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DE GREGE EPICURI

Su questo denario (3,3 g. e 17,5 mm) in realtà ho più di una domanda, ma anzitutto lo descrivo. E' di L.VALERIUS ACISCULUS, e viene classificato come Varesi 601 e Cr 474/1a (45 a.C.) Al D la testa di Apollo Sorano verso dx., e in alto una stella; dietro l'acisculus, che dale foto sembrerebbe essere un martelletto (ma usato per che cosa?), e la parola ACISCULUS. Al R. la scritta L.VALERIUS in esergo; sopra, Valeria Luperca su una giovenca, verso dx. Di questa Valeria Luperca, e della sua storia narrata da Plutarco, non so nulla.Chi me la racconta?

E Apollo "Sorano" è un Apollo speciale?

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Modificato da gpittini

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Sul Monte Soratte doveva essere adorato, da parte di queste popolazioni, il dio Soranus, in seguito identificato con Apollo[3], o con Dis Pater[4].

L'Ascisculus direi che è l'accettino rappresentato al dritto, che somiglia molto al cosiddetto "maleppeggio" odierno


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Per comprendere appieno la valenza di questa iconografia in relazione alla famiglia cui apparteneva il magistrato, bisogna prendere il discorso un po' alla lontana, sfruttando principalmente i preziosi contenuti di un'opera di Del Ponte (La Religione dei Romani - capitolo V, 1 - I poteri taumaturgici dei Valerii: il destino di Roma e l'origine dei Ludi Secolari).

Nel Factorum et Dictorum Memorabilium di Valerio Massimo (II, 4, 5) viene narrata la vicenda di Valesius, un facoltoso agricoltore sabino che visse in un tempo non ben precisato ma comunque riconducibile al periodo della monarchia etrusca e dei suoi figli, che caddero improvvisamente ed inspiegabilmente malati, senza speranza di guarigione. Valesio, assorto nelle preghiere agli dei e confidando in un loro intervento utile alla guarigione dei figli, udì improvvisamente una voce misteriosa che lo invitava a portare i figli fino a Taranto, ove avrebbe dovuto riscaldare le acque del Tevere sull'ara delle divinità infere Dite e Proserpina.
Perplesso ed incapace di comprendere appieno il senso delle istruzioni ricevute, caricò i figli su una chiatta che discendeva il corso del Tevere verso il mare ed ormai a notte fonda fece tappa approdando lungo la sponda settentrionale del Campo Marzio, nel medesimo punto ove il conduttore della chiatta segnalò, in un luogo prossimo alla riva, delle inspiegabili esalazioni di fumo provenienti dalla nuda terra. Sceso dall'imbarcazione Valesius apprese da un pastore che quel luogo si chiamava Tarentum (o Terentum), una zona paludosa e ricca di esalazioni vulcaniche, che i locali consideravano un descensus ad inferos. Constatata la condiscendenza divina, l'agricoltore raccolse l'acqua del Tevere, la scaldò e la diede da bere ai figli, che dopo essersi addormentati si risvegliarono ormai guariti, rivelando al padre di aver sognato un uomo "grande e splendido", intento a detergere i loro corpi, che li invitò a sacrificare ed a celebrare una cerimonia notturna con canti e danze in quel preciso luogo, presso l'altare di Dite e Proserpina. Valesio diede dunque immediata disposizione di scavare una fosse utile alla fondazione del nuovo altare, ma alla profondità di venti piedi fu ritrovata un'ara già costruita, dedicata proprio a quelle due divinità. Vennero dunque qui sacrificati animali neri agli dei inferi e si celebrarono ludi per tre giorni, tanti quanti erano i figli guariti dalla benevolenza degli dei.

Secondo la tradizione, l'altare dissotterrato da Valesisu venne eretto dai Romani molto tempo prima, quando erano in procinto di scontrarsi con gli Albani e su specifico ordine di una gigantesca figura apparsa sul campo di battaglia , vestita con una pelle nera, che gridò di sacrificare alla divinità infernali prima dello scontro.
Eretta un'ara sotterranea i Romani procedettero coi sacrifici ed una volta terminata la cerimonia seppellirono l'altare venti piedi sotto la superficie (circa sei metri).
Il ricco agricoltore Valesius lo aveva riscoperto, aveva rinnovato le cerimonie sacrificali e la festa notturna e perciò da quel momento venne chiamato Mannio (dagli dei Mani) Valerio (da valere, guarire) Tarentino (dal luogo).

Dopo la cacciata dei re entrò in scena un altro illustre esponente di questa famiglia, Publio Valerio Publicola che, scoppiata una inarrestabile pestilenza in Roma, decise di dissotterrare nuovamente l'altare, di sacrificare un toro ed una giovenca neri, per poi ricoprire nuovamente l'ara. In concomitanza con la cruenta cerimonia Publicola decise di indire giochi e festeggiamenti, dando origine alla tradizione dei Ludi Secolari (in questo periodo chiamati Ludi Tarentini). Secondo Censorino (17, 7) siamo nel 509-508 a.C. (primos enim ludos saeculares exactis regibus post Romam conditam annos CCXLV a Valerio Publicola institutos esse)

E' opportuno ricordare, citando Jean Bayet, l'origine ed il significato magico-religioso dei ludi: "le corse ed il rapido calpestio del suolo hanno il potere di evocare le forze sotterranee; la competizione sprigiona le virtù più assolute e permette il migliore rinvigorimento del divino. I culti agrari e guerrieri devono basarsi anche su questi valori; anche quello dei morti". Nello specifico, i Ludi Secolari, nati allo scopo di propiziare le divinità infere, andarono col tempo ad assumere una connotazione paragonabile a quella di un contratto sancito con tutti gli dei ed utile alla prosecuzione del dominio romano, rinnovato allo scadere ritualizzato di ogni saeculum.

I Ludi Tarentini promossi da Publicola divennero tuttavia Secolari solo nel 249 a.C., quando nel corso della Prima Guerra Punica i Libri Sibillini oracolarono l'introduzione ufficiale del culto di Dite e Proserpina, da officiare presso il Tarentum e collegandoli alla nozione di saeculum. Queste due divinità entrano a far parte del pantheon romano in pieno periodo repubblicano, dunque le fonti prima citate ci forniscono tali nomi divini quale frutto di una tarda interpretazione: il Dite e la Proserpina menzionati nel leggendario racconto di Valesius sarebbero in realtà due altre divinità, più arcaiche e proprie di una realtà sociale differente da quella romana vera e propria (Valesio era un ricco agricoltore sabino).

Finalmente arriviamo alla nostra famosa Valeria Luperca.

Nella città sabino-falisca di Falerii scoppiò l'ennesima pestilenza ed un oracolo ordinò il sacrificio propiziatorio annuale di una vergine. Valeria Luperca, la "prescelta" di quell'anno, si stava avviando verso l'altare, quando un'aquila apparsa dal cielo strappò la spada sacrificale del carnefice facendola ricadere su una giovenca che stava pascolando nella vicinanze e deponendo poi sulle offerte un bastone recante all'estremità una martellina (il nostro acisculus). La vergine sacrificò la giovenca ed una volta raccolta la martellina girò casa per casa e toccando con l'arnese ricevuto dagli dei gli infermi li fece alzare, guarendoli, pronunciando la parola "vale".
Questa Valeria e però anche Luperca e quest'ultimo nome ci fa tornare alla mente il rito di lustrazione dei Lupercalia, famosissimo ed importantissimo presso i romani, ove un'altra famiglia di origini sabine, i Fabii, ricopriva un ruolo di grande rilievo. Nel nostro caso tuttavia i Luperci non sono né i Fabiani e neppure i Quinziali, così come va ricercata una diversa origine dei lupi dai quali ci si doveva difendere.
La città di Falerii infatti non è Roma e sorgeva ai piedi del Monte Soratte, sulla cui cima sorgeva un importantissimo santuario dedicato a pater Soranus, una figura estremamente misteriosa e non ancora ben compresa ed inquadrata dagli studiosi, sommariamente interpretata come un Apollo infero.
Per nostra fortuna abbiamo maggiori informazioni sui suoi sacerdoti, gli hirpi Sorani, ovvero i "Lupi di Sorano", che dovevano vivere "di rapina" e a cadenza biennale dovevano celebrare una particolare cerimonia che li voleva in grado di camminare a piedi nudi su carboni ardenti (Plinio, Naturalis Historia, VII, 19).

Dai Commentarii in Vergilii Aeneidos libros di Servio (XI, 785) possiamo ricavare qualche informazione in più circa l'istituzione del culto e del sacerdozio di Sorano. Un giorno, mentre si stava sacrificando a Dite sul Monte Soratte, dei lupi si avventarono sulla carne destinata alle offerte e la rubarono fuggendo di corsa. Dei pastori li inseguirono fino a raggiungere l'ingresso di una caverna, dalla quale si sprigionava un alito pestilenziale che causò un'epidemia. Anche in questa occasione il dio comunicò con gli uomini, ordinando loro di comportarsi come lupi al fine di far cessare la piaga. Così nacquero gli hirpi Sorani, che provvedevano al loro sostentamento depredando come fanno i branchi di lupi.
Il legame di questi animali col mondo infero è altresì ben noto (dalla varie divinità infernali che indossano una pelle di lupo al ruolo dello stesso lupo in ambito religioso etrusco), così come, grazie a Servio, è possibile confermare che il romano pater Ditis ha ricalcato l'identità di quel pater Soranus venerato dai "lupi del Soratte". E' plausibile ipotizzare che il sacrificio di Valeria Luperca fosse destinato proprio a Sorano, così come la medesima identità è attribuibile all'uomo "grande e splendido" o "vestito con una pelle scura" apparso ai figli di Valesius ed a Romani ed Albani.

Risparmiandovi la parte sulle paredre, per completezza cito solo Feronia quale compagna di Sorano (poi identificata come Proserpina, compagna di Dite).

Dritto e rovescio di questo denario sono quindi un vero e proprio racconto del mito storificato riguardante la gens Valeria e le sue origini.

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L'Ascisculus direi che è l'accettino rappresentato al dritto, che somiglia molto al cosiddetto "maleppeggio" odierno

Concordo, anche se si potrebbe allargare il termine anche al piccone odierno, secondo me.

In ogni caso la traduzione si riferisce ad una piccola ascia e quindi, il malepeggio, è più consono.

Solo una domanda...è la prima volta che vedo una moneta con su scritto un termine che si riferisce ad un oggetto, ma è frequente?

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Concordo, anche se si potrebbe allargare il termine anche al piccone odierno, secondo me.

In ogni caso la traduzione si riferisce ad una piccola ascia e quindi, il malepeggio, è più consono.

Solo una domanda...è la prima volta che vedo una moneta con su scritto un termine che si riferisce ad un oggetto, ma è frequente

Credo che il termine si riferisca ad un qualche soprannome del monetario, sulla falsariga del soprannome di Caligola...ma non ne so abbastanza.


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Credo che il termine si riferisca ad un qualche soprannome del monetario, sulla falsariga del soprannome di Caligola...ma non ne so abbastanza.

:good: giusto! Può essere. In ogni caso un soprannome in un documento ufficiale è abbastanza singolare, altresì, sarebbe consono se il monetiere fosse stato di origine servile...

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Inviato (modificato)

Infatti si ritiene che ACISCULUS fosse il cognomen del monetario. La raffigurazione dello strumento è allora un "tipo parlante", cioè la figura rinvia alla scritta, non viceversa.

L' indicazione del cognomen è molto frequente, sulle monete repubblicane. Persino Caesar è un cognomen. Non dimentichiamo che i cognomina erano tutti "soprannomi" in senso moderno, anche se avevano una valenza più pregnante in quel sistema, tanto che alcuni diventavano ereditari e, di questi, alcuni finivano a individuare un ramo separato della gens, come gli Scipiones.

Anche l' uso di un "tipo parlante" è abbastanza comune.

Qui la particolarità, semmai, consiste nel fatto che il monetiere è riuscito a coniugare un "tipo parlante" del suo cognomen con un simbolo della sua tradizione gentilizia.

Poi non sappiamo se il soprannome derivasse proprio dall' oggetto, e quindi magari dal racconto della mitica vergine, oppure fosse una semplice assonanza ...

Modificato da L. Licinio Lucullo

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Acisculus è un diminutivo; propriamente dovrebbe esserlo di Acus (ago), ma evidentemente indica quel martellino con una estremità allungata ed appuntita che ben si vede nella moneta.

In latino abbiamo Acus (ago, spillone), acies (punta, ma anche filo tagliente, acutezza visiva, etc), in greco abbiamo AKE (punta), in italiano ovviamente acuto, etc.

Termini che derivano da una radice indoeuropea AK che indica il penetrare.

Forse l'acisculus era uno strumento utilizzato in qualche particolare lavoro, forse era un oggetto utilizzato in cerimonie religiose.

Come avete detto era il cognomen del monetario.

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Sono assolutamente concorde nel considerare Acisculus il cognomen del monetario. La cosa strana era appunto il fatto che fosse riuscito ad amalgamare il uso cognome con uno strumento. Particolare.

La differenza tra cognomen e soprannome, in ogni caso, esiste.

E' buffo notare come il nostro Acisculus avesse coniato moneta nel 45 a.C., ossia l'anno nel quale Cesare promulgò la Lex Iulia Municipalis che definiva ufficialmente l'onomastica completa del cittadino, il famoso tria nomina, anche se ufficiosamente accadeva già da tempo.

Quindi: Lucius era il prenome, il nome proprio; Valerius era il nome, o gentilizio e in questo caso, Valerius è uno dei gentilizi più famosi; infine, il cognome, ossia un soprannome non ufficiale che identificava con maggior precisione una persona e questo richiamava caratteristiche fisiche, mentali, caratteriali ecc ecc.

Come dicevo prima è simbolico pensare al cognome che si afferma lentamente dal periodo di Silla prima nei liberti, che trasformavano il loro nome personale (e unico) nel cognome (e difatti c'è da ricordare come gli schiavi avevano appellativi come i suddetti) e solo in seguito il loro uso venne generalizzato da tutti i cittadini, quasi ad emulare, diventando regolari esattamente nel periodo in questione.

L'elemento al quale prima mi riferivo, ossia al soprannome (supernomina) si afferma nel II d.C. e si aggiungerà quando oramai i nomi, i gentilizi e i cognomi saranno tutti uguali e si assisterà ad una ricerca di ulteriori parole per identificare una persona.

Comunque, digressione onomastica a parte, a me questa cosa affascina sempre... :D così come Florus di Augusto che si firma con un fiore...

La cosa che mi fa stranire è che il "nostromo" era fissato...basti vedere la sua monetazione piena di picconi... :D fino ad arrivare ad una moneta con il solo piccone...http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G321/10 quasi a ricordare come lui fosse un lavoratore, un vero lavoratore venuto di quelli che oggi diremmo "venuti dai campi".

Scusatemi ma questa monetina mi ha proprio fatto sognare... :lol:

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