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Tragiche conseguenze...


Trevize

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Comunque sono in corso importanti movimenti di forze corazzate e di fanteria turche in direzione del confine, dubito si tratti solo di una prova di forza penso invece che lo scopo sia di entrare in Siria per creare una "zona cuscinetto" oltre confine della profondità di svariati chilometri con la scusa di garantire la sicurezza dei confini etc. etc.

La Siria fino a prova contraria è ancora uno stato sovrano quindi parliamo di invasione, se così fosse le cose tenderebbero a complicarsi ulteriormente...

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Sono d'accordo con te, Medusa. Erdogan non ha mai nascosto l'ambizione di incorporare la Siria come primo passo nella ricostruzione dell'impero ottomano. I primi a ignorare che la Siria è uno Stato sovrano, sono stati gli USA, immediatamente affiancati adi loro cagnolini europei. La guerra civile in Siria è stata creata dagli occidentali, addestrando gli integralisti sunniti, insofferenti nei confronti di Assad poiché sciita, ma soprattutto in quanto laico. E la guerriglia armata, addestrata e finanziata dagli occidentali e dalla Turchia al solo scopo di defenestrare Assad, si è poi convertita nel Daesh.

Si è ripetuto il copione afgano: la guerriglia creata in funzione antisovietica, si è poi trasformata in Al Qaeda.

La follia della guerra irakena, delle diverse primavere arabe, del cruento caos libico, mi pare che non abbia insegnato nulla all'Occidente che si ostina nel ripetere continuamente gli stessi drammatici errori.

 

Nel caso specifico, a fronteggiare un'eventuale invasione turca ci sarà l'esercito di Assad, quel che ne resta, e soprattutto ci saranno i russi, non invasori della Siria, ma in Siria su richiesta di Assad. Forse l'abattimento del caccia russo è stata una prova fatta da Erdogan per vedere quale sarebbe stata la reazione russa, ovvero se la Russia intendeva davvero impegnarsi in Siria.

Se la Turchia attacca la Siria, diventa difficile per la NATO far scattare le regole del patto che prevedono un intervento congiunto se un membro viene attacato da un Paese terzo, non se è lui ad attaccare un Paese terzo.

Erdogan gioca con il fuoco ma la cecità europea rischia di avviare tutto il Vecchio Continente in una guerra dalla quale ne uscirà solamente un panorama di macerie. Nel frattempo, le grandi imprese degli USA stanno a guardare, sfregandosi soddisfatte le mani al pensiero di quanto poi avranno loro da guadagnarci a ricostruire sulle rovine. Non diversamente da quanto fecero quegli imprenditori edili nostrani che brindavano al terremoto dell'Aquila.

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Infatti, penso anche che i tempi saranno corti, immagino che la settimana prossima porterà ulteriori sviluppi, i turchi sanno che devono fare presto, da vedere quale contrasto potrà opporre l'esercito regolare siriano e quale sarà l'eventuale supporto russo e se ci sarà, sono tutti calcoli che stanno già facendo sicuramente da tempo entrambe le parti, domani mi sembra sia in programma un incontro a Belgrado tra i ministri degli esteri, staremo a vedere.........

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 Forse l'abattimento del caccia russo è stata una prova fatta da Erdogan per vedere quale sarebbe stata la reazione russa, ovvero se la Russia intendeva davvero impegnarsi in Siria.

 

secondo Lei è remota la possibilità che l'abbattimento del bombardiere russo sia stata una decisione ispirata da Washington?

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secondo Lei è remota la possibilità che l'abbattimento del bombardiere russo sia stata una decisione ispirata da Washington?

Secondo me precedentemente questa possibilità fu discussa tra Erdogan e i comandi militari Usa e questi si mostrarono d'accordo: dopo di che Erdogan aspettò semplicemente l'occasione per farlo, non dovendo aspettare molto.

Ora, forse, i comandi militari USA ritengono che sia stato un errore e si sono defilati.

Abbattere un aereo russo è un'iniziativa molto grave e dubito che Erdogan l'abbia presa senza avere previamente il consenso USA se non della NATO, la quale sulla situazione siriana non è concorde.

Negli ultimi cinque anni la Russia sta cambiando moltissimo in senso militare, riacquistando in parte il ruolo di superpotenza. Per gli USA è molto preoccupante l'accordo tra Russia, Bielorussia e Kazakistan per adottare una moneta comune, al quale ha poi fatto seguito quello con Cina e India per l'abbandono dei petrodollari negli acquisti energetici, che ora sono fatti in valuta nazionale. Voler abbandonare l'uso dei petrodollari è stato il vero fattore che ha spinto gli USA alla folle guerra contro l'Irak e Saddam Hussein (un milione e mezzo di vittime civili!) e li ha portati a complottare per rovesciare il governo venezuelano: anch'esso ha abbandonato l'uso dei petrodollari vendendo il petroleo in valuta nazionale.

Il dollaro statunitense è del tutto privo di copertura: l'imposizione dei petrodollari nelle transazioni energetiche mondiali crea un'enorme domanda di dollari ed è questa a mantenerne elevato il valore di cambio con le altre valute. Se venisse a meno l'imposizione dei petrodollari, il dollaro crollerebbe.

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a proposito di USA, consiglio vivamente il saggio di Howard Zinn, Storia del popolo americano. Dal 1492 a oggi.

Cito lo stesso Zinn per dare un commento alla lettura:

"Il mio punto di vista rispetto alla storia degli Stati Uniti è diverso: non dobbiamo accettare come nostra la memoria degli stati. Le nazioni non sono comunità e non lo sono mai state. La storia di qualunque paese, presentata come fosse la storia di una famiglia, nasconde la realtà di feroci conflitti di interesse (che talvolta esplodono, ma più spesso vengono repressi) tra vincitori e vinti, padroni e schiavi, capitalisti e lavoratori, tra gli oppressori razziali e sessuali e gli oppressi. E in questo mondo conflittuale, un mondo di vittime e carnefici, le teste pensanti - come sosteneva Camus - hanno il dovere di non stare dalla parte dei carnefici.

Perciò, data la necessità, implicita nel lavoro storiografico, di prendere posizione attraverso la selezione e il risalto concesso ai fatti, preferisco raccontare la scoperta dell'America dal punto di vista degli Arawak , la costituzione da quello degli schiavi, Andrew Jackson con lo sguardo dei cherokee, la Guerra civile come potevano vederla gli irlandesi di New York, la guerra con il Messico secondo i disertori dell'esercito di Scott, l'avvento dell'industrialismo dalla prospettiva delle giovani operaie tessili di Lowell, la guerra ispano-americana vista da Cuba, la conquista delle Flippine con lo sguardo dei soldati neri a Luzon, l'età dorata della Ricostruzione vista dagli agricoltori del Sud. Preferisco parlare della Prima guerra mondiale come la videro i socialisti, della Seconda con gli occhi dei pacifisti, del New Deal con quello dei neri di Harlem, dell'impero americano del dopoguerra dal punto di vista dei peones dell'America Latina, sempre nella misura limitata in cui un individuo, per quanto si sforzi, può "vedere" la storia dal punto di vista di altri.

Il mio intento non è piangere le vittime e denunciare i carnefici. Le lacrime e la collera proiettate nel passato ci sottraggono l'energia morale di cui abbiamo bisogno nel presente. E poi le linee di demarcazione non sono sempre nette. A lungo termine, l'oppressore è anche vittima. A breve termine (e finora la storia umana è stata un susseguirsi di tempi brevi), le vittime, disperate e corrotte dalla stessa cultura che le opprime, spesso si rivolgono contro altre vittime.

E tuttavia, pur tenendo presenti le complessità, questo libro si manterrà scettico nei confronti dei governi e dei loro tentativi di invischiare, attraverso la politica e la cultura, la gente comune nella ragnatela gigantesca dell'appartenenza nazionale, con il pretesto dell'esistenza di un interesse comune. Non tenterò di ignorare le crudeltà che le vittime si infliggono a vicenda, stipate nei vagoni merci del sistema. Non voglio trasformarle in figure romantiche. Ma non dimentico una frase che ho letto una volta: "Il grido dei poveri non sempre è giusto, ma se non lo ascolti non saprai mai che cosa è la giustizia".

Non voglio nemmeno inventare vittore per i movimenti popolari. Ma pensare che la storia debba semplicemente ricapitolare i fallimenti del passato è come rendere gli storici complici di un ciclo infinito di sconfitte. Se la storia deve essere creativa, prevedere un futuro possibile senza negare il passato, dovrebbe, credo, dare spazio a possibilità nuove, rilevando episodi nascosti del passato in cui, anche per un breve momento, la gente a mostrato la propria capacità di resistere, di unirsi, talvolta di vincere. Parto dal presupposto, o forse soltanto dalla speranza, che il nostro futuro si possa trovare negli effimeri momenti di compassione del passato, piuttosto che nei secoli di guerra."

 

 

 

 

 

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