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Brexit


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@dabbene questo perché l'UK ancora non è uscita da nulla, tutto dipenderà dai negoziati con l'UE.

Poi è chiaro, all'UE non è che ha fatto bene BREXIT.

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Ecco gli ultimi bei risultati che ha prodotto il referendum sulla Brexit:

 

Brusca frenata dell'attività manifatturiera in Gran Bretagna che nel primo sondaggio post Brexit registra il peggior risultato da oltre tre anni. L'indice Pmi - rilevato da Markit Economics - è crollato a luglio a 48,2 da 52,4 di giugno, scivolando sotto la soglia dei 50 punti (spartiacque tra espansione e contrazione del ciclo) per la prima volta da inizio 2013. E' la lettura finale ed è peggiore anche della stima flash di 49,1 punti segnalando che l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue potrebbe avere contraccolpi più pesanti del previsto.

http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/08/01/brexit-pmi-manifattura-gb-crolla-a-482_6760acd1-3cc3-43be-aa7b-0b2d168fb34e.html

I reati contro gli immigrati e di odio razziale sono aumentati a livelli preoccupanti nelle aree della Gran Bretagna che hanno votato per la Brexit. Lo scrive l'Independent, che è andato a consultare i database delle forze di polizia locale. Il dato, scrive il giornale britannico, è nettamente superiore al pur allarmante aumento del 57 per cento medio su scala nazionale che è stato comunicato dalla polizia all'indomani del referendum che ha visto prevalere l'uscita dall'Unione europea.
In particolare nel Lincolnshire, dove si è registrato il voto più forte per la Brexit con il 75 per cento, i crimini di odio sono aumentati del 191 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Lo schema è stato ripetuto in altre roccaforti Brexit. Nel Kent, che ha registrato un voto di maggioranza congedo di quasi il 60 per cento, ha registrato 16 crimini per odio etnico o religioso nel 2015 cresciuti  a 25 durante la settimana del referendum UE e salito ulteriormente a 39 la settimana successiva, una crescita del 143 per cento. Generalmente vengono registrati episodi di minacce e intimidazioni pubbliche, ma ci sono state anche aggressioni a sfondo razziale, pestaggi e lesioni. Una donna tedesca non ha lasciato la sua casa per 3 giorni dopo Brexit nel timore di abusi. Tra i crimini registrati anche inclusi decine di aggressioni motivate razziale o religioso con violenze anche fisiche e percosse, ma anche incendi dolosi; minacce di morte con lettere scritte minatorie.

http://www.today.it/rassegna/brexit-attacchi-razzisti-in-gran-bretagna.html

 

 

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LONDRA - La Camera dei Lord potrebbe ritardare o addirittura bloccare la Brexit. E' quanto sostiene sul Times una sua componente, la baronessa conservatrice Wheatcroft, secondo cui se sarà il Parlamento a doversi esprimere sull'articolo 50 del Trattato che dà il via all'uscita del Paese dall'Ue ci sarebbe una maggioranza nell'assemblea non elettiva favorevole a dilatare i tempi e addirittura aprire la strada per un secondo referendum. Ipotesi tutta da verificare, visto che il governo potrebbe essere in grado di avviare il processo di 'divorzio' da Bruxelles senza passare per l'autorizzazione di Westminster. A stabilirlo sarà l'Alta corte di Londra in autunno.

https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2016/08/01/brexit-camera-dei-lord-potrebbe-ritardarla-o-bloccarla_9b8f31f7-9f16-472b-a0a6-c4a2a7a056f5.html

 

 

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Cita

Più preoccupante è, invece, l'impatto di lungo termine che la Brexit potrà avere sull'economia reale. Il Fondo monetario internazionale, per esempio, ha rivisto al ribasso le stime di crescita dell'Eurozona e in particolare del nostro paese (che già peraltro erano assai esigue), motivandole proprio con le incertezze dovute alla Brexit. Anche il G20, riunitosi a Chengdu in Cina a fine luglio, ha concluso che essa ha aggiunto incertezza nell'economia globale. Sono intuitive le conseguenze attese per il Regno Unito, tant'è che, contrariamente a quanto rilevato nel nostro paese, l'indice della fiducia dei consumatori britannici ha registrato un drammatico calo di ben 11 punti nel mese di luglio. E per gli altri paesi europei? L'impressione è che, come nei mesi scorsi si è sottovalutato il rischio del referendum, così oggi si tende a ignorare l'impatto che potrà avere sulle nostre economie.

Innanzitutto, le preoccupazioni di carattere generale in questo momento certamente creano un clima meno favorevole agli investimenti. Inoltre, molte operazioni societarie (acquisizioni, fusioni, ecc.) già allo studio sono state congelate in attesa di tempi migliori, di maggiori certezze e magari di condizioni finanziarie e/o monetarie più favorevoli. E' poi ragionevole attendersi che nei prossimi anni una larga parte dell'attenzione delle istituzioni dell'Unione sia devoluta al negoziato con il Regno Unito, a scapito - quantomeno in termini di tempistica - delle importanti partite in gioco che, se portate a termine, potrebbero contribuire significativamente a far ripartire la crescita in Europa: si pensi all'unione del mercato dei capitali, al digitale, alle grandi infrastrutture e all'energia. In questo senso, una delle prime vittime della Brexit è il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (Ttip), che verrà probabilmente rinviato sine die.

Molti ritengono che la Brexit crei delle opportunità per i paesi che sapranno attrarre le imprese in uscita dal Regno Unito. E' così iniziata una guerra silenziosa per accaparrarsi questo potenzialmente ricco mercato: da un lato si cerca di attrarre gli "esodati" da Londra con promesse e incentivi, dall'altro di trattenere le imprese a suon di sconti fiscali e di deregulation. In realtà i benefici saranno presumibilmente marginali per gli altri paesi. Londra oggi è la principale piazza finanziaria in Europa ed è uno dei principali centri per le start up nei settori digitale, tecnologico e dell'informazione. Come per la Silicon Valley, vi è un valore nella concentrazione. Lo spostamento di una parte di queste imprese comporta perdita di sinergie e di valore per tutti.

Occorre poi considerare il notevole costo per le imprese europee, di cui finora si è parlato assai poco, per la prevenzione degli effetti collaterali. Dinanzi a un fenomeno così dirompente, ogni società è, infatti, oggi chiamata a fare un rigoroso esercizio di analisi del possibile impatto della Brexit sul proprio settore merceologico o industriale e sulla propria azienda. Ciò è indispensabile non solo per aggiornare i  piani industriali, ma anche per darne un'adeguata informativa societaria oltre che per rispondere alle istanze dei vari stakeholders. Sarà così necessario riesaminare la struttura societaria, la posizione fiscale del gruppo, la dislocazione del personale, le sedi produttive, la registrazione della proprietà intellettuale, ecc. Ciò comporterà costi interni ed esterni (cosiddetti "friction costs") che si tradurranno in una distrazione di fondi che altrimenti si sarebbe potuto impiegare per nuovi investimenti produttivi.

Inoltre, le perduranti incertezze su tempi e modalità di fuoriuscita del Regno Unito faranno si che delle decisioni al riguardo vengano prese nel breve o medio termine senza avere ancora un quadro di riferimento chiaro sui futuri rapporti con l'Unione europea. Già in questi prime settimane si parla di tagli del personale nelle grandi banche (Lloyd's Bank ha annunciato 3000 licenziamenti e la chiusura di 200 filiali) o affrettati trasferimenti dalla City ad altre capitali europee. Il che, inevitabilmente, comporterà errori e ulteriori costi.

Insomma, il conto per la Brexit non è ancora stato presentato. Nel frattempo ci illudiamo che lo paghi solo (o soprattutto) il Regno Unito. In realtà questa è una situazione in cui occorrerà "pagare  alla romana": ognuno sopporterà un costo non previsto - e per ora non prevedibile - che potrà rivelarsi ancor più gravoso in questi tempi di fragile

ripresa. Purtroppo non ci sono sconti.

http://www.repubblica.it/economia/2016/08/06/news/il_conto_da_pagare_per_la_brexit-145186873/

 

VIVA LA BREXIT.........adesso dobbiamo pagare anche noi le scelte dei cittadini britannici ?

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Prime conseguenze della Brexit e del conseguente crollo della sterlina: nel Regno Unito aumentano i prezzi dei prodotti importati, inclusi quelli tecnologici.

 

Ottima scelta la Brexit ........  poi magari tutto può cambiare e succedere, pure vedere volare gli elefanti ...........

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Brexit, Londra giá esclusa dalla ricerca europea

A causa del referendum che ha sancito la Brexit gli scienziati inglesi sono stati esclusi dalla gestione dei fondi europei

 

 

"Sono spiacente di informarvi che, alla fine, abbiamo deciso di non includere il gruppo nel consorzio. Il motivo principale di questa decisione riguarda la Brexit e tutte le incertezze che porta". Sono queste le parole, messe nero su bianco in una mail, che mostrano, in maniera plastica, l'impatto della Brexit sulla ricerca britannica. A pubblicarle, sul sito della rivista Nature, Paul Crowther, un fisico e astronomo britannico dell'Universita' di Sheffield che con queste parole si e' visto rifiutare da parte di un consorzio di ricerca europeo la possibilita' di entrare a far parte di un consorzio per la gestione di un fondo di ricerca comunitario.

Scienziati inglesi esclusi dai concorsi per i fondi europei

La scelta di rendere pubblica la mail, e' stata presa, ha spiegato il ricercatore, per rendere il quanto piu' possibile pubblica la discussione sugli effetti del voto dello scorso mese di luglio. I ricercatori dell'Universita' di Sheffield si sono fatti promotori di un appello nei confronti di tutti gli scienziati britannici a pubblicare e a raccontare storie circa lo sviluppo dei rapporti in ambito di ricerca europei, che, almeno per quanto concerne il finanziato Horizon 2020 e a detta del Commissario europea alla ricerca, Carlos Moedas, dovrebbero essere assegnati sulla base del merito e non sulla base della nazionalità''.

 

http://www.affaritaliani.it/affari-europei/brexit-londra-gia-esclusa-dalla-ricerca-europea-435629.html

 

Ma BREXIT vuole dire BREXIT ...... non è questo il senso ? oppure brexit è solo su ciò che fa comodo ?

 

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  • ADMIN
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Quella dell'esclusione degli scienziati inglesi sembra eccessiva cautela. Di fatto ad H2020 possono partecipare soggetti residenti nei paesi UE ma ANCHE in paesi associati (a memoria ricordo Israele e Turchia).

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Brexit vuole dire Brexit .......ma l'EFTA non è detto che si accolli la Gran Bretagna per fagli un piacere :

Brexit: la Norvegia sbatte la porta in faccia al Regno Unito su una possibile adesione alla EFTA

La Norvegia potrebbe decidere di sbarrare la porta ad una delle possibilità che il Regno Unito potrebbe avere per rimanere all'interno dell'Unione Europea anche dopo la Brexit.

Questa possibilità, una delle più importanti per continuare ad avere l'accesso al mercato unico europeo, è l'adesione alla EFTA, ovvero la European Free Trade Association, che attualmente vede tra i suoi membri Norvegia, Islanda, Liechtenstein e (con qualche distinguo) Svizzera. Questi quattro paesi fanno parte della cosiddetta European Economic Area (EEA), un'area all'interno del quale i cittadini, i beni, i servizi e i capitali possono muoversi liberamente.

Accedendo alla EFTA, il Regno Unito manterrebbe l'accesso al mercato unico dell'Unione Europea, tuttavia sarebbe ancora costretta a contribuire al budget dell'Unione stessa (solo un pochino in meno) e dovrebbe comunque accettare la libertà di movimento di cui godono attualmente i cittadini europei, cosa che i movimenti per la Brexit vogliono evitare. Come già spiegato in passato, in sostanza Londra dovrebbe aderire alla maggior parte delle regole dell'Unione come fa già attualmente, perdendo però la possibilità di influenzare tali regole.

Tuttavia la Norvegia sembra avere intenzione di sbarrare la strada a questa possibilità. Per aderire alla EFTA è necessaria l'approvazione di tutti e quattro i paesi che attualmente ne fanno parte, ma alla Norvegia non sembra piacere l'idea di entrare in associazione con il Regno Unito.

Il motivo è abbastanza semplice: l'ingresso di un paese grande e forte come il Regno Unito sconvolgerebbe gli equilibri dell'associazione e costringerebbe ad ulteriori estenuanti discussioni per raggiungere nuovi accordi commerciali che soddisfino questi nuovi equilibri.

Il Regno Unito è la seconda economia europea dopo la Germania, mentre la maggiore economia della EFTA, la Svizzera, è al nono posto, mentre la Norvegia è al tredicesimo. Il prodotto interno lordo combinato dei quattro paesi che appartengono alla EFTA (considerando che Islanda e Liechtenstein sono abbastanza trascurabili) non rappresenta neppure il 50% dell'economia del Regno Unito, e di conseguenza la EFTA diventerebbe un'associazione a chiara egemonia londinese.

Questo comporterebbe la necessità di rinegoziare tutta una serie di accordi sia all'interno della EFTA, sia fra la EFTA e l'Unione Europea, un processo che rischia di essere enormemente lungo e complesso, e che Oslo potrebbe giustamente non voler percorrere in conseguenza di una scelta altrui: lo stesso al primo ministro norvegese, Erna Solberg, prima del referendum dello scorso 23 giugno aveva chiesto agli inglesi di non votare per uscire dalla brexit proprio perché il processo di uscita sarebbe stato tutt'altro che semplice.

In ogni caso, al Regno Unito resterebbero altre soluzioni per uscire dall'Unione Europea e rimanere comunque agganciati al continente. Il problema, qualunque sia la soluzione prescelta, è che ogni accordo con l'Unione Europea rischia di essere peggiore rispetto allo stato attuale, ovvero la permanenza all'interno della UE, perché Londra può contribuire alla scrittura delle regole del Mercato Unico, mentre uscendo dalla UE e rimanendo nel Mercato Unico sarà costretta a subire regole scritte altrove.

Per questa, e per molte altre ragioni, sempre più analisti credono che, nonostante le promesse da parte del governo britannico, l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, che dovrebbe dare il via alle negoziazioni per l'uscita, potrebbe non arrivare molto presto. E forse, considerando che il Paese sta già subendo gravi conseguenze economiche per colpa del referendum del 23 giugno, esso potrebbe non essere attivato mai. Il problema, in questo caso, sarà valutare le conseguenze politiche di andare contro la volontà popolare.

Il Regno Unito, in pratica, sembra essersi infilato in un pericoloso vicolo cieco.

http://it.ibtimes.com/brexit-la-norvegia-sbatte-la-porta-faccia-al-regno-unito-su-una-possibile-adesione-alla-efta-1462043

 

Quindi le strade da percorrere sono:

1- rimanere nell'UE .....con conseguenze politiche (danno all'immagine della classe politica) ma non economiche;

2- uscire dall'UE mendicando un accordo di associazione fuori EFTA (sempre se le verrà concesso e cercando di salvare la faccia e l'economia, ma alla fin fine divenendo ancora più succubi di Bruxelles)

3- uscire dall'UE tagliando i vecchi ponti, con tutte le conseguenze economiche che porterà.

Modificato da ARES III
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http://www.wallstreetitalia.com/brexit-norvegia-minaccia-di-deragliare-tutto/

Brexit, Norvegia minaccia di deragliare tutto

Con una certa semplicità alcuni sostenitori della Brexit avevano ritenuto che il miglior modo per uscire dall’Unione Europea e mantenere i vantaggi dell’accesso al mercato unico fosse quello di unirsi al club che vede riunite Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein: l’Efta. Tralasciando la pur importante questione sulla libertà di movimento di persone, non è affatto detto che il Regno Unito sia il benvenuto in questa associazione.

A denunciarlo sulla testata norvegese Aftenposten è stata Elizabeth Vik Aspaker, ministro per gli affari Europei del Paese scandinavo. “Non è cosa certa che lasciar entrare in questa organizzazione un Paese grande sia una buona idea”, ha detto Aspaker, “ne muterebbe gli equilibri, il che non è necessariamente negli interessi della Norvegia”.

 

In particolare a rendere perplessa la visione di Oslo è che l’ingresso del Regno Unito nell’associazione comporterebbe probabilmente una lunga fase di nuove rinegoziazioni di trattati commerciali. Tecnicamente un eventuale veto norvegese basterebbe a far saltare l’eventuale adesione del Regno Unito all’Efta, visto che i membri debbono approvarla con voto unanime.

Eppure in qualche modo i progammi del premier britannico, Theresa May, dovranno trovare la strada della permanenza nel mercato unico, che, ha calcolato l’Institute for Fiscal Studies, vale 70 miliardi di sterline. Il percorso per l’uscita dall’Unione Europea, ancora una volta, si prospetta più lungo e contorto di quanto non fosse nella mente dei suoi promotori. Il premier norvegese alla vigilia del referendum l’aveva paventato: “Non lasciate l’Ue, odierete questa scelta”.

 

Ecco quando si fanno i conti senza l'oste........

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Ringrazio @ARES III per gli interessanti resoconti sull'evoluzione della Brexit... Trovo l'argomento molto interessante, proprio perchè è la prima volta che capita. Tra l'altro ora vedremo chi ha ragione.

Arka

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3 ore fa, ARES III dice:

Ecco quando si fanno i conti senza l'oste........

Anche io ringrazio ARES III per i continui e approfonditi aggiornamenti della situazione.

Un mio piccolo e marginale contributo (facendo i conti come un oste, perchè di meglio non so fare):

23.06.2016 : 0,76336 sterline per comprare 1 euro

10.08.2016:  0.85914 sterline per comprare 1 euro

in meno di due mesi.

 

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In Scozia iniziano a prendere le prime timide misure anticrisi post Brexit :

Scozia: sbloccati 100 milioni di sterline per la crescita dopo la Brexit

Un mese e mezzo dopo il voto in Gran Bretagna sulla Brexit, il governo della Scozia ha sbloccato 100 milioni di sterline, circa 117 milioni di euro, a sostegno della crescita. "Come ho già detto, il governo scozzese esplorerà tutte le opzioni per proteggere le relazione della Scozia con l'Ue e per garantire che la nostra voce venga ascoltata. Ma è anche importante agire ora per sostenere e stimolare l'economia", ha detto il primo Ministro del governo scozzese, Nicola Sturgeon. Le risorse liberate dal governo della Scozia verranno impiegate soprattutto in progetti nel campo sanitario e delle infrastrutture.

http://www.finanza.com/Finanza/Notizie_Mondo/Inghilterra/notizia/Scozia_sbloccati_100_milioni_di_sterline_per_la_crescita_do-461156

 

Queste sono le prime misure concrete verso la popolazione, a differenza degli interventi di BoE che abbassando i tassi è intervenuta sull'economia e sulla grande finanza.

 

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Piccole riflessioni di un cittadino inglese, che vivendo nello UK può forse descrivere meglio la situazione attuale:

 

Locarno. Ha un indiscutibile primato Ken Loach, regista britannico dalla cima dei capelli alle unghie dei piedi, al tempo stesso cosmopolita come pochi, fresco ottantenne che ne dimostra vent’anni di meno, vincitore dell’ultima Palma d’Oro a Cannes con il suo ‘I, Daniel Blake’. Il primato è quello della più lunga standing ovation che si sia mai registrata il 69 anni nella piazza Grande di Locarno. I frequentatori di questo festival hanno un palato fino, i block-buster li guardano con una sufficienza che sfiora il razzismo; Loach è il regista che fa per loro, uno mite e tosto, che dice quello che pensa, anche quando sono opinioni sgradite e contro-corrente. Locarno lo ama fin dal 1971, quando gli attribuisce il Premio della Giuria dei Giovani per il suo ‘Family Life’; poi, nel 2003 il Pardo d’Onore. Qui a Locarno è di casa, e anche quest’anno è tornato. Più che di cinema, Loach parla di politica: come sempre nel suo modo spiccio, un fiume in piena: “Il governo britannico è ancora più a destra di Cameron, e dopo la Brexit la situazione sta peggiorando”. E’ solo un antipasto.

In più occasioni ha detto di amare il cinema italiano, in particolare il neo-realismo. Si può dire che il suo modo di concepire il cinema si accosta a quel filone?

Certo che si può dire. Un regista che ho sempre ammirato è Vittorio De Sica. Guardate il suo ‘Umberto D.‘, e si possono trovare relazioni con il mio ‘I, Daniel Blake’. E’ un film che denuncia le carenze del welfare inglese, le incredibili difficoltà burocratiche che vengono frapposte dal sistema ei jobcentre, che dovrebbero gestire i rapporti con chi riceve il sussidio. Procedure che non sono di alcun aiuto al cittadino che ha bisogno, al contrario lo ostacolano, come se fosse un nemico da combattere.

Nel suo Paese sono accadute molte cose che hanno inevitabili riflessi in Europa: il Regno Unito ha votato per la Brexit, il premier David Cameron si è dimesso e ora a Dowing Street c’è Theresa May…

Cameron dimettendosi ci ha solo guadagnato, se è vero che ora lavora per una multinazionale con uno stipendio ben superiore a quello di Primo Ministro. Mi dicono che si è trasferito in un appartamento da 17 milioni di sterline. Non male, direi. C’è poi Boris Johnson che credo si trovi in una situazione che non aveva previsto: era convinto che Brexit non sarebbe passata e pensava di conquistare, da oppositore, una rendita di posizione. Non è andata così, e ora si trova a essere Ministro degli Esteri. Una cosa stravagante. Theresa May non potrà che continuare il lavoro di Cameron. Non c’è molto da dire sul suo conto. Credo sia efficiente. Mostra un volto dolce, ma credo sia molto determinata e dura.

E per quel che riguarda Brexit?

Già prima la situazione era difficile. Ora inevitabilmente peggiorerà. Cameron ha sbagliato, e ora ne pagheremo le conseguenze. Le grandi aziende se ne andranno; quelle che decideranno di restare, lo faranno per via del taglio della pressione fiscale fino al 15 per cento; significa minori entrate per il Governo, e di conseguenza ulteriori tagli al welfare. A pagare saranno come sempre i piu’ deboli.

Qui a Locarno hanno trasmesso il film con cui ha vinto la Palma d’Oro a Cannes: la storia di un sessantenne cardiopatico, che non può lavorare e a cui viene negata l’assistenza pubblica. Ne fa una metafora per condannare l’intero sistema britannico. Non è un’estremizzazione, la sua?

Non lo è affatto. Storie come quella che racconto in ‘I, Daniel Blake’ accadono tutti i giorni, è la storia di centinaia di  lavoratori disoccupati, che grazie a una burocrazia assassina che dissemina una quantità di ostacoli kafkiani, si vedono negati quei sussidi a cui avrebbero diritto. A Newcastle, dove ho ambientato il mio film, ho visto con i miei occhi migliaia di persone che non hanno da mangiare e vanno ai banchi alimentari per un pasto. E’ realtà, il film si limita a registrarla.

Per questo ha parlato di similitudini con ‘Umberto D.‘?

Insieme a Paul Laverty con cui ho scritto la sceneggitura, ho percorso tutto il Regno Unito, dalle Midlands a Newcastle, dove c’erano i cantieri navali e una classe operaia molto forte. Ma quella è una realtà che si può trovare facilmente in ogni città. Ovunque ci sono file di persone davanti alle mense per i poveri.

Lei e molti altri artisti vi siete schierati contro la Brexit. Come si spiega che molti suoi concittadini invece abbiano votato per l’uscita?

Cattiva informazione, frustrazione, rabbia… i motivi possono essere tanti. E’ stato un errore il referendum, è stato un errore uscire. Però si renda conto che il Regno Unito non è solo Londra. Se lei va in provincia, si accorge che quelle persone si sentono abbandonate, non ascoltate. Ce l’hanno con gli immigrati perchè danno a loro la colpa dei posti di lavoro che non ci sono, e così votano a destra. Nessuno ha spiegato bene loro che con Brexit le cose non andranno meglio, che molte grandi aziende lasceranno il Paese, che abbasseranno le tasse per impedire che se ne vadano, e cosi’ ci saranno meno soldi per il sociale.

Sembra molto sfiduciato…

Beh, non è che ci sia da stare allegri. Comunque ho fiducia nei giovani. Loro in massa hanno votato per restare, e dunque ho speranza in loro.

E per quel che riguarda quel che accade fuori dal Regno Unito?

La storia ci dice che per secoli noi occidentali abbiamo condizionato e cercato di dominare i destini dei popoli del Medio Oriente. Ora c’è una sorta di contrappasso. Se poi ci riferiamo alle cose dell’oggi, da molto prima che uscisse il rapporto Chilcot circa le responsabilità di Tony Blair per la seconda guerra in Irak, ero convinto che sia lui che George W. Bush fossero dei criminali, e che debbano essere processati. Lo pensavo prima, lo penso di più oggi.

Lei è sempre stato piuttosto critico anche nei confronti dei laburisti. Che giudizio dà dell’attuale leader Jeremy Corbyn?

In generale è tutto il Labour Party che non mi entusiasma. Corbyn cerca di opporsi alla classe dominante. Ora tutti gli stanno sparando addosso, giornali, televisione; l’ala destra del partito preme per un nuovo congresso e così farlo fuori…

Qui a Locarno hanno presentato un documentario su di lei, ‘Versus: the Life and Films of Ken Loach’, di Louise Osmond, praticamente si ripercorre tutta la sua vita in 90 minuti. E il documentario comincia con una frase: «Ogni film che tratti di rapporti tra le persone è un film politico». Si riconosce in questa affermazione?

Assolutamente sì. Vale per quello che ho realizzato, ma vale per ogni film. In ogni film, anche quelli di puro intrattenimento, c’è sotteso un messaggio. Senza eccezione; e spesso meno è evidente, più è presente.

http://www.lindro.it/brexit-una-follia-la-pagheremo/

 

 

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C'è qualcuno che dice anche che la Brexit alla fine sarà utile (vedremo.......) :

Brexit: ecco perché i britannici ci hanno fatto un piacere

Assistiamo ad un certo ottimismo di ritorno dopo il referendum nel Regno Unito

Dopo l'uscita del Regno Unito abbiamo assistito a settimane di piagnistei dai due lati della Manica: l'Europa senza l'Inghilterra? Come potrà il mondo continuare a girare come faceva prima? Che accadrà all'economia europea e mondiale? Come faremo senza l'ora del the? E via temendo…
Il fatto è che l'U.K. finalmente ha sciolto la sua decennale indecisione (visto che teneva furbamente un piede dentro ed uno fuori con la sterlina al posto dell'euro) ed ha sloggiato.
Ed ora?
A Parte Beppe Severgnini che c'ha casa a Londra e i fighetti Erasmus che bazzicavano le università inglesi assistiamo ad un certo ottimismo di ritorno…
Ha iniziato l'Università di Bologna (35 richieste in una settimana) a segnalare un ritorno di domande dei professori  "emigrati" nella terra della Regina lasciando l'Italia per seguire solo i propri egoistici interessi.
Infatti, dalla Gran Bretagna giungono notizie di tagli dei fondi europei alle loro università e centri di ricerca e non essendoci più la "pappa" la gente cerca di tornare all'ovile e cioè in madrepatria oppure in Europa e non sarebbe neppure giusto che ora si riaprano le porte a tutti a danno di chi non è andato via ma solo alle eccellenze che possono essere utili davvero al nostro Paese.
Ad esempio, sulla prestigiosa rivista "Nature", un fisico britannico Paul Crowtther ha scritto che il suo gruppo era stato escluso dai finanziamenti europei; si resta comunque sempre meravigliati dalla meraviglia altrui: ci mancherebbe che prendessero ancora soldi dopo tutte le condizioni favorevoli che sono state elargite alla Gran Bretagna sotto la "minaccia" di andarsene. Ora che se ne sono andati "no money" è il minimo che si possono aspettare.
Insomma sembra che la Brexit poi non abbia fatto molto male se riguadagniamo quelle alte professionalità che ci sono costate un patrimonio pubblico solo per poi andare a dire "Yes" in qualche Università d' Oltremanica.
Poi c'è anche un altro fatto e riguarda le startup tecnologiche il cui numero è enorme proprio in Gran Bretagna.
Ora, con la Brexit, anche per loro non è più conveniente starsene sul Tamigi e devono ritornare indietro producendo due effetti positivi per l'Europa e per l'Italia: il primo è che tornando a casa indeboliscono il concorrente numero uno, cioè l'U.K. e il secondo è che rafforzano le nostre startup tecnologiche che vedono automaticamente aumentare il loro valore monetario e peso scientifico/tecnologico internazionale.
Insomma l'uscita del Regno Unito dalla UE appare roseo e foriero di nuove opportunità autarchiche.
Con buona pace di tutti i piagnoni della Brexit.

 

http://www.affaritaliani.it/esteri/brexit-ecco-perche-i-britannici-ci-hanno-fatto-un-piacere-436380.html

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In pratica quanto conviene restare nell'UE per la Gran Bretagna ?

Brexit, “lasciare mercato unico costerà 70 miliardi” di sterline a Londra

Le alternative per il Regno Unito non ammettono scappatoie: l’accesso al mercato unico implica l’accettazione della libertà di movimento delle persone bocciata sonoramente dal voto sulla Brexit. Questa posizione recentemente ribadita dai leader europei stride con le intenzioni del premier britannico Theresa May, che ha preso l’impegno di non tradire il responso emerso dal referendum.

Se la via che prenderà la Gran Bretagna sarà quella dell’abbandono del mercato unico, finalizzato al recupero completo del controllo sui flussi migratori, il prezzo da pagare sarà di 70 miliardi di sterline: lo stima un’analisi dell’Institute of Fiscal Studies, autorevole think-tank già sostenitore della permanenza del Paese nell’Unione Europea. Restare nel mercato unico, scrive l’Ifs, varrebbe il 4% del Pil, con benefici che supererebbero i costi dell’accesso. Come già da più parti annunciato alla vigilia del voto sulla Brexit, aderire al mercato unico restando fuori dall’Ue lascia comunque muta la voce del Regno Unito su possibili riforme dello stesso mercato, mettendo il Paese nella condizione di subire le scelte degli altri membri europei.

 

E’ vero, sottolinea l’Ifs, che abbandonare l’Ue significa anche risparmiare 8 miliardi di sterline in contributi europei che ogni anno venivano versati dal Regno Unito, ma, anche qui, il risparmio verrebbe oscurato dalle minori entrate fiscali conseguenti alla contrazione del volume dei commerci. Nulla che potrebbe essere in qualche modo bilanciato da nuovi trattati commerciali stretti con altri Paesi, visto che il mercato europeo pesa per il 44% sulle esportazioni britanniche e il 39% nel caso dell’esportazione di servizi.

 

 http://www.wallstreetitalia.com/brexit-lasciare-mercato-unico-costera-70-miliardi-a-londra/

  .

Quindi "Restare nel mercato unico, scrive l’Ifs, varrebbe il 4% del Pil, con benefici che supererebbero i costi dell’accesso" , che affarone la Brexit .....  forse è per questo che la vogliono spostare al 2019 o ad altra data futura più distante ?

   

Modificato da ARES III
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E c'è persino chi pensa di tornare indietro.......

http://www.affaritaliani.it/affari-europei/groenlandia-brexit-427476.html?refresh_ce

Brexit? La Groenlandia pensa al ritorno nell'Ue. Ecco perché...

Investimenti sulle infrastrutture e diversificazione dell'economia. Ecco perché la Groenlandia sta pensando di tornare nell'Ue

 

BREXIT? NIENTE PAURA, TORNA LA GROENLANDIA

La Gran Bretagna lascia l'Unione Europea? Niente paura, perché il suo posto potrebbe essere preso dalla Groenlandia. Proprio così, il paese dei ghiacci sta pensando di chiedere la riammissione a Bruxelles. La Groenlandia è ad oggi l'unico territorio ad aver abbandonato l'Ue. Ne faceva parte a seguito dell'adesione della Danimarca ma dopo l'indipendenza nel 1979 la penisola artica andò a un referendum nel 1981 con la vittoria dei favorevoli all'uscita dall'Ue che venne approvata due anni dopo. Unione Europea e Groenlandia negoziarono un nuovo accordo che riguardava esclusivamente la pesca e impiegarono tre anni per firmarlo.

I MOTIVI AL RITORNO NELL'UE

Ora però qualcuno ci sta ripensando. Complice il referendum del 23 giugno sulla Brexit, in Groenlandia si è riacceso il dibattito sul futuro dell'immenso piccolo Paese. Il collasso dei prezzi e il rallentamento cinese hanno messo in stand by le speranze di investimenti miliardari da Pechino o da altre nazioni che potevano essere interessate alle risorse naturali della Groenlandia. Michael Rosing, membro democratico del parlamento della Groenlandia è uscito allo scoperto: "Dovremmo almeno prendere in considerazione l'idea di chiedere la riammissione nell'Ue", ha dichiarato. L'idea è quella che tornare in Ue avrebbe effetti positivi per gli investimenti su porti, aeroporti e infrastrutture. Ma soprattutto il ritorno all'ovile potrebbe favorire e aiutare a diversificare un'economia interamente basata sulla pesca.

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Ho ripulito la discussione, a partire da quando si inizia a discutere dell'Ucraina e della Russia (sbaglio, o si doveva parlare dell'Inghilterra?).

Ricordo poi, in particolare ai nuovi iscritti, che questo NON è un forum politico, anche se si può discutere di alcuni argomenti, con pacatezza e nel rispetto delle opinioni altrui. Di sicuro, però, non si può discutere solo di quelli, questo è un forum numismatico, se si hanno temi numismatici da proporre saremo lieti di leggerli e condividerli, ma se ci si è iscritti solamente per discutere della situazione politica internazionale, questo non è il posto giusto per farlo.

Grazie per l'attenzione.

petronius

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Prime discrepanze:

Nel frattempo, vista la titubanza del governo ad affrontare la Brexit, l'ex leader dell'Ukip britannico, l'euroscettico Nigel Farage, uno degli artefici del voto sulla Brexit, ha detto che tornerà a occuparsi del partito se il Regno Unito non prenderà con decisione la strada del divorzio da Bruxelles. «Se la Brexit non dovesse essere concessa - ha detto Farage - allora dovrei pensare seriamente di tornare. Ma spero di non doverlo fare».

http://www.ilgiornale.it/news/economia/niente-brexit-almeno-fino-2020-1296824.html

 

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Ed ora iniziano i problemi: se , e sottolineo se, verrà attivato l'art. 50 per l'uscita dall'UE, la Gran Bretagna dovrà concludere subito nuovi accordi economici con l'UE e se ciò non riuscirà o se ci sarà un periodo di transizione non regolamentato, allora purtroppo le relazioni economiche saranno disciplinate dalle regole del WTO che sono sconvenienti e penalizzanti per l'UK.

Questo lo sanno bene gli esperti di Sua Maestà perché sentite cosa è successo:

 

In un comunicato stampa cancellato in tutta fretta  il Ministero spiegava quello che potrebbe accadere ....... In particolare in un paragrafo il comunicato stampa annunciava che fino a che non verrà negoziato un nuovo accordo con l’Unione gli accordi commerciali verranno regolamentati secondo le disposizione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

If the UK does exit the European Single Market, it will be governed by World Trade Organization (WTO) rules until any new trade deals are negotiated. We’ll remain a competitive player on the global stage because all major economies and most minor ones are members of the WTO. The WTO requires each member to charge the others the same tariffs and grant them ‘most favoured nation’ market access.

http://www.nextquotidiano.it/brexit-il-governo-britannico-non-sa-ancora-cosa-significa/

Naturalmente anche se le notizie vengono censurate per tenere buoni i mercati, gli squali della finanza o gli esperti di settore, erano già a conoscenza di questa ipotesi.

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Dopo le illusioni della Brexit, arriva la realtà: l’Inghilterra è in recessione

 

Chi pensava che il risultato del referendum non avrebbe intaccato la solidità dell’economia britannica si sbagliava. Le stime lasciano presagire uno scenario solo: la recessione. Le difficoltà per Theresa May aumentano

 

Dopo gli annunci e le previsioni arrivano i dati. Il costo della Brexit inizia pian piano a definirsi. A meno di due mesi dal referendum che ha avviato l’addio del Regno Unito all’Ue e a quasi un mese dall’arrivo del nuovo esecutivo britannico, i costi della Brexit diventano tangibili. Aumento dell’inflazione, aumento dei prezzi di beni e servizi e allentamento della domanda, con conseguente aumento dei costi per i produttori. Soltanto nel mese di luglio il Regno Unito ha visto crescere dello 0,6% il livello dell’inflazione, che per la Bank of England dovrebbe arrivare a toccare quota 3% nel 2017. Si tratta del più forte aumento registrato dal novembre 2014. Il trend dell’alta inflazione associata a una sterlina debole – il pound ha perso almeno 10 punti percentuali rispetto al dollaro – con il conseguente aumento dei prezzi dell’import, preoccupa economisti e grandi aziende.

L’aumento dell’inflazione ha colpito per ora il trasporto ferroviario, con un aumento dei prezzi dell’1,6% soltanto nell’ultimo mese, ma anche bevande alcoliche, tabacco e i prezzi di ristoranti, alberghi e materie prime.

Per ora nessuno osa dirlo a gran voce, ma se prolungato, il mix di alta inflazione, bassi consumi e crescita lenta o pari a zero significa soltanto una cosa: recessione. Uno scenario che per la verità tanto la Bank of England quanto l’Office for the National Statistics avevano previsto chiaramente già durante la campagna referendaria, ribaltato dai sostenitori della Brexit. Sempre la Bank of England, che per ora non sembra particolarmente preoccupata per il livello dell’inflazione, non ha escluso ulteriori tagli ai tassi di interesse, per l’istituzione i timori più forti arrivano dal rallentamento della crescita e un’improvvisa impennata della disoccupazione.

Per chi, tra i cittadini britannici, ritiene la Brexit un fenomeno lontano e intangibile, gli effetti rischiano di essere molto più che concreti. Ad oggi il rischio di cui Bank of England e l’Office for the National Statistics parlano è quello di una lenta e lunga impasse economica dalla quale il Paese uscirà fortemente indebolito e più diviso che mai. I primi a risentire gli effetti negativi saranno proprio i lavoratori meno qualificati che a fronte di un incremento dei prezzi vedranno praticamente azzerarsi il proprio potere di acquisto.

Per il think tank Resolution Foundation nemmeno la prospettiva di tagliare il numero degli arrivi di migranti intra Ue riuscirà ad avere gli effetti propagandati durante la campagna referendaria. Meno migranti europei significa certo meno concorrenza nella ricerca del lavoro, ma non conseguente aumento sostanziale dei salari per i meno qualificati né automatica occupazione per chi è alla ricerca di lavoro. In un mercato dove la forza lavoro fino a oggi è stata altamente mobile, garantire la piena rispondenza della forza lavoro nazionale all’offerta delle aziende non sarà un processo immediato, con il risultato che la prima conseguenza per anni sarà un taglio dei posti e non un loro aumento. I sindacati e alcuni analisti prevedono una diminuzione brusca dei salari già a partire dal prossimo anno, con conseguenze prevedibilmente negative a livello sociale.

Le performance economiche britanniche dell’ultimo mese vengono lette in modo diverso da economisti e analisti. Non manca chi guarda in modo scettico all’immediato legame tra alta inflazione e Brexit.

Certo è però che la Brexit è intervenuta su un’economia in crescita e senza particolari problemi, cosa che in qualche modo alimento l’incredulità degli investitori, la cui fiducia verso il Regno Unito è in perenne calo dal 23 giugno, crollata del 6,8 nel solo mese di luglio. All’estero, insomma, per ora si hanno poche speranze di vedere Londra compiere un miracolo economico nella situazione in cui si trova. Oltre all’incertezza economica si respira in queste ore anche un’incertezza politica.

Con la pausa estiva che si avvia al termine, l’autunno si preannuncia già denso di ostacoli e sfide importanti. Theresa May dovrà spiegare esattamente le tappe e i modi attraverso cui avvierà il divorzio da Bruxelles. Dal lato europeo le cose non vanno molto meglio. L’avvicinarsi di elezioni cruciali in Germania e Francia potrebbe far slittare la Brexit addirittura al 2019. Uno scenario che si augurano in pochi, perché avrebbe la sola conseguenza di prolungare le incertezze sul blocco dei 27 Paesi Ue e parallelamente quelle del Regno Unito.

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/08/17/dopo-le-illusioni-della-brexit-arriva-la-realta-linghilterra-e-in-rece/31498/

 

I cattivi profeti iniziano ad avere ragione ma non del tutto:

Brexit per ora non pesa sul mercato del lavoro: in Gb disoccupati in calo nel secondo trimestre

LONDRA - Brexit non pesa sul mercato del lavoro britannico, almeno per ora. Il numero di disoccupati è sceso di 52mila unità a 1,64 milioni nel trimestre aprile-giugno, il minimo da otto anni, secondo dati ufficiali resi noti oggi dall'Ufficio nazionale di statistica (Ons). Il tasso di disoccupazione resta invariato al 4,9%, mentre il tasso di occupazione (74,5%) ha toccato il massimo storico.

Contrariamente alle previsioni il numero di richieste di sussidi nel mese di luglio, il primo dopo il referendum, è sceso di 8.600 unità a 763.600, un altro segnale della buona salute del mercato del lavoro. Positivo anche l'aumento del 2,4% delle retribuzioni medie in giugno, in seguito all'entrata in vigore di un nuovo salario minimo più alto. Il rallentamento che molti economisti temevano dopo il voto a favore di lasciare l'Unione Europea non si è materializzato, ma secondo gli esperti è solo questione di tempo.

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-08-17/brexit-non-pesa-mercato-lavoro-disoccupati-calo-secondo-trimestregb-133604.shtml?uuid=ADE5Mj6

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Ho letto solo qualche imprecisione. Per aderire al mercato unico non sarebbe sufficiente entrare nell'EFTA, bensì nello spazio economico europeo e non mi risulta che paghino un po' meno, bensì un po' di più (della sola quota inerente il mercato comune, ovviamente, non per l'intero bilancio UE). Allo stesso tempo, non è neppure necessario aderire all'EFTA per lo SEE, tanto che era stato proposto anche a San Marino, ma certo accelererebbe i tempi

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Concordo pienamente con la tua osservazione @luke_idk , infatti molti post addietro avevo sottolineato la questione del SEE.

La Svizzera fa parte del SEE pur non essendo membro (mi sembra sia osservatore o associato) dell'EFTA.

Modificato da ARES III
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