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La monetazione "celtica dell'est", la cui denominazione, seppur di nobili -e germanici- natali, é del tutto impropria dato che solo una parte dei popoli balcanici autori delle differenti monetazioni che vengono raccolte sotto questa etichetta erano di stirpe celtica, altri (geti, daci, traci, ...) non lo erano, rappresenta, tra quelle che di solito frequento, una delle monetazioni più complicate da affrontare, per una serie di motivi.


Innanzitutto si tratta alla base di monetazioni (il plurale é d'obbligo) imitative, spesso prodotte da popoli di cultura diversa, in luoghi diversi ma contigui, sulla base degli stessi prototipi ellenistici. Con tutto cio' che ne consegue in termini di ripetitività, di immobilismo, di ibridazione, ecc.


Si aggiunga la scarsità di informazioni tramandate dalle fonti storiche circa i popoli che ne furono gli artefici e la loro esatta collocazione nei tempi in cui, presumiamo, le varie emissioni venivano prodotte. Cio' aggravato dal non facile accostamento (in alcuni casi dalla palese contraddizione) tra tali tradizioni storiche ed i dati archeologici, soprattutto per cio' che concerne l'effettiva presenza di culture lateniane (riconducibili a popolazioni celtiche) in ampie aree del bacino del Danubio.


Per quanto alcuni dei più grandi numismatici del passato si siano cimentati con la materia, le opere piu' importanti risultano essere scritte in lingue "ostiche" per un lettore italiano: se va bene in tedesco, senno' in ungherese, serbo, rumeno, bulgaro o albanese. E c'é da dire -opinione personalissima- che se i lavori in tedesco (con l'eccezione del Forrer) hanno il piu' delle volte le caratteristiche di sintesi compilatorie, in cui cio' che é prioritario sembra essere la suddivisione in "tipi" (Pink, Goebl, ma potrei proseguire coi "viventi"...), sono i lavori monumentali di studiosi quali Costantin Preda e Petar Popovic che sono in grado di suggerire le chiavi di lettura in grado di aiutare nella comprensione di un fenomeno estremamente complesso.


Infine, last but not least, c'é il problema del materiale: relativamente poco conosciuto in occidente, in qualche modo "contraffatto" per sua natura intrinseca (come detto sopra si tratta per lo più di emissioni imitative), il materiale presente sul mercato (e non solo) é pesantemente inquinato da falsi moderni. Questo fenomeno é in qualche modo naturale: é estremamente più facile falsificare una moneta che scimmiotta una moneta ellenistica, con tratti spesso infantili (si dia un'occhiata alle tavole del Lukanc sulle imitazioni di Thasos per farsene un'idea), piuttosto che monete ellenistiche o romane.


A questo proposito c'é da aggiungere che il fenomeno delle falsificazioni di monete "celtiche" dei balcani, contariamente a quanto si sarebbe portati a pensare trattandosi di monetazioni "barbare" (per usare la definizione del Dessewffy) ed in qualche modo neglette fino a tempi abbastanza recenti, in realtà ha una sua tradizione che sembra risalire quanto meno agli inizi del '900, se non prima: Guenter Dembski, nel suo catalogo delle monete celtiche del Museo di Vienna, pubblica in quanto falsi moderni alcuni pezzi entrati nelle collezioni del museo nel lontano 1931...


Ma veniamo al dunque.


Tra le monetazioni imitative di origine balcanica quelle che si rifanno ai tipi delle tetradracme di Filippo II di Macedonia sono tra le più interessanti: si tratta certamente del gruppo più longevo (arriva almeno fino alla prima metà del I sec. a.C.), del piu' esteso territorialmente (copre in modo massiccio tutta l'Europa centro-orientale, ma in realtà é presente sino in Britannia), del più ricco dal punto di vista etnico/culturale per quanto riguarda i popoli emittenti (Scordisci, Boii, Reti, Daci, Traci, Geti, ecc.), fatto questo che sta alla base della molteplicità dei canoni iconografici attraverso i quali il prototipo viene reinterpretato con esiti in qualche caso, a mio avviso, sublimi (ma qui é questione di gusti...).


A rappresentare gli esiti decisamente meno sublimi da un punto di vista artistico, ma non per questo meno interessanti dal punto di vista numismatico, vi é un gruppo, tra i più tardivi, il cui centro (o centri, secondo alcune ipotesi) di emissione é da localizzarsi in Oltenia, tra il Danubio ed i Carpazi meridionali (in sostanza immediatamente a sud della Transilvania) nel territorio dell'attuale Romania.


Pink, piuttosto dotato nell'affibbiare nomi pittoreschi ai vari gruppi tipologici, nel 1939 battezzò il gruppo in questione Mit Sattelkopfpferd, individuando nel suo ambito un tipo di "buono stile" e 4 tipi "degenerati".


Constantin Preda nella sua monumentale monografia consacrata alla monetazione geto-dacica ("Monedele Geto-Dacilor, Bucarest 1973") suddivide il gruppo in tre tipi principali, denominati (in maniera più spartana) sulla base delle principali località di rinvenimento: Adâncata-Mânăstirea, Vârteju-Bucareşti e Inoteşti-Răcoasa.


In entrambi i casi viene da chiedersi se non sarebbe stato più semplice individuare i tipi con numeri o lettere...


Di seguito due Sattelkopfpferd/Adâncata-Mânăstirea (la seconda é suberata)


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ed un Sattelkopfpferd/Vârteju-Bucareşti, appartenente ad un sottotipo leggero


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In effetti vanno spese due parole sul dato ponderale.

A prescindere dal titolo, piuttosto variabile, pressoché tutti i Sattelkopfpferd si situano per lo più attorno ai 6-9 grammi, e vengono consideratI tetradracme, trattandosi di monete imitative delle tetradracme di Filippo II. Per un insieme, ben individuato, di monete del tipo Vârteju-Bucareşti di peso ridotto attorno ai 4 grammi (a cui appartiene la moneta illustrata sopra) é stata fatta l'ipotesi che possa trattarsi di didracme. Tale ipotesi viene per lo più scartata per il fatto che qualora si avesse la presenza di multipli e sottomultipli ci si troverebbe di fronte non più ad una "semplice" monetazione imitativa ma ad un vero e proprio sistema monetario, il che sembra incompatibile con la realtà economica delle popolazioni artefici delle monete di cui stiamo parlando.


Già, le popolazioni: per quanto queste monete vengano normalmente inserite in quel miscuglio a cui viene affibbiata l'etichetta di comodo di "celtiche dell'est" o "celtiche danubiane", le popolazioni che le hanno emesse coi celti avevano poco a che vedere, se non alcune relazioni di vicinato. Si tratta in effetti dei Geto-Daci (termine a sua volta un po' generico), i cui pronipoti troviamo raffigurati sulla colonna traiana.


Ma i cloni? E' vero, ai cloni non ci siamo ancora arrivati. Andava prima delineato un po' il contesto. Ci arriveremo.




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