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Ciao Francesco, permettimi una domanda diretta, tu che c'è l'hai avuto anche tra le mani, parlo del Coronato ormai ex W.........ma non c'è la vedi la lettera C anche qui sotto la Y ? io sì ......sotto quella di sx.

Azzardo un'ipotesi, visto anche ciò che è successo all'altro coronato........supponiamo che anche in questo caso l'incisore volesse oscurare la sigla C, sovrapponendo la sigla Y ma il risultato non sia stato soddisfacente, in quanto la Y non copriva del tutto la C, perchè risultava un pò troppo a dx, a quel punto abbia optato per una seconda incisione della lettera Y cercando di ovviare all'errore commesso.......ed ecco che a nostri occhi appare una doppia YY, altrimenti non mi spiegherei la ragione dell'incisione della doppia Y.

Che te ne pare.

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Ciao Francesco, permettimi una domanda diretta, tu che c'è l'hai avuto anche tra le mani, parlo del Coronato ormai ex W.........ma non c'è la vedi la lettera C anche qui sotto la Y ? io sì ......sotto quella di sx.

Azzardo un'ipotesi, visto anche ciò che è successo all'altro coronato........supponiamo che anche in questo caso l'incisore volesse oscurare la sigla C, sovrapponendo la sigla Y ma il risultato non sia stato soddisfacente, in quanto la Y non copriva del tutto la C, perchè risultava un pò troppo a dx, a quel punto abbia optato per una seconda incisione della lettera Y cercando di ovviare all'errore commesso.......ed ecco che a nostri occhi appare una doppia YY, altrimenti non mi spiegherei la ragione dell'incisione della doppia Y.

Che te ne pare.

Conosco chi ora ce l'ha, mi farò inviare un'immagine ad alta risoluzione e ti farò sapere. Grazie per la segnalazione ma penso che non ci sia alcuna C.


  • 4 settimane dopo...
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Buona sera,

tempo fa in una mia discussione sulle sigle apposte sulle monete (ancor prima dell’idea riaprirne una sui Maestri di Zecca) e se qualcuno lo ricorda, avevo sottoposto un quesito (anche per me non noto) su di chi fossero le sigle GC apposte sul Grano di Filippo III “CLARITAS VNIVERSA” presupponendo anche, dato che di quel periodo non vi fosse in zecca nessun Ufficiale con queste iniziali, e conoscendo che l’incisione di tale nominale fosse avvenuta ad opera di Giovanni Consolo, che gli incisori non siglassero le monete.

Non ebbi nessuna risposta, ma non mi sono mai arreso nel ricercare la conferma !!

Bhe…..Signori miei, oggi devo dire che mi sono sbagliato, gli incisori in quel periodo (1621 – 1623) hanno siglato eccome!!....... ed oggi mi piace riportare e condividere con voi ciò che ho letto. (riportato nel BCCN dell’anno 1920 – La moneta di Napoli di Filippo IV nel 1621 al 1623).

1) quando si parla della coniazione del Due Carlini (Tarì) d’argento detto del Sole con il motto “OMNES AB IPSO” PR 12 il Prota indica che questa moneta ha nel dritto, sotto il busto del sovrano le lettere N.G.F. (Nicola Galoti Fece),

2) quando indica il Tornese di rame (ma secondo il Pannuti e Riccio dato il peso, è il Grano) con il sole al rovescio ed il motto “CLARITAS VNIVERSA” PR 37 ci riferisce che le lettere G.C. sotto il busto del sovrano sono le iniziali dell’incisore Giovanni Consolo;

3) per ultimo il Tornese di rame con il motto “POPULORUM QVIES” del 1618 PR 63 anche qui le lettere G.C. sono le iniziali dell’incisore Giovanni Consolo.

Da notare come in questi casi ci troviamo di fronte a delle monete le quali una (la prima) riporta le sigle del Maestro di Zecca, di Prova e dell’Incisore (credo caso unico), la seconda con le sole sigle dell’Incisore e per ultimo la terza, con le sigle del Maestri di Zecca e dell’Incisore.

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Inviato

1) quando si parla della coniazione del Due Carlini (Tarì) d’argento detto del Sole con il motto “OMNES AB IPSO” PR 12 il Prota indica che questa moneta ha nel dritto, sotto il busto del sovrano le lettere N.G.F. (Nicola Galoti Fece),

Un'unica precisazione Pietro sul Tarì del sole (che poi successivamente fu ridotto a 15 grana per via della sua cattiva lega).

Non si tratta di Nicola Galoti ma di Nicolò Globo.


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1) quando si parla della coniazione del Due Carlini (Tarì) d’argento detto del Sole con il motto “OMNES AB IPSO” PR 12 il Prota indica che questa moneta ha nel dritto, sotto il busto del sovrano le lettere N.G.F. (Nicola Galoti Fece),

Un'unica precisazione Pietro sul Tarì del sole (che poi successivamente fu ridotto a 15 grana per via della sua cattiva lega).

Non si tratta di Nicola Galoti ma di Nicolò Globo.

:good: Infatti..........hai ragione, grazie Davide !!

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  • 2 settimane dopo...
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Ciao Francesco, permettimi una domanda diretta, tu che c'è l'hai avuto anche tra le mani, parlo del Coronato ormai ex W.........ma non c'è la vedi la lettera C anche qui sotto la Y ? io sì ......sotto quella di sx.

Azzardo un'ipotesi, visto anche ciò che è successo all'altro coronato........supponiamo che anche in questo caso l'incisore volesse oscurare la sigla C, sovrapponendo la sigla Y ma il risultato non sia stato soddisfacente, in quanto la Y non copriva del tutto la C, perchè risultava un pò troppo a dx, a quel punto abbia optato per una seconda incisione della lettera Y cercando di ovviare all'errore commesso.......ed ecco che a nostri occhi appare una doppia YY, altrimenti non mi spiegherei la ragione dell'incisione della doppia Y.

Che te ne pare.

Conosco chi ora ce l'ha, mi farò inviare un'immagine ad alta risoluzione e ti farò sapere. Grazie per la segnalazione ma penso che non ci sia alcuna C.

Ciao Francesco, credo che non serve che tu ti faccia inviare l'immagine, perché mi sono cimentato in un piccolo collage affiancando una parte della Y alla Y del Coronato che ho appena postato nella discussione “sul Coronato con stile particolare”, per stabilire anche l’effettiva corrispondenza di questo Coronato doppia YY e come si può ben notare, calza alla grande.

YY (Yacobus Cotrullo)

Ehi....attenzione che questa moneta è stata manomessa per prova !!

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Come vi sembra............ :blum:

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  • 2 settimane dopo...
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Interessante il lavoro di S. Perfetto

Viene pubblicata la copia del privilegio in cui il vicere' concede a Giovan Leonardo Ascolese l'ufficio di comprobatore delle prove dopo la morte di Lucariello.


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Interessante il lavoro di S. Perfetto

http://www.lamoneta....zo-aprile-2012/

Viene pubblicata la copia del privilegio in cui il vicere' concede a Giovan Leonardo Ascolese l'ufficio di comprobatore delle prove dopo la morte di Lucariello.

Grazie Achille........gli darò certamente una lettura di riguardo, anche se sono molto concentrato sulle sigle apposte sulle monete da questi signori presenti in zecca e il "Comprobatore delle Prove" mi risulta esente da questo privilegio.

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  • 1 mese dopo...
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Quest’oggi carissimi amici frequentatori, richiamo questa discussione per esporre di un argomento correlato alla figura di questi personaggi (Maestri di Zecca, di Prova e Incisori), non solo, come fino ad adesso trattato, in relazione alle sigle da loro apposte sulle Monete, ma….. e soprattutto riferendo di alcune notizie sull’Organizzazione della Zecca, luogo dove tali Ufficiali con le relative maestranza operavano, le funzioni da essi svolte all’interno della zecca stessa e come si è giunti nell’apporre tali sigle sulle monete.

Nel fare ciò, logicamente mi sono avvalso di numerosi scritti e testi consultati, raccogliendo informazioni e cercando di essere il più conciso possibile.

Credo, e semprechè non sbaglio, che di questo argomento non si sia mai parlato.

Spero di farVi cosa gradita e soprattutto, se vi fa piacere, discutiamone.

William R. Day Jr., Fiorentini e altri italiani appaltatori di zecche straniere 1200 - 1600: un progetto di ricerca;

M. De Maio, Per la storia del battiloro solforano – Biblioteca Comunale Centro Studi di Storia Locale – Solfora (AV) 2007;

C. Cipolla, Tre storie extra vaganti “Uomini Duri” – Bologna 1994;

A. Sambon, Incisori dei coni della moneta Napoletana – Estratto RIN 1893;

C. Prota, Maestri ed incisori della zecca Napoletana - Napoli1914;

G.M. Monti, La zecca di Napoli sotto Giovanna I d’Angiò - Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, Fasc. I e II An. 1925;

G.M. Monti, La zecca di Napoli sotto i Durazzeschi - Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, Fasc. I e II An. 1928;

Sono stati consultati i seguenti siti:

archiviodistao.firenze.it;

rilievo.poliba.it;

solofrastorica.it.

Organizzazione della Zecca di Napoli

Degli ufficiali che si occupassero della fabbricazione monetaria, detti inizialmente Ufficiali della Moneta e poi Maestri di Zecca, si hanno notizie a partire dalla metà del XIII secolo, il loro compito originario fu quello di sovrintendere alla importantissima operazione di controllo della matrice in acciaio con i simboli da imprimere, della coniazione della moneta garantendone la regolarità di peso e fattura.

A questa prima funzione in breve si aggiunsero la vigilanza sulla circolazione del denaro e la giurisdizione sui reati connessi alla moneta, soprattutto la “falsificazione”.

La lavorazione dei metalli fino alla realizzazione delle monete era un processo complicato e suddiviso in fasi ben distinte, ciascuna eseguita da operai diversi, alcuni dei quali altamente specializzati. Tra questi maestri vi erano ad esempio gli intagliatori dei coni e i monetieri, che compivano la fase finale e più delicata del lavoro, durante la quale sui tondelli grezzi era impresso il conio, a questi si aggiungevano altri operai esperti come i fonditori, i tagliatori, gli affilatori e gli incisori.

Come il personale impiegatizio, le maestranze ricevevano un incarico a breve termine, in genere sei mesi e alcuni di essi, per l'importanza delle operazioni che eseguivano e l'alto livello di professionalità richiesto, godevano di prestigio e attenzioni particolari.

Per evitare frodi, dal primo decennio del 1300 i Maestri di Zecca cominciarono a marcare le monete con un simbolo, uno stemma o apponevano delle lettere sulle monete che erano le iniziali del proprio nome o del cognome, anche garanzia per il popolo della bontà dei pezzi coniati, o/e per un controllo da parte dello Stato che fossero state prodotte secondo le disposizioni impartite.

Dal 1317 invalse anche l'uso di annotare i contrassegni in un apposito registro sul quale venivano anche riportati i nomi dei maestri e dei notai, nonché le variazioni più significative sulle coniazioni. I notai eseguivano tutte le registrazioni necessarie all'ufficio: elenchi di impiegati e operai, redazione delle liberatorie al momento della riconsegna ai privati sotto forma di moneta del metallo portato alla Zecca per la coniazione, verbali, registrazioni contabili.

Vi erano inoltre i cosiddetti saggiatori, approvatori o revisori che si occupavano di verificare fin nei minimi particolari la regolarità delle monete (peso, incisione e qualità della lega).

L'elemento essenziale delle istruzioni impartite ad una Zecca consiste nelle disposizioni relative al peso ed al titolo; solo dal XIII secolo si sono conservati i registri delle Zecche, che ci permettono di conoscere alcuni elementi sulle emissioni, rispetto a quanto si può dedurre dalle monete stesse.

Anche i nomi dei Maestri della Zecca Napoletana rimasero sconosciuti sino a che si riuscì a prendere in esame i dati dell'Archivio di Stato di Napoli; conoscendo il periodo in cui operavano, si attribuì a questa o a quella lettera e di conseguenza le relative monete, a Maestri o Incisori di cui quella lettera figurava come iniziale.

Mancando però la data sulle monete di questo periodo e fino a Filippo II ( 1572 ), tali lettere comunque vanno considerate con cautela se utilizzate per la seriazione e datazione delle monete stesse; infatti non si conosce il periodo in cui un determinato conio con quella sigla apparve o fu abbandonato, né sempre la fine del mandato concesso ad un Maestro segna la cessazione dell'uso di quel conio. Vi riporto di seguito un passo di Michele Pannuti e Vincenzo Riccio (Rif. Le monete di Napoli - 1984) a proposito delle sigle dei Maestri di Zecca: sulle monete di Napoli, a partire dal Medio Evo, si osservano, nel campo del dritto e/o talora del rovescio, delle lettere; esse sono, in genere, iniziali di Maestri di Zecca, cioè direttori generali della monetazione, che apponevano tali lettere, a conferma della bontà delle emissioni avvenute sotto la loro gestione.

Le prime lettere di zecchieri compaiono sulle monete di Napoli del XIV secolo, sotto Roberto d’Angiò (Robertini con la N gotica), Giovanna I da sola (Ducato d’oro con la B) e Giovanna e Ludovico di Taranto (Carlino sigla I - G e Denaro con la croce patente sigle A-U, N-U, N-A e I-U).

Queste iniziali, sinora, non sono state decifrate; tale consuetudine fu ripresa sotto gli Aragonesi, a partire da Alfonso I , e perdurò fino ai Borbone.

A Napoli, centro amministrativo, lavoravano presso la zecca, le nuove monete a partire dal 1278.

La Zecca di Napoli fu istituita contestualmente alla riforma monetaria voluta da Carlo I d’Angiò che aveva trasferito nella nuova capitale, dalle officine di Brindisi il conio dell’oro insieme alle rispettive maestranze, e fu particolarmente curata da tutti i Re Angioini, che mantennero i privilegi favorendo l’autonomia dell’organismo, eliminando gradualmente le zecche periferiche del Regno. Diventò perciò una “Universitas”, una comunità auto gestita tanto da formare una vera e propria corporazione artigiana, forse l’unica esistente a Napoli, con notai, credenzieri, ispettori, con un tribunale speciale, che funzionava anche al di là dell’attività prettamente lavorativa, estendendosi a tutti i membri, operai e impiegati, anche quando questi non esercitavano più, e alle loro famiglie.

L’istituto era retto da un Maestro di Zecca, con un ruolo particolarmente importante che trasformò questi appaltatori in governatori, impegnati per contratto a fornire la moneta richiesta; tale carica fu in mano ai toscani e a napoletani, che ebbero una grande incidenza nella gestione dell’attività.

Tre documenti datati al 19 aprile 1278 mettono in risalto la strategia adottata nell’assegnazione degli incarichi; il primo atto proposto è relativo all’ufficiale responsabile all’assaggio; costui, nominato dalla Curia Regia, svolge la funzione di garante controllando che le proporzioni di metallo prezioso contenute nelle monete siano a norma di legge.

Il Maestro di Zecca (Magister) è dunque il responsabile e il coordinatore di una èquipe di lavoro formata dai Siclari, Affilatores, Obereri (operai, monetieri e addetti al settore monetale); il compito principale dei maestri appaltatori è assicurare la battitura della qualità della moneta richiesta dalle disposizioni vigenti. Il lavoro di incisione, al contrario, interessa gli Incisores Cuneorum o Magister Cuneorum che avevano il compito specifico di incidere e quindi di realizzare i coni necessari per la battitura.

Qui interessa sottolineare l’aspetto legato al conio e al rapporto della Zecca con gli orefici e con tutti coloro che avevano a che fare con la lavorazione dei metalli, che fu il fulcro intorno a cui girava tale istituzione.

La zecca di Napoli accolse i lavoratori dell’oro di Salerno (Scalesi, Ravellesi e Solofrani), che venivano assunti insieme ai fiorentini, perché riuscivano ad ottenere lamine così sottili che al toccarle si polverizzavano, tanto che la loro bravura fu riconosciuta da una Prammatica, che li autorizzava a vendere essi soli a Napoli il loro prodotto.

Tra i salernitani alla zecca di Napoli nel 1325 ci fu un notaio credenziere, Riccardo Cappasanta, e ci furono i lavoratori solofrani e quelli dell’area serino – montorese, i quali per essere assunti in queste officine dovevano avere rapporti con Salerno, perché attraverso questa strada avveniva l’assunzione. La presenza dei salernitani e di napoletani nelle officine del conio dell’oro si spiega dal fatto che entrambe le città, e solo esse (Salerno e Napoli) avevano la privativa della lavorazione dell’oro e dell’argento. In queste officine dunque avvenne il contatto con i lavoratori dell’oro e dell’argento fiorentini; questa fu la via maestra attraverso la quale la lavorazione dell’oro toscana penetrò nel Regno di Napoli, visto che i banchieri fiorentini nella collaborazione con gli Angioini avevano imposto propri operai. Il fatto che nella zecca di Napoli c’erano ben quattro fonditori solofrani, oltre a confermare l’antico legame di Solfora con Salerno anche per la lavorazione dell’oro, dà una chiara indicazione della genesi di quest’arte, che sarà una specificità solofrana. Ai lavoratori, Petrillo e Bartolomeo, detti di Solofra, e ai fratelli Gaudioso e Nicola de Feulo, tutti fondachieri se ne devono aggiungere altri che possono essere di S. Agata di Serino o della stessa Serino o anche di Monitoro. I fonditori di Solfora esprimono comunque una realtà importante e spiegano perché il Re, che aveva curato l’instaurarsi nella zona di questa attività che chiedeva molta maestria, si interessò a che questi operai specializzati si trasferissero alla Zecca di Napoli; anche lo studioso del periodo Angioino, Giovanni Maria Monti, nel prendere in considerazione questa nutrita presenza, sottolinea l’importanza di un tale nocciolo artigianale.

Vale la pena ricordare che gli operai erano esentati da ogni tipo di imposta e gravame, dal giudizio presso i Tribunali ordinari, sia durante che fuori il periodo di lavoro, che i lavoranti erano assunti se erano figli legittimi e che i figli avevano diritto a succedere ai padri.

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Questa sera inizio a riportare alcune notizie sulla Zecca di Napoli durante la dominazione Angioina e cioè da quando venne istituita:

La zecca di Napoli, sino al 1325, fu esercitata nell’antica casa dei Fieschi, nella strada della Sellaria, appartenuta già al celebre Pier delle Vigne; nell’ottobre del 1325 avendo il procuratore del cardinale Luca Fieschi, davide Vogerio, fatto istanza perché fosse restituita al cardinale quella casa, la zecca e gli archivi furono trasportati in alcune case di Ettore Vulcano “ad portam Petruczoli”, presso la Chiesa di Santa Maria la Nuova.

Nel marzo del 1333 re Roberto, avendo comprato per 700 once le case dei fratelli Adinolfo e Nicola Somma, presso la Chiesa di S. Agostino, vi stabilì la Zecca e l’Archivio, qui si tenne, d’allora innanzi, la zecca, sino agli ultimi tempi della monarchia delle Due Sicilie; quanto all’organizzazione della Zecca, essa restava quella dei secoli antecedenti, il cui ordinamento risaliva fino ai tempi di Federico II, da una parte i lavoratori detti Siclarii, Affilatores, Obererii monetarii (che formavano di fronte allo Stato una “Universitas” con cospicui privilegi), dall’altra, v’erano gli Ufficiali Regi ad essa preposti, cioè Notai Credenzieri, Ispettori delle Prove, Summatores, dipendenti dai Maestri di Zecca, cioè appaltatori che per contratto si obbligavano di fornire in un determinato tempo la quantità di moneta che il Governo richiedeva.

Roberto d’Angiò non apportò alcuna innovazione al sistema monetario stabilito negli ultimi anni da Carlo II e negli ordini per il conio delle monete si riferisce sempre alle Norme con cui erano state coniate “de mandato recolende memorie divi avi nostri”; si legge infatti in documento del luglio 1317, riguardo alla coniazione dei Gigliati “et liga prediciorum carolenormn argenti sit de untiis undecim et sterlinos III argenti fini prò Ijualibet libra ponderis eorumdein et reliqtmm sii de here puro et quod qiiilihet carolenits argenteus sit insti et ordinati ponderis videlicet tareno-rmn quatuor et grana decem nec non quod carolenses ipsi.... argenti sint eiusdem tenute et lige sicut fuernnt carolenses.... argenti duduni cusi de mandato recolende memorie divi avi nostri Jerusalem et Sicilie regis illustris”.

Ma sebbene i regi editti prescrivessero per i Gigliati lega e peso eguali a quelli di Carlo II, soltanto gli zecchieri, poco curandosi di quelle ingiunzioni, emisero moneta di scarsa lega e di peso sempre più scadente, sicché da gr. 3,93 il Gigliato fu ridotto man mano a gr. 3,80 con circa gr. 3,53 di fino e ancor meno.

Le malversazioni nelle zecche del Regno erano già incominciate durante il governo di Carlo II, giacché le doviziose società di mercatanti e banchieri toscani che tennero l'appalto delle zecche, lo ebbero spesso in guarentigia di forti somme prestate al sovrano (Carlo II aveva abbandonato completamente agli appaltatori della zecca i diritti di Signoria sulla moneta) e profittarono delle difficoltà in cui trovaronsi Carlo II e Roberto di restituire quelle somme, per prendere una perniciosa ingerenza nell'amministrazione delle principali entrate del fisco.

Richiamo nel doc. del 1317, perchè la moneta fosse veramente “insti et ordinati ponderis” è indizio assai significativo delle disoneste pratiche di quei zecchieri.

Nel 1317, si ordinò di porre nel campo della moneta un simbolo distintivo che permettesse di determinare le responsabilità degli zecchieri e poiché sul finire del mese di dicembre del 1319, il popolo si mosse a tumulto a cagione delle malversazioni degli zecchieri e del triste stato in cui era ridotta la moneta d'argento, il governo si adoprò con buone promesse a calmare quel giusto risentimento, e furono dati ai giustizieri delle Provincie ordini severi per frenare la “rasio sive demolitio uiomtae”, assegnandosi il premio di 20 Augustali a coloro che denunciassero i falsificatori o tosatori dei Carlini; il 2 gennaio del 1320, il duca di Calabria, allora vicario generale del reame, decretò che in tutte le province del Regno fossero eletti quattro ufficiali incaricati di verificare il peso dei Carlini, prescrivendo che tutti quelli di peso inferiore, fossero ritirati dal commercio; nel settembre del 1321 fu fatto coniare un nuovo gigliato di miglior peso dell'antecedente e, perchè si potesse agevolmente distinguere il nuovo conio, vi si fece incidere, nel campo del diritto un giglio invece della ghianda, impressa sull'emissione del 1317-1319, in quell'occasione, furono fatti verificare i campioni dei pesi del Carlino, fissandosi il peso dell'acino col grano di frumento; i Carlini vecchi si calcolavano a ragione di 75 per oncia, siccome rilevasi da doc. del 1317, pubbl. dal Minieri Riccio (Studi sui fase. Atig., pag. 9).

“Pecunia soluta est ad diversas rationes videlicet de carolrms iiliatis ad rationun 60 per unciam, de carolenis argenteis veteribus ad rationem jj per unciam”.

Il conio dei Carlini fu continuato, sempre “conm aggiore attività”, e in un documento del 1326 leggiamo che si era dovuto aumentare il numero degli operai a cagione della gran copia di Gigliati che si coniavano nella zecca di Napoli; l'incremento della monetazione d'argento era dovuto al favore che godevano nell'Oriente latino i gigliati napoletani; il conio dei Robertini per l'Oriente divenne allora una vera speculazione.

Le cose però non andavano meglio che nel 1318 e ne è indizio un documento del 10 giugno 1342, dal quale apprendiamo che, essendosi verificate nuove frodi, e trovandosi pesi scarsi, furono fatti eseguire nuovi campioni ponderali e spediti a tutti i giustizieri. (Arch. vol. XLI, n. 2346).

(Fonte: Sambon RIN 1912)

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Sotto il regno di Giovanna I sappiamo che la zecca funzionava nel nuovo edificio che fu sotto Roberto e che si erano spese ben oltre 70 once per ripararlo e per costruirvi dei nuovi locali.

Per tutta l’attività legislativa Angioina, non si ebbero sbalzi notevoli, né vi fu la pretesa di introdurre innovazioni, ma piuttosto il desiderio di rispettare le norme vigenti e di assicurarne l’osservanza.

Giovanna I, in un documento del 1346, confermava notevoli privilegi ai “Siclari” Napoletani, affermando che i medesimi erano già stati concessi ai “Siclari” di Brindisi dall’Imperatore Svevo e rinnovati dai suoi predecessori a quelli di Napoli; tali privilegi erano principalmente due: esenzione da ogni imposta e gravami, e foro speciale, cioè esenzione dai Tribunali ordinari e giurisdizione del solo Maestro di Zecca, e ciò sia quando detti operai effettivamente lavorassero nella Zecca, sia quando non vi lavorassero; privilegi questi che, se pur importanti, erano assai diffusi in quel tempo.

Ai “Siclari” di Brindisi, lavoranti a Napoli nel 1343, Giovanna conferma anche l’esclusività della nomina ai soli figli legittimi dei lavoranti medesimi della regia Zecca, privilegio esteso, forse, anche alla zecca di Napoli.

Nel Bollettino del Bovi si legge che sotto Giovanna I d’Angiò, nel 1343, la zecca partenopea fu affidata alle società dei Bardi (Filippo Rogerio), degli Acciaiuoli (Renato Giovanni) e dei Bonaccorsi (Matteo Villani).

In un lavoro di Gennaro Maria Monti (BCNN fascicolo I e II anno 1925) si legge che nel 1344, il Cardinale Amerigo – Baiulo del Regno di Napoli per il Papa, durante il processo contro Giovanna I, dette in appalto la coniazione di 100.000 Carlini d’argento alle Società fiorentine dei Bardi, Bonaccorsi e Acciaiuoli, cioè anche dopo il capitombolo finanziario dei Bardi (1339) e poco prima del loro fallimento avvenuto nel 1345; le stesse banche avevano messo a capo il loro procuratore Filippo de Simone e che dopo di lui fu maestro di zecca Luigi de Baccosi di Lucca.

Nel 1346 falliscono le famiglie dei Bardi, i Peruzzi e gli Acciaiuoli (Sambon) ed il credenziere Nicola Costagliola dirige la zecca per conto della Regia Corte (inizio del 1347).

Il Banco o Compagnia dei Bardi era all’inizio del trecento una delle compagnie mercantili e finanziarie più potenti e ricche d’Europa.

Tra la fine del duecento e i primi del trecento il Banco contava tra i 100 e i 120 impiegati e tra i suoi clienti si annoveravano i più brillanti e ricchi personaggi del tempo, inclusi Principi, Re e Cardinali.

La fama dei Bardi, già notevole mentre la Compagnia era ancora in vita, crebbe ulteriormente nei libri di storia per via del suo fallimento nel 1346 dovuto soprattutto al mancato rimborso del debito della corona Inglese.

Attorno al 1340 vivevano nella città e contado di Firenze più di 120 adulti maschi Bardi, tutti legati tra di loro da vincoli di parentela. Era una consorteria potente per numero e per ricchezza, forse la più potente e la più ricca, ed era in larghissima parte concentrata Oltr’Arno, dove ancor oggi si trova via de’ Bardi.

Il fatto che i Bardi scegliessero di vivere vicini gli uni ali altri, in case contigue, sovente intercomunicanti, in una ben definita zona della città conferma l’elevato grado di coesione del gruppo. In più di un caso si vide che la contiguità delle dimore fu un fattore positivo che rafforzò notevolmente la consorteria quando questa si trovò a dover menare le mani; e ai Bardi i momenti e le occasioni di farlo non mancavano mai.

Nel maggio del 1345 i Bardi ebbero uno scontro armato con i Peruzzi mentre quelli con i Buondelmonti non si contano. Gli anni “Venti” erano stati di eccezionale prosperità per questa famiglia, ma dopo il sole viene immancabilmente la pioggia. Agli inizi degli anni “Trenta” scoppiò una violenta crisi destinta a farsi di giorno in giorno sempre più acuta sino a raggiungere un’intensità mai conosciuta prima da allora.

L’economia fiorentina ne fu letteralmente travolta; le compagnie fallirono, una dopo l’altra, e crollarono come castelli di carte. Saltarono gli Acciaiuoli, i Bonaccorsi, i Cocchi, gli Antellesi, i Corsini, i da Uzzano e i Perendoli.

Dopo aver ostinatamente cercato di far fronte all’impossibile situazione, anche i due giganti crollarono: i Peruzzi nel 1343 ed i Bardi nel 1346.

Grazie e alla prossima.

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Che dire? Da stampare e tenere sempre a portata di mano, complimenti davvero! :)


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Che dire? Da stampare e tenere sempre a portata di mano, complimenti davvero! :)

Aspetta a stampare Galenus.........a te manderò una copia dell'intero lavoro, non appena sarà terminato, comprensivo di tutti i Nominativi dei Maestri di Zecca, di Prova e Incisori. ;)

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Che dire? Da stampare e tenere sempre a portata di mano, complimenti davvero! :)

Aspetta a stampare Galenus.........a te manderò una copia dell'intero lavoro, non appena sarà terminato, comprensivo di tutti i Nominativi dei Maestri di Zecca, di Prova e Incisori. ;)

Non ti scordar di me... :rolleyes:


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Che dire? Da stampare e tenere sempre a portata di mano, complimenti davvero! :)

Aspetta a stampare Galenus.........a te manderò una copia dell'intero lavoro, non appena sarà terminato, comprensivo di tutti i Nominativi dei Maestri di Zecca, di Prova e Incisori. ;)

Non ti scordar di me... :rolleyes:

:good:

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Come accennato nei precedenti post la presenza dei salernitani (come Sergio Frezza, Angelo di Vito ecc. ecc.) e di napoletani (come i Gattola, Macedonio ecc.ecc.) nelle officine del conio dell’oro è spiegata dal fatto che entrambe le città, Salerno e Napoli, avevano la privativa della lavorazione dell’oro e dell’argento e che in queste stesse Officine avvenne il contatto con i lavoratori dell’oro e dell’argento fiorentini; questa fu la via maestra attraverso la quale la lavorazione dell’oro toscana penetrò nel Regno di Napoli, visto che i banchieri fiorentini nella collaborazione con gli Angioini avevano imposto propri operai.

Ma chi erano……………

I mercanti e/o banchieri fiorentini, furono appaltatori all’avanguardia e anche le maestranze tecniche furono fra le più richieste, alcuni sovrani arrivavano al punto di inviare al governo fiorentino richieste specifiche per ricevere maestri di zecca ed altro personale destinato alla zecca. Interessante fu il rapporto fra la presenza di questi maestri di zecca e la politica monetaria degli Stati nei quali tali zecche erano comprese; essi infatti spesso sovrintendevano all’istituzione di nuove zecche, alla riforma organizzativa delle stesse, dei sistemi monetari e alle nuove emissioni di grande successo.

Gli appaltatori, maestri particolari di zecca, la cui conduzione era regolata tipicamente da contratti stipulati oppure concessi in gestione per conto dell’amministrazione erano mercanti che solitamente fornivano anche il personale tecnico della zecca, compresi orefici e argentieri per saggiare i metalli.

In tal senso è significativo il perchè i maestri fiorentini cominciarono ad essere attestati in varie zecche dell’Italia proprio quando queste iniziarono a coniare una nuova moneta d’oro, come proprio a Napoli quando nel 1278, la Zecca Napoletana dette avvio all’emissione del nuovo Carlino d’oro. Il maestro fiorentino che prese in appalto la zecca napoletana nel 1278, Francesco Formica, si impegnò come primo atto a stabilire la nuova sede della zecca nel Castel Capuano, l’odierno Castello dell’Ovo.

Ma questo è solo il primo nominativo, uno dei tantissimi Maestri di Zecca (fiorentini, ravellesi, messinesi, napoletani) che diressero la zecca partenopea dal 1278.

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Un minuscolo contributo a questa imponente discussione: <<Francesco Formica ebbe anche l'appalto per la prima emissione di oro, da maggio ad agosto 1278, seguirono nell'appalto per la lavorazione dell'oro, successivamente Sergio Frezza di Ravello, Filippo e Giacomo Saladino dal 1° novembre 1278, Filippo e Giacomo Saladino (1279), Angelo di Vito e Filippo Saladino (1° aprile 1280 - 31 marzo 1281) e Angelo di Vito dal 1281 al 1283. Per i carlini d'argento Angelo de Vito ebbe il 1° contratto di appalto nel 1279.>> (da G. Bovi, Le monete di Napoli sotto gli Angioini (1266 - 1442), in B.C.N.N. Anno LIV, 1969).

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Un minuscolo contributo a questa imponente discussione: <<Francesco Formica ebbe anche l'appalto per la prima emissione di oro, da maggio ad agosto 1278, seguirono nell'appalto per la lavorazione dell'oro, successivamente Sergio Frezza di Ravello, Filippo e Giacomo Saladino dal 1° novembre 1278, Filippo e Giacomo Saladino (1279), Angelo di Vito e Filippo Saladino (1° aprile 1280 - 31 marzo 1281) e Angelo di Vito dal 1281 al 1283. Per i carlini d'argento Angelo de Vito ebbe il 1° contratto di appalto nel 1279.>> (da G. Bovi, Le monete di Napoli sotto gli Angioini (1266 - 1442), in B.C.N.N. Anno LIV, 1969).

Ottimo Galenus, mi complimento per il tuo primo passettino, noto con piacere che anche tu ti stai appassionando a questi personaggi, e come non farlo, diciamola tutta, sono stati dei veri grandi Maestri che hanno diretto questa Officina Monetaria ineguagliabile in Italia e forse anche all'estero, come si possono mai trascurare; mi sembra giunta l'ora che vengono tutti e completamente rispolverati, anche perchè le monete senza il loro lavoro non esisterebbero ...........!!

Ma c'è moltissima strada da percorrere fino ai Borbone.

Un saluto da Pietro

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Un minuscolo contributo a questa imponente discussione: <<Francesco Formica ebbe anche l'appalto per la prima emissione di oro, da maggio ad agosto 1278, seguirono nell'appalto per la lavorazione dell'oro, successivamente Sergio Frezza di Ravello, Filippo e Giacomo Saladino dal 1° novembre 1278, Filippo e Giacomo Saladino (1279), Angelo di Vito e Filippo Saladino (1° aprile 1280 - 31 marzo 1281) e Angelo di Vito dal 1281 al 1283. Per i carlini d'argento Angelo de Vito ebbe il 1° contratto di appalto nel 1279.>> (da G. Bovi, Le monete di Napoli sotto gli Angioini (1266 - 1442), in B.C.N.N. Anno LIV, 1969).

Ciao Galenus......ti riporto il Documento con il quale Carlo I dà in appalto la zecca a questi due Maestri:

1 Re Carlo dà in appalto la zecca di Castel Capuano di Napoli ad Angelo de Vito di Ravello e a Filippo Saladino di Messina per un anno dal primo di aprile di questo anno 1280 al 31 marzo del 1281, con l'obbligo di dover battere 10 mila once di oro in carlini e medaglie di carlini di oro, computandosi il loro lucro alla ragione di un tari e cinque grana di oro per ogni oncia di carlini di oro. Tra le condizioni vi è quella che i carlini di oro e le medaglie de' carlini debbono essere della tenuta “ profortionaliter cuius siint floreni auri et quilihet karolensis integre contincat de fino auro tarenos quatuor et grana decem et noiiem et tres ocfavas alferius grani et Medalea ipsortun Karolensiiim contineat de fino auro tarenos duos grana novem et undecim ex decimas alterius grani ita quod quatuor ipsorum karoìensiwn. vel octo medalee. contìneant tanto de auro fino quantum continent quinque floreni auri videìicet tarenos decem et novem, et grana decem et seppe”. Ed in fine ordina a quei zecchieri che tutta la luiova moneta a mano a mano che si conierà dovranno trasportarla al castello del Salvatore a mare, detto dell'Uovo, consegnandola a que' regi tesorieri.

Archivio Storico Italiano - (Reg. Ang. 1270, B. n. 26, fot. 326 t.).

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Salve........quest'oggi mettiamo un pò da parte le notizie sulla zecca e ritorniamo a identificare le sigle sulle Monete;

riprendo quindi il periodo Vicereale, dove credo che alcune di esse non sono state ancora correttamente attribuite a questo o quel Maestro di Zecca e di Prova.

Monetazione di Filippo II > qui devo dire che effettivamente notizie sui Maestri di zecca ve ne sono, non altrettante per quelli di Prova, sappiamo infatti che dal 1561 (ordine del 22 settembre) sulle monete di Napoli vengoono apposte anche le sigle dei Maestri di Prova, il primo è stato Vincenzo Porzio (sigla VP o PV in monogramma)....e poi ? si notano in questo periodo molte sigle accoppiate ai noti Maestri di Zecca come i Ravaschieri, de Leo e Fasulo, ma che fino ad oggi in alcuni volumi/cataloghi non sono riportate e mi riferisco alle sigle CI (tagliata) e la sigla G quest'ultima, sulle monete del 1596 e 1598.

L'unico che riferisce di alcuni nominativi, oltre logicamente il ben noto Vincenzo Porzio, è il MIR ma per questi nominativi vi è l'assenza di date e chiaramente non si riesce bene a identificare, quindi la data della loro presenza in zecca ed il Corpus.

Questa premessa per dire cosa...........tra le tante, che spero presto di arrivare ad una corretta attribuzione, ve nè una in particolare che a dir poco mi stà facendo ammattire.

Filippo II - Carlino FIDEI/DEFEN/SOR - Pannuti e Riccio 39/d sigla G/CI (tagliata) - Collezione Privata.

Tale moneta che gli autori ci hanno lasciato catalogato apparentemente sembra essere una delle tante monete con sigle di facile attribuzione.....ma è proprio così ? temo proprio di no e lo stò vivendo sulla mia pelle.

Credo anche che la moneta effettivamente reca la sola sigla G (che peraltro è l'unica del periodo con la G) infatti non credo che gli autori si siamo sbagliati nel riportarla senza la R affiancata (ricordo GR - Germano Ravaschieri), se avessero avuto un minimo dubbio non l'avrebbero riportata, ma quello che più mi manda ai "matti" è anche l'abbinamento con la sigla CI .

Magari anche loro che hanno dato meno importanza alle sigle piuttosto che alle varie forme degli Stemmi, non avuto modo di capire l'importanza di essa per la datazione di un Maestro di Zecca e/o di Prova, anche perchè non fu questo il loro obiettivo.........cosa devo pensare ? che l'inisore abbia dimenticato di incidere la R ? e poi la sigla CI.

Mi auguro che con l'aiuto di qualche appassionato di monetazione vicereale e/o come me di sigle si riesca a capire cosa o meglio di chi sono quelle sigle su questo Carlino.

Vi posto di segutio alcune pagine di ciò che ho trovato e studiato..............vi rendere subito conto che la confusione o meglio la VARIETA' regna e non poco.......e questo per una sola Moneta !!

:help: :help: :help: :help: Un saluto

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