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Les divers aspects de la vie publique, guerre, diplomatie, religion, cursus honorum, sont souvent aussi intimement liés dans les effigies monétaires qu’ils l’ont été dans la réalité meme.
Sur ses deniers Syd. 517, frappes à Rome vers 110, N. Fabius Pictor reppelle un conflict politique dans lequel s’était trouvé engagé l’un de ses ancétres, grand-père ou arrière-grand-père; élu préteur en 189, il dut renoncer à la préture en Sardaigne qu’il avait tirée au sort, parce que les fonctions de flamen Quirinalis, qu’il exerçait déjà, lui interdisaient de quitter Rome. Le conflit avait eu, comme on s’en doute, des implications politiques assez étendues.

 

H. Zehnacker, Moneta, p. 506


 

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Il denario oggetto di questa discussione, emesso da N. Fabius Pictor nel 126 a.C., presenta al dritto la tradizionale testa elmata di Roma ed al rovescio una figura seduta a sinistra con elmo e corazza, apex nella mano destra e lancia nella sinistra; al fianco della sedia poggia uno scudo tondo caratterizzato da iscrizione QVI / RIN (Cr. 268/1, Bab. Fabia 11, Syd. 517, BMCRR Roma 1173).

Ad un superficiale sguardo la figura del rovescio parrebbe “semplicemente” il nitido ed efficace ritratto di un flamen Quirinalis, sacerdote preposto al culto del dio Quirino e, nello specifico, di Q. Fabius Pictor, antenato del monetario, che ricoprì decenni prima tale sacerdozio.

Ad una più attenta analisi, così come ben evidenziato dal Grueber (BMCRR, I, p.181 nota 2), è però possibile notare attributi che poco hanno a che fare con quelli tipici di uno dei tre flamini maggiori.

 

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La figura indossa infatti elmo e corazza (ben visibile solo in certi conii ed in alte conservazioni) e tiene nelle mani, oltre al simbolo sacerdotale rappresentato dall’apex, una lancia. Collocato in primo piano vi è infine lo scudo, simbolo legato alla sfera militare che, unitamente all’iscrizione QVIRIN posta su di esso, ben incarna la doppia valenza della raffigurazione.  Tale dicotomia, se ben analizzata ed inquadrata,  presenta una duplice lettura; la prima appartenente alla sfera giuridico-religiosa, la seconda a quella prettamente politica.

 

Fondamentale è un breve racconto degli eventi che interessarono il soggetto del rovescio, Quinto Fabio Pittore, nonno o bisnonno del responsabile dell’emissione e figlio del più noto Quinctus Fabius Pictor, autore degli Annales (la prima ed importantissima vulgata dell’intera storia romana, dal mito di Enea alla seconda guerra punica).

Correva l’anno 189 a.C. quando Quinto Fabio Pittore, già flamen Quirinalis dall’anno precedente, venne eletto pretore con assegnazione della provincia Sardinia. Vista la sovrapposizione di ruoli intervenne il pontefice massimo in carica, P. Licinius Crassus Dive, che dall’alto dei suoi poteri ed in virtù della sua discussa e discutibile rigorosità, vietò ad sacra la pretura. I motivi di culto connessi all’ufficio sacerdotale furono anteposti a quelli  giuridici ma il flamine non accettò di buon grado tale imposizione ed il contenzioso che ne seguì ben ci è stato narrato da Livio (Ad Urbe condita, XXXVII, 51):

 

[…]et in senatu et ad populum magnis contentionibus certatum, et imperia inhibita ultro citroque, et pignera capta, et multae dictae, et tribuni appellati, et provocatum ad populum est. religio ad postremum vicit; ut dicto audiens esset flamen pontifici iussus; et multa iussu populi ei remissa.[…]

 

Si passò da inibizioni di imperia da ambo le parti a multe reciproche, dall’appello ai tribuni alla provocatio ad populum, fino all’esecuzione dell’imposizione, però mitigata dalla remissione della multa comminata e dall’assegnazione della carica di praetor peregrinus (che operava nell'Urbe).

 

Ufficialmente la religio viene dunque anteposta ad ogni altro aspetto ed un flamine che essendo lontano da Roma viene meno ai suoi doveri sacerdotali, si tramuta in una pericolosissima e reale minaccia contro la preservazione della pax deorum.

 

Ma potrebbe essere questo l’unico motivo che spinse il pontifex maximus Publius Licinius Crassus Dives ad adottare un simile provvedimento?

 

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Per rispondere a questa domanda ci vengono ora in aiuto un prezioso approfondimento del Montanari (Aspetti religiosi dell’imperium in età repubblicana) ed un testo del Vallocchia (Collegi sacerdotali ed assemblee popolari nella repubblica romana).

 

E’ necessario quindi focalizzare l’attenzione sul profilo dei due principali protagonisti della vicenda.

P. Licinius Crassus Dives appartiene alla medesima gens che diede il nome alle Leges Liciniae-Sextiae del 367 a.C., che rappresentarono l’atto conclusivo della così detta “rivoluzione della plebe”. In poco più di un secolo questa famiglia diventò una delle più autorevoli stirpi della nobilitas patrizio-plebea.  

Quinctus Fabius Pictor era, come detto, figlio del primo annalista letterario romano, quest’ultimo anche senatore e nondimeno portavoce di Quinto Fabio Massimo, il famoso Cunctactor. La famiglia Fabia, di antichissima origine, patrizia ed annoverata tra le cento gentes originarie rappresentava, sicuramente nei rami dei Fabii Maximi e dei Fabii Pictores, una delle massime espressioni dell’aristocrazia conservatrice romana.

 

Proiettate nel periodo annibalico le ideologie di queste due famiglie entrano ancor più in contrapposizione ed il senato è il principale terreno di scontro. Da un lato abbiamo Licinius, di partito “scipionico” e schierato tra gli altri con Aemilii, Acilii Glabriones, Minucii, Laelii e Pomponii, dall’altro la fazione “antiscipionica”, con Quinto Fabio Massimo ed i Fabii,Valerii, i Manlii, i Sempronii, i Fulvii e con l’importantissimo apporto di Marco Porcio Catone il Censore.

 

Riportando testualmente il Montanari:

“Proprio nel 189 a.C. sarebbe stata condotta dal partito antiscipionico un’azione vincente in sede di attribuzione delle cariche, con i consoli e almeno tre su sei pretori riconducibili all’area fabio-catoniana: fra questi, Q. Fabius Pictor. Tuttavia, se questo può giustificare l’asprezza del confronto fra Licinius e Fabius, non ne spiega le motivazioni profonde. Certamente Licinio era credibile quando emanava il suo divieto, dal momento che nel 205, eletto console assieme a Scipione (il futuro Africano), aveva desistito dalla competizione per l’assegnazione della Sicilia quia sacrorum cura pontificem maximum in Italia retinebat (Liv. 28.38.12; cfr. 28.44.11): ossia per lo stesso motivo per cui, nel 189, si oppone al sacerdote di Quirinus che ambisce a ottenere la Sardegna come praetor.  

[…]

In definitiva, i rigidi comportamenti di questi pontefici massimi plebei non sembrano dettati tanto (o soltanto) da inimicizie politiche, quanto soprattutto da un’esigenza di legittimazione in vista della preservazione della pax deorum.”

 

Non c’è motivo per non accettare tale conclusione, ma al tempo stesso è lecito ipotizzare che gli esponenti dei Fabii Pictores la pensassero in modo diametralmente opposto.

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Prova di tale risentimento è il denario in oggetto, emesso in un periodo ove l’iconografia monetale inizia a proporre riferimenti gentilizi sempre più diretti; tra le tipologie denariali di questa fase l’emissione dell’esponente dei Fabii Pictores è sicuramente tra le più efficaci e taglienti.

Secondo la cronologia crawfordiana siamo nel 126 a.C., dunque nel cuore della concitata età graccana.

 

Data l’incertezza cronologica delle emissioni repubblicane ed in considerazione del fatto che in questo ambito il riferimento ad un singolo e preciso anno rappresenta un assunto senza dubbio discutibile, è comunque curioso soffermarsi su un particolare avvenimento avvenuto nel medesimo anno. Proprio nel 126 infatti Caio Sempronio Gracco assunse la carica di questore e fu inviato sotto il console Lucio Aurelio Oreste in Sardegna, al fine di reprimere una rivolta della popolazione locale (Plutarco, Vita di Caio Gracco, 2.1). L’aristocrazia conservatrice fu ben lieta di aver allontanato da Roma il fratello di Tiberio, ucciso nel 133, ma come ci dice la storia la questione fu soltanto rimandata e non certo risolta.

 

E’ in questo frangente che parrebbe emergere dalle officine della zecca di Roma l’iconografia denariale voluta da N. Fabio Pittore, ove il richiamo all’illustre antenato, privato dell’imperium militiae in quanto flamine Quirinale, viene proposto con una finalità politica piuttosto evidente. Il magistrato monetario non ha infatti rappresentato l’avo nelle semplici vesti di flamen Quirinalis (ufficio sacerdotale prestigioso che indubbiamente ricoprì), ma lo ha ritratto dando gran risalto anche ad attributi propri di una carica che materialmente mai assunse.

L’esponente dei Fabii Pictores si fece portavoce non solo dell’affronto subito ma anche, in termini ben più ampi, della fazione degli Optimates ormai in costante lotta con quella popolare.

 

Proponendo tale iconografia si comportò altresì come il perfetto erede del suo celebre avo annalista, raccontando fatti ed eventi in modo enfatico ed apologetico.

Proseguendo col parallelismo, pur se aspramente criticato da Polibio lo stile narrativo di Quinto Fabio Pittore divenne il modello di riferimento della successiva storiografia romana, così come il modello di monumentum gentilizio “tendenzioso” presente sul rovescio di questa tipologia denariale divenne una tematica sempre più efficace e di successo. E’ bene precisare che non siamo certo di fronte al primo esempio di iconografia ove compaiono riferimenti atti a celebrare il prestigio della gens di appartenenza, ma siamo di fronte ad una delle primissime tematiche ove l’intento propagandistico tende a prevalere su quello celebrativo.

 

Il denario oggetto di questo approfondimento, pur non essendo tra i più comuni, non è certamente tra i più apprezzati dai collezionisti. Le iconografie che lo caratterizzano non sono tra le più raffinate ed attraenti a livello estetico ed il suo fascino può non essere lampante. Ma sono spesso proprio queste tipologie a celare i tesori più grandi in quanto, tramite un minimo di inquadramento degli “eventi e personaggi” (…citazione casuale :D…) è possibile risalire ad informazioni estremamente preziose, in grado di farci comprendere il reale valore di un’antica moneta.

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Complimenti vivissimi al bravo Rapax per avere approfondito una particolare emissione repubblicana non troppo apprezzata.

Se riesci poi a raccogliere un pò di immagini e verificare i vari conii, aggiungendo un corredo bibliografico, ottieni una monografia veramente esaustiva su questa emissione, che si potrenìbbe anche pubblicare....

 

Per chi desidera un pò di approfondimenti, allego i lavori in pdf di Montanari e di Vallocchia (anche se servirebbe il suo libro, pubblicato l'anno prima):

 

Montanari 2009 Aspetti-religiosi-imperium.pdf

Vallocchia 2009 Sacerdozio-Magistratura-Popolo.pdf

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Complimenti. È sempre affascinsnte riuscire a decifrare gli antichi messaggi celati in queste monete


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