintrodurre quote massime per l’immigrazione, approvandola con la risicata maggioranza del 50,3% nella generale costernazione di tutti gli altri partiti. La Svizzera è un Paese fondato sulla democrazia diretta, e disattendere il risultato del referendum è impensabile. Tuttavia applicarlo rischia di creare problemi di difficilissima soluzione.

La situazione della Svizzera è molto peculiare. Il Paese confina interamente con stati appartenenti all’Unione europea (con la sola eccezione del minuscolo Liechtenstein, che è comunque parte dello spazio economico europeo). La Svizzera invece non fa parte di quest’ultimo, dato che l’adesione fu respinta nel 1992 con un altro referendum. Nonostante questo, però, è stata ottenuta comunque una profonda integrazione con la Ue attraverso un pacchetto di sette accordi bilaterali firmati nel 1999 ed entrati in vigore nel 2002, perfezionati poi con ulteriori accordi successivi.

Oltre ad armonizzare i rapporti con l’Europa su temi come le norme di conformità dei prodotti, l’agricoltura, i trasporti terrestri e aerei, gli appalti pubblici e soprattutto la ricerca scientifica (che è una voce molto importante dell’economia svizzera), gli accordi prevedevano la libera circolazione dei cittadini dei Paesi Ue sul territorio svizzero (dove, va ricordato, il numero di stranieri residenti è enorme, e ha recentemente superato la soglia dei due milioni, quasi un quarto della popolazione). Il governo svizzero, obbligato dal referendum a ripristinare le quote sull’immigrazione straniera, dovrebbe denunciare l’accordo relativo alla libera circolazione delle persone. Ma i sette accordi del ’95 prevedono una cosiddetta “clausola ghigliottina”, secondo la quale la caduta di uno solo di essi comporta la cessazione di tutti quanti. Applicare il risultato del voto, quindi, potrebbe far ripiombare l’integrazione tra Ue e Svizzera ai livelli dell’accordo di libero scambio del 1972.

L’unica soluzione passa attraverso la via strettissima di un negoziato con la Ue che permetta di applicare il minimo di norme anti-immigrazione sufficiente a soddisfare le richieste del referendum, ma mantenendo in piedi la sostanza degli accordi bilaterali. Si tratta però di un negoziato incerto e difficile, dato che il principio della libera circolazione è uno dei pilastri su cui si basa la politica europea. A complicare la situazione è intervenuto lo spettro della Brexit, che rende la Ue molto maldisposta ad accettare compromessi che potrebbero creare precedenti sfavorevoli nell’ancor più complicata trattativa che si prospetta con la Gran Bretagna.

Già si sono viste le prime avvisaglie di ciò che potrebbe succedere: la partecipazione svizzera al programma di interscambio studentesco Erasmus è stata congelata (e prosegue solo attraverso una soluzione transitoria interamente finanziata dalla confederazione), e all’interno dell’ambizioso programma europeo di innovazione tecnologica Horizon 2020 il Paese è stato retrocesso da «Paese associato» a «Paese terzo». In questi giorni riprenderanno i colloqui con la Commissione europea, e verrà messa sul tavolo una proposta elaborata da un’apposita commissione parlamentare, che prevede l’obbligo per le aziende di dare precedenza ai cittadini svizzeri nell’offerta di lavoro. L’idea ha messo d’accordo tutti i partiti (tranne l’Udc che la considera un tradimento del referendum), ma non è affatto detto che la Commissione si lascerà convincere.

In apparenza un fallimento del negoziato non conviene a nessuno: l’Unione europea è il maggiore importatore di merci svizzere, e la Svizzera è il quarto partner commerciale della Ue. Secondo uno studio del think tank Avenir Suisse, senza gli accordi bilaterali la crescita dell’economia svizzera nel periodo 2002-2014 sarebbe stata inferiore del 5,7%. La Segreteria di Stato dell’Economia ha commissionato agli istituti di ricerca Bakbasel ed Ecoplan una stima di quello che sarebbe l’impatto della fine degli accordi bilaterali. I due istituti hanno valutato che entro il 2035 questo comporterebbe una caduta del prodotto interno lordo compresa tra il 4,9% e il 7,1%, l’equivalente di 460-630 miliardi di franchi svizzeri, come perdere un intero anno di sviluppo economico.

Gli autori degli studi fanno notare inoltre che si tratta di stime probabilmente inferiori alla realtà, dato che tengono conto solo in parte di quelli che sarebbero gli effetti indiretti, come il calo di attrattiva della piazza svizzera, il mancato accesso ad accordi e programmi futuri, e così via. Nonostante questo, i sondaggi dicono che il numero delle persone favorevoli agli accordi bilaterali continua a diminuire, a causa di fenomeni quali il sovraffollamento, l’aumento dei prezzi degli immobili, e soprattutto la concorrenza straniera sul mercato del lavoro. L’isolazionismo non è diminuito e, come in Gran Bretagna, sostiene che gli effetti benefici della Ue sull’economia siano molto sopravvalutati. La partita è complicata, e le mosse che verranno compiute avranno conseguenze ben oltre i confini della Confederazione.

 

http://www.pagina99.it/2016/09/21/la-piccola-e-ignorata-brexit-della-svizzera/

 

Una riflessione: l'UK è geograficamente indipendente dal continente europeo ed ha molta influenza sulle sue ex colonie (eccetto USA), la Svizzera invece è nel cuore del continente circondata dall'UE senza sbocchi sul mare e non ha grossi legami storici con il resto del mondo per poter superare un eventuale sbocco ai suoi danni (non è mica Kaliningrad). Dunque se l'UK potrebbe superare un'eventuale ritorsione dell'UE, la Svizzera non credo che abbia questa possibilità.

Comunque tutto può essere.

 

 

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Forse c'è un aspetto che i fautori della Brexit nuda e cruda non hanno tenuto conto (essendo ancora relativamente giovani e sani):

Brexit: gli anziani inglesi rischiano di perdere 1,1 milioni di badanti

Un'associazione inglese ha calcolato l'impatto sull'assistenza sociale di uno scenario a "Immigrazione zero" nei prossimi vent'anni. Risultato: anziani e disabili rimarrebbero senza i migliaia di lavoratori di cura che attualmente provengono da paesi europei, soprattutto dell'Est

Si parla ancora tanto di Brexit e del futuro che attende la Gran Bretagna e l’Europa. Ma un’associazione non profit inglese si è fatta un’altra domanda: quale sarà il futuro degli immigrati Ue impiegati nel settore assistenziale, che oggi si prendono cura soprattutto degli anziani? Saranno i vecchietti britannici a pagare il risultato del referendum, dovendo dire addio alle badanti dell’Est europa? Il rischio è reale, e l’associazione Independent Age ha pubblicato un report sul tema, facendo due conti.

Ecco cosa ha scoperto: negli ultimi dieci anni, si è registrato un aumento significativo della percentuale di migranti europei impiegati nel lavoro di cura. Nella prima parte del 2016, oltre l'80% di tutti i lavoratori immigrati entrati in UK per lavorare in questo settore, proveniva da un paese europeo. L’entrata in vigore della Brexit avrebbe conseguenze importanti sul loro status, trasformandoli di colpo in “extracomunitari al contrario”, e portando probabilmente a una riduzione del numero complessivo di lavoratori nel settore dell'assistenza sociale. La ong si spinge a immaginare alcuni scenari possibili. Il primo: circa il 6% dei social workers attivi nel Regno Uniti provengono da paesi europei, e di questi il 90% non ha ancora ottenuto la cittadinanza britannica. Con gli attuali ritmi di invecchiamento della popolazione, e la promessa del governo di arrivare a una “Immigrazione zero” dopo l’uscita dalla Ue, calcola l’associazione, la mancanza di forza lavoro nl settore dell’assistenza sociale sarebbe pari a oltre 1,1 milione di persone entro il 2037; in uno scenario di bassa immigrazione, comunque, il gap oscillerebbe tra 750 e 350mila persone, con immaginabili ricadute sociali e relativi costi, a meno che tutti i britannici non si vogliano trasformare di colpo in badanti. Sicuri che Brexit sia stato un affare?

 

http://www.vita.it/it/article/2016/09/23/brexit-gli-anziani-inglesi-rischiano-di-perdere-11-milioni-di-badanti/140873/

 

Forse, e questa è una mia speculazione, i Britannici vogliono immigrazione zero dall'Europa perché ritengono di poter importarla da qualche loro ex colonia (vedi India o Pakistan) e pagare ancora meno questi lavoratori ?

Allora però bisogna essere chiari: 0 immigrazione europea perché vogliamo risparmiare e sfruttare il lavoro del terzo mondo ...... e allora in bocca al lupo, sperando che il popolo britannico goda di ottima salute.

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Supporter
10 minuti fa, ARES III dice:

Forse c'è un aspetto che i fautori della Brexit nuda e cruda non hanno tenuto conto (essendo ancora relativamente giovani e sani):

Brexit: gli anziani inglesi rischiano di perdere 1,1 milioni di badanti

Un'associazione inglese ha calcolato l'impatto sull'assistenza sociale di uno scenario a "Immigrazione zero" nei prossimi vent'anni. Risultato: anziani e disabili rimarrebbero senza i migliaia di lavoratori di cura che attualmente provengono da paesi europei, soprattutto dell'Est

Si parla ancora tanto di Brexit e del futuro che attende la Gran Bretagna e l’Europa. Ma un’associazione non profit inglese si è fatta un’altra domanda: quale sarà il futuro degli immigrati Ue impiegati nel settore assistenziale, che oggi si prendono cura soprattutto degli anziani? Saranno i vecchietti britannici a pagare il risultato del referendum, dovendo dire addio alle badanti dell’Est europa? Il rischio è reale, e l’associazione Independent Age ha pubblicato un report sul tema, facendo due conti.

Ecco cosa ha scoperto: negli ultimi dieci anni, si è registrato un aumento significativo della percentuale di migranti europei impiegati nel lavoro di cura. Nella prima parte del 2016, oltre l'80% di tutti i lavoratori immigrati entrati in UK per lavorare in questo settore, proveniva da un paese europeo. L’entrata in vigore della Brexit avrebbe conseguenze importanti sul loro status, trasformandoli di colpo in “extracomunitari al contrario”, e portando probabilmente a una riduzione del numero complessivo di lavoratori nel settore dell'assistenza sociale. La ong si spinge a immaginare alcuni scenari possibili. Il primo: circa il 6% dei social workers attivi nel Regno Uniti provengono da paesi europei, e di questi il 90% non ha ancora ottenuto la cittadinanza britannica. Con gli attuali ritmi di invecchiamento della popolazione, e la promessa del governo di arrivare a una “Immigrazione zero” dopo l’uscita dalla Ue, calcola l’associazione, la mancanza di forza lavoro nl settore dell’assistenza sociale sarebbe pari a oltre 1,1 milione di persone entro il 2037; in uno scenario di bassa immigrazione, comunque, il gap oscillerebbe tra 750 e 350mila persone, con immaginabili ricadute sociali e relativi costi, a meno che tutti i britannici non si vogliano trasformare di colpo in badanti. Sicuri che Brexit sia stato un affare?

 

http://www.vita.it/it/article/2016/09/23/brexit-gli-anziani-inglesi-rischiano-di-perdere-11-milioni-di-badanti/140873/

 

Forse, e questa è una mia speculazione, i Britannici vogliono immigrazione zero dall'Europa perché ritengono di poter importarla da qualche loro ex colonia (vedi India o Pakistan) e pagare ancora meno questi lavoratori ?

Allora però bisogna essere chiari: 0 immigrazione europea perché vogliamo risparmiare e sfruttare il lavoro del terzo mondo ...... e allora in bocca al lupo, sperando che il popolo britannico goda di ottima salute.

Buona giornata

speculazione, la tua, per nulla peregrina e che condivido!

Commonwealth ..... di merci e persone.

saluti

luciano

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Si parla tanto dei politici nostrani, ma secondo qualcuno anche nell'UK non è che siano messi meglio:

Anticipato dal Mail on Sunday, esce in Inghilterra un libro di rivelazioni su Brexit. Lo ha scritto Craig Oliver, per cinque anni capo delle comunicazioni di Downing Street e stretto collaboratore di David Cameron. Il libro racconta che l'allora ministra degli Interni Theresa May, pur non schierandosi con il fronte pro Brexit nel referendum sull'Unione Europea, in ben 13 occasioni si astenne dal dichiarare pubblicamente come la pensava. Tanto da indurre infine Cameron a farle una telefonata furibonda, chiedendole di schierarsi, cosa che infine la May fece, con riluttanza, con una tiepida presa di posizione per Remain, cioè per rimanere nella Ue. Chiaramente, secondo l'autore, non voleva perdere l'appoggio dei Brexitiani, in caso avessero vinto loro il referendum, come è poi andata; ma non aveva voluto nemmeno schierarsi contro Cameron, nel caso fosse stato lui a prevalere. Insomma, si posizionava per poter unire il partito in qualunque caso nel momento in cui Cameron, subito dopo il referendum o al più tardi un po' prima delle elezioni del 2020 (a cui aveva già detto di non volersi ricandidare), fosse uscito di scena.

Il libro rivela anche che Cameron considerò brevemente l'ipotesi di rimanere primo ministro, dopo la vittoria di Brexit, ma temendo di venire travolto da accuse e polemiche decise di dimettersi già la mattina dopo il referendum. E un'altra rivelazione riguarda Boris Johnson: l'attuale ministro degli Esteri cambiò idea almeno due o tre volte su come schierarsi sul referendum. A un certo punto diede a Cameron l'impressione di essere totalmente per Remain, per restare nella Ue, dicendo al premier con una citazione di una poesia di Kipling che la campagna pro Brexit sarebbe stata "schiacciata come un rospo".

http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2016/09/25/i-13-tradimenti-di-theresa-may-su-brexit/

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-europa/2554598-2554598/

Cosa non si fa per il potere .....

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Iniziano a delinearsi i primi smottamenti economici, naturalmente nulla di realmente allarmante , ma sono comunque dei segni:

 

Il numero di nuovi lavori nel settore finanziario in Inghilterra è sceso del 10,1% in seguito al voto sulla Brexit lo scorso Giugno, in quanto l’incertezza sulla futura appartenenza del Regno Unito al mercato unico ha compromesso la fiducia nel mercato lavorativo.

I posti disponibili per tali lavori sono diminuiti in ogni regione tra Luglio e Agosto, secondo l’Institute for Public Policy Research, un influente think tank.

A Londra si è verificata una diminuzione del 13,6% delle inserzioni lavorative, comprese quelle riguardanti amministratori, manager e amministratori delegati.

“Ciò è impressionante, in quanto questo è l’unico anno, degli scorsi quattro, in cui questo trend si è verificato”, ha affermato l’IPPR.

Secondo l’azienda di personale e assunzioni Manpower, il numero di persone che si sono candidate per lavori inerenti al settore della finanza a Dublino è cresciuto dell’800%.

La mancanza di certezze riguardanti il cosiddetto financial services passport della City di Londra, il quale consente alle banche di vendere i loro servizi a clienti residenti nell’Unione Europea, ha urtato la fiducia nel mercato del lavoro della capitale britannica.

Inoltre, non è emerso nessun piano coerente per gestire l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Lo scorso giovedì, il ministro degli esteri britannico Boris Johnson ha affermato che la Gran Bretagna inizierà il processo di uscita “all’inizio del prossimo anno”, ma il primo ministro Theresa May ha respinto tale commento, affermando che non è stato preso alcun impegno in materia di orari e programmi.

“Questi nuovi dati mostrano l’impatto immediato che il voto per lasciare l’Unione Europea sembra avere sul settore finanziario”, ha detto Clare McNeil, responsabile associato per il lavoro e le famiglie all’IPPR.

McNeil continua, “il Primo Ministro deve fare piazza pulita dei dubbi riguardanti l’eventualità che il governo possa perseguire tematiche come l’accesso al mercato unico e i diritti collegati ai passaporti nel corso delle negoziazioni sulla Brexit.

 

http://www.smartweek.it/brexit-il-mercato-finanziario-britannico-crolla/

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Ma se vogliono uscire perché mettono il naso negli affari dell'UE ?

Londra: anche dopo la Brexit, contrari a un esercito europeo

Bratislava (askanews) - Brexit o non Brexit, pur dicendosi d'accordo su una politica di difesa comune europea in tema di terrorismo e di migrazioni, la Gran Bretagna era e resta contraria a qualsiasi idea di un esercito europeo perché la Nato deve restare la pietra angolare della difesa dell'Europa. Questo il concetto espresso dal ministro britannico della Difesa, Michael Fallon, al suo arrivo a Bratislava per la prevista riunione informale con i colleghi dell'Unione europea.

"Continueremo a opporci a qualsiasi idea di un esercito europeo o di un quartier generale per un esercito europeo che non farebbe altro che minare la Nato che deve restare la pietra angolare della nostra difesa e di quell'Europa", ha dichiarato Fallon che non ha comunque chiarito se porrà il veto al progetto di difesa comune.

Dal canto suo l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini ha spiegato che l'obiettivo non è quello di costruire un esercito europeo, non previsto dai trattati, quanto di usare gli strumenti già esistenti per una più efficace difesa europea, del tutto complementare alla Nato.

I leader dell'Unione europea si erano riuniti senza la Gran Bretagna nella capitale slovacca il 16 settembre scorso per discutere il futuro dell'Ue dopo la Brexit, stabilendo una tabella di marcia di sei mesi per creare un nuovo progetto per l'Ue che includa un rafforzamento della cooperazione nel settore della difesa, piano al quale la Gran Bretagna si è da sempre opposta.

http://stream24.ilsole24ore.com/video/mondo/londra-anche-la-brexit-contrari-un-esercito-europeo/ADN00uRB

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