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Inviato

Il caso Reza Aslan

Forse non c’entra niente con la numismatica, ma colgo l’occasione per illustrare un caso letterario che sta spopolando in queste settimane estive negli Stati Uniti, con una polemica diventata virale anche su internet, dimostrando anche come le storie che riguardano Gesù e il suo tempo suscitano sempre grande interesse (specialmente se accompagnato da adeguata pubblicità).

Infatti si sta assistendo all’improvviso e folgorante successo di vendita negli Stati Uniti del libro “Zealot: The Life and Times of Jesus of Nazareth” (le trattative per la sua traduzione in italiano sono tuttora in corso):

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L’autore è Reza Aslan, americano di origine iraniana: si tratta di uno studioso di storia delle religioni e anche professore di scrittura creativa all’Università della California. Già autore di un best seller sull’Islam (“No god but God: The Origins, Evolution, and Future of Islam”, del 2005), Aslan ha da poco dato alle stampe una storia di Gesù, con l’esplicito intento di collocare la sua vicenda e la sua figura nel contesto economico e politico della Palestina dell’epoca. Niente di nuovo sotto il sole, se non fosse che Aslan, musulmano, venne invitato a presentare il suo lavoro in una trasmissione di Fox News, il network di riferimento dei conservatori statunitensi (di fede repubblicana).

L’intervistatrice, Laureen Green, pose una domanda in fondo legittima: “Che interesse ha un musulmano a scrivere un libro su Gesù?”.

Reza Aslan, calmo, senza scomporsi, le ha spiegato di essere “uno studioso delle religioni, con quattro lauree, inclusa una sul Nuovo Testamento, e un esperto di greco biblico che ha studiato le origini del cristianesimo per vent’anni, oltre ad essere, sì, musulmano”. La presentatrice, però, non ha mollato e ha continuato a porgli la stessa domanda, suggerendo che lo studioso abbia espresso nel libro opinioni basate sulla sua fede e non sulle sue competenze accademiche.

Il caso scoppiò quando il filmato venne diffuso sul sito internet di Buzzfeed il 26 luglio e visto finora quasi 5,5 milioni di volte, creando forte imbarazzo alla Fox News:

http://www.buzzfeed.com/andrewkaczynski/is-this-the-most-embarrassing-interview-fox-news-has-ever-do

Il 16 luglio era uscito il libro e subito dopo l’intervista è balzato alle vette nella vendita, con un incremento del 35%, raggiungendo il primo posto in classifica. Sono subito ristampate altre 50.000 copie per fare fronte alla domanda.

Ma in fondo di cosa parla questo libro?

Esso va alla ricerca della figura storica di Gesù: non il figlio di Dio raccontato nei Vangeli, ma l’ebreo analfabeta del povero villaggio di Nazareth, che chiamò il suo popolo a ribellarsi all’occupazione romana e ai sacerdoti del Tempio. Le sue fonti sono libri, articoli e ricerche di altri studiosi e documenti storici dell’epoca (il 30 per cento di Zealot è dedicato alle note e alla bibliografia).

L’autore ha spiegato che il suo intento è “divulgare contenuti che risulteranno già noti agli studiosi della Bibbia e diffonderli presso un pubblico più vasto di quello accademico. Il risultato — nota — è che, da una parte, c’è chi trova il mio libro controverso e scioccante e dall’altra chi lamenta che non c’è niente di nuovo”.

In realtà alcuni esperti del Nuovo Testamento, scrivendo sull’«Huffington Post» e sul «New York Times», gli contestano certe ingenuità, ma gli riconoscono pure l’abilità nel ricostruire e raccontare il contesto storico in cui visse Gesù. Una contestazione era che, secondo Aslan, dopo la morte di Gesù i cristiani sopravvissero in un filone greco che fece capo a Paolo e in uno che in Palestina riconobbe la leadership di Giovanni. Una ulteriore ingenuità era anche quella di affermare che “sarebbe stato “pressoché impensabile” per un ebreo di trent’anni non essere sposato”.

Di certo, il libro di Aslan contraddice diversi insegnamenti del Nuovo Testamento. Il suo Gesù non è figlio di una vergine, ma (forse) di una madre single; ha diversi fratelli e sorelle e (forse) una moglie; ma soprattutto non è morto per i nostri peccati, ma è stato eliminato perché era un rivoluzionario nazionalista, che voleva sovvertire l’ordine religioso, economico e politico. L’autore ha poi spiegato che “non è un attacco al cristianesimo”, sottolineando che sua moglie è cristiana, come pure sua madre. Né il suo Gesù è quello dell’islam. «L’islam non crede che sia stato crocifisso, ma è morto quasi sicuramente così. E l’islam crede che sia figlio di una vergine…».

Nato in Iran 41 anni fa, Aslan è giunto negli Stati Uniti con i genitori dopo la rivoluzione islamica. La sua famiglia era musulmana, ma si era allontanata dalla religione e lui, a 15 anni, scoprì Gesù durante un campo estivo. Abbracciò il cristianesimo — racconta — “sia perché “Gesù era l’America”, mi consentiva di essere assorbito nella società americana, sia perché rispondeva al bisogno spirituale che sentivo”. Più tardi, studiando la storia delle religioni, si è riavvicinato e convertito all’islam. “I simboli e il linguaggio dell’islam hanno senso per me, ma mi rendo conto che altri si riconoscono di più in altre religioni. Tuttavia scaviamo tutti alla ricerca dell’acqua… e alla fine è la stessa acqua”. Ai suoi figli, due gemelli, lui e sua moglie, l’imprenditrice Jessica Jackley, stanno insegnando i valori di entrambe le religioni. “E quando si tratta di raccontare le storie, gliele racconteremo tutte”.

E’ interessante osservare che, secondo lui, contrariamente a chi poteva sospettare, le maggiori reazioni a lui ostili furono mossi da gruppi anti-musulmani d’America, cresciuti sotto Obama più che con Bush.

Altra cosa sorprendente è stata che non poche reazioni della gente comune alla sua intervista sono state positive e non pochi gli hanno espresso la loro solidarietà, fino ad affermare che alcuni hanno rafforzato la loro fede cristiana. Certo, gli atei leggeranno nel suo libro la prova che quell’uomo non era Dio. “Ma in fondo è da sempre il destino di Gesù significare cose diverse per diverse persone”.

Aslan spiega di essere sempre stato molto attratto dal Gesù rivoluzionario, un uomo a tal punto pericoloso per l’Impero Romano da essere torturato e crocifisso, una pena che all’epoca si comminava solo a chi davvero metteva in pericolo la stabilità della regione. “Il Gesù della storia – ha detto – sarebbe stato un pessimo repubblicano”. Ma anche qui non c’è nulla di nuovo, solo l’antica tentazione che sant’Agostino rinfacciava ai pelagiani (“Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio e non nel dono della Sua persona”), il vizio di trarre la lezione “politica” dal fatto di Cristo dimenticando il mistero dell’incarnazione di Dio. Un certo Joseph Ratzinger ha scritto pagine molto interessanti in proposito.

Questa è la succinta cronaca di questi giorni.

Non avendo il libro non posso entrare nel merito, se non confermare appunto il costante interesse verso la figura di Gesù, anche fuori della componente teologica, che resta ancorata alla fede del credente.

Ho però notato che costantemente l’autore si riferisce alla Palestina come la regione in cui visse Gesù e questo ha creato una forte polemica da parte di un brillante giornalista ebreo di nazionalità canadese, Simcha Jacobovici, il quale ha postato un interessante servizio sulla storia dello stesso nome Palestina.

Mi sono permesso di tradurre liberamente il suo articolo, con numerose informazioni storiche non molto note.

(continua)


Inviato

Il nome Palestina (di Simcha Jacobovici)

Condanno il richiamo alla religione islamica di Reza Aslan quando parla del suo nuovo libro su Gesù, "Zelota: La vita e i tempi di Gesù di Nazareth". Penso che non esiste spazio per la propaganda quando si rivede la storia. Nessuno è oggettivo. Ma possiamo cercare di essere sinceri.

Mettendo da parte la tesi del suo libro e cioè che Gesù era un rivoluzionario ebreo anti-romano, in tutte le sue interviste, Aslan deraglia quando si riferisce alla Giudea di Gesù, ossia alla la terra degli ebrei, come "Palestina". Egli avvolge il nome "Palestina" con una patina di storia. Circa il suo uso del nome "Palestina" per l'antica "Giudea", la sua risposta è che ha usato la "denominazione romana" per quell’area. Secondo Aslan, questa designazione è stata "Siria-Palestina". Questo è assolutamente sbagliato e dimostra un certo cinismo, quando si manipola la storia a fini ideologici.

Diamo un'occhiata a questa parola "Palestina". Da dove proviene?

Nel 13° secolo a.C., gli Egiziani parlano di "Popoli del Mare" che dal Mar Egeo arrivarono sulla costa del Mediterraneo. E 'ampiamente accettato che uno di questi "Popoli del Mare" sono le persone che la Bibbia, in ebraico, chiama "Plishtim". In italiano si chiamano "Filistei". Essi occupavano un'area sulla costa mediterranea da Gaza verso nord, ad Asdod e verso l’interno alla città di Gath (quest'ultima ancora non ritrovata).

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Pentopoli filistea (le città abitate dai Filistei sono in rosso)

Queste erano le persone di Dalila e di Golia. Erano quindi un popolo egeo che proveniva dalla zona della moderna Grecia.

L'archeologia dimostra che quando sono arrivati, intorno al 1200 a.C., sono stati - per la dieta, l'arte e le abitudini – un popolo fondamentalmente greco. Somigliavano, per dire, alla gente di Creta o di Micene.

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Una donna filistea ricostruita da un cranio dell’ottavo secolo a.C.

Il Libro dell'Esodo si riferisce a un corridoio di terra lungo il Mediterraneo come "Derech Plishtim", cioè "l'autostrada dei Filistei" (Esodo 13:17). In questo brano, il nome sembra essere generico. In altre parole, nella tarda età del bronzo, diciamo, 1500 a.C., "filisteo" sembra essere un termine generico per le persone egee che noi oggi chiameremmo come Minoici e Micenei.

Fin qui, tutto bene. C’è stato un popolo egeo chiamato "filistei" nella zona del moderno Israele dal 1500 a.C. circa, quando giunsero inizialmente come commercianti, al 1200 a.C., quando vi si stabilirono, e al 7° secolo a.C., quando scomparvero a seguito dell'invasione assira nella zona. Durante i 500 anni che vi abitarono, sono diventati sempre più "Cananei". Durante il periodo dei Giudici (dal 14° al 10° secolo a.C.) erano gli acerrimi nemici degli Israeliti.

Dopo che i Filistei sono scomparsi dalla scena storica, perdurò il nome "Palestina" (da terra dei Plishtim). Esso appare sporadicamente nei riferimenti classici greci, come Erodoto. Nel tempo in cui nacque Gesù nella zona non c'era alcun Filisteo da circa 600 anni. Il nome Palestina non appare in nessuna parte dei Vangeli. E le persone che vissero in Giudea al tempo di Gesù - compresi Gesù e tutti i suoi discepoli - non avrebbero mai denominato il loro paese come "Palestina". Anche i Romani non chiamarono la zona palestinese. Ricordate, quando lo crocifissero, i Romani misero una targa sopra la testa di Gesù con la scritta - in tre lingue - "Re dei Giudei", non "dei Filistei" (Matteo 27:37, Marco 15:26, Luca 23: 38; Giovanni 19:19).

Circa 35 anni dopo la crocifissione, circa 4 anni dopo la lapidazione di Giacomo, fratello di Gesù, nell'area della Giudea scoppiò una massiccia rivolta ebraica contro Roma. Il paese ha combattuto dal 66 al 70 d.C.. Nel mese di agosto del 70 venne distrutta Gerusalemme, la capitale della Giudea. Il Tempio di Dio, che durava da circa 1000 anni in due incarnazioni, era ormai ridotto a un mucchio di rovine fumanti. Questo era il tempio che Gesù pianse quando ha immaginato la sua distruzione (Luca 19:41). Giudea combattè per altri 3 anni presso la fortezza rocciosa di Masada e il Mar Morto. Poi, nel 73, come i Romani stavano per conquistare la fortezza, piuttosto che diventare schiavi romani, gli ultimi difensori ebrei uccisero sé stessi e le loro donne e bambini.

A questo punto, i romani ritennero che non ci fosse nessuno in Giudea disposto a rifare la rivoluzione. Si sbagliarono. Dal 115 al 117, gli ebrei – soprattutto fuori della Giudea - combatterono una dura guerra contro i Romani. I principali centri della rivoluzione furono Alessandria d'Egitto, Cirene (nella moderna Libia) e Cipro. La rivolta ebraica fondamentalmente salvò l'impero dei Parti da un attacco romano. Dopo che hanno leccato le ferite, nel 132 gli ebrei di Giudea ancora una volta entrarono in rivolta - questa volta sotto un leader chiamato "Bar Kochba" cioè, "il figlio della stella". Quando la rivolta di Bar Kochba fu finalmente annientata nel 135, i Romani esiliarono la maggior parte del popolo ebraico e solo allora rinominarono Giudea come "Palestina". Per essere chiari, "la Siria Palestina" è diventata ufficialmente una provincia romana circa un secolo dopo la crocifissione di Gesù. L'idea era di cancellare la presenza ebraica dalla Giudea, designando la loro patria con il riferimento ai loro nemici biblici. Fu una ultima umiliazione.

Ad essere chiari, non c’erano allora i filistei al momento.

L'area della Palestina non divenne mai uno stato indipendente.

Nel 7° secolo d.C. fu conquistata dagli eserciti musulmani battagliando con i crociati cristiani per la "Terra Santa". Queste sanguinose battaglie sono ora ricordate come le "Crociate". Nei tempi moderni, la provincia di Palestina passò dai turchi ottomani ai britannici. Dopo la seconda guerra mondiale, l'area è stata divisa in due Stati - uno arabo e uno ebraico. Nel 1947, l'80% della Palestina del mandato britannico - la zona a est del fiume Giordano - divenne il moderno stato di Giordania. Un anno dopo, il 20% della Palestina controllata dai britannici divenne ciò che è oggi lo Stato di Israele e i territori palestinesi.

Ma per tornare ad Aslan, c’è un gioco di parole, vero?

Se gli inglesi avessero chiamato l'area a est del fiume Giordano come "Palestina" al posto di "Transgiordania", cioè, "oltre il Giordano", nessuno oggi può dire che non c'è stato palestinese. Se voi scrivete un libro su Gesù e chiamate il suo paese col nome che lui lo chiamò, cioè "Giudea", gli eserciti di attivisti anti-israeliani possono arrabbiarsi con voi. Così Aslan chiama l’antica Giudea col nome "Palestina" e si nasconde dietro il riferimento alla "denominazione romana" per la provincia.

Questo è molto cinico. E molto cinico sfruttare la storia degli egei Filistei di 3200 anni fa, utilizzando riferimenti al loro nome, e la provincia romana del II secolo dC. E molto cinico mettere retroattivamente i moderni arabi palestinesi nel mondo ellenistico-ebraico di Gesù.

Ma vuoi che i Romani abbiano chiamato la Giudea come la "Palestina" al tempo di Gesù – il che non è così - perché mai uno scrittore concentrandosi su Gesù come un patriota ebreo vale a dire, uno zelota, voglia chiamare il paese di Gesù dal nome usato dai suoi nemici? E 'come se avessi scritto un libro su un eroe nativo americano e continuavo a riferirmi a lui come a un "indiano", perché è quello che i bianchi lo chiamavano.

Professore Aslan, hai ragione a denunciare l'uso della propaganda contro di voi. Ma, come si dice, fare agli altri ciò che vorresti che facessero a te. Ai tempi di Gesù, il suo paese fu chiamato Giudea, e la designazione generale per la terra era "Israele" - come lo è oggi.

Si può discutere di politica, ma cerchiamo di non cambiare la storia in base alle nostre opinioni.

Mia nota:

ovviamente questo servizio trapela il ben noto astio degli ebrei verso i musulmani (e viceversa), ma in effetti bisogna essere sempre molto attenti quando si vuole ricorrere a corretti contesti storici.

Una cosa è la storia e una cosa è la politica.

Anche nel campo numismatico bisogna sempre avere un corretto approccio verso la storia, cercando di contestualizzare le monete quando possibile.


Inviato

Nel 7° secolo d.C. fu conquistata dagli eserciti musulmani battagliando con i crociati cristiani per la "Terra Santa". Queste sanguinose battaglie sono ora ricordate come le "Crociate".

???

Ma uno che scrive una roba del genere gli danno ancora il permesso di farsi chiamare giornalista? :D

  • Mi piace 1

Inviato

Infatti questi brevi resoconti offrono anche l'idea su come viene divulgata la cosiddetta cultura....

E' facile scrivere degli sproloqui, magari in nome della stessa cultura e creare casi letterari, con successo e denaro.

Non a caso Reza Aslan è già stato definito in USA come il Dan Brown islamico......

Povera cultura!


  • 2 settimane dopo...
Inviato

???

Ma uno che scrive una roba del genere gli danno ancora il permesso di farsi chiamare giornalista? :D

Con buona pace di Alessio Comneno, di Urbano II e del Concilio di Clermont...


Inviato

Non ho parole....


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