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Spesso e volentieri gli spunti pi interessanti provengono dai

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Inviato

Spesso e volentieri gli spunti più interessanti provengono dai testi più noti che la storia ci ha tramandato, e che noi tutti studiamo sui banchi di scuola e conosciamo, talvolta, a memoria. Uno dei testi più affascinanti è proprio la Divina Commedia, non solo per la sua essenza di culla di una delle più belle lingue al mondo, ma soprattutto per ciò che rappresenta: un insieme dei vizi, delle virtù, dei comportamenti umani: insomma, quello che siamo.

Quale testo, dunque, più di questo, può indicare meglio il valore emozionale che il manufatto monetale svolse nel medioevo?

Cosa era per l'uomo medievale la moneta? Certamente mezzo di scambio inventato per necessita, rappresentativa di un'identitá cittadina, ma anche pericoloso vettore verso il peccato e la lussuria. È significativa, in questo senso, l'espressione "donna di conio", cioè corruttibile. Giuseppe Alonzo riporta, in proposito, un estratto dell'ottimo commento della Divina Commedia, in cui si legge "Coniare è quando uno inganna altro, mostra uno ed è altro. Coniare è mutare da una forma ad altra forma, e viene a dire ingannare, fare falso conio, falsa forma: trae il nome dalla moneta che piglia stampa".

Dunque, gettato il sasso, lascio a voi la parola in funzione di altri episodi anche molto stimolanti, come quello del falsario di fiorini Maestro Adamo ed altri o quello di Crasso.

Magdi

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Bello spunto Magdi, non sapevo però dove darti il mi piace :blum:, di Dante ricordo quella intrigante e significativa nel Convivio ( IV, XI.8 ) ,qui siamo a inizio 1300 dove fa un riferimento alle santalene d'argento, moneta che compare nella lista di monete nell'algoritmo di Columbia, forse Dante si riferì col termine a monete antiche, argomento comunque abbastanza controverso.


Inviato

Più famoso è il caso di Mastro Adamo ( Inferno, XXX, 70 - 90 ), qui si parla di falsari di fiorini d'oro, siamo nel Casentino organizzati dai Conti Guidi di Romena .

Mastro Adamo finì al rogo a Firenze e siamo nel 1281.

Ne parlammo di questo anche nella discussione " Delle pene e dei castighi " nella sezione monete moderne.

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Inviato

E perché l'usuriere altra via tene

per sé natura e per la sua seguace

dispregia, poi ch'in altro pon la spene.

La Divina Commedia, Inferno, canto XI.

Anche Dante aveva capito l'importanza del fenomeno usura e degli usurai nella società, tema che diventerà caro recentemente a storici del calibro di Le Goff ma anche :

ma io m'accorsi

che dal collo a ciascun pendea una tasca

ch'avea certo colore e certo segno

e quindi par che 'l loro occhio si pasca

La Divina Commedia, Inferno, canto XVII

E qui abbiamo la raffigurazione che diventerà poi importante e simbolica dei dannati con la borsa, con colore e segno che indicano le insegne delle famiglie condannate come usuraie da Dante.

Quindi Dante attento a interpretare e descrivere i fenomeni del tempo, la natura degli uomini, i loro scandalosi comportamenti.....

Unico appassionato di Dante ? Non ci credo proprio.... :blum:

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Inviato (modificato)

Le risposte di Mario offrono, come sempre, spunti interessanti! Prima di approfondire il tema delle Santalene, che mi pare curioso, spenderei qualche parola dul M° Adamo; in primo luogo Dante gli concede il titolo di Maestro, che nel Trecento viene utilizzato per individuare una classe di artigiani in grado di svolgere con grande perizia un mestiere e anche di insegnarlo: personalità, dunque, di indubbio rilievo poichè custodi di alcuni saperi e capacità non accessibili a tutti.

E' interessante notare quale è la pena che il Maestro riceve post-morte, piuttosto che quella terrena: il passo recita:

Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia
tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.
La grave idropesì, che sì dispaia
le membra con l’omor che mal converte,
che ’l viso non risponde a la ventraia,
facea lui tener le labbra aperte
come l’etico fa, che per la sete
l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.
«O voi che sanz’alcuna pena siete,
e non so io perché, nel mondo gramo»,
diss’elli a noi, «guardate e attendete
a la miseria del maestro Adamo;
io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,
e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.
Li ruscelletti che d’i verdi colli
del Casentin discendon giuso in Arno,
faccendo i lor canali freddi e molli,
sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
ché l’imagine lor vie più m’asciuga
che ’l male ond’io nel volto mi discarno.
La rigida giustizia che mi fruga
tragge cagion del loco ov’io peccai
a metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov’io falsai
la lega suggellata del Batista;
per ch’io il corpo sù arso lasciai.
Ma s’io vedessi qui l’anima trista
di Guido o d’Alessandro o di lor frate,
per Fonte Branda non darei la vista.
Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate
ombre che vanno intorno dicon vero;
ma che mi val, c’ho le membra legate?
S’io fossi pur di tanto ancor leggero
ch’i’ potessi in cent’anni andare un’oncia,
io sarei messo già per lo sentiero,
cercando lui tra questa gente sconcia,
con tutto ch’ella volge undici miglia,
e men d’un mezzo di traverso non ci ha.
Io son per lor tra sì fatta famiglia;
e’ m’indussero a batter li fiorini
ch’avevan tre carati di mondiglia».

La scena è atroce: il corpo corrotto dall'itropisia, le labbra secche ripiegate all'esterno, le membra deformate a tal punto da rendere sproporzionato il viso rispetto al corpo; Necessariamente quella di produrre moneta falsa doveva essere una delle colpe peggiori nella società medievale.

Nel passo, Dante evidenzia come la colpa riguardi "Il Battista", ancor più della lega, e quindi come il falsario fosse colpevole dell'adulterio di uno dei simboli più significativi di Firenze, portatrice di un groviglio di simbologie sacre e civili anche in luoghi lontani.

I riferimenti al Casentino non sono casuali, infatti proprio nel Casentino si trovava il Castello dei conti Guidi di Romena: i tre fratelli Alessandro, Guido e Aginulfo, verso cui il Maestro dimostra non poca avversione.

Ancora Mastro Adamo ammette di aver coniato le monete in lega alterata in Rascia: l'attuale Serbia centro-meridionale

E' significativo come M° Adamo venga collegato a Sinone: il personaggio dell'Eneide che convinse Priamo ad accogliere in Città il cavallo di Ulisse: un falsificatore di parola, che, come il falsificatore di moneta, si era reso colpevole di aver danneggiato la propria gente e la propria patria.

Riguardo all'episodio sono veramente curioso di capire se qualcuno ha altri riferimenti ed approfondimenti in merito a questo evento, nonchè al luogo ove si consumò il grave misfatto

Modificato da magdi
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La tua città, che di colui è pianta

che pria volse le spalle al suo fattore

e di cui è la 'nvidia tanto pianta,

produce e spande il maledetto fiore

c'ha disviate le pecore e li agni,

però che fatto ha lupo del pastore.

(Par., IX, vv-127-132)

(La tua città, Firenze, che è radice di colui che prima volse le spalle al suo Creatore (Lucifero), del Male umano fatto di quel sentimento d'invidia, da cui tanto scaturisce il pianto, produce e spande il maledetto fiore (il fiorino d'oro) di quell'errore che ha diviso le pecore e gli agnelli, che i pastori della chiesa trasformò in lupi (la lupa è il simbolo dell'avarizia).

Ma tu che sol per cancellare scrivi,

pensa che Pietro e Paolo,che moriro

per la vigna che guasti, ancor son vivi.

Ben puoi dire: "L'ho fermo 'l desiro

si colui che volle viver solo

e che per salti fu tratto al martiro,

ch'io non conosco il pescator nè Polo".

(Par., XVIII, vv. 130-136)

(Ma tu o Chiesa che lanci scomuniche al solo fine di cancellarle per denaro, pensa che Pietro e Paolo, che morirono per far vivere la Legge del Signore, "la vigna", che tu ora deturpi, sono ancora vivi.

Ben tu puoi dire: "Io ho fermamente rivolto il mio desiderio con tanto ardore a colui che volle vivere solitario nel deserto e che fu martirizzato per le danze di Salomè (San Giovanni Battista, anche si qui richiama al retro del fiorino d'oro), che io non conosco nè il pescatore nè il navigatore").

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Modificato da dizzeta
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Molto belli e significativi questi pezzi che rimarcano ancora una volta la bivalenza del denaro, con il quale si può fare del bene ai fratelli, o che si può sperperare o raccogliere avaramente cadendo nel peccato...

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Getto un altro piccolo appiglio, sempre in riguardo alla fame di ricchezze e all'attenzione che Dante riserva a coloro che ne sono affetti:

Crasso, // dilci che'l sai di che sapore è l'oro? (Pg. XX 116-117)

Dante quì si riferisce chiaramente a Marco Licinio Crasso: il triumviro morto nella battaglia di Carre. I Parti, infatti, lo avrebbero ucciso versando, poi, dell'oro fuso in bocca, come contrappasso in riguardo alla sete di ricchezze che lo aveva spinto nelle sue imprese.

Crasso, conosciuto già dai Parti come l'uomo più ricco del mondo, è stato decretato dalla rivista di economia Forbes l'ottavo uomo più ricco nella storia del mondo, con un patrimonio che oggi ammonterebbe a 170 miliardi di dollari.

Il fatto che Dante faccia riferimento allo specifico episodio dell'oro fuso e della sua enorme ricchezza, indica quanto tale tematica fosse estremamente considerata nel Trecento, e quanto abbia influito nella mentalità dantesca.

P.S. Ovviamente crasso è anche una dimostrazione di come la fame di ricchezza possa portare alla distruzione: l'esercito romano fu disintegrato a Carre, come tutti sappiamo.

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Inviato

Dimostra quanto alcuni testi letterari possano rappresentare un quadro della loro epoca, uno spaccato, in questo caso il 1300, con rappresentazioni di figure del tempo l'avido, il falsario, l'usuraio ....uno specchio del proprio tempo, ma con riflessi che possono essere attuali anche oggi....

Inviato dal mio iPhone utilizzando Lamoneta.it Forum

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  • 3 anni dopo...
Supporter
Inviato

Paradiso, Canto XXIV, vv. 82-87.

Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
d’esta moneta già la lega e ‘l peso;

ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».
Ond’io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
che nel suo conio nulla mi s’inforsa».

 

I versi alludono alla fede con la metafora della moneta, la cui lega e il cui peso sono passati bene nelle mani di Dante (dunque il poeta sa bene in cosa consiste la fede), mentre il poeta dichiara poi di averla nella borsa, cioè di possederla, lucida e tonda, senza alcun dubbio circa il suo conio, ovvero il suo valore (quindi di possedere una fede assolutamente integra). Inforsa è un neologismo dantesco per dire mettere in forse, mettere in dubbio.

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