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Inviato

@@Druso Galerio. Io credo invece che mettere in bocca all'interlocutore frasi che non ha detto per poi denigrarlo su questo punto sia metodologicamente primitivo e alquanto scorretto... :nea:

Arka


Inviato

ragazzi, non volevo scatenare un putiferio, volevo dire in modo semplice solo quello che ho detto, senza dietrologie, ovvero che risulta spesso normale che vi siano delle sovrapposizioni e che molti simboli perdurino nel tempo cambiando significato.

spesso la spinta è proprio dal basso e non dall'alto, perché tradizioni molto radicate in alcune comunità, più o meno ristrette, tendono per inerzia a perpetrarsi nel tempo, anche magari cambiando il significato originario, ma mantenendo la forma e l'aspetto "esteriore"

bye


Inviato

@ Arka: non volevo risiltare polemico, e tanto meno offensivo: se sono risultato cosi' mi spiace.

Forse la cosa e' dovuta al fatto che scrivevo, come ora, col cellulare, e ls necessita' di stringatezza mi ha fatto essere forse un po' ruvido. Le mie volevano essere "notazioni di metodo" , non certo un giudizio su di te o chiunque altro.


Inviato

ragazzi, non volevo scatenare un putiferio, volevo dire in modo semplice solo quello che ho detto, senza dietrologie, ovvero che risulta spesso normale che vi siano delle sovrapposizioni e che molti simboli perdurino nel tempo cambiando significato.

spesso la spinta è proprio dal basso e non dall'alto, perché tradizioni molto radicate in alcune comunità, più o meno ristrette, tendono per inerzia a perpetrarsi nel tempo, anche magari cambiando il significato originario, ma mantenendo la forma e l'aspetto "esteriore"

bye

Giusto, almeno a mio modesto avviso.....


Inviato (modificato)

Vorrei ripetere quanto già detto, ovvero che non vedo nessuna continuità o evoluzione tra culto isiaco e culto mariano, ma semplicemente l'incorporazione da parte del secondo di numerosi aspetti iconografici e devozionali del primo: cioè un sincretismo che caratterizzò alcuni momenti dell'evoluzione del cristianesimo, mentre per lo più prevalse l'integralismo.

I gesuiti furono particolarmente sincretici, tanto che in una carta annua dell'inizio del secolo XVII inviata dal generale dell'ordine al responsabile della missione in Chiloé, si dice testualmente che qualunque aspetto della religiosità indigena che non fosse in contrasto insanabile con i dogmi fondamentali della fede cristiniana doveva essere rispettata e solo progressivamente corretta. Infatti i gesuiti non condannarono mai la celebrazione del ngillatún, bensì inserirono progressivamente nello stesso l'immagine di Cristo e la santeria cristiana (ciò che scandalizzò i domenicani), pur mantenendo quasi intatto lo svolgimento complessivo del culto, con i suoi balli, la "purificazione" della spianata, il mantenimento della lingua mapuche e, mutandone progressivamente il significato, la figura della dea-bambina Pincoya (che gli spagnoli tradussero erratamente con principessa, da coya=principessa in lingua quichua, e che attualmente in ambito non indigena è ancora chiamata principessa).

Sono convinto che se il culto isiaco fosse sopravvissuto a livello popolare (e non solamente come ristrettissimo gruppo elitario e intellettuale, piuttosto snobbista), anch'esso avrebbe incorporato moltissimi elementi mariani, senza che per questo si giungesse inevitabilmente a una sintesi di entrambi i culti, ma senza neppure escludere che ciò potesse succedere.

Il culto isiaco pare che sia sopravissuto a livello popolare nella Gallia settentrionale assai più a lungo che in qualunque altra area, forse sino al X secolo, e secondo alcuni, ma non è confermato, lo stesso nome di Parisium è un riferimento alla presenza di un Iseum (tempio di Iside).

Modificato da antvwaIa

Inviato

La Pincoya è la bambina che si vede sotto l'arco di fiori a 4:42-4:46 minuti dall'inizio del video:

Come potete osservare, anche se l'arcipelago del Chiloé fa parte delle "isole del Pacifico", il clima non è proprio tropicale...


Inviato

Giusto per chiarire il mio pensiero, riporto parte dell'intervista che ho gia' citato alla prof.ssa Giovanna Greco edita sul numero di Archelogia Viva attualmente in edicola.

Dopo aver affermato sulla figura della "grande madre: "sara' Moses Finley a criticare fortemente l'impostazione di una generica Madre Mediterrane e,dimostrando che questa e' solo il frutto della storiografia moderna,distruggera' inesorabilmewnte il concetto del "principio femminilenelle societa' preistoriche", alla domanda :Anche la Madonna cristiana puo' rientrare nella serie delle tante "dee madri"?, cosi' rispinde:" centrale e' il problema di considerare una continuita'/ discontinuita' fra sistemi religiosi. Uno dei miti moderni, difficili da scardinare, e' quello di voler fare della Vergine Mria l'erede delle grandi dee dell'antichita', sia essa Hera, Demetra, Cibele, Persefone o Iside.

Questo supposto continuismo fra politeismo antico e statuto religioso del cristianesimo ha condizionato per molti anni la storia delle religioni ed e' una continuita' che viene definita da un puro e semplice trasferimento di simboli e funzioni.Oggi glu studiosi tendono piuttosto a evidenziare le differenze...


Inviato

Condivido l'affermazione di Druso Galerio che non vi sia alcuna continuità né evoluzione tra politeismo e monoteismo: rispondono a due logiche diversissime, tollerante la prima, intollerante la seconda (il dio monoteista è un "dio geloso").

Il pensiero religioso, presente già nel Neanderthal, si articola secondo tre grandi linee di pensiero: animismo, politeismo, monoteismo.

L'animismo, è la più antica e da esso può evolvere il culto degli antenati o degli spiriti degli ancestri dei clan, che a sua volta può trasformarsi in politeismo, oppure il concetto di anima universale, la cui evoluzione porta al monoteismo. Ma non mi risulta nessun esempio di religione politeista che si sia evoluta in monoteismo. Nel caso del monoteismo solare, ad esempio, esso fu imposto nell'antico Egitto (e rifiutato) o nell'antica Persia (e accettato), ma non è l'evoluzione del politeismo precedente.

Diverso è il caso della Grande Madre, il cui culto, probabilmente associato alla fertilità, appare nel mondo paleolitico proprio dell'Europa protomediterranea, anteriore ala fine della glaciazione (ma forse qualcosa di simile è presente anche nell'area mesopotamica). Esso pare caratterizzare l'homo sapiens, al quale vengono attribuite le "venus paleolitiche", le più antiche delle quali risalgono a 30.000 anni or sono.


Inviato

mi sembra che il discorso si stia ampliando a dismisura. Su certi assunti bisognerebbe scrivere e argomentare molto in quanto rischiano di risultare,altrimenti, puramente apodittici.

Lo stesso vale per alcune generalizzazioni, che bisognerebbe spiegare come sono state costruite e contestualizzate

Scusa antwala, ma, giusto a titolo d'esempio, definire seppure in linea di massima, la differenza tra monoteismo/politeismo sull'indicatore della tolleranza e' metodologicamente almeno opinabile.


Inviato

come viene definito per esempio il politeismo ? con quali indicatori e perche' proprio quelli? parliamo poi di quale specifico politeismo? e di quale fase del suo svolgimento?

Non sono domande inutili, servono a evitare affermazioni astoriche, che lasciano da parte le tante complessita' di questo tipo di ricerche.


Inviato

pero' ritengo - ripeto - che questi temi siano piu' attinenti alla socologia dwlla religione e ad altre discipline che alla numismatica.

E alla fine, ora, io voglio sapere di piu' come si conclude la vicenda del messaggio di Licinia Eudossia ! ;)


Inviato

Concordo con Druso Galerio che si tratta di un argomento molto delicato e che tocca temi molto complessi e che stanno alla radice della nostra stessa spiritualità e società.

Non entro nel merito del dualismo politeismo/monoteismo, ma ricordo di avere letto da qualche parte (purtroppo non so esattamente dove) che nell'ambito della storia delle religioni c'è chi ha sostenuto che nel monoteismo è più radicato il germe dell'intolleranza, particolarmene evidente nel caso dell'islamismo.

Ovviamente esistomìno meccanismi (regole) per contrastare tale intolleranza e sicuramente in questo senso il cristianesimo ha fatto dei progressi, dal fanatismo del vescovo Cirillo (protetto da Elia Pulcheria e responsabile dell'assassinio della filosofa Ipazia e ciononostante fatto santo...) e passando per la Santa Inquisizione (per inciso concordo con Antwala che i più intolleranti erano i Domenicani, che di fatto monopolizzarono l'Inquisizione e furono due domenicani a scrivere il Malleus Maleficarum (o Martello delle Streghe), sotto permesso del papa Innocenzo VIII che promulgò la bolla Summus Desiderantes Affectibus...).

Lo stesso mito della Grande Madre merita una attenzione e una trattazione che esula da questa discussione e investe i sentimenti più profondi e la stessa sessualità dell'uomo.

Mi scuso per la solita divagazione.

Ritorniamo nei binari di questa discussione e pure io sono ansioso a vedere la conclusione della storia di Licinia Eudossia.


Inviato

Concordo con Acraf

I temi affrontati sono estremamente impegnativi e non possono essere esaurienti in poche battute

Alcune tematiche poi sono di una delicatezza estrema quale quella delle fonti originali delle sacre scritture che, approfondendo, rivela molte sorprese.

Per le cosiddette "veneri preistoriche" e piu in generale l 'insorgenza della sensibilita' per l'arte e quella religiosa nell'uomo (la capacita' di formulare il pensiero astratto in buona sostanza) essa e' ben piu' lontana nel tempo e puo' dirsi, secondo le ultime ricerche, contemporanea alla comparsa del Sapiens, circa 250.000 anni fa.

Man mano che la ricerca progredisce riusciamo a spostare alcuni limiti e a percepire qualche frammento di luce nello straordinariamente complesso mosaico dell'evoluzione socio-culturale dell'uomo

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Inviato

Facendo caso all'invito di Druso Galerio, fatto proprio anche da Acraf e Numa Numa, restituisco la parola a Creusa affinché ci racconti come si concluse l'incontro dei due delegati romani con la corte di Genserico.

Restati soli, il mio nobile signore Genserico si rivolse alla sua ridotta corte. Un’offerta inattesa, disse, venimmo da Cartagine per razziare la costa latina e così umiliare e castigare i romani e vendicare l’uccisione dell’imperatore Valentiniano, al quale mi lega un patto d’amicizia che io rispettai in ogni suo aspetto ma che lui non onorò con altrettanto scrupolo, ed ecco che ci viene offerta addirittura la resa di Roma, senza neppure combattere! Ma che valore può avere la parola di un vescovo eretico?, gli risposte un principe asdingo, forse che Leone può impegnarsi in nome di Roma? E Genserico gli ribattè: e noi, abbiamo davvero le forze necessarie per assediare Roma ed espugnarla con le armi? Per assediarla per breve tempo forse sì, ma se l’assedio si prolungasse, dovremmo destinare parte dei nostri combattenti a procurare i necessari rifornimenti per l’esercito, e allora non riusciremmo a mantenere assediata la città; sono troppo estese le sue mura. Né tanto meno potremmo espugnarla con le armi... gli rispose un condottiero alano. Dunque, riprese Genserico, anche se ci viene offerta da un vescovo eretico, quanto ci propone è un dono tanto straordinario quanto inatteso. Roma è nel caos, Ricimero e Maggioriano sono lontani e, per quanto ci è stato detto dai prigionieri, più impegnati a competere tra loro per il titolo di patricius che a socorrere la capitale, e le forze stesse presenti nella città, che pure potrebbero essere troppe per il nostro esercito, sono allo sbando, senza duci e senza direttive: Roma è diventata una preda inattesa, ma alla portata delle nostre mani. L’offerta di Leone va colta, ma è necessario che sia sottoscritta da coloro che hanno l’autorità di sottoscrivere una resa. Chi se l’usurpatore Petronio Massimo è stato ucciso dai suoi stessi concittadini?, domandò Unerico. Forse che quel bamboccio del figlio suo, Palladio o come altro si chiama, onora il suo usurpato titolo di Cesare? ha preso il comando della città? Ascoltami, Unerico: l’augusta Licinia Eudossia mi ha scritto e io devo rispondere al suo messaggio. Cosa ne pensi, cosa ne pensate voi tutti, se facessi mia la proposta del vescovo Leone e le offrissi quelle stesse condizioni di resa? Che sia lei stessa a individuare quali funzionari restano nella città che abbiano l’autorità necessaria di sottoscrivere queste condizioni. Noi non abbiamo le forze sufficienti per conquistare Roma: è la loro vigliaccheria che la stà deponendo nelle nostre stesse mani, dandoci il più grandioso di tutti i bottini. Siamo venuti a razziare i polli e torneremo a Cartagine con tutti i nostri navigli carichi d’oro! Non possiamo disperdere questa opportunità. Quindi faremo nostra la proposta del vescovo Leone e così risponderò al messaggio dell’augusta Licinia Eudossia. Restiamo a vedere cosa farà lei, che intanto altra cosa non possiamo farla. Siete tuti d’accordo?

Nessuno mostrò di dissentire dalle parole del mio sovrano. Egli, allora, mi fece un cenno e io rimpii i boccali di tutti i presenti con una spumeggiante birra”.

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Inviato

Avevamo lasciato Licinia Eudossia nel grande palazzo imperiale che occupava tutto il colle Palatino, con la sua grande e scenografica facciata rivolta al Circo Massimo, in attesa del ritorno dell’ambasciatore inviato a Porto con il suo messaggio per Genserico.

Dopo due giorni, il conte dei pretoriani del Sacro Palazzo fece ritorno recando la risposta del re Genserico alla mia missiva. Venni anche informata, con mio disappunto, del fatto che alla sua ambasceria si fosse unito anche il vescovo Leone e di quanto egli avesse avito l’ardire di proporre al re vandalo parlando in nome del popolo romano, senza aver nessun diritto di attribuirsi tale autorità e senza aver neppure informato la mia persona di quanto si apprestava a fare.

Ormai era già da molti anni che si trascinava una lotta subdola da parte del vescovo di Roma per attribuirsi un ruolo che spesso trascendeva da quanto fosse di sua pertinenza, scalzando l’autorità dell’imperatore Valentiniano e occupandone molte prerogative. Purtroppo l’augusta Galla Placidia, che pure mi è molto cara, spesso per eccesso di zelo religioso, ma anche in cambio del suo appoggio politico, gli permise di prendersi iniziative e di occupare ruoli che non gli corrispondevano: ma così facendo gli diede ali e ora il vescovo volava molto in alto! Ben conoscevo quanto si diceva in merito a un suo presunto merito per il fatto che Attila si fosse ritirato. Certamente il vescovo Leone non affermò mai in prima persona di aver persuaso il sovrano unno a ritirarsi, né di aver avuto alcun ruolo nell’ambasciata che si svolte in riva al Mincio: ma coloro che non tardarono ad attribuirgli ogni merito erano stato imboccati da lui stesso nelle loro dicerie e, attraverso il suo silenzio, le sosteneva. Così facendo toglieva ogni merito al mio augusto marito, all’oro che copiosamente fece avere all’unno, alla minaccia rappresentata dal generale Ezio e soprattutto all’aiuto divino che inviò un morbo a castigare severamente l’esercito barbaro: questi ernao i veri artefici del ritiro di Attila, non le parole del vescovo di Roma, che il sovrano unno neppure volle ascoltare! E ora Leone si presentava dal re Genserico e addirittura parlava in nome di Roma e trattava la resa della città! Quale ardire, quale tradimento era il suo!

La risposta del sovrano Genserico alla mia missiva era garbata, ma quanto diversa da quella che immaginavo (e speravo) che potesse essere! Mostrava comprensione per la situazione mia e delle mie figlie, non mi attribuiva nessuna colpa per il mancato rispetto delle pattuite nozze, ma faceva sue le imprudenti proposte del vescovo Leone: si diceva disposto a ritirarsi dall’Italia, ma che avrebbe castigato gli autori del barbaro omicidio dell’imperatore e che era giusto che il suo intervento fosse ripagato e che egli stesso avrebbe occupato la città per cogliere con le sue proprie mani il pagamento richiesto, senza infierire sulle persone, tranne che sui colpevoli dell’iccisione dell’augusto Valentiniano che li avrebbe severamente puniti, e senza arrecare danni alla città; ma esigeva che le porte non solo dell’Urbe, ma anche dei palazzi patrizi fossero spalancate e non vi fosse opposizione alcuna ai suoi soldati, affinché essi stessi cogliessero il pagamento di quel suo intervento che il sovrano Genserico si ostinava a definire riparatore. Insomma: non distruggeva Roma e non ne offendeva la cittadinanza in cambio della libertà di saccheggiare a suo piacimento Roma e senza che ci fosse alcuna resistenza da parte nostra!

In quanto alla mia velata proposta di essere lui stesso il nuovo patricius dell’Impero d’Occidente, non mi diceva nulla, anche se ribadiva che il suo desiderio era di amicizia nei nostri confronti.

Non sapevo cosa pensare, ma accettare le sue proposte mi pareva cosa indegna di Roma e della sua antica grandezza.

Dissi dunque al conte del pretoriani del Sacro Palazzo che indicesse una riunione per quello stesso pomeriggio nella Curia, invitando i senatori presenti nella città e le autorità civili, non quelle nominato dall’usurpatore Petronio Massimo, ma quelle legittime nominate o confermate dall’augusto Valentiniano, affinché io potessi comunicare a tutti quale fosse il tenore arrogante e l’indegna proposta avanzata dal sovrano vandalo, e la risposta alla stessa fosse data da coloro che avevano l’autorità legittima per darla e non dal vescovo Leone.

Quando già il carro del sole iniziava ad avvicinarsi all’orizzonte, nella Curia convennero le persone convocate e io diedi lettura alla lettera di Genserico, che venne accolta con un clamore di energico ripudio e con grida di odio e di rabbia. Quindi invitai i responsabili delle forze militari presenti nella città a esporci quali fossero le possibilità di affrontare il sovrano vandalo, o di resistere a un assedio del suo esercito.

Il quadro che venne tratteggiato era quanto di più drammatico e inatteso si potesse immaginare. L’esercito era allo sbando e la mancanza di iniziative e di direttive aveva spento ogni ardore: numericamente saremmo stati in grado di sconfiggere i vandali e discacciarli da Porto, ma dopo la frustrata fuga dell’usurpatore Petronio Massimo, l’autorità imperiale non godeva più di nessuna credibilità e qualunque generale venisse nominato, essendo lontani Ricimero e Maggioriano (i soli che godevano di prestigio presso le truppe), sarebbe rimasto disatteso. Roma era in preda al caos. Più ancora che l’esercito vandalo alle porte, preoccupava la ribellione dei servi e degli schiavi che stava dilagando per tutta la città: uccidevano i patrizi, ne violavano le spose e le figlie, ne saccheggiavano i palazzi. Per difendere le proprie vite e i propri beni, i più ricchi facevano a gara a comprare l’appoggio dei militi urbani, sicché l’ercito si era spezzettato in un mosaico di forze disgregate poste a difesa dei beni di coloro che li avevano profumatamente pagati. Insomma: non esisteva neppure alcuna possibilità di organizzare una difesa efficace, altro che di combattere in campo aperto l’esercito di Genserico!

Di fronte a queste parole, i presenti ammutolirono, consapevoli che quanto veniva esposto era palesemente davanti ai loro occhi, e io stessa ammutolii con loro, comprovando che le voci che giungevano sino al Sacro Palazzo non solo non erano esagerazioni, ma descrivevano solamente in parte quanto stava avvenendo. Mi venne domandato se io ritenessi che potesse prestarsi fede alla parola del sovrano vandalo, e io risposi che da quando venne sottoscritto il patto con Genserico, e ormai erano trascorsi tredici anni, esso fu scrupolosamente rispettato e che per quanto barbaro il sovrano vandalo era un uomo di parola e capace di compiere quanto prometteva.

Fu così che quegli stessi che poco prima avevano ripudiato clamorosamente la proposta di Genserico, ora risolsero di accettarla”.


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