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Io purtroppo non ci potrò essere... ma ci sarei voluto essere... certo, i miei interessi sono proiettati verso altre zecche, ma quale occasione migliore di questa per avvicinarsi ad una monetazione davvero affascinante...

..comunque spero che chi sarà presente potrà raccontarmi qualche cosa...

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Ma io penso Gianfranco che qualche altro @ ci starà facendo un pensierino, attendiamo anche solo un saluto, ci sarà presumo poi una quarta parte su Milano e anche li saremo in grandi momenti storici e numismatici .......quindi le occasioni non mancano e non mancheranno.....

Mario

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Ale non ti preoccupare ....noi ci vediamo comunque sempre la domenica mattina....a domenica ,

Mario

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@@dabbene: certo, ci sarà la quarta parte: gli Austriaci (con la grande monetazione di Maria Teresa), poi la Repubblica Cisalpina e le monete napoleoniche, il Lombardo Veneto, il Governo Provvisorio del 1848 e la zecca di Milano dopo il 1861. Non poco!

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Se non vi dispiace occupo un po' di questo spazio, sperando di fare cosa gradita ...almeno a qualcuno ... per riferire di un articolo che ho letto su un libro su Genova (El siglo de los Genoveses) scritto da Salvatore Rotta dal titolo: Fra Spagna e Francia (1625-1637). E' evidentemente un po' di parte genovese, ma credo si possa perdonare, e comunque propone uno sguardo tutto intorno e parlerà anche di Milano ....Come potete vedere io ce la metto tutta per esserci, intanto mi preparo "mentalmente" ...

Io, quando posso, cerco di leggere qualcosa riguardante la storia per inquadrare il periodo in modo che poi, ascoltando quanto si dirà sulla numismatica nella riunione, credo di capirci un po' di più ...ma forse mi illudo, lo so, ma ognuno ha le sue manie.

Pertanto mi sono dato il permesso da solo, chi ritenga l'argomento noioso può sempre passare oltre senza leggerlo.

L'articolo è un po' lungo, io l'ho diviso in tre parti, questa è la prima, domani seguirò con la seconda e poi la terza.

A me è piaciuto, spero tanto che piaccia un po' anche a voi.

"Carlo Emanuele I di Savoia salì sul trono ducale non ancora diciannovenne nel 1580. Lo occuperà per 50 anni. E non si può proprio dire che rimanesse inattivo, tante furono le trame che tessé e le guerre che intraprese per allargare il ducato e conquistare per sé il titolo regale: la sua idée fixe. Figlio di Margherita di Valois, figlia di Francesco I, nel 1588 avanzò, tra i tanti competitori, la sua candidatura al trono di Francia. E rifece il suo nome l’anno dopo, profittando del fatto che al nuovo re, Enrico IV, i sudditi cattolici rifiutavano l’obbedienza. Ma questa volta si trattò probabilmente di una mossa per ottenere l’approvazione del colpo di mano sul marchesato di Saluzzo (1588) e la libertà di movimento per ricondurre sotto l’alta sovranità della Savoia la città di Ginevra e spegnere quel covo di eretici: un’impresa alla quale fu sempre determinatissimo e che per condurre a buon fine si adoperò con tutti i mezzi, quelli onesti (che sarebbero la guerra aperta) e quelli disonesti (la sorpresa notturna, l’Escalade, 1602). Qualche anno dopo, nel 1605, fu la volta del trono di Spagna. Non essendo ancora nato a Filippo III un erede propose se stesso per riempire quel vuoto. La nascita del futuro Filippo IV mandò all’aria i suoi disegni. Di lì a poco, nel 1608, quell’ossessione gli fece concepire uno dei suoi progetti più chimerici. Sognò di farsi condottiero di una spedizione contro la Sublime Porta e di strappare al Turco non solo Cipro e Rodi ma anche la Macedonia, l’Albania, la Serbia, la Bulgaria, la Bosnia e di farsi re di quelle terre. Per aprirsi la strada eccitò a Cipro una ribellione di cattolici, presto domata dai turchi dai modi garbati che tutti sanno. Carlo Emanuele tuttavia non disarmò e chiese al pontefice almeno il riconoscimento del puro titolo di re di Cipro, titulus sine re.

Ma Paolo V gentilmente ricusò la sua richiesta, anche per le proteste dei veneziani ai quali l’isola era stata tolta nella famosa guerra del 1570-1573. Dieci anni dopo, alla notizia dei primi moti in Boemia, aspirò a farsi re di quel paese; ma gli fu preferito il Palatino. Essendo però nel frattempo scomparso l’imperatore Mattia, si candidò al trono imperiale. Gli fu preferito Ferdinando II.

Se non riuscì a farsi re, riuscì almeno a morire da re. Levatosi dal letto, si mise ritto, si fasciò con regale mantello di porpora, indossò il collare dell’Annunziata e, ricevendo il viatico, spirò. Pittore amante dei grandi soggetti storici, Nicolò Barabino, non si lascerà scappare l'occasione di rappresentare sulla tela un così teatrale trapasso" ....(segue)

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in questi incontri si respira la vera numismatica. C'e' tanta voglia di condividere. Il circolo numismatico di Milano, di cui faccio parte, sta dando vita a tante iniziative. Questa degli incontri informali e' tra le più belle! Si parla, si discute, si ascolta e soprattutto si possono vedere e toccare con mano molte monete.

Quando mi sono iscritto il mio modo di vedere la numismatica e' cambiato.......devo molto al circolo.

Ciao!

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...segue dal post 30 ...

"Tra i punti fermi della sua versatile politica c’erano, come s’è detto, la riconquista di Ginevra, la conquista del Monferrato gonzaghesco e soprattutto quella della Lombardia spagnola. Genova non entrò tra i suoi progetti che tardi, nel 1620, e per istigazione francese. Tant’è vero che nel 1609, quando Enrico IV, che lo aveva associato al suo grand dessin di dare nuovo assetto all’Europa, riservò a se stesso l’eventualità di un’incursione su Genova, il duca non protestò. Ben più gli premeva la Lombardia, il cui possesso unito al titolo di re, l’alleato gli aveva fatto sperare. Dirò di più. Allorché nel 1624 a Torino discusse con gli inviati francesi dell’apparecchio della spedizione contro Genova egli fece un ultimo tentativo di persuaderli a lasciar da parte quella piccola impresa e a metter mano piuttosto a quella, ben più grossa, di Lombardia. Ma Richelieu, che non voleva ancora una guerra aperta con la Spagna, fermamente vi si oppose. Non si doveva toccare la Lombardia se non nella necessità di soccorrere il Coeuveres oppure i veneziani in Valtellina, nel caso che venissero gravemente assaliti. Tutt’al più concesse al duca d’impiegare qualche schiera francese per giovare all’impresa in corso, ma a patto di rimettere gli acquisti nelle mani di Sua Maestà al momento della pace. Al duca non restò che marciare su Genova.

I rapporti con la Repubblica erano stati in passato contrassegnati da tutti quei ripicchi e scaramucce che solevano accompagnarsi alla definizione dei confini tra i due stati. Di mezzo poi tra Piemonte e la Repubblica a far da cuscinetto c’era allora quella fascia di minuscoli o minimi stati chiamati feudi imperiali, e per possesso dell’uno o dell’altro i due vicini venivano spesso a contrasto. L’ultimo, il più vivo, era quello per il possesso del marchesato di Zuccarello, una rocca che liberava il passaggio ad Albenga, che la Repubblica era da poco riuscita a comprare dall’imperatore. Questo microstato –par quasi incredibile- fornì il pretesto non soltanto per questa, ma per un’altra guerra, quella del 1672, questa però guerricciola locale della quale non val la pena di discorrere. Ben altro il rilievo internazionale di quella del 1625. Si trattò infatti di un’impresa alla quale la Francia prestò le sue forzee mise alla loro testa due dei suoi capitani più prestigiosi; il marchese di Créqui e nientemeno che il contestabile, cioè il capo supremo delle armate reali, il maresciallo di Lesdiguières. Più e più volte il duca lo aveva avuto di fronte come nemico e ne aveva sperimentato il valore. E’ vero che costui, ultraottantenne, non era più lo stesso prode che aveva guidato le schiere ugonotte a contrastargli i passi alpini, ma era pur sempre un potente signore e un condottiero di grande esperienza, come chi aveva passato la vita a maneggiare la spada, e di grande prudenza. Si era mosso con circospezione (“la guerra –diceva- non è una partita di caccia”); ora così avanti negli anni, si era fatto ancora più cauto.

L’impresa, ventilata quattro anni prima e istigata proprio dal Lesdiguières, era stata preparata con cura. Alle operazioni di terra andavano unite quelle di mare, ossia il blocco del porto per opera di molte squadre: quella del duca s’intende, quella di Provenza al comando del duca di Guisa; una ventina di vascelli olandesi che il Lesdiguières aveva noleggiato a sue spese, infine otto vascelli inglesi, che l’inviato del duca aveva ottenuto dal Buckingham. Non consta che il duca meditasse, allora, di associare alle operazioni di guerra un complotto eversivo dentro alla città.

L’attacco a quello stato, il più filospagnolo d’Italia, era stato collocato da colui che aveva maneggiata la faccenda in una cornice internazionale, che era –è appena il caso di ricordarlo- la guerra dei trent’anni nella sua prima fase. L’idea-madre di Richelieu era di creare un diversivo per impegnare l’esercito spagnolo di stanza in Lombardia e permettere al marchese di Coeuvres di mandare a fine l’impresa della Valtellina, il cui possesso il cardinale giudicava importantissimo.

Per riuscire nell’intento l’operazione doveva sembrare serissima. E serissima fu, almeno da parte del duca, che mise in piedi un esercito formidabile –si vantò sempre di essere, se non d’altro, ricco di sangue- prendendo su di sé il peso maggiore della guerra. Quali frutti se ne riprometteva? In realtà, come dovessero essere spartiti gli acquisti, al momento della conclusione a Susa dell’alleanza, non era stato ben deciso. Si profilarono quattro partiti. Genova poteva essere data in appannaggio a Madama Cristina, nuora del duca e sorella del re, con presidio misto di ducali e francesi, a patto però che venisse consegnata con le due riviere al re nel caso che questi procurasse alla casa Savoia il possesso della Lombardia. Si poteva lasciar Genova con la Riviera di Levante al re, purchè si permettesse al duca di sottomettere Ginevra oppure gli si cedesse la Corsica e tutta la Riviera di Ponente. Si poteva lasciare al re Genova e le due Riviere in cambio della restituzione di Bresse, del Bugey, del Valromey e di Gex, tutti quei territori di lingua francese insomma che il duca aveva ceduto a Enrico IV nel 1601 in cambio di Saluzzo.

Lo stato genovese –su questo punto non c’era disaccordo- era dunque destinato a sparire; e dalla sua scomparsa sarebbe rimasta beneficiaria, quasi sempre, la Francia. Per il duca Genova e il suo territorio era invece merce di scambio: o con la Lombardia o con Ginevra o con i paesi d’oltralpe.

Che i francesi accampassero diritti su Genova è cosa risaputa. Fondamento di quelle pretese: l’atto di dedizione perpetua della città a Carlo VI nel 1396. In virtù di quell’impegno violato la Francia considerò sempre i genovesi sudditi ribelli (E. Lenoble, Relation de l’Estat de Gennes, 1685). Perfino gli inviati francesi accreditati presso la Repubblica nel Settecento inoltrato rimasero fissi in questa opinione.

Ma davvero i francesi avevano in questa occasione delle mire su Genova o non era piuttosto una simulazione, confortata dai cosiddetti diritti storici, per meglio legare il duca all’impresa?

Ad ogni modo, bene o male, l’accordo fu concluso e la spartizione del bottino rimandata al tempo della pace vittoriosa.

Tutto andò liscio fino all’inizio delle operazioni. Il contingente francese affluì in Piemonte e il 4 marzo l’esercito confederato sfilò sotto gli occhi di Lesdiguières e del duca: ventiquattromila fanti e tremila cavalli. Soltanto un terzo erano francesi. Si trattava ora di formare i piani di guerra. Qui insorsero i primi contrasti. Il conestabile voleva attaccare subito Savona; il duca voleva invece che si assalisse Genova, attraversando Aqui e Capriata, terre del Monferrato, benchè dopo un infelice tentativo di occuparle il duca ne avesse pattuita la neutralità. Tra i due pareri, prevalse infine quello del più giovane. Le truppe si mossero in direzione di Genova. Occupata Capriata due vie si aprivano per offendere la città: l’una, impraticabile dai carriaggi, finiva di valle in valle a Voltri; l’altra da Novi metteva capo al forte di Gavi, quindi per la valle del Lemmo saliva a Voltaggio e alla Bocchetta, donde calava nel Polcevera. Fu scelta in principio la prima via, quella di Voltri. Presa Ovada e travolti i trinceramenti di Rossiglione i confederati giunsero fino a Masone. Ma riconosciuta la difficoltà dei passi, s’avviarono per la Bocchetta, e occupata Novi e lasciata indietro Gavi, si spinsero sotto Voltaggio. Qui il governo genovese, dopo molte esitazioni, aveva concentrato le sue forze per l’ultima difesa. Inutilmente si rammaricò del fatto che della terza di mura che avrebbe dovuto girare per otto miglia intorno alla città della Lanterna alla foce del Bisagno fosse stata appena cominciata la costruzione; e non era quella un’opera da completarsi lì per lì. Genova restò aperta agli invasori.

Il governo, che aveva in passato troppo sperato nelle risorse della diplomazia, messo davanti al disastro, non si piegò alla resa e rimase al suo posto, preparandosi al peggio, al rovesciarsi cioè di quel diluvio di soldataglia, avida di saccheggio, sulla città. Il ricordo del 1522, dell’orribile scempio che allora avevano fatto dell’abitato le armate imperiali, era nella mente di molti. E non sorprende che qualcuno tra i cittadini più cospicui fosse stato tentato di lasciare la città al suo destino e portarsi sotto altro cielo, tant’è vero che il governo fu obbligato a intimare severi divieti di allontanarsi. Ma è l’atteggiamento dei cittadini di quel governo quel che più conta. Tutti quei gentiluomini che si erano fatti ritrarre chiusi dal corsaletto dal Van Dyck, in quei mesi affannosi a Genova (ne partì nel luglio alla volta di Aix-en-Provence) volevano ricordare che, prima di essere abilissimi capitalisti, erano cittadini di Repubblica, pronti a dare prova estrema della loro bravura per difendere gli ordinamenti liberi e la sua stessa esistenza politica. Lo dimostreranno quando si trattò di lì a poco di riacquistare il suo Dominio. Nella città minacciata intanto avevano cercato rifugio gli abitanti terrorizzati del contado, che aggravavano con il loro numero la situazione già critica della capitale.

Che cosa salvò Genova dal precipizio? Innanzitutto il blocco navale non riuscì. Le navi olandesi furono trattenute da Richelieu che se ne servì per l’assedio di La Rochelle; quelle del Guisa, uscite tardi da Marsiglia con quelle del duca, per timore di uno scontro con le navi spagnole, vi fecero immediatamente ritorno, lasciando in mano genovese la capitana della flottiglia ducale; le inglesi non si fecero vive. Decisiva però fu l’impuntatura (se impuntatura fu) del Lesdiguières, che frenò l’impazienza del duca e lo distolse dall’attacco immediato della capitale, imponendogli (era il suo piano primitivo) una diversione su Savona. Genova fu momentaneamente risparmiata. Il teatro principale della guerra si spostò nella riviera di ponente, dove il principe Vittorio Amedeo riuscì ad impossessarsi di tutti i territori che Genova vi possedeva. Tuttavia Savona non cadde. L’arrivo da Pavia di un forte contingente di truppe spagnole al comando del duca di Feria costrinse i confederati a proteggersi le spalle, mentre dal mare giunsero trentatré galere di Napoli al comando del conte di Santa Cruz, cariche anch’esse di numerose truppe da sbarco. Genova protetta ormai dagli insulti dal mare, colse l’occasione per ritogliere al duca, pezzo dopo pezzo, tutto il dominio perduto." ...(segue) ...

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Grande Daniele, grandi lezioni di storia.....lui scrive di notte, io al mattino presto :blum: .....con l'occasione voglio lanciare un appello, sostenete sempre, state vicini a questi grandi " attori " del forum come Daniele, in questi casi abbiamo passione, amore per la divulgazione allo stato puro e nulla d'altro, questo ve lo posso assicurare.....

Storia e numismatica.....numismatica e storia.....è giusto così, per capire bene la numismatica bisogna conoscere la storia, ma è anche vero che la numismatica aiuta anche a capire meglio la storia....., un binomio indissolubile.....

E nella serata di martedì noi saremo nel pieno della storia, una storia che cambierà Milano, l'indipedenza di Milano finirà, Milano passerà gradualmente in mani straniere per rimanerci, finiscono i fasti sforzeschi.

E allora martedì, io invece parlo qui e cerco di tirare la volata ad Alessandro Toffanin, si parlerà di un tale Ludovico XII che dalla Francia si diresse verso Milano, ma le sue ambizioni non si fermarono al solo ducato milanese ma arrivarono fino a Napoli ....dove si dovettero scontrare con gli spagnoli.

Quindi Milano sotto la dominazione straniera, ma in questa storia, e gli accadimenti storici sono quelli anche se poi le vedute possono essere anche diverse, si troveranno altri, ho citato Napoli ma non solo.....

E allora vediamo anche qualche spunto di cui parleremo martedì, spunti numismatici, ma anche inevitabilmente storici :

1) monetazione fine Sforza e la dominazione francese, qui parleremo e vedremo splendide monete con raffigurate le imprese, mitiche e simboliche, in questo periodo compaiono dei must della monetazione, non solo milanese, direi italiana

2) Periodo di Carlo V, e qui abbiamo un grande Impero, il Ducato di Milano c'è anch'esso ma ci sono dentro quasi tutti....

E qui avremo con Carlo V altri splendidi esempi monetari, un ritorno al classico, ai tipi dell' Impero Romano, l'eccellenza artistica, i grandi incisori, Leone Leoni....

3) Periodo spagnolo da Filippo II ai successivi regnanti, Filippo II istituisce a Madrid il Consiglio d'Italia per il governo dei possedimenti italiani, quali sono ? Milano, Napoli, Sicilia.

E qui abbiamoun cambiamento epocale nella monetazione per modulo, stile, metrica.

Abbiamo il fenomeno dell'argento che arriva dalle Americhe che invade la Spagna e l'Europa, i commerci sono floridi, con tutto questo argento nascono i grandi moduli d'argento, scudi, ducatoni e il fenomeno sarà globale, Paesi Bassi, talleri di area germanica, la stessa Venezia con lo scudo della croce.

Cambia la monetazione con gli spagnoli anche se l'immobilizzazione del tipo sarà poi una costante.

Questi sono alcuni degli spunti che martedì usciranno insieme alle relative monete.....tutto questo per dire che poi la storia riguarda le radici e le identità di molti noi, che le monetazioni sono poi collegate quando ci sono fenomeni di massa e commerciali, che vedere tutto questo da una sola postazione è sbagliato, la visione sia storica che numismatica deve essere sempre globale, il vedere solo un ambito non porta a una completezza di insieme, poi noi tutti italiani siamo un mix di tutto questo, io stesso nel mio piccolo potrei dire sono milanese, chi è nato a Milano per tre generazioni viene definito milanese a Milano ancora con un pò d'orgoglio, ma nel contempo devo ricordarmi bene che le mie radici lontane sono altre e sono collegate a tutto questo, spagnoli che vennero a Milano con un cognome con la S finale che poi si perse nel tempo, le origini lontane sono poi quelle....

Io ho già detto quasi tutto....martedì potrei quasi non venire :blum: , scherzo ovviamente.... :blum: , Gianfranco stai tranquillo.....

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Ultimo ma non l'ultimo, in aggiunta al post precedente per avvolorare ulteriormente quanto detto, quanti collezionisti milanesi amano e vogliono studiare gli aspetti iconografici e stlistici degli stessi regnanti prima menzionati, i regnanti sono gli stessi, fino a prova contraria, da Milano, Napoli, Cagliari, Messina, Palermo.....

Recentemente ho visto una bella collezione privata di Milano e spesso mi faceva vedere il raffronto tra come era coniato a Milano e a Napoli.....la numismatica deve poi essere anche questa....il collezionista era indubbiamente curioso e studioso....

Concludo sempre ridendoci sopra, ma forse neanche poi troppo, sarebbe roba da chiedere una sottosezione per questo periodo per il Ducato di Milano entro quella del Regno delle Due Sicilie :blum: , gli aspetti di studio e i raffronti sicuramente ci sarebbero e anche tanti.....che ne dite @

Parpajola , @@giancarlone, @@eracle62 .......?


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Interessanti gli interventi di @@dizzeta, aspetto con impazienza la terza parte!!

Ottima la preparazione per martedi sera, tutto questo impegno merita la miglior partecipazione vedrò di impegnarmi per non disilludere le aspettative.


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Si, anch'io aspetto la terza parte di dizzeta, sono molto belli questi excursus storici....questa volta Tiziano mi orienterò su poche monete, ma particolari, anche difficili e rare, spero che le comuni comunque arrivino......un poche ma buone diciamo.... :blum:


Inviato

Ultimo ma non l'ultimo, in aggiunta al post precedente per avvolorare ulteriormente quanto detto, quanti collezionisti milanesi amano e vogliono studiare gli aspetti iconografici e stlistici degli stessi regnanti prima menzionati, i regnanti sono gli stessi, fino a prova contraria, da Milano, Napoli, Cagliari, Messina, Palermo.....

Recentemente ho visto una bella collezione privata di Milano e spesso mi faceva vedere il raffronto tra come era coniato a Milano e a Napoli.....la numismatica deve poi essere anche questa....il collezionista era indubbiamente curioso e studioso....

Concludo sempre ridendoci sopra, ma forse neanche poi troppo, sarebbe roba da chiedere una sottosezione per questo periodo per il Ducato di Milano entro quella del Regno delle Due Sicilie :blum: , gli aspetti di studio e i raffronti sicuramente ci sarebbero e anche tanti.....che ne dite @

Parpajola , @@giancarlone, @@eracle62 .......?

Non male l'idea della sottosezione, è un periodo talmente ricco di spunti e analogie fra i vari Regni e in particolare quello di Napoli, Messina e Cagliari, che il progetto potrebbe portare contributi di spessore...

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... segue dal post 32, ultima parte.

Ero certo che ci fosse qualcuno tra voi che potesse apprezzare questo scritto, che io non ho fatto altro che copiare pedissequamente, anche per rendere omaggio al compianto autore, vero grande studioso erudito e storico genovese che ci ha lasciati prematuramente nel 2001.

"Alla fine di luglio la notizia della vittoria spagnola a Genova giunse a Madrid. Dopo la resa di Breda e la liberazione del Brasile parve a Olivares un altro segno dell’assistenza celeste alla monarchia di Spagna. Genova non era stata tuttavia quel gran successso che vantava. La città –è vero- fu salvata; e l’affluire dei rinforzi spagnoli ebbe una parte del merito. Ma l’esercito spagnolo, guidato congiuntamente dal Feria e dal Cordoba, fece misera figura nel vano assedio di Vorrua e dovette lasciare poco più di tre mesi dopo il paese.

All’entrare dell’inverno intanto il Lesdiguières e il Crèqui avevano ripassato le Alpi, coprendo quella onorevole ritirata con la promessa di una ripresa in febbraio della guerra. Deciso a dar compimento all’impresa era in realtà solo il duca, che intanto aveva ottenuto dal nuovo re d’Inghilterra Carlo I un considerevole aiuto navale. Ma il 20 marzo (in realtà il 5) Spagna e Francia, all’insaputa degli alleati, avevano stipulato a Monzòn in Aragona una pace che, tra l’altro, ordinava che cessassero le ostilità verso il genovesato e che si obbligassero i confederati, all’occorrenza con la forza, a ritornare in pace entro quattro mesi. Si può capire il dispetto di Carlo Emanuele. Disposto alla tregua, il duca non lo fu altrettanto alla pace (sarà conclusa, lui morto, soltanto nel 1634). La tregua fu infine stipulata il 27 febbraio e il 17 marzo 1628. Dal perdurare dello stato di guerra Carlo Emanuele si sentì autorizzato ai congiurati riuniti attorno al Vachero, in caso di successo, qualche appoggio militare: non che volesse disporre della città, ma mettere il governo in difficoltà sì. Se poi la mutazione di governo fosse riuscita tanto meglio. Poiché la congiura era stata scoperta prima della conclusione della tregua, pretese che gli oligarchi trattassero i quattro congiurati come prigionieri di guerra. Se la Repubblica si fosse ostinata a mandarli a morte, minacciò di far decapitare quattro dei prigionieri di guerra che ancora teneva presso di sé. Ma a nulla servirono né i ricatti del duca né i consigli di clemenza della Spagna (divenuta frattanto alleata del duca) che spedì addirittura un suo agente, Alvaro de Losada, per ammorbidire quei feroci repubblicani. Il minor Consiglio, senza tener conto di quelle minacce e di quelle lusinghe, votò unanime a scrutinio segreto per l’esecuzione dei colpevoli: esempio insigne di romana fermezza. Lo stesso duca ne rimase colpito; e revocò all’ultimo momento l’ordine che aveva impartito di eseguire quella feroce rappresaglia. L’aristocrazia genovese aveva rinsaldato, a prezzo del sacrificio degli affetti e a rischio di compromettere un’alleanza ancora tento necessaria, la propria interna unità e lo spirito d’indipendenza.

Il rovescio finanziario del 1627 (la sospensione dei pagamenti da parte della Spagna, questa amica-nemica) non riuscì a spezzare il nuovo impegno nel quale era entrata di avviare a realizzazione una imponente serie di opere pubbliche. Prima fra tutte la costruzione, ripresa con nuovi e più qualificati progetti, tra il 1626 e il 1632, delle mura esterne –le “Mura Nuove”- che riuscì opera stupenda, eseguita tra l’altro, malgrado la mole ciclopica, in un breve arco d’anni. E poi la costruzione del “molo nuovo” per migliorare se non la capienza almeno la sicurezza del porto, uno dei porti artificiali peggiori d’Italia. E prima tra il 1632 e il 1639, era stata portata a compimento la costruzione dell’acquedotto. Più tardi, nel 1655, Emanuele Brignole, con inusitata larghezza, aveva intrapreso la fabbrica del monumentale Albergo dei poveri.

Lo choc provocato dalla guerra –quella guerra che dal punto di vista militare aveva offerto spunti alla satira piuttosto che all’ammirazione- si rivelò, a conti fatti, benefico. Essa aveva senza dubbio moltiplicato le energie dei plutocrati, e visibilmente eccitato la loro volontà di trovare per la Repubblica una migliore collocazione sul piano delle relazioni internazionali.

La pace di Monzòn aveva restituito alla Repubblica intero il suo territorio, non solo: ne aveva sancito l’intangibilità. E sin dal 1581 le era stato riconosciuto il titolo di “Serenissima” per sé e quello di “Serenissimi” per i membri del governo. Ma l’oligarchia non si accontentò di questi pur importanti riconoscimenti. Sempre più fiera del suo grande passato, che si mise a magnificare non per nostalgia ma per dar fondamento alla decisa volontà di “risveglio”, si mise attivamente all’opera per essere considerata internazionalmente stato pienamente sovrano, cancellando anche l’apparenza di vassallaggio dall’imperatore.

Quel legame di dipendenza , se in passato le era servito a tenere in iscacco le pretese francesi, ora le riusciva stretto e umiliante. Si mise quindi a pretendere, più insistente che mai, le onoranze regie. I suoi giuristi le diedero volontariamente una mano per rifornirla di buone ragioni.

Era una questione di rango, di cerimoniale, tipica di quel secolo puntiglioso. In breve: Genova pretendeva che i suoi ambasciatori venissero ricevuti nella sala regia delle corti; che fossero salutati al loro arrivo con un certo numero di salve di cannoni; che i suoi rappresentanti avessero la precedenza sui rappresentanti di questo o di quello stato, e via dicendo. Ma le questioni di etichetta nascondevano appena il desiderio d’imporre non soltanto un’immagine alta di sé, ma il riconoscimento dell’eguale dignità di forme collegiali di potere nei confronti di stati che andavano quasi tutti riducendosi alle più rigorose forme monocratiche. Il contrasto di fondo verrà alla luce più tardi, come si vedrà. Per ora si trattava di ottenere quel riconoscimento e, senza rinunciare agli ordinamenti repubblicani, fregiarsi del titolo di testa coronata. Non c’era altra via che quella di proclamare una monarchia mistica, che tra l’altro rispettava l’opinione comune dell’origine divina del potere politico. Finzione ardita, favorita tuttavia da certe manifestazioni della devozione dell’epoca.

I gesuiti, una volta stesa attraverso tutta l’Europa cattolica la grande rete delle congregazioni mariane, avevano introdotto l’uso di mettere città, regni, l’impero stesso sotto l’alta protezione della Vergine. Tra i voti più famosi: quello pronunciato nel 1637 da Luigi XIII re di Francia, e quello pronunciato dal giovane imperatore Federico III nel 1640: “Sarete –disse quest’ultimo apostrofando la Madonna- la signora dei miei stati, dei miei regni e del mio impero … regnate su di loro e siate la loro imperatrice”. In apparenza l’atto di dedizione della Repubblica di Genova non si discostava da questo clichè. Però nella solennissima cerimonia svoltasi in Duomo il 25 marzo 1637 che proclamava la Vergine patrona e regina di tutti i suoi domini –un atto di devozione- insospettisce la presenza attiva di un notaio. Il fatto è che gli altri atti di dedizione non comportavano metamorfosi politiche. Ciascuno restava ciò che era: imperatore, re borgomastro. A Genova si assiste invece, per effetto di quella dedizione, a un vistoso mutamento. Il doge smette il manto di paonazzo e adotta d’ora in avanti quello di porpora, e cinge il diadema; i senatori, i governatori di Corsica, gli ambasciatori, i generali comandanti delle galee assumono il titolo di Eccellenza; il Palazzo Ducale diviene Reale. E sùbito la zecca si mette a coniare la nuova moneta. Al posto del “castello” e della scritta “Conradus II rex Romanorum” viene impressa l’immagine di Maria coronata di stelle con scettro regale e il motto: “Et rege eos”.

Sia pure con fatica quella ruse funzionò. Il primo a cedere fu proprio, dopo molte proteste, l’imperatore nel 1641, seguito da Carlo I d’Inghilterra, da Ladislao re di Polonia, dal Sultano. Cromwell superò tutti accogliendo nel 1655 il rappresentante della Repubblica con cinquecento salve di cannone. La soggezione feudale tuttavia sussistette; e sarà Maria Teresa nel 1746 a farla valere con aspri modi. I Serenissimi questa volta si piegarono. A non piegarsi invece furono, ognun sa, i popolani e i borghesi. "

……(Salvatore Rotta -1999)

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Stamattina ci siamo ritrovati in tanti , preferisco non nominare dove credo sia irrelevante tutto sommato, abbiamo pensato a cosa portare come monete da illustrare e commentare martedì sera.

C'è stata la massima disponibilità da parte di diversi collezionisti, alcuni importanti, certamente si prospetta un gran vedere per gli occhi di chi verrà, sottolineo ancora che tutto questo viene organizzato e reso possibile da collezionisti e studiosi privati, meglio ribadirlo ancora una volta, in una sede di un Circolo storico di Milano.

Non è escluso che si provi anche, monete alla mano, a fare anche quello che proponevo prima, un raffronto di pezzi tra zecche diverse dello stesso regnante, sarà bello confrontare l'iconografia, la tecnica, lo stile e indubbiamente differenze possiamo già dirlo ci sono....e tanto si potrà dire certamente in merito....

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Inviato

Continuo intanto il dialogo con voi qui sul forum .....poi ovviamente martedì sera ci saranno altri Toffanin e bravi studiosi a condurvi nel viaggio in questo periodo importante della monetazione milanese e le protagoniste in un certo qual senso diventeranno poi loro, le monete come è giusto che sia.....

Perchè ritengo che sia importante l'evento di martedì sera ? Un paio di anni fa proprio qui sul forum feci una discussione che fu interessante parchè partecipata e ci furono molti interventi e risposte, era poi quasi un sondaggio in realtà, la domanda era qual'è l'esigenza primaria per voi appassionati di numismatica oggi ?

Pensavo a tante risposte legislazione,editoria, eventi per tutti....la risposta fu invece diversa e quasi bulgara, " vogliamo vedere monete, monete esposte ".

Capimmo che c'era questa forte esigenza e infatti c'è ancora, in particolare in diversi ambiti italici, a Milano sicuramente, nacque successivamente un evento che partì qui sul forum e che venne organizzato dalla Società Numismatica Italiana denominato " la giornata del grosso ", tema affascinante che coinvolse e portò alla condivisione tanti e la discussione che è nelle importanti nel medievale rimane lì per chi volesse sempre rileggerla come testimonianza.

Quel giorno ci fu poi nell'Assemblea della Società Numismatica Italiana la relazione sulla nascita del grosso del Prof. Andrea Saccocci, poi al pomeriggio ci trovammo tutti nella sede della biblioteca della Società e gli appassionati privati mostrarono i loro grossi, alcuni veramente fantastici a tutti, era ed è la numismatica per tutti, quella che mi piace che ci sia, il collezionismo privato aveva fatto un servizio divulgativo, direi sociale per tutti e aveva ovviato a mancanze diciamo strutturali da parte del settore Pubblico.

Fu un successo quel giorno perchè era cambiato qualcosa in molti di noi, la rivoluzione numismatica era partita in forma virtuale prima qui sul forum in modo che tutti potessero vedere queste meraviglie dal computer seduti comodamente a casa e poi si concretizzava nella realtà pratica, visiva, l'appassionato poteva prenderla in mano la moneta, girarsela, guardarla bene....

E qui torniamo a martedì certamente ci sarà una parte tecnica, un percorso, delle domande, ma poi si realizzerà ancora una volta il sogno, il sogno di visionare monete e in più avere anche spiegazioni sulle stesse.

Vi assicuro che non è poco e non è di tutti i giorni, martedì avremo tutto questo e se sarà come spero ancora una volta dovremo ringraziare gli organizzatori,in primis il presidente Gianfranco Pittini e poi loro gli appassionati che parteciperanno a vario titolo, già esserci con monete o senza vi farà sentire parte attiva di un progetto di sensibilizzazzione e condivisione reale della nostra/vostra passione.....e anche questo conta....conta.....

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Inviato

Penso e rifletto molto su questi ultimi eventi Milanesi, forse come dice Mario alla fine quello che conta è sempre il confronto lo stare insieme uscire dalle tane.

La letargia a volte ci spinge all'individualismo trascurando quello che una volta era la consuetudine, il gruppo..

Certo un evento importante per la piazza Milanese, ma non del tutto ai livelli che una città come questa meriterebbe...

Ma visto il momento potrebbe essere una sorta di trampolino per nuove e fiorenti iniziative, dove non si ascolta solo, ma si interviene donando le proprie esperienze e le proprie incertezze...

Il forum a volte non basta, o forse adesso non basta più....

Eros

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Inviato

Caro Dabbene,

farò del mio meglio per esserci.

Caro Picchio questo è il messaggio più bello che ho ricevutoultimamente e credo farà piacere a tutti quelli che stanno leggendo e che verranno,

un caro saluto,

Mario

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Inviato (modificato)

Visti gli apprezzamenti arrivati, che ovviamente non merito …vi ringrazio e vi concedo il bis.

Perché in fondo sono un “romantico” e mi piacciono le storie d’amore ….in questo caso sono in argomento perché questa storia riguarda il re di Francia Luigi XII d’Orleans (o Ludovico XII che dir si voglia).

Dietro ad una finestra nel nugolo di case dei carruggi genovesi, in Piazza dell’Amor Perfetto, una bellissima e giovane donna del casato degli Spinola si strugge d’amore, il suo nome è Tommasina e siamo nel 1502.

In quei giorni il re di Francia, Luigi XII, è a Genova in visita e la città lo accoglie con tutti gli onori.

Durante una festa organizzata in suo onore, nella villa Cattaneo nel quartiere di Albaro, Tommasina, già sposa di Luca Battista Spinola, ha l’occasione di incontrare il re e la bella nobildonna elegge il sovrano di Francia a suo “intendio”, che nel linguaggio dell’amor cortese significa amor puro, perfetto, casto e virtuoso.

Poi, il giorno successivo Luigi XII lascia la città e Tommasina rimane nel suo palazzo, nella piazza citata, a cullarsi con il suo sentimento, vero, platonico e sincero, si estranea dal mondo e si mette alla finestra per aspettare il ritorno del suo amato.

Il tempo trascorre e arriviamo al 23 aprile 1503. In città arriva un cavaliere dei Doria che porta una cupa notizia: Luigi XII è caduto durante la battaglia di Cerignola.

La notizia è falsa, ma Tommasina non lo sa, si dispera e piange straziata dal dolore, si strugge per il suo amore perduto, si perde nella sua sofferenza e muore nella sua stanza in quella piazza.

Intanto, dalla Francia, re Luigi invia a Genova Jean D’Auton, scrittore di Corte e Cavaliere che, appresa la notizia della storia e della prematura fine di Tommasina, la riferisce al re e la tramanda ai posteri. L’originale dello scritto, si dice, venne riposto nella tomba di Tommasina.

Anni dopo, narra la leggenda, che re Luigi tornò a Genova e volle vedere la casa nella quale Tommasina aveva esalato l’ultimo respiro. Si affacciò alla finestra del palazzo Spinola dove Tommasina aspettava, seduta giorno e notte, e disse: “Avrebbe potuto essere un amor perfetto!”

Oggi possiamo ammirare nella Pala di Ognissanti, nella Chiesa di Santa maria di Castello, eseguita da Ludovico Brea, il bel volto di Tommasina con sua madre, fra i 215 personaggi raffigurati c'è una giovane donna che che spicca con l’abito verde, carnagione chiara, ed è l’unica che volge lo sguardo indietro e i suoi occhi incontrano l’osservatore, è proprio lei che ci guarda con infinita dolcezza, Tommasina, che s’è lasciata morire d’amore.

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Modificato da dizzeta
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Awards

Inviato

@Alberto Varesi

Alberto caro,

io sono riuscito a liberarmi salvo imprevisti dell'ultimo secondo ci sarò ... Tu potersti fare altrettanto ;) !

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Inviato

Beh se venisse anche Alberto Varesi sarebbe il massimo....speriamo.....il periodo e la monetazione sono affascinanti ....i collezionisti e studiosi ci sono, chi condurrà la chiacchierata Alessandro Toffanin pure, ovviamente oltre tutto questo credo che l'incontro abbia un valore che va oltre, ecco perchè mi permettevo di insistere con inviti e @ varie, entrano in gioco la condivisione, l'amore per le monete, la divulgazione, tutti temi che è bello e virtuoso affrontarli insieme sia sul forum che in ogni sede possibile.

Ovviamente possono venire tutti anche chi non ha risposto o solo letto, certamente personalmente mi ha fatto molto piacere anche il semplice intervento del tipo, mi piacerebbe, ma non posso o sono lontano, anche questa è condivisione e oggi la numismatica ne ha proprio bisogno,

Mario


Inviato

Ci siamo allora....ricordiamo l'appuntamento per domani sera martedì 30 settembre alle ore 21, in Via Terraggio 1, 2° piano.

Da parte mia sono pronto, ho fatto una scelta di pezzi che io ritengo rappresentativi del periodo, nel contempo sono sicuro che ben altri sapranno rispondere alla grande su questo terreno, non ho dubbi in proposito :blum: .

Vista poi anche la rappresentatività dei partecipanti, mi piacerebbe a margine dell'evento in chiusura, approfittare di scambiare anche quattro parole sulla nostra amata numismatica italiana in senso generale, ovviamente con chi avesse piacere.

Mario


Inviato

Cerco di inserirmi per un attimo nella discussione sul Convegno di Napoli per cercare di rispondere a una domanda che mi ha fatto un giovane, posso portare anche monete povere domani sera ?

Certo che si, certamente i moduli larghi la faranno un pò da padrona, con quel fascino irrestitibile nel tenerli in mano, ma certamente poi c'erano anche in epoca spagnola le monete correnti, quelle del popolo, quelle più usate.

E qui potremo vedere molto, sicuramente vedremo tante parpagliole questo ve lo posso garantire :blum: , una moneta dalle mille varianti, sempre uguale ma nel contempo sempre diversa, però ci sarà di tutto sicuramente i soldini argomento che so essere molto caro ad Alessandro Toffanin, ma anche quattrini, trilline, sesini.

Monete che poi, lo vediamo spesso sul forum, danno parecchie soddisfazioniai collezionisti attenti con varianti e variantine, quindi un mondo numismatico che è stato molto trascurato fino a pochi anni fa ma che si sta indubb iamente oggi rivalutando negli interessi di molti.


Inviato

Tutte le monete saranno apprezzate, anzi meglio sono quei nominali che difficilmente vengono proposti nelle aste ( escluse le Cronos ) e quindi difficili da vedere.


Inviato

Tiziano quasi in tuo onore mi permetterei di portare anche la ormai " famosa " parpagliola senza la V col solo PROIDENTIA, facciamo vedere anche questa ai nostri amici domani.....dai facciamo divulgazione sul forum e anche dove capita l'occasione reale come questa di domani sera....


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