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Solidarietà al popolo francese


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Inviato

ART, io non difendo la Russia la quale ha portato avanti la sua politica di superpotenza come hanno fatto gli USA. Difendo il punto di vista dei Paesi del Terzo Mondo e delle vittime della superpotenze, perché non ci sono solamente le vittime occidentali.

 

A questa bambina non gliene frega proprio nulla se l'esercito che distrugge la sua casa sia russo, statunitense, di Assad o dell'Isis:

 

 

Questa è una foto-ricordo della legione straniera: anno 1920, le teste sono quelle dei marocchini che si opponevano all'occupazione coloniale.

E' tragico, ma nella guerra si uccide. Assai più tragico e che persone che si ritengono evolute e civili stampassero questa "cartolina" quale "souvenir".

 

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A questo porta il fanatismo, il fatto di essere "certi" di combattere dalla parte giusta. Non c'è nessuna differenza tra quanto hanno fatto i colonialisti nei Paesi del Terzo mondo (italiani compresi, che hanno trucidato decine di migliaia di libici e di etipici e ne hanno fatto morire altre decine di migliaia nei lager costruiti in Libia).

 

Quello che notnuo a ripetere è che se l'Occidente, e nell'Occidente incluso la Russia, non riflette seriamente sui propri errori e non cambia radicalmente strategia politica verso il Terzo Mondo, esso sarà sempre più odiato

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Inviato

"Ma è stato solo "l'occidente" a fare cose discutibili? Ci siamo scordati cosa faceva l'URSS ai tempi della guerra fredda, anche in medio oriente?"

 

Mettici pure l'URSS...ci mancherebbe..non è che mi offenda...., anzi....la nozione di "Occidente" non voleva essere esclusivamente di tipo geografico.

 

M.


Inviato

Scusate gli ultimi post sono un tantino irrispettosi (in qualunque modo la si pensi) dei morti in Francia.

 

Qui dovremmo dare solidarietà e forza .... non iniziare a fare disquisizioni geopolitiche ( che comunque sono giuste) perché questo non è ne il luogo ne il momento per farle.

 

 

Anche perché nel regolamento c'è un divieto in merito a ciò.

 

PS: io caratterialmente sono un tantino polemico, penso che in molti si sono accorti di ciò, però difronte a queste tragedie preferisco fermarmi e togliermi il cappello di fronte alle vittime.

Poi, in un luogo ed in momento più adatto, ritengo di fare le dovute analisi. Perché ci deve essere un tempo per elaborare questo lutto.

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Inviato

"Scusate gli ultimi post sono un tantino irrispettosi (in qualunque modo la si pensi) dei morti in Francia".

Non mi pare che nessuno, finora, abbia mancato di rispetto ai poveri morti di venerdì.

Si stava cercando di indagare le cause che possono aver prodotto una tale tragedia, con un pacato confronto di opinioni, al di là dell'abbastanza scontato cordoglio che chiunque, evidentemente, è pronto ad esprimere dinanzi a fatti come questi.

Come un sifatto confronto possa essere poco o molto irrispettoso verso le vittime di Parigi, francamente mi sfugge.

M.

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Inviato

Mi pare che finora, nonostante si siano toccati temi politici, dal punto di vista, però, prettamente storico, la discussione sia stata condotta con toni pacati.


Inviato

Questa mattina ho ascoltato un analista che, secondo me, ha fatto riflessioni molto appropriate. Nelle banlieue di Parigi e di Bruxelles - ma io aggiungerei anche Londra - vivono ragazzi della terza generazione di immigrati, cioè nati in Europa da padri nati in Europa e da nonni che erano arrivati dal Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, ecc. Ebbene, ancora oggi, questi ragazzi, sebbene cittadini francesi o belgi, non sono integrati nella società francese e belga, cioè vivono come hanno vissuto i loro padri e i loro nonni. Quindi, ha proseguito l'analista, è molto facile per il terrorismo far proselitismo in quell banlieue poiché offre loro quel "collante" sociale che viene loro negato dalla società.


Inviato

L'integrazione è sempre molto difficile e richiede un lungo percorso.

Osservo che essa non appare correlata solamente al gruppo sociale "ospite" che s'inserisce in un tessuto diverso, ma che è molto correlata al contesto in cui avviene l'inserimento.

La società islamica è una società complessa e in termini generali di non facile integrazione all'interno di una più ampia società laica, a causa soprattutto della loro teocraticità che è incompatibile con la laicità. Un secondo elemento che rende difficile l'integrazione è dato dal rapporto uomo-donna che nella società islamica è di subordinazione della seconda nei confronti del primo. Mi è successo di ascoltare un dialogo per strada (in Italia) tra una bambina di 8-9 anni e la madre islamica osservante (lo suppongo in quanto velata): la bambina le domandava perché permetteva a suo fratello di fare qualcosa (non intesi di cosa si trattasse) e a lei no, e la madre le rispose che lei era una donna e che Dio ha creato la donna affinché servisse l'uomo. Parlavano in italiano, la bambina con evidente accento piemontese: quindi si tratta già presumibilmente di una "seconda generazione". Ovviamente per gran parte degli islamici che giungono in Occidente, l'emancipazione della donna è inconcepibile e intollerabile.

Durante la guerra di Bosnia, a seguito di un'iniziativa della Caritas ricevemmo in affidamento una bambina bosniaca di cinque anni insieme alla madre, le quali vissero con noi per un anno (abbastanza perché potessi imparare il serbo-croato). La madre era una donna con molta iniziativa, che si dette sempre da fare e la bambina particolarmente intelligente. Dopo un anno anche il marito, falegname, riuscì a uscire dalla Bosnia e a raggiungerle: allora cercammo un alloggio perché potessero vivere per conto loro e al marito fu facile trovare lavoro. Economicamente stavano bene, erano ben accetti nella località dove vivevano e non c'erano ostacoli all'integrazione. Eppure dopo meno di un anno decisero inaspettatamente di tornare in Bosnia. Ne discussi con la madre poiché la situazione era ancora molto difficile e non ne comprendevo le ragioni. Mi dette questa spiegazione: ella si rendeva conto che se restava in Italia si sarebbe separata da suo marito, in quanto le risultava sempre più difficile rispettare un ruolo subordinato che egli e soprattutto la tradizione gl'imponevano e non voleva distruggere il suo matrimonio; pertanto tornava in Bosnia perché suo marito così voleva e là le risultava più facile accettare nuovamente un ruolo che ora le era diventato stretto e difficile da accettare.

Poiché l'iniziativa di accettare in affidamento madri bosniache con i loro bambini avviata dalla Caritas coinvolse varie persone, entrammo in contatto con altre gruppi famigliari che avevano fatto la nostra stessa scelta e, quindi, presso i quali vi erano donne e bambini bosniaci (fu l'occasione per me per scrivere la fiaba "L'anello del tempo") e vedemmo che questa situazione di conflitto tra una vivenza conforme alla tradizione o conforme alla società ospitante rappresentava la normalità. Spesso le donne nella loro terra non usavano il velo, mentre qui in Italia il suo uso gli era imposto dal marito. Credo che gran parte degli islamici che giungono in Europa sia tepidamente religiosa: ma qui la loro religiosità si accentua per paura di essere "assimilati" perdendo completamente la loro identità.

L'identità: un concetto chiave se si vuol comprendere quanto avviene nelle Società multietniche.

La difesa di una propia identità non è in contrapposizione all'integrazione: i due concetti possono convivere benissimo purché ci sia da parte della Società ospitante la volontà di rispettare l'identità e da parte del Gruppo ospitato la volontà di integrarsi. Quello che osservo in Italia è che spesso la Società ospitante mostra fastidio nei confronti dell'identità del Gruppo ospitato e questo, a sua volta, anziché integrarsi diventa integralista e isolazionista. L'uno è la causa dell'altro? E' come chiedersi se apparve prima l'uovo o la gallina. Quello che serve è rompere questo schema perverso e c'è un detto, che a me pare molto saggio, che dice "chi ha più educazione, ne faccia maggiore uso".

Alla Società islamica è mancata la Rivoluzione francese, ovvero una Rivoluzione che ponesse al vertice della scala dei valori quelli che sono propriamente laici: tolleranza per il diverso, uguaglianza nei doveri e nei diritti, educazione alla libertà di pensiero e di opinione. Sono convinto che anche la Società islamica avrà la sua Rivoluzione laica e sono convinto che sarà la donna la protagonista di questa Rivoluzione.

La borghesia e il proletariato urbano furono le componenti sociali che "fecero" la Rivoluzione francese in quanto erano quelle che maggiormente soffrivano nell'Ancien Regime. La donna è la componente sociale che maggiormente soffe nella Società islamica: per questo sono convinto che sarà la donna la protagonista della Rivoluzione laica che prima o poi scuoterà quella Società, non distruggendola, ma rinnovandola . Ogni cultura ha tano da dare alle altre culture, anche quella islamica. Una Società islamica che faccia propri i valori del laicismo (che non è assolutamente antireligioso e neppure atea), diventa una Società che trasmette agli altri la sua cultura, arricchendo l'umanità intera.

La componente islamica che ospitiamo, se e quando sarà integrata nella nostra Società pur preservando la sua identità specifica, arricchirà moltissimo la nostra Società. Che l'integrazione sia possibile, ne sono pienamente convinto. A Santiago, nel liceo, avevo in classe compagni tanto palestinesi come ebrei: ricordo una caria amica, Erika Mohor, palestinese. A Santiago i palestinesi sono circa 50.000: hanno un proprio Stadio, una squadra di calcio (in prima divisione), moschee, centri culturali. La stessa cosa avviene con gli ebrei: frequentavo lo stadio israelita perché mi rimaneva comodo rispetto a dove vivevo, e la stessa cosa facevano alcuni miei amici palestinesi, e, ovviamente, anche gli ebrei hanno una loro squadra di calcio (in seconda divisione). Eppure tanti gli uni come gli altri sono pienamente e felicemente integrati nella società cilena che li ospita: ovviamente discutono e litigano tra di loro quando si parla di quanto avviene in Medio Oriente, com'è naturale, sostenendo ragioni opposte. Terminata la discussione, vanno insieme al bar, o allo stadio, proprio in quanto si sentono rassicurati nella loro identità di palestinesi o di ebrei, e proprio in quanto rassicurati si sentono entrambi accomunati dall'appartenenza alla Società cilena.

Credo assolutamente nella possibilità di integrazione perché ho comprovato in modo concreto che l'integrazione è possibile.

Possibile, ma non facile. Ci vuole molto impegno, apertura mentale, capacità di ascoltare, di immedesimarsi nell'altro. Non facile, ma doverosa.

Così come non esistono alternative ragionevoli alla pace, allo stesso modo non esistono alternative ragionevoli all'integrazione degli altri.

Come disse 2.000 anni or sono il grande rabbino Hillel: se non ora, quando?

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Inviato

L'integrazione é molto difficile. Le colpe sono 50 e 50. Gli stati non aiutano ma molti non si vogliono integrare. Potrei fare decine di esempi

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Inviato

Forse diventa più facile se invece di ragionare sulle colpe, su quali siano degli uni o degli altri, cercassimo motivi validi d'integrazione, cioè facessimo dell'integrazione, che è un processo reciproco poiché gli uni si integrano negli altri vicendevolmente, un nostro obiettivo prioritario, la vivessimo come una conquista e come un valore profondo e vincente, ci rendessimo conto che una Società multirazziale è bellissima!

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Inviato

@antvwala certo é bellissimo ma credo sia utopico. Perché in fondo c'è sempre qualcuno che invece di integrarsi si vuole imporre e viceversa.


Inviato (modificato)

E' la società multiculturale, a Parigi come a Beirut, il reale obiettivo di chi ha ordinato gli attacchi. E leggendo molti interventi nella stampa pare che quanto meno in Italia tale strategia stia avendo un certo successo (fortunatamente non in Francia).

 

Personalmente sono agnostico ma la mattina vado in ufficio e mi ritrovo a lavorare con un certo numero di cattolici, un russo ortodosso, una cristiano maronita libanese, parecchi ebrei, altrettanti musulmani ed un induista. 

 

E mi piace lavorare con loro.

 

Ogni tanto capita che la sera mi faccia una birra in terrasse con Mohamed (che pur facendo il ramadan qualche birra ogni tanto per amor della compagnia se la beve) ed Ilhan (ebreo). Se si va a pranzo con Fabienne e Maryline, tocca andare in un ristorante Cacher, cosa che ad Abdelakim non crea alcun problema.

 

Voglio continuare a vivere così.

Modificato da g.aulisio
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Inviato

Voglio continuare a vivere così.

 

E con te tutti i parigini, e tutti noi

 

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E' la copertina del prossimo numero di Charlie Hebdo.

 

"Loro hanno le armi, si fottano, noi abbiamo lo champagne"

 

Nell'editoriale, si legge:

 

"Senza rendersene conto i parigini del 2015 sono diventanti un po' i londinesi del 1940, determinati a non cedere, né alla paura né alla rassegnazione. E' questa l'unica risposta che possiamo dare ai terroristi. Rendere vano il terrore che cercano di creare"

 

petronius

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Inviato

Benito Mussolini ha detto la verità.

Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vecchio concetto naturalistico che servì di base alla pubblicistica degli Stati nazionali nel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva esistenza.

PS

Moi non Charli.

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Inviato

E' la copertina del prossimo numero di Charlie Hebdo.

"Loro hanno le armi, si fottano, noi abbiamo lo champagne
"

 

Scusate, sarò io particolare...ma a me queste vignette e questa ironia non mi dicono proprio nulla e se proprio qualcosa mi suggeriscono non è certamente l'ilarità.

 

M.

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Inviato

Sicuramente preferisco Lenin a Mussolini, né posso perdonare a Mussolini il colonialismo, l'entrata in guerra, le leggi razziali e l'alleanza con Hitler. Ma non era uno studpido e non tutto quanto ha detto o ha fatto è da buttar via: per esempio la costruzione di uno Stato sociale che prima non esisteva.

In quanto alla frase citata, è difficile discuterla in quanto tanto la definizione di "Stato", quanto quella di "Nazione" sono tutt'altro che chiare e univoche.

Credo che entrambe siano la conseguenza di ciò che si costruisce: sta a noi costruire un'identità polietnica nella quale tutti possano sentirsi identificati, e quindi una Nazione che possa essere una patria comune per bianchi, rossi, neri e gialli, cristiani buttisti, islamici, ebrei, animisti e atei.

Io sono impegnato su questa via: lo sono sin da quando avevo i pantaloncini corti.


Inviato

E' la copertina del prossimo numero di Charlie Hebdo.

"Loro hanno le armi, si fottano, noi abbiamo lo champagne"

 

Scusate, sarò io particolare...ma a me queste vignette e questa ironia non mi dicono proprio nulla e se proprio qualcosa mi suggeriscono non è certamente l'ilarità.

 

M.

Concordo, così come la retorica del "non dobbiamo avere paura, altrimenti i terroristi hanno vinto".

 

La paura è un istinto importante, che serve a garantire la sopravvivenza: solo prendendo molto sul serio i pericoli troveremo gli stimoli per fronteggiarli ed eliminarli. Esiste un nemico che ci odia: se vogliamo irriderlo, facciamolo una volta che è in ginocchio e ha pagato per i suoi crimini, non quando siamo ancora immersi nel sangue degli innocenti.

 

Farlo ora è ridicolo, non coraggioso.

 

Non bastano ironia e commozione a dimostrare ai terroristi la nostra superiorità, anzi, probabilmente aumenta solo il loro disprezzo per noi.

 

Combattiamo per Parigi, oltre che pregare.

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Inviato

 

Ogni tanto capita che la sera mi faccia una birra in terrasse con Mohamed (che pur facendo il ramadan qualche birra ogni tanto per amor della compagnia se la beve) ed Ilhan (ebreo). Se si va a pranzo con Fabienne e Maryline, tocca andare in un ristorante Cacher, cosa che ad Abdelakim non crea alcun problema.

 

 

Io penso chi si integra deve "sgarrare" la propria religione, soprattutto un islamico.

 

@@antvwaIa aggiungo inoltre che l'islam non ha "capo" così come lo è il papa per il cristianesimo. E mai possibile che se parlo con due musulmani uno mi dice che suo moglie può vestirsi come vuole perchè il corano non menziona ciò e un altro mi dice che si deve coprire?

 

Avrei una domanda: una società multiculturale che sarebbe una cosa sacrosanta è più facile crearla nei paesi occidentali o in quelli orientali?

Io sono disposto ad accettare di aprire moschee nel mio paese, far girare le donne coperte o come vogliono loro ma perchè una mia donna in arabia saudita non può girare scoperta?

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Inviato

Per lo stesso motivo per cui l'islam moderato "esiste" sopratutto in Occidente e/o dove i musulmani sono in minoranza. ( e anche qui, a vedere certi reportage, pare che certe cose si dicano in pubblico e ben altre in privato...). Laddove sono maggioranza, la moderazione "stranamente scompare".


Inviato

Io penso chi si integra deve "sgarrare" la propria religione, soprattutto un islamico.

....

Avrei una domanda: una società multiculturale che sarebbe una cosa sacrosanta è più facile crearla nei paesi occidentali o in quelli orientali?

Io sono disposto ad accettare di aprire moschee nel mio paese, far girare le donne coperte o come vogliono loro ma perchè una mia donna in arabia saudita non può girare scoperta?

 

L'integrazione implica tolleranza e rispetto degli altri, che quindi vanno visti in un piano di uguaglianza, non solo in quanto persone, ma anche nelle loro idee. E' per questo che l'integrazione è possibile solamente in una Società laica. . Una donna (non importa se occidentale o meno) non può girare a capo scoperto in Arabia Saudita, né in Iràn, perché sono società che non solo non sono laiche, ma che considerano il laicismo quale bestemmia.

Il laicismo è una conquista culturale perfettamente in sintonia e in equilibrio con la religiosità. Oggi la stragrande maggioranza dei cristiani credentei e praticanti ha fatto propria la cultura laica e non la contrappone alla propria religiosità.

Buona parte della società curda, che è islamica sunnita, ha acquisito una cultura laica e le donne curde raramente girano velate: a nessuno viene in mente néP di proibirglielo, né d'imporglielo.

L'integralismo islamica odia soprattutto il laicismo della nostra Società: il più grosso regalo che potremmo far loro e di assumere atteggiamenti integralisti.

 

 

.....@@antvwaIa aggiungo inoltre che l'islam non ha "capo" così come lo è il papa per il cristianesimo. E mai possibile che se parlo con due musulmani uno mi dice che suo moglie può vestirsi come vuole perchè il corano non menziona ciò e un altro mi dice che si deve coprire?.

 

Gran parte del mondo mussulmano è molto ignorante, soprattutto in materia religiosa. L'islam, come il giudaismo, non ha una teologia, ma unicamente una verità rivelata e scritta: il Corano per i primi, la Bibbia (Pentateuco, cioé i primi cinque libri della Bibbia) per i secondi.

Nella Bibbia sta scritto che l'adultera va lapidata: la società ebraica è una società laica e quindi neppure all'ebreo più ortodosso verrebbe in mente di lapidare una donna adultera.

La stessa cosa stà scritta nel Corano: i mussulmani che non hanno fatto propria la conquista di una cultura laica, prendono il testo coranaico alla lettera e lapidano realmente le donne adultere (o suppostamente adultere). Tanti islamici, tuttavia, stanno facendo propria una cultura laica e quindi non interpretano lla lettera il Corano e respingono anche solo l'idea della lapidazione.

 

Per quanto concerne il vestire, il Corano dice semplicemente che la donna vestirà con modestia e senza ostentare il suo corpo. Chador, burka, sono vestimenta molto antiche, che precedono l'islamizzazione e che ora vengono giustificate con un precette islamico che non esiste. La stessa cosa succede con le motulazioni genitali, che nel Corano non sono mai state comandate.

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Io penso chi si integra deve "sgarrare" la propria religione, soprattutto un islamico.

Se c'é qualcuno che si deve "integrare" quello sono io, essendo straniero: la stragrande maggioranza dei miei amici e conoscenti (che siano cristiani, musulmani, ebrei o atei) sono francesi.

 

Quanto allo "sgarrare", per quanto concerne il ridotto campione della mia cerchia di amicizie, noto che i musulmani "sgarrano" i precetti religiosi più o meno allo stesso livello dei cattolici, mentre tra i miei amici e conoscenti di religione ebraica la maggior parte potrebbe essere definita "integralista".

 

Ma l'elemento centrale é quello colto da @@antvwaIa nel suo ultimo intervento: la laicità dello stato. E' questo il bene primario da salvaguardare, e non solo da Daesh.

 

Quanto allo stato laico (che non vuol dire di per sé democratico), non é un appannaggio dell'occidente : molti paesi arabi, prima della cosiddetta primavera, avevano regimi non necessariamente democratici ma laici, in cui le donne circolavano senza velo e ci si poteva tranquillamente bere un birra al tavolino di un caffé. Nella Turchia laica di Ataturk il velo delle donne era proibito negli uffici pubblici, così come il fez degli uomini. Nella Turchia atlantica di Erdogan (che per lavoro frequento spesso e da anni) é sempre più difficile trovare un posto in cui si possa bere una birra in tranquillità.

 

Non parliamo degli altri partner occidentali nella regione, i cosiddetti paesi "arabi moderati", quali l'Arabia Saudita, in cui le stesse nefandezze praticate da Daesh (decapitazioni, mutilazioni, crocifissioni pubbliche) vengono praticate dallo stato in un quadro legale, dato che sono previste dal codice penale.  

 

Tornando a Parigi, perché questo mi sembra fosse il tema della discussione, Parigi é laica, e la sua laicità pone le basi ad una multicultaralità che rende il viverci un fatto estremamente piacevole e ricco.

 

Le guerre di religione qui nessuno le vuole.

 

E' la laicità, uno dei valori fondante della Repubblica, universalmente riconosciuto sia dalla destra che dalla sinistra (anche se ciò potrà sembrare strano a chi non conosce la realtà francese) che tutti si apprestano a difendere. Da qualsiasi parte venga l'attacco.

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Scusate un pensiero che è leggermente fuori tema, ma che scaturisce dal continuo bombardamento dell'espressione "la Francia è laica" o "la Francia è un Paese laico".

Vorrei precisare qualcosa:

 

l'Italia, pur essendo un Paese con una forte tradizione cattolica (e qualche volta anche con simboli cristiani molto ostentati in luoghi pubblici, tralasciando a torto od a ragione), pur avendo un clero molto radicato e potente (tale a volte da influenzare politiche governative, ancora tralasciando a torto od a ragione ), E' COMUNQUE UN PAESE LAICO COME LA FRANCIA, dove tutti effettivamente possono credere in ciò che vogliono.

In Italia ci sono moschee, sinagoghe, templi e luoghi di culto di ogni sorta.

 

Se poi si vuole confondere il laicismo con il moralismo, allora lo Stato italiano non è laico.

Non è perché è proibita l'eutanasia attiva, non ci sono ancora le nozze gay e i luoghi di culto sono esentati da IMU, che l'Italia può essere definita uno stato confessionale.

 

Scusate la disgressione.

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Scusate un pensiero che è leggermente fuori tema, ma che scaturisce dal continuo bombardamento dell'espressione "la Francia è laica" o "la Francia è un Paese laico".

Vorrei precisare qualcosa:

 

l'Italia, pur essendo un Paese con una forte tradizione cattolica (e qualche volta anche con simboli cristiani molto ostentati in luoghi pubblici, tralasciando a torto od a ragione), pur avendo un clero molto radicato e potente (tale a volte da influenzare politiche governative, ancora tralasciando a torto od a ragione ), E' COMUNQUE UN PAESE LAICO COME LA FRANCIA, dove tutti effettivamente possono credere in ciò che vogliono.

In Italia ci sono moschee, sinagoghe, templi e luoghi di culto di ogni sorta.

 

Se poi si vuole confondere il laicismo con il moralismo, allora lo Stato italiano non è laico.

Non è perché è proibita l'eutanasia attiva, non ci sono ancora le nozze gay e i luoghi di culto sono esentati da IMU, che l'Italia può essere definita uno stato confessionale.

 

Scusate la disgressione.

No Ares, la situazione é piuttosto diversa nei due Paesi, sul piano giuridico oltre che culturale. 

 

Ma visto che siamo fuori tema ti rispondo in privato.

 

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Si compiono cent'anni dalla conferenza di Kienthal quando Vladimir Ilich Lenin denunciò che ogni guerra è un crimine commesso contro i popoli del mondo, invitando i soldati a impugnare le armi contro coloro che volevano la guerra e a usarle per difendere il proprio popolo. Fu l'inizio della Rivoluzione. Nobilissima nel suo inizio, poi purtroppo tradita e vilipendiata da Stalin. Forse il socialismo è utopico: ma io credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di utopie nelle quali credere e per le quali batterci con le armi della pace.

Cosa c'entra con questa discussione? C'entra, c'entra, eccome che c'entra!

Quando l'esercito russo in grande maggioranza fece proprio l'invito di Vladimir Ilich e rivolse le armi contro coloro che gli comandavano di uccidere altri uomini, che avevano i loro stessi sentimenti, nelle cui vene correva il loro stesso sangue, anche se parlavano una lingua diversa, avevano un'altra religione e un'altra divisa, scrissero una delle più belle pagine della Storia dell'umanità. Non della Russia: dell'umanità intera.

La vera Rivoluzione di quei soldati fu che scoprirono l'empatia nei confronti di coloro che gli erano stati additati quali "nemici".

Così come meravigliosa fu la pagina che scrissero durante la Prima Guerra Mondiale quei soldati francesi e germanici accovacciati nelle loro trincee quando la vigilia di Natale entrambi incominciarono a intonare inni natalizi e allora successe il miracolo: compresero di essere uguali. Non ebbero timore e uscirono dalle trincee, si abbracciarono, offersero gli uni agli altri quello che avevano, celebrarono insieme la notte di Natale. Poi tornarono nelle loro trincee e al giorno successivo tornarono ad imbracciare il fucile gli uni contro gli altri, perché i generali glielo comandavano. Ma dopo quella notte non furono più gli stessi. Non furono più dei soldati, ma degli Uomini.

Oggi nel mondo ci sono troppi soldati e troppo pochi Uomini, e invece ci vuole un bisogno enorme di Uomini!

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"Assad, che è l’unico ancora in vita, è inviso dall’Occidente perché amico dell’Iran e nemico della Turchia che è membro della Nato. E’ qui il grande problema: paesi come Turchia e Arabia Saudita sono alleati dell’Occidente che però combattono Assad e di conseguenza favoriscono l’Is.  

"Sia i governi europei che quello americano hanno delle responsabilità non solo recenti, ma che iniziano nel periodo post-coloniale del Medio Oriente. Il peccato originale fu quello di voler fare delle vecchie colonie dei nuovi protettorati economico-finanziari. Gli inglesi soprattutto tentarono di mantenere de facto il controllo di quelle zone, negando l’anima islamica di quel mondo e a seguito di ciò nacquero i primi movimenti islamisti, come i Fratelli musulmani in Egitto. Da allora fino ai nostri giorni le forze occidentali hanno trattato strumentalmente il mondo islamico, facendo i propri interessi. Ancora oggi si pensa che il fondamentalismo sia strumentalizzabile. Gli Stati Uniti, per esempio, favorirono lo stabilirsi degli jihadisti provenienti dallo Yemen e dall’Arabia Saudita in Afghanistan durante la guerra contro l’Unione sovietica, per trasformarla in una guerra santa anti-russa. Essa fu vinta, ma gli jihadisti rimasero e formarono il movimento dei talebani che fino a metà degli anni Novanta fu appoggiato da Washington. Poi i talebani si svincolarono avvicinandosi alla Cina, cosa che ha portato all’11 settembre e a tutte le conseguenze che oggi abbiamo sotto gli occhi.  

Esistono delle complicità finanziarie e economiche tra il Califfato e alcuni stati alleati dell’Occidente, tra cui Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Quello che l’Is sta facendo al livello geografico è di ridisegnare il territorio di Iraq e Siria a favore dei paesi citati e a discapito di Assad. Il Califfo però è sempre più forte, tanto da poter porre le condizioni ai propri alleati. Vuole essere l’unico rappresentante dell’Islam radicale e sta tentando di egemonizzare il mondo islamico sotto la sua guida. Nel Medio Oriente sta incontrando difficoltà grazie alle resistenze di Assad e dei curdi, ma sta ottenendo grandi consensi in Africa, dove gli stati sociali sono meno sviluppati se non inesistenti, come in Somalia. Non è un caso che sia in quelle regioni che abbiano origine i flussi migratori che sbarcano sulle nostre coste."

 

Franco Cardini, Direttore del Centro di Studi sulle Arti e le Culture dell’Oriente dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e storico di fama mondiale.


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