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Grazie mille @@teofrasto sei stato molto dettagliato ed illuminante. Ora abbiamo trovato la risposta... Il primo quarto di denaro è sicuramente stato battuto a Cremona. :)

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Caro @@teofrasto,

parlando seriamente, non so cosa esattamente volesse sapere @@vox79, ma immagino che con 1/4 di denaro intendesse una moneta in rapporto fisso di 4:1 con il denaro locale (cioè un sottomultiplo), non una moneta che avesse questo rapporto di cambio con una qualunque altra moneta in circolazione in quell'area. Penso che la differenza sia notevole, perché nel primo caso la cosa coinvolge il sistema monetario locale ed il livello dei prezzi, perché se un'autorità monetaria emette due monete, distribuendo su di esse il flusso di argento alla zecca, evidentemente la domanda di moneta è giustificata per entrambe ed una delle due esiste solo perché esiste l'altra, non può vivere di vita propria; nel secondo caso si tratta di un rapporto di cambio che può anche essere casuale e soprattutto è potenzialmente variabile e non necessariamente riguarda monete effettive.

D'altra parte poi l'imperiale venne emesso proprio per essere multiplo fisso di tutte le monete già in circolazione nel Regnum Italiae, per cui le possibilità non erano molte: il denaro cremonese 'poteva' legalmente corrispondere o ad un imperiale, oppure a metà imperiale (come il terzolo milanese/mezzano lombardo), o ad un terzo dell'imperiale (monete delle zecche emiliano -romagnole), oppure infine ad un quarto dell'imperiale (Verona e Venezia). E questi cambi immagino che siano stati fissati anche con un certo lasco rispetto all'effettivo contenuto intrinseco. E non si può escludere, ad esempio, che le monete citate nelle fonti come quarti, terzi, mezzi etc. in realtà non fossero più coniate ma indicasssero il valore delle vecchie emissioni non più prodotte, in rapporto al nuovo imperiale (nei contratti le 'valute' rimangono in vita ben oltre la loro morte fisica, per rispettare debiti e crediti: così ancora oggi, e per molti decenni ancora, le "lire" compariranno in tutti i documenti in cui ci si debba riferire ad una transazione, un mutuo, un prestito iniziato prima del 2001).

Ora non ricordo bene la discussione su questa moneta di Cremona, che vedo essere piuttosto ampia, per qui non entro nel merito e mi scuso fin d'ora se dico sciocchezze oppure ripeto cose già dette, ma escluderei che quella moneta possa effettivamente considerarsi un sottomultiplo fisso da 1/4 di un'altra moneta del sistema monetario locale, che è ciò che normalmente si intende parlando di sottomultipli o spezzati. Altrimenti dovremmo considerare come spezzati da 1/4 anche i denari veronesi e veneziani (ci sono numerosi rapporti di cambio documentati fra queste monete e l'imperiale, ma immagino che nessuno possa raggiungere o addirittura precedere il 1163), così come il denaro bolognese non può essere considerato un 'tercetto' perché valeva un terzo dell'imperiale.

Se avete letto la mia riposta a @@monbalda, anche il quartarolo di Venezia non è effettivamente un sottomultiplo locale, essendo probabilmente un nominale destinato ad un altro mercato, però in quel caso abbiamo almeno una fonte storica (non contabile) che ci dice che era usata per il valore di 1 quarto di denaro e poi il sistema monetario veneziano all'interno era allora assai strutturato con grosso, denaro, mezzo denaro (il vecchio denaro veneziano precedente alla riforma di Sebastiano Ziani (1172-78), doge che raddoppiò il valore della valuta veneziana, e rimasto in produzione come mezzo denaro), e quarto di denaro. Tuttavia nessuna di queste era comunque un vero sottomultiplo, nato come tale.

Prima di postare questo messaggio ho dato un occhiata al prosieguo della discussione, che ho visto essere andata avanti. Mi permetterei però di suggerirvi molta cautela. Perché se il vostro interesse è quello di capire quando possano essere state introdotte monete chiamate quarti, quartaroli etc., beh allora la cosa ha un senso, e riguardo ai quarta(e)roli padani mi sembra che l'introduzione dell'imperiale possa essere all'origine di questa denominazione, vista la cronologia della documentazione (presente anche a Mantova, ma non ricordo in che anno) . Direi che potrebbe trattarsi proprio di valute messe in rapporto di 1 a 4 con l'imperiale milanese, se non ci fossero i 'terzoli' (però del valore di mezzo imperiale), a rompere le uova nel paniere; diverso invece il caso della Toscana, dove la parola quartaroli indica pezzi in rame (chiamati invece ferlini a Nord degli Appennini: notare che ferlino, derivante da ferto = quarto, ha lo stesso significato (piccolo quarto) di tetarteron e di quarterolo); qui è più probabile che si tratti, come a Venezia, di una derivazione dai tetertera bizantini, anche se probabilmente con funzioni diverse nelle due aree (o no?).

Se invece il vostro interesse è quello di capire quale fu la prima zecca così avanzata da far circolare sottomultipli fissi del denaro (non è cosa così semplice come sembra, vista la competizione possibile fra due monete in rapporto fisso, secondo la legge di Gresham), in modo da rendere più elastico ed efficace il mercato monetario interno, allora la strada del XII - inizi XIII secolo secondo me non è quella giusta: nessuna di quelle monete fu in realtà un vero sottomultiplo del denaro, ma solo un denaro in rapporto di cambio con altri denari. E ci sono anche le prove: talvolta questi quarteroli vengono conteggiati in lire e soldi, e qualunque cosa venga conteggiata in 240 pezzi la lira e 12 pezzi il soldo non può esser altro che un 'denaro', non credo si possano avere dubbi. A Piacenza, inoltre, abbiamo denari neri da 66 pezzi l'oncia e denari bianchi da 68 pezzi l'oncia: come fanno entrambi a valere 1/4 di denaro?)

Scusate la prolissità, ma devo andare a recuperare un montante per libreria da 28 kg all'Ikea, e sto cercando di guadagnare tempo

Andrea

Modificato da Andreas
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Buonasera Andreas,

mi fa veramente molto piacere leggerti dopo diverso tempo che non ci sentiamo.

Concordo con te per gran parte di ciò che hai scritto e non avrei nulla da eccepire sennonché nel tuo ragionamento c’è - credo - un ‘però’.

Mi spiego: a mio parere il tuo ragionamento è corretto solamente per quelle realtà che emettono moneta già prima del 1162. Nel caso in cui, cioè, il denaro imperiale del Barbarossa ‘si innesti’ in un circuito monetario già esistente, nel quale vi è una moneta locale più o meno forte, emessa dal Comune egemone di quel territorio. In tal caso, se l’imperiale riesce ad imporsi come nuova moneta di riferimento (ovvero diventa, come si sul dire, caput monete) fa sì che - generalmente ma non sempre, come penso dimostri bene il caso di Piacenza - la ‘vecchia’ moneta cittadina, che prima di allora poteva aver circolato in quel medesimo territorio con un differente valore perché 'agganciata' ad un'altra valuta, venga ad essere rapportata ad esso, a volte tramite piccoli aggiustamenti del tenore di fino o del peso.

Non è però questo il caso di Cremona, che inizia solo ora (1163) a coniare una sua moneta, dopo che già da almeno un secolo si avvaleva del denaro milanese (quello vecchio, buono, al quale si aggancerà il denaro imperiale federiciano) il quale, si badi, non smetterà mai di utilizzare neppure in seguito. E' dunque il denaro imperiale a fare da caput monete ed è ad esso che quella di Cremona viene immediatamente a rapportarsi.

La concessione del diritto di zecca è del 1155 ma il primo documento che citi la moneta cremonese è proprio quello già da me indicato, del 1° agosto 1163. Ad esso ne seguiranno altri dello stesso tenore (non sono molti ma non sto qui ad enumerarli poiché si possono facilmente trovare in Astegiano e/o in Falconi; di alcuni ne dà lo stralcio Fenti) nei quali la cifra indicata è data in cremonesi o nel corrispettivo di imperiali. In tutti il rapporto cremonese / imperiale è di 4:1. In altri documenti, quando viene riportata la moneta di Cremona, è sempre il cremonese ad essere citato. Solamente a partire dal 1170, guarda caso dopo che anche Milano avrà ripreso le emissioni di denari terzoli, comincia a comparire nei documenti il termine infociatum per indicare una moneta di Cremona dal valore del denarius novovus mediolanenses, ovvero il terzolo, a sua volta valutato mezzo denaro imperiale. Tuttavia il cremonese non cessa di essere citato e se ne trova ancora traccia documentaria, sebbene più sporadicamente. Che la sua emissione sia continuata lo conferma poi l’evoluzione formale che si può rilevare sugli esemplari superstiti. Essa cessò probabilmente solo nella seconda metà del Duecento.

Ad ogni modo, a partire da circa il 1170, con la ripresa delle emissioni di terzoli, anche Milano aveva cominciato a de emettere una moneta dal valore di 1/4 di denaro imperiale: l’obolo. In questo caso potremmo però discutere se esso fosse effettivamente agganciato all’imperiale (a mio avviso non più coniato fino al 1185) oppure al terzolo. Nel primo caso saremmo infatti effettivamente in presenza di una moneta dal valore ‘reale’ di 1/4 di un’altra moneta (l’imperiale), mentre nel secondo caso dovremmo parlare, come personalmente credo che sia, di un nominale che vale la metà di un altro (il terzolo). Poco importa se alla fine il risultato è lo stesso: la differenza, come tu osservi giustamente, la fa la moneta di riferimento. Nel caso di Cremona della metà del XII secolo questa moneta di riferimento era il denaro imperiale equiparato al vecchio denaro milanese . Da quanto detto credo che si possa quindi affermare che di entrambi il cremonese valeva ‘realmente’ un quarto.

Il perché di questo 'strano' e, per quel tempo, inconsueto rapporto non lo conosco. Non credo però di essere lontano dal vero se affermo che così dovette volere l'imperatore. D'altra parte non aveva egli bandito dal territorio del Regnum la moneta terzola di Milano (attenzione, NON la milanese tout cour, ma solamente la terzola) e contemporaneamente non aveva ordinato che nessun'altra zecca battesse moneta dal valore analogo a quello del denaro imperiale coniato a Noceto? Cosa restava a Cremona se non emettere una moneta dal valore di un quarto di imperiale?

Un caro saluto, Teofrasto

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Grazie mille @@teofrasto sei stato molto dettagliato ed illuminante. Ora abbiamo trovato la risposta... Il primo quarto di denaro è sicuramente stato battuto a Cremona. :)

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Vox mi sa che non te ne va a pallino una quest'estate... mi raccomando sto scherzando , ridiamoci sopra :)

anzi scherzi a parte la discussione ha spunti di ottimo interesse..


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Vox mi sa che non te ne va a pallino una quest'estate... mi raccomando sto scherzando , ridiamoci sopra :)

anzi scherzi a parte la discussione ha spunti di ottimo interesse..

Invece ho avuto molte informazioni di cui avevo bisogno. Tali informazioni, inoltre, sono in perfetto accordo con quanto da me riscontrato sulla moneta che sto studiando. Ringrazio quindi tutti coloro che stanno intervenendo ;)

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Beh, io me la cavo con l'inglese, poco poco di spagnolo ...ma il numismatichese mi é proprio ostico....

Grazie a tutti ...comunque... Cercherò col traduttore di google e visto che sono testardo sono sicuro che riuscirò ...certamente!

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Caro Dizzeta hai proprio ragione. Rileggendomi mi sonp venuti i capelli dritti. Cercherò di spiegarmi meglio. Quello che volevo dire, in poche parole, è che per quanto riguarda Cremona la sua moneta NASCE agganciata direttamente e da subito al denaro imperiale, del quale risulta essere la quarta parte. Sul motivo di questa scelta, anomala per il tempo, posso solo formulare delle ipotesi. A mio parere quella che mi sembra essere la più plausibile è che ciò sia dovuto alla politica monetaria di Federico I.

Mi auguro di essere stato un po' più chiaro. Vi prego, in caso contrario, di farmelo notare.

Non rileggo il testo perchè sono al lavoro e scrivo col telefonino, quindi mi scuso pwr eventuali errori.

Un caro saluto, Teofrasto

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Assolutamente non volevo criticare nessuno, sono io che ho dei limiti quando si varca l'Appennino Ligure ma è sempre molto affascinante leggere le vostre discussioni.

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Caro @@dizzeta
ehm, non credo che ti riferissi solo a Teofrasto, vero? Lo so e me ne rendo conto, ma è molto difficile dire in poche parole (forse sempre troppe per un post) cose su cui si sono lette (e qualche volta scritte) innumerevoli pagine. E quasi sempre si finisce col rimanere oscuri. Posso solo scusarmi dicendo che io ci provo ad evitarlo, in tutta sincerità, anche se in genere non ci riesco.



Caro @@teofrasto,
intanto scusami per non averti quasi neppure salutato dopo tanto tempo, ma quando leggo qualcosa che mi interessa parto in tromba, dimenticandomi perfino dell'educazione.

Venendo al punto, non ho nessuna ragione di mettere in dubbio quanto dici, anzi mi sembra ovvio, da quanto hai scritto, che la prima moneta cremonese valesse un quarto dell'imperiale. Non è questo l'aspetto su cui eccepivo, quello su cui eccepivo è che questa moneta potesse essere considerata un sottomultiplo 'fisso' dell'imperiale. Si trattava pur sempre di due valute diverse, e lo stesso imperatore, se come dici fu probabilmente lui ad imporlo, avrebbe potuto cambiarlo di punto in bianco, portandolo a 1:6 e così fregando, ad esempio, tutti quanti avevano cambiato imperiali in cremonesi.

Questo è quanto volevo dire. Il motivo per cui ho sollevato la questione è che non si tratta di una differenza di poco conto. La produzione da parte di una zecca di nominali diversi in rapporto fisso fra di loro e quindi realmente interscambiabili nei pagamenti, senza che uno dei due si svalutasse immediatamente rispetto all'altro, è un problema tutt'altro che semplice, e richiede conoscenze monetarie piuttosto avanzate, tanto che due economisti, uno dei quali premio Nobel, ci hanno scritto sopra un'intero libro: Sargent & Velde, The big probem of small change, Princeton 2003.

Pensando che la domanda iniziale volesse alludere al l'elevato livello di conoscenze necessarie per far circolare tali sottomultipli, e quindi al merito di chi lo ha fatto per primo, ho pensato di puntualizzare che a mio avviso il cremonese, così come il piacentino ma anche il veronese etc. non potevano considerarsi sottomultipli fissi, tutto lì. Ma si tratta comunque di una questione marginale, rispetto ad altri aspetti che mi pare si stiano discutendo,

Andreas

Modificato da Andreas
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Beh, grazie mille ...non so come ringraziarvi per le vostre attenzioni!

...ma anche se ci capisco solo il 10% di quello che scrivete, vi prego non smettete! ...e soprattutto perdonate la mia arroganza che a volte viene fuori qundo credo di aver capito e prendo fischi per fiaschi. E' sempre molto bello leggervi ...e scrivo seriamente ....stavolta.

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Buongiorno Andreas,

capisco il tuo punto di vista e anche in questo caso concordo con te sulla complessità della questione. Però ancora una volta non mi trovo del tutto d’accordo. Premetto che il testo da te citato non lo conosco (ma cercherò di rimediare al più presto perché deve essere molto interessante) e dunque potrei dire grosse corbellerie.

Sì, io credo che la scelta del nominale da battere a Cremona in realtà sia stata decisa dall’imperatore, il quale in effetti avrebbe potuto ordinare per il cremonese un corso differente rispetto al denaro imperiale. In quel momento - siamo a cavallo del 1162-63 e Federico I aveva appena distrutto Milano - egli avrebbe avuto tutta la forza e l’autorità per farlo, tanto che riuscì ad imporre la sua nuova moneta in totam Italiam, complice però probabilmente anche la crescente necessità dei mercati di avere una moneta ‘forte’ su cui fare affidamento. Tuttavia, a parità di contenuto di fino delle due monete - cremonese e imperiale -, se egli avesse deciso per quella di Cremona un cambio non corrispondente al suo reale valore di intrinseco o che fosse molto distante da esso, probabilmente ad un certo punto quello stesso mercato ne avrebbe riallineato il corso automaticamente. Un po’ quello che credo sia successo al tempo di Enrico VII di Lussemburgo quando il re cercò di imporre la sua moneta sopravalutandola rispetto a quella emessa in precedenza dalle altre zecche del Regnum. Allontanatosi Enrico dalla Lombardia, i corsi delle monete si riallinearono immediatamente, riportando i tassi di cambio al loro reale valore (a proposito, ne approfitto per farmi un po’ di pubblicità: le prime bozze corrette del BdN-on line sulle monete ‘repubblicane’ e di Enrico VII della zecca di Milano sono state già riconsegnate e dunque chiedo agli amici milanesi di pazientare ancora un poco). Cosa che invece non accadde con il cremonese il quale rispetto all’imperiale continuò sempre ad essere scambiato nello stesso modo anche dopo il 1167: un indizio che, sempre secondo me, indica come i due nominali fossero ‘agganciati’ tra loro in un reale rapporto di 4 a 1. Si tenga infine presente come l’area di circolazione del cremonese, salvo alcuni ritrovamenti sporadici dei quali alcuni anche all’estero (v. http://www.numismaticom.com/t6658-cremone-petit-denier-medaglia) in pratica si sovrapponga a quella dell’imperiale e del denaro di Milano.

In buona sostanza credo pertanto che, a differenza del quartarolo di Venezia il quale, come tu giustamente ricordi nel post #8, tecnicamente non si può definire un quarto di denaro nonostante avesse realmente quel valore, nei confronti del denaro imperiale il cremonese lo fosse sia realmente sia tecnicamente.

Naturalmente è un mio punto di vista e dunque ben vengano critiche e puntualizzazioni come le tue e, come spero accada, anche di altri che invito ad intervenire. Non foss'altro che per segnalare, come ha fatto con me G-I-U-S-T-A-M-E-N-T-E @@dizzeta per lamentarsi (sempre G-I-U-S-T-A-M-E-N-T-E!!!) della forma del mio post precedente: praticamente illeggibile!!!

Un caro saluto, Teofrasto

PS ringrazio @@mariov60 per avermi segnalato la discussione sul forum francese. Mario, per motivi di lavoro non ho ancora avuto il tempo di intervenire, ma il tuo ultimo post del 23 agosto individua correttamente l’esemplare della discussione in esame. Si tratta di un esemplare di cremonese tardo, della seconda metà del Duecento e piuttosto comune. Non è quello del concordato monetario del 1254, che è invece scodellato. Ti sarei molto grato se potessi segnalare questa stessa discussione agli amici del forum francese, perché io non so quando avrò il tempo di farlo.

Un caro saluto e a rivederti presto a Parma.

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Buongiorno a voi,

una precisazione al mio ultimo post: con "a parità di contenuto di fino delle due monete" intendo dire, "salvo successive variazioni nel rapporto dell'argento in esse contenuto".

La frase precedente potrebbe infatti essere letta nel senso che entrambe le monete possedevano la stessa quantità di metallo prezioso, il che naturalmente non è esatto e non avrebbe senso.

Buona giornata, Teofrasto


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Caro @@teofrasto,

forse è meglio essere sinceri, non è che "non siamo un po' d'accordo", sul punto non lo siamo per niente, ma proprio questo è il bello, no :D ? Se no sai che noia a discutere di sfumature. E devo dire che fino ad ora non avevo capito bene neanch'io quale poteva essere il vero punto di dissenso (per @@dizzeta: non penserai mica di essere il solo rimasto al buio, vero? Come vedi sei in buona compagnia :drinks: ).

Solo grazie alla tua ultima precisazione, Marco, la cosa mi è apparsa più chiara: evidentemente tu pensi, come moltissimi autori (sono io l'anomalo, in questo caso, non ho problemi a dirlo), che il valore nominale di una moneta sia direttamente proporzionale al contenuto intrinseco e quindi sia sufficiente mettere in circolazione due esemplari che contengano, che so, uno 0,500 g di fino, l'altro 0,125 g, per farli circolare più o meno automaticamente con il rapporto di 1:4.

Io invece ritengo che il contenuto intrinseco sia solo uno dei fattori che determinavano il valore nominale della moneta (che non è un pezzo di metallo a peso), il fattore sicuramente più importante perché fissava il limite sotto il quale tale esemplare avrebbe rischiato il crogiolo, ma sicuramente ce n'erano altri che nel caso di monete in mistura potevano anche raddoppiare se non triplicare tale valore: ad esempio talvolta, ma raramente, la forza politica dell' autorità emittente (potrebbe esser il caso di Federico I), un po' i costi di produzione (tuttavia più o meno simili, c'è da ritenere, almeno in Italia) moltissimo, come per tutti i beni, la legge della domanda e dell'offerta e la conseguente velocità di circolazione, che potevano presentare variazioni anche drammatiche. Il problema però è che nessuna autorità emittente, a quell'epoca, era in grado di valutare l'impatto di questo fattori, per cui erano letteralmente incapaci di mantenere stabile il rapporto fra due diverse monete, anche se prodotte dalla stessa zecca, figuriamoci da due zecche diverse. Infatti qualunque moneta venisse prodotta, indipendentemente dall'essere agganciata o meno ad un altra moneta, finiva col diventare immancabilmente la base (cioè il 'denaro') di una nuova lira, quindi di una valuta del tutto autonoma: in pratica ogni nominale era il centro di un universo a sé, una specie di monade.

Nel caso di Cremona immagino che l'imperatore, o chi per lui, abbia stabilito che tale città doveva battere una moneta del valore di 1/4 dell'imperiale e poi ovviamente abbia imposto di usare questo rapporto in tutte le transazioni dell'amministrazione imperiale; i bravi commercianti cremonesi avranno stabilito di farla con con un contenuto intrinseco proporzionalmente più basso, tanto per guadagnarci un po', e poi naturalmente nel mercato libero (essenzialmente nei banchi dei cambiavalute) il cambio fra le due valute se ne sarà immediatamente andato per i fatti suoi, al punto che fin dall'inizio i contratti, per rispettare la contabilità fissata dall'imperatore, hanno dovuto specificare che quelle monete valevano un quarto dell'imperiale, cosa del tutto inutile se le due monete avessero avuto un rapporto veramente fisso all'interno di un sistema unico (chi mai scriverebbe, in un contatto, "il giorno di San Martino dovrà versare 1 euro italiano... pari ad 1 euro tedesco?").

E' questa impossibilità di saper regolare il corso dei cambi che rese assai complicata l'introduzione di sottomultipli fissi senza che questi si svalutassero o rivalutassero a loro piacere, (il big problem degli spiccioli), introduzione che avrebbe potuto portare notevoli vantaggi, come si capirà molto tempo dopo, tra XIV e XV secolo. Quello che non sapevano....ma forse per ora è sufficiente, mi pare ci sia già abbastanza carne al fuoco, no?

Saluti,

Andreas

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Le questioni richiamate sopra impongono qualche ulteriore riflessione.

Questi fenomeni monetari, ancorché di estremo interesse, non sono sempre facilissimi da comprendere nell'immediato come ricordato dal buon Dizzeta. Per questo vale forse la pena elaborare qualche concetto e vedere se calza al quadro generale, economico e valutario che ci siamo fatti per il periodo basso-medioevale : XIII-XIV secolo.

Quando un sovrano voleva applicare una svalutazione a fini di profitto doveva semplicemente ridurre il contenuto di metallo delle nuove monete. Per fare questo aveva a disposizione o la riduzione di peso, oppure di contenuto di fino oppure ancora : entrambe.

Questo procedimento gli assicurava la possibilità di produrre molte piu' monete dallo stesso marco o libbra di metallo prezioso (riducendo peso o fino si aveva la possibilità di produrre piu' monete per lo stesso quantitativo di fino/metallo prezioso utilizzato in precedenza).

Questo significava altresi che poteva pagare un piu' elevato aggio di coniazione a tutti coloro che portavano metallo a fôndere alla zecca: non tutto il guadagno era quindi per il Signore.

§

Nel trattato De Moneta di Nicolas Oresme (1355) , il maggior trattato di economia monetaria del tardo medio-evo, viene esposta la teoria "realista" secondo la quale : "Alcuni uomini ritengono che ogni sovrano o principe, grazie alla propria autorità , possa alterare il valore della moneta corrente nel proprio reame , regolarlo a suo proprio volere e prendere qualsiasi profitto o guadagno ne derivi di conseguenza: altri uomini tuttavia sono contrari a questa opinione " (De Moneta capitolo I)

Oresme era chiaramente tra gli uomini che confutavano tale teoria, sostenendo che la sovranità sulla moneta appartiene alla Comunità, non al principe, e si applico' a dimostrare che sebbene il re non riuscisse in fondo ad alterare il valore delle emissioni, la Comunità invece fosse invece in grado di farlo.

Le idee di Orsme rimpiazzarono la vecchia credenza che un sovrano avesse il diritto esclusivo di fare qualunque cosa volesse con il denaro senza alcuna interferenza, mentre le idee di Oresme confutavano con forza questo credo, divenendo rapidamente una nuova ortodossia economica.

Filippo IV ricorse a frequenti svalutazioni nella decade 1295 - 1305 per finanziare la sua guerra con l'Inghilterra ma i nobili francesi, con anche il supporto dei vescovi criticarono apertamente tali politiche e levarono piu' volte la loro voce contro tale pratica.

Nella stessa INghilterra, temendo che Edward II ricorresse alla stessa pratica i nobili riuscirono addirittura a far espellere i Frescobaldi, consiglieri economici del sovrano per evitare che aiutassero il re nel progetto di svalutazione della valuta inglese riuscendo a sventare i piani del re.

Neddless to say la guerra dei Cento Anni porto' a delle fortissime svalutazioni. All'inizio si battevano 60 gros tournois d'argento fino al marco. Nel 1342 Filippo VI aveva già abbassato il peso battendo 240 grossi al marco mentre nel 1355 si battevano 480 grossi al marco il cui contenuto di fino era sceso al 20% .

Un altro modo di aumentare i guadagni del signore/principe era quello di aumentare i diritti di signoraggio : L'imperatore Massimiliano I nel 1485 riceveva 24 grossi per ogni marco lavorato nelle sue zecche. Nel 1488 tale percentuale era salita a 62 grossi e nel 1489 a 120 grossi ! Le zecche dell'imperatore erano resposnsabili per quasi un quarto del totale di tutte le e^sue entrate !

§

Infine una parola sull'articolo ricordato sopra : Sargent & Velde, The big probem of small change, Princeton 2003.

Dapprima scritto come articolo, basato su un articolo ancora anteriore, del 1999, il volume in realtà tratta di un modello matematico ove la mancanza di moneta spicciola determina un apprezzamento della moneta maggiore e si applica a determinare, matematicamente, il liveéllo di moneta spicciola ideale per un'economia. Essendo un modello matematico deve procedere prendendo come base alcune assunzioni e introducendo delle semplificazioni .

Il risultato è che la realtà ricostruita dal modello è alla fine totalmente avulsa dal contesto reale socio-economico cui vorrebbe applicarsi e come tale di alcuna utilità pratica maxime per il contesto economico reale ove vale solo "quello che succede realmente" non quello che potrebbe succedere stanti alcune condizioni ; in pratica l'analisi si risolve in una prova di rigorosa analisi matematica ma con scarsissima influenza pratica.

Soprattutto l'articolo/libro manca di una seria prospettiva storica che analizzi i fenomeni monetari dell'epoca che i due autori pretendono di replicare attraverso il loro astruso modello.

Nonostante le fonti consultate siano molteplici e per di piu' in oltre sette lingue, dalé catalano al portoghese passando per l'italiano, francese, tedesco etc., le loro conoscenze numismatiche non sono esaltanti se , ad esempio

definiscono petty coinage sia i grossi che i quattrini. Ora mentre tale definizione si applica certamente ai quattrini, per i grossi credo che piu' di un autore (numismatico) avrebbero qualcosa da ridire

Piu' utile, anche se a volte un po' datati, ancora i vecchi studi di Carlo Cipolla, insuperato maestro di economia monetaria medioevale.

Grazie a tutti per gli interessanti spunti emersi nella discussione .

PS

ricordo infine l'ottimo testo di Carlo Cipolla del 1956 che tratta questo specifico argomento : The problem of petty coinage

e vorrei citare infine un working paper di Oliver Volckart : The Big Problem of the Petty Coins’ and how it could be solved in the Late Middle Ages , London School of Economics, Feb 2008

che espone una severa critica del libro di Sargent e Velde e di come abbiano male interpretato il fenomeno.

Ho trovato questo testo stamattina il testo di Volckart che non conoscevo in precedenza e ho visto che esprime delle critiche piuttosto severe al lavoro di Sargent e Velde, sostenendo che abbiano male interpretato il pensiero di Cipolla affermando che la svalutazione della moneta "piccola" rispetto alla "grande" fosse un fenomeno continuativo e ripetitivo mentre Volckart sostiene abbia natura solo eccezional nel Medioevo. Ho constatao con una certa sorpesa che alcunedelle critiche mossi da Volckart collimavano con i rilievi espsoti da me sopra.

Modificato da numa numa
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Interessante. Nel libro la parte storica è molto più vasta che nell'articolo anche se non soddisfacente, lo ammetto. Infatti io l'ho citato solo per far notare come il problema sia stato ritenuto così importante che un economista (premio Nobel) ed uno storico dell'economia ci hanno dedicato un libro. Avrei anche potuto aggiungere che ci sono anche successivi articoli che criticano le loro conclusioni (immagino disponibili in rete), non l'esistenza dl problema. Io non ho certo ripreso le loro conclusioni, non essendo onestamente neppure in grado di valutarne la bontà, essendo per me incomprensibili le formule matematiche che le supportano (non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo). Quanto ho scritto sopra caso mai parte invece proprio da Cipolla, pensa che buffo, in particolare da un capitolo del suo libro del '56, ripubblicato in italiano come Moneta e Civiltà Mediterranea), anche se in parte si tratta di conclusioni mie (l'ho anche detto di essere io l'anomalo).

Buona notte,

A.

Modificato da Andreas

Inviato (modificato)

Caro Numa Numa,

l'ultima tua modifica dimostra essenzialmente la totale inaffidabiità del WEB come unica risorsa di conoscenza. Fra le decine di testi che hanno discusso, contro o a favore, le tesi di Sargent& Velde (che comunque hanno poco a che fare con quanto ho detto io), in PDF salta fuori questo Volckart che da 5 anni ha un work in progress nel quale si propone la tesi che i due autori sbaglino perché la svalutazione della moneta "piccola" rispetto alla "grossa" (non "grande") non era un fenomeno continuativo e ripetitivo mentre lui sostiene abbia natura solo eccezionale nel Medioevo (????????). Attribuendo poi la cosa a Cipolla? Io sono semplicemente basito. Riguardo a Cipolla (il testo di cui parli non esiste autonomamente, è un capitolo del libro che ho citato), che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente, credo di esser stato il tra i primi numismatici ad usare sistematicamente le sue tesi per comprendere certi fenomeni monetari, fin dall' 84. Infatti le mie idee in proposito devono molto a lui e ad autori come Lane e Mueller.

Volendo evitare una discussione del tutto inutile e pleonastica sul fatto che bisogna rispettare le idee di tutti etc. etc., c'è qualcuno tra noi in grado dii sostenere e motivare che la svalutazione della moneta piccola fu un fatto eccezionale, nel Medioevo? Ne potrebbe nascere una discussone decisamente interessante

A.

Modificato da Andreas

Inviato (modificato)

Scusate se da perfetto ignorante quale sono mi permetto un piccolo intervento solo per fare una considerazione, io credo che non basti il fatto che due monete circolino in una stessa area e siano scambiate con un valore multiplo per fare di esse una il divisionale dell'altra, se cosi fosse stato allora avremmo dovuto poi considerare, per esempio, l'agontano come un "bolognino doppio" cosa che era ben lungi dall'essere. L'essenza del problema mi sembra dunque che sia determinare se il cremonese sia nato come sottomultiplo dell'imperiale o se fosse stato adottato dai mercati come tale ma avesse in realtà "vita" propria.

" Hai detto niente " direte voi ! Ma è proprio per questo che ci siete voi esperti, dico io !! Detta questa serie di banalità torno nell'ombra a leggervi ed a imparare

Saluti

PS il caso del bolognino e del grosso non è proprio calzante perché non furono emessi da una stessa autorità ma serve, se possibile, a titolo esemplificativo

Modificato da Ramossen
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Inviato

Facciamo quindi un po' di ordine per capire bene quale risposta mi aspettavo per la mia domanda. Quale zecca ha emesso per prima la serie di 3 monete: denaro, mezzo denaro e quarto di denaro?

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Inviato

Per Cremona abbiamo :

1/4 di denaro imperiale - ante agosto 1163 - peso medio 0.33 gr.; diametro 12.5-16mm

legenda FREDERICVS al diritto e CREMONA al rovescio

metallo : mistura

FENTI 1 tipo A1

1/2 denaro imperiale - ante luglio 1166 - peso medio 0.553gr. ; diametro 14.0-17.0mm

stesse legende come sopra

metallo : mistura

FENTI 2 tipo A2

denaro imperiale - post 1162 ?- peso medio 0.760gr. - diametro 15.0-18.3mm

stesse legende

metallo : mistura

FENTI 6 tipo C3

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Inviato

perfetto @@numa numa , questo mi serviva , capire i pesi ed i diametri della serie e magari le percentuali di fino contenute.

finalmente ti metto un bel "mi piace" :), come vedi non sono cosi' cattivo :)


Inviato

mi sai dare qualche indicazione sulle percentuali di fino contenute?


Inviato

Fenti riporta il 33% per l'imperiale

Sono certo che Trofrasto , molto piu' esperto di me per questa monetazione abbia dati piu' aggiornati


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