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Una delle più belle emissioni repubblicane, con uno stile tra i più raffinati e ricchi. Se ne sa poco, a iniziare dalla data di emissione e dal monetario, forse uno dei generali che nel 107 prese parte alla guerra giugurtina; si propende per un Aulus Manlius Sergianus Quinti filius, anche se Mattingly (From Coins to History: Selected Numismatic Studies, p. 144) nota che nessun appartenente alla nobile gens Manlia portava il praenomen Quintus e preferisce ritenere questo triumviro come un esponente di origine plebea di una casata minore.

Crawford dice sbrigativamente che sono “interamente oscure” le ragioni per ritrarre il sole circondato da luna e stelle emergere dalle onde del mare; altri vedono nella scena un’allegoria della vittoria che viene da Oriente. Infatti Cneus Manlius Vulso, possibile antenato del magistrato, console nel 189 riportò una grande vittoria contro i Galati in Asia Minore; sebbene in un primo momento il Senato lo avesse accusato di aver minacciato la pace fra i Seleucidi e Roma, assolto da tali accuse celebrò il trionfo.

Belloni (La moneta romana) individua un parallelismo compositivo tra questa moneta e Cr. 310/1, ritenendole ispirate da uno stesso ambiente culturale e, forse, anche contemporanee: il D/ è pressoché simile, con un volto dai caratteri duri, quasi mascolini, identificato da una legenda posta in identica poszione; entrambi portano il segno del valore X sebbene, ormai, il denario valesse 16 assi; infine, al R/ riportano entrambi scene mitologiche che rinviano all’Oriente.

Qui la X è al R/, posta in posizione opposta al sole per evitare uno scompenso asimmetrico. L’importanza che assumeva (per il monetario) la rappresentazione del crescente è attestata dal fatto che il Sole lo guardi e dalla considerazione che, senza Luna, si sarebbe potuto pure omettere la (ormai desueta) X. Completano la scena due stelle, a significare l’alternanza di giorno e notte. Per Babelon (non accolto dal Crawford) e Belloni potrebbe essere un riferimento ai successi di Cneo Manlio Vulsone in Asia e Grecia, durante il suo consolato (189). Per Amisano, è evidente un collegamento con un successivo verso di Virgilio (Eneide, XII, 114): “Quando, di buon mattino, i cavalli del Sole sorgono dal profondo del mare, spargendo luce dalle nari dilatate”

Modificato da L. Licinio Lucullo

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