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Inviato

Bolskan attualmente Huesca, parte della comunità autonoma dell'Aragona.
Villaggio di Ilergetes Ibero sotto l'influenza romana.

Peso: 4,10gr

coniato nella seconda metà del S. II C

Recto: testa barbuta a destra dietro iberici lettere bon. Perline punti.

Reverse: Cavaliere destra lancer. Sotto Bolskan iberica leggenda on line esergo. bordatura lineare

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Inviato

DE GREGE EPICURI

Che cosa significa : S II C ? secondo secolo avanti Cristo? Moneta molto bella, non sapevo che BOLSKAN oggi fosse Huesca e si trovasse in Aragona.


Inviato (modificato)

In effetti il tipo é piuttosto longevo (almeno dalla prima metà del II sec. a.C fino alle guerre di Sertorio), non é esclusivo dell'argento ma lo si trova anche sul bronzo, ed é estremamente diffuso in tutta la citeriore, dove é la legenda in celtiberico che identifica i vari centri di emissione.

A titolo di esempio tre bronzi (mi scuso per la qualità delle foto) rispettivamente di Kelse (Velilla del Hebro), Bolskan (Huesca, come il pezzo postato), e Sekaisa (Poyo de Mara). I pesi sono, nell'ordine di 18,76, 8,66 e 8,57 grammi, per dare un'idea delle dimensioni affiancate ad un pezzo d'argento di Bolskan.

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Serie un po' monotone, ma estremamente interessanti.

Personalmente ho una certa difficoltà a considerarle "romane"... Si tratta a tutti gli effetti di emissioni indigene.

Modificato da g.aulisio
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Inviato

Essi iberica monete, ma le persone che sono già sotto il dominio romano


Inviato (modificato)

Certamente i romani scorrazzavano nel territorio, ed il peso politico-militare romano era certamente molto influente. Ma d'altro canto non si tratta di emissioni effettuate dall'autorità statale romana, né da sue articolazioni coloniali: sono emissioni di entità statali che politicamente in quel periodo erano "alleate" con i romani, subendone la pressione politico militare e/o per convenienza.

Ma restano pur sempre emissioni locali e non romane.

Per fare un parallelo storico: definire queste emissioni in quanto "romane" è un po' come definire le emissioni della Repubblica Italiana come "coloniali statunitensi", in virtu' della presenza militare americana in Italia, dell'adesione dell'Italia ai patti di alleanza con gli USA, e dell'influenza politica esercitata dagli Stati Uniti sul nostro paese nel secondo dopoguerra.

(Per par condicio: non possiamo definire le emissioni della DDR come "sovietiche"... :) )

Modificato da g.aulisio
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Inviato

L'ho messo in questa sezione perché ho pensato che fosse il più simile. Ma nella descrizione e ha detto che era moneta che fu coniata sotto l'influenza di Roma, non era moneta romana.

Se pensi che questo non è il vostro sito quindi spostare il filo alla valuta estera
o altre monete antiche


Inviato

Non c'é nessun problema per il luogo in cui é stata postata la discussione. L'importante é che si... discuta!

Il mio commento era relativo all'autorità emittente delle monete, non alla discussione in cui é stato inserito il post :)

Awards

Inviato (modificato)

Certamente i romani scorrazzavano nel territorio, ed il peso politico-militare romano era certamente molto influente. Ma d'altro canto non si tratta di emissioni effettuate dall'autorità statale romana, né da sue articolazioni coloniali: sono emissioni di entità statali che politicamente in quel periodo erano "alleate" con i romani, subendone la pressione politico militare e/o per convenienza.

Ma restano pur sempre emissioni locali e non romane.

Per fare un parallelo storico: definire queste emissioni in quanto "romane" è un po' come definire le emissioni della Repubblica Italiana come "coloniali statunitensi", in virtu' della presenza militare americana in Italia, dell'adesione dell'Italia ai patti di alleanza con gli USA, e dell'influenza politica esercitata dagli Stati Uniti sul nostro paese nel secondo dopoguerra.

(Per par condicio: non possiamo definire le emissioni della DDR come "sovietiche"... :) )

Perdonami: sono convinto anch'io che fosse monetazione locale, ma per ragioni differenti dalle tue.

Non mi sembra corretto, infatti, negare la natura di emissione provinciale sulla base dell'autonomia giuridica delle comunità emittenti, come appunto traspare dal paragone con l' "impero" statunitense o sovietico. Questo modo di pensare, infatti, è strettamente connesso con l'idea che abbiamo noi dello Stato, entità sovrana (= totalizzante) radicata su un territorio definito. Secondo questa idea, esiste un collegamento biunivoco tra luoghi e Stati: Dresda era sicuramente DDR, e altrettanto sicuramente non era URSS.

Questa idea socio-politica, però, è sorta poco alla volta dopo la Pace di Westfalia; nell'antichità non esisteva. Durante la Repubblica romana, in particolare, il diritto aveva natura personale, non territoriale, con l'ovvia conseguenza che l'apparato giuridico romano "seguiva" i cittadini romani. Non esisteva un confine [il pomerium era un "confine" solo sacrale, l'ager Romanus delimitato a soli fini di diritto privato, non di diritto pubblico, e l'idea del limes, che forse non esisteva neppure - è molto discussa in dottrina - non impediva ai Romani di considerarsi padroni anche del mondo al di là di esso].

Il profilo giuridico-formale non aiuta, quindi, a delimitare lo "Stato" romano. Gabii, città latina a 20 km da Roma, da sempre fedele alleata dell'Urbe, era formalmente all'estero (lo possiamo dire con sicurezza, perché l'ager Gabinus era considerato ager peregrinus); Mutina (Modena), colonia di diritto romano a 400 km da Roma, era formalmente un quartiere dell'Urbe.

In questo contesto giuridico, è errato pensare alle provinciae come ad articolazioni di uno Stato. Giuridicamente, la provincia era l'ambito di competenza in cui un magistrato cum imperio poteva appunto esercitare il suo imperium: talvolta la provincia era delimitata sul piano funzionale (pensiamo all'incarico di sconfiggere la pirateria, conferito a Pompeo), talatro sul piano territoriale; a questo secondo caso corrisponde la "provincia" così come la concepiamo noi, ma - ripeto - giuridicamente essa non era un'articolazione politico-amministrativa (come le nostre Regioni), bensì solo l'ambito entro cui un magistrato (il governatore) era stato incaricato di esercitare il suo imperium (fermo restando che non perdeva l'imperium se anche, illegittimamente, varcava i confini della provincia: esso decadeva unicamente all'interno del pomerium). Aggiungiamo che l'imperium è, in origine, un potere di natura sacrale-militare (che si trasfonde nell'ambito giuridico, come attesta la mutazione di significato dalla parola "populus", in origine significante "esercito") ed ecco roveciata l'ottica di Aulisio: su un piano formale, il rapporto tra le Hispaniae e Roma era più simile a quello della DDR (nei confronti di Mosca), che non a quello della Cecenia.

Nei fatti, il simbolo del giogo romano sulle comunità allocate in una provincia era l'imposizione del tributo, ma sul piano giuridico-formale esse non facevano parte dello "Stato" romano, quale che esso fosse (l'unificazione giuridica dell'impero si avrà solo con l'editto di caracalla del 212 d.C., e sarà realizzata estendendo a tutti i cittadini liberi la cittadinanza romana). Quindi, formalmente, erano comunità "autonome": mentre Dresda era DDR e non era URSS, la Sicilia orientale invece era un po' Lylibaeum un po' Roma: dipende a quali fini si esegue l'analisi.

... ...

Che risvolti ha tutto questo in numismatica?

L'effetto è che non è possibile definire a priori, con scientifica coerenza, quali emissioni debbano essere considerate "provinciali" e quali no.

"Provinciale" significa "della provincia", ma la "provincia" non è una struttura (cui imputare le emissioni), è un ambito territoriale su cui insistono autonomie (formali, ma qualcuna anche fattuale) che emettono moneta.

A questo punto, delle due l'una:

[1] consideriamo "provinciali" tutte le emissioni riconducibili a comunità soggette a Roma (prescindendo dalla difficoltà che spesso non sappiamo quando una specifica città è stata sottomessa, si pensi al caso di molte comunità celtiche della Gallia Cisalpina)

[2] consideriamo "provinciali" le sole emissioni riconducibili al potere romano, classificando come "locali" le altre.

La prima opzione è inattaccabile sul piano logico, ma è di fatto priva di significato sociale e numismatico. Molte comunità (come Bolskan) continuarono a emettere monete che esistevano, pressoché identiche, prima della costituzione della provincia. Che senso ha dire che fino al giorno prima è un'emissione autonoma, dal giorno dopo è un'emissione provinciale?

La seconda opzione sembra più feconda, ma si scontra con la natura magmatica del concetto di provincia. La conseguenza di questa difficoltà di definizione è evidente laddove si debbano scegliere i criteri pratici per discernere tra "locale" e "provinciale". La metrologoia? No, visto che anche le monete provinciali, dovendo essere usate in loco, sono per definizione su piede locale. L'alfabeto delle legende? Questo criterio viene appunto usato per classificare le emisisoni ispaniche, ma non ha valore assoluto. Molte emissioni provinciali/locali sono anepigrafe (si pensi ai bronzi di Panormos e Lylibaeum), e molte emissioni sicuramente riconducibili ai magistrati romani recano l'alfabeto gerco (si pensi ai bronzi di C. Publilius e L. Fulcinnius, questori in grecia). L'iconografia? Questo criterio è ancora più aleatorio: molti tipi, di derivazione greca, sono comuni a monete romane e non romane, e proprio il ritratto presente sui denari di Bolskan verrà adottato anche su un denario romano repubblicano (RRC 532/1 - http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G223/1), e ci sono monete emesse da magistrati romani con tipologia locale, sia in ambitoi provinciale (i cistofori, ad esempio) che "all'estero" (le dracme di Silla, ad esempio).

Il caso emblematico dell'impossibilità di trovare un confine tra monetazione locale e monetazione provinciale è rappresentato, secondo me, dai cistofori.

Il cistoforo era una tetradracma con tipi dionisiaci, emessa a Pergamo a partire dal 200 a.C.; data la sua fortuna, la sua emissione si diffuse rapidamente in molte comunità dell'Asia Minore. Il regno di Pergamo divenne provincia d'Asia solo nel 133 a.C., quindi esistono sicuramente cistofori "autonomi" (nel senso di monete emesse "all'estero", da un'entità statuale pienamente indipendente da Roma). All'estremo opposto, troviamo cistofori emessi sino al 138 d.C., quindi palesemente "provinciali".

Anche in epoca repubblicana furono emessi moltissimi cistofori: forse alcuni di essi erano "locali", ma quelli di Pergamo erano sicuramente "provinciali", perché nei regni orientali esisteva una apparato amministrativo ramificato e omogeneizzante che passava sotto dominio romano, riducendo a mera parvenza giuridica l'autonomia delle comunità locali.

Orbene, nelle emissioni di Pergamo non c'è alcuna modificazione numismatica che attesti il passaggiuo dalle emissione "autonome" a quelle "provinciali". Esistono, sì, alcuni cistofori firmati da magistrati romani (che ne ha parlato anche ahala: http://www.lamoneta.it/topic/94712-provincial-coins-of-the-roman-republic/), ma sono talmente poche emissioni che servono solo a complicare il quadro (ci si chiede infatti: perché quelli sì e molti altri no?).

E qui arriviamo al punto: se è impossibile tracciare un confine tra cistofori "autonomi" e cistofori "provinciali", seppur concettualmente distinguibili (i primi sono quelli che precedono il 133 a.C.), come possiamo sperare di distinguere fra cistofori "provinciali" e cistofori "locali", la cui differenza si basa solo sul grado di autonomia socio-politica della comunità che li ha emessi?

... ...

Per concludere (e scusatemi se Vi ho annoiato), a me le emissioni di Bolskan sembrano un po' come i cistofori. Iniziano come "autonome" e permangono invariate dopo la costituzione della provincia. Se quelle posteriori a tale costituzione le si vuole ritenere "locali" (come penso io) o "provinciali", è questione di scelte classificatorie prive di basi giuridiche, e fondate solo su basi socio-politiche sfuggenti e poco note.

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Inviato (modificato)

Una precisazione: a complicare la situazione, oltre a emissioni "locali" e "provinciali", esistono anche emissioni "imperatoriali" di comandanti militari romani.

Tali emissioni imperatoriali a volte sono (formalmente) monete straniere (come le dracme di Silla o le monete egiziane di Marc'Antonio), altre volte sono (formalmente) monete locali di un'area soggetta a dominio romano (come i cistofori firmati dai magistrati militari o i bronzi emessi da Ottaviano in occidente), altre volte ancora sono a tutti gli effetti monete repubblicane (come la serie legionaria di Marc'Antonio).

Se si considera che anche le emissioni strettamente "provinciali" sono, sul piano formale, emissioni imperatoriali (il governatore della provincia è un magistrato con imperium), mentre per altro verso i magistrati con imperium non sono gli unici a firmare monete (la maggior parte di quelle firmate è firmata da questori e da magistrati coloniae deducendae), si vede come il caos classificatorio sia totale.

Modificato da L. Licinio Lucullo

Inviato

Una volta si diceva che era provinciale, quella monetazione che avesse una legenda greca ed un ritratto imperiale.

Una suddivisione abbastanza condivisa ad oggi, racchiude tre massime categorie di monete:

Quelle "coloniali", cioè prodotte all'interno delle colonie e presentano legende in latino;

quelle " provinciali " che presentano prevalentemente un ritratto dell'imperatore o di un familiare e legenda in greco con rovesci di deità vicine alla città di appartenenza, oppurre ricordavano eventi eccezzionali, tipo visita dell'imperatore, giochi etc;

quele " pseudo-autonome o quesi-autonome", cioè legenda greca, senza ritratto dell'imperatore, ma al dritto per esempio raffigurazione del senato, oppurre dea della città, oppurre entrambi, una al dritto l'altra al rovescio. Sono monete coniate, con l'autorizzazione dell'impero.

Poi vi sono altre tipologie di monetazione tipo " quella dei regni semiautonomi ", figura del re al dritto e rovescio con l'imperatore, questa tipologia è la più frequente.

Non ho mai visto considerare monete di 150 anni prima di cristo come " provinciali", probabilmente la monetazione provinciale inizia in numismatica con Cesare e soprattutto Augusto, RPC I almeno prende in considerazione l'inizio di quel periodo, con le gens non mi pare di aver mai trovato un adefinizione di provinciale.

PS: mi dispiace non trovare una discusssione di Luigi ( Tacrolimus ) in questa sezione, che definiva bene i contorni di questa discussione.

Le mie osservazioni sono solo di un'appassionato e non di un esperto, quindi è tutto sicurammente altamente opinabile:

Roberto


Inviato

E 'molto interessante e può portare a un dibattito infinito.

Qui in Spagna si chiama ispano-romana monete, sono già sotto l'influenza o il dominio di Roma, che non vuol dire che la moneta è coniata l'autorità di Roma in terra ispanica.

Ringrazio tutti i colleghi le loro opinioni e contributi che ho trovato molto interessante.


Inviato

Una volta si diceva che era provinciale, quella monetazione che avesse una legenda greca ed un ritratto imperiale.

Una suddivisione abbastanza condivisa ad oggi, racchiude tre massime categorie di monete:

Quelle "coloniali", cioè prodotte all'interno delle colonie e presentano legende in latino;

quelle " provinciali " che presentano prevalentemente un ritratto dell'imperatore o di un familiare e legenda in greco con rovesci di deità vicine alla città di appartenenza, oppurre ricordavano eventi eccezzionali, tipo visita dell'imperatore, giochi etc;

quele " pseudo-autonome o quesi-autonome", cioè legenda greca, senza ritratto dell'imperatore, ma al dritto per esempio raffigurazione del senato, oppurre dea della città, oppurre entrambi, una al dritto l'altra al rovescio. Sono monete coniate, con l'autorizzazione dell'impero.

Poi vi sono altre tipologie di monetazione tipo " quella dei regni semiautonomi ", figura del re al dritto e rovescio con l'imperatore, questa tipologia è la più frequente.

Non ho mai visto considerare monete di 150 anni prima di cristo come " provinciali", probabilmente la monetazione provinciale inizia in numismatica con Cesare e soprattutto Augusto, RPC I almeno prende in considerazione l'inizio di quel periodo, con le gens non mi pare di aver mai trovato un adefinizione di provinciale.

Questa classificazione l'avevo sentita, ma se ha un senso per l'Impero (anche perché con Augusto le province cominciano ad assumere una fisionomia giuridicamente più stabile), non si può applicare e soprattutto non ha senso durante la Repubblica.

Questo non vuol dire che Roma, durante la repubblica, non abbia portato nuove emissioni nelle province, emissioni peraltro fondate sull'autorità del governatore: come definirle, da un punto di vista scientifico, se non provinciali?

Peraltro, il fenomeno della monetazione provinciale è connesso con un problema pratico-fattuale: il bronzo è pesante ma vale poco. Quindi, è antieconomico trasportarlo lontano. Quindi, è meglio coniarlo in loco.

Il problema è che, a parte casi eclatanti, è difficile distinguere le emissioni provinciali da quelle locali, durante la Repubblica, per i motivi su esposti.

Il RPC parte da Cesare solo per scelta aprioristica (magari proprio perché le emissioni coloniali repubblicane sono difficili, a volte impossibili, da individuare), non perché prima non esistesse questo tipo di monetazione.


Inviato

Prendi questi bronzi (forse assi), attribuiti a Panormos (ma forse sono di Lilibaeum) e databili fra la fine del terzo secolo a.C. e la metà del secondo secolo a.C.

L'iconografia e "romanissima", la legenda è in Latino e, nelle prime due monete, l'autorità emittente è un magistrato romano (Q = quaestor). Avresti il coraggio di definirli emissioni greche?

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Inviato

Ora quest'altro, data 120 a.C. e attribuito anch'essoa Panormos. E' firmato P.TE, Publio Terenzio. Potresti definirlo greco, con Giano da una parte e la lupa dall'altra?

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Inviato

In Spagna abbiamo numerosi altri esempi. Questo bronzo reca la legenda (a caratteri Latini) C. LVCIEN / C. MVNI Q. al dritto (due questori, anche qui), VALENTIA al retro.

L'iconografia non solo è romana, ma copia addirittura un denario (http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G52/2)

Al dritto, poi, si ritiene che sia raffigurata proprio Roma (la dea Roma).

E' datato al 138-100 a.C.

Lo calssificheresti come caltibero?

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Inviato

In MAcedonia, tra il 167 e il 146 a.C., abbiamo i bronzi firmati (in alfabeto Greco) da Gaio Publilio e Lucio Fulcinnio, entrambi "TAMIOI MAKEDONON" cioè "uestori per il popolo macedone" (si noti, non "per la Macedonia", ma "per il popolo macedone", privato de Roma della sua unità e autonomia politica e disgregato nelle Merides).

Al dritto, i più identificano Roma (ma c'è chi sostiene che sia Atena).

Possiamo negare che siano emissioni proivinciali, visto che i questori (romani) erano là inviati appunto come tesorieri della provincia?

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Inviato

In Asia Minore non possiamo farci mancare i cistofori firmati da C FABI M F PRO COS e AM PI T F PRO COS (proconsoli romani!).

Ce ne sono altri, ma questi sono rpe cesariani: 57 a.C. il primo, 56/54 a.C. il secondo

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Inviato

In Siria troviamo Gabinio, legatus nel 57/55 a.C.

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Inviato

Ce ne sono altri, anche in epoca pre-cesariana, ma ho scelto questo perché mi sembra impossibile che siano monete romane ... e quindi provinciali.


Inviato

Sicuramente è come dici tu, una delle caratteristiche delle provinciali era quello di non infierire con monetazione romana, verso quei popoli che avevano già una grande storia propria.

La monetazione dei legati monetari, se ne trova anche nelle provinciali classiche es. Moesia ect., sicuramente sono espressione del potere di roma, e in effetti hai pienamente ragione nel retrodatare avanti cristo questa monetazione, specialmente nel bronzo e nell'argento , assente mi pare l'oro.

Come detto sono solo appassionato, come detto la mia convinzione deriva o derivava, semplicemente dal non aver trovato nessuna denominazione di provinciale per queste monete.

Ho sempre da imparare tanto.


Inviato

DE GREGE EPICURI

Di questo complesso argomento avevamo discusso non molto tempo fa nel settore "Repubblicane". Credo anch'io che si possa continuare all'infinito. Penso però che le difficoltà numismatiche provengano da una certa indeterminatezza sul piano politico-storico. Diciamo che, circa fino a Cesare e ad Augusto, Roma si considerava ancora in sostanza una città, anche se la sua influenza si dilatava enormemente, verso le Hispaniae, l'Africa, la Grecia, la Macedonia, il Regno di Pergamo, ecc. Però di questi territori (alleati? assoggettati? conquistati a tutti gli effetti?) non aveva ancora deciso bene che cosa fare.

Sarà con Cesare e con Augusto che supererà la dimensione cittadina e italica per avere coscienza della sua dimensione mediterranea, e più che mediterranea. E infatti solo allora si darà anche dal punto di vista amministrativo una organizzazione più chiara: Province Senatorie, Province Imperiali, colonie, ecc.

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Inviato (modificato)

Carro L. Licinio Lucillo, sono d'accordo con molte delle cose che scrivi, e non potrebbe essere altrimenti.

Solo ti prego nella tua "confutazione" di non farmi dire cose che non ho detto.

Nel mio sintetico post, all'affermazione che le emissioni iberiche (all'origine della discussione) fossero considerate "Romane Provinciali" in quanto nel periodo di emissione l'influenza romana nella regione era molto forte, ho risposto che questo a mio avviso non é un motivo sufficiente, dato che l'autorità emittente era comunque "altra", e non riconducibile allo stato romano o alle sue articolazioni. Ed ho aggiunto degli esempi tratti dalla storia contemporanea per dare un'idea più immediata (per quanto rozza) del concetto.

Stop.

Niente di più, niente di meno.

Non ho assolutamente legato il concetto di Stato all'elemento territoriale, né tirato in ballo i "confini", né questioni di contiguità geografica. Questo l'hai fatto tu, sviluppando in maniera piuttosto curiosa (e decisamente avventurosa) quanto da me scritto. Ti posso solo assicurare che quando penso all'espansione dell'egemonia romana nella penisola, e poi nel mediterraneo, non mi raffiguro mentalmente una mappa del Risiko. Questo ti basti.

Per quanto il presupposto alla base della replica sia un po' fuori bersaglio, ritengo comunque utile esprimere alcuni commenti su quanto scrivi.

Perdonami: sono convinto anch'io che fosse monetazione locale, ma per ragioni differenti dalle tue.

Non mi sembra corretto, infatti, negare la natura di emissione provinciale sulla base dell'autonomia giuridica delle comunità emittenti, come appunto traspare dal paragone con l' "impero" statunitense o sovietico. Questo modo di pensare, infatti, è strettamente connesso con l'idea che abbiamo noi dello Stato, entità sovrana (= totalizzante) radicata su un territorio definito. Secondo questa idea, esiste un collegamento biunivoco tra luoghi e Stati: Dresda era sicuramente DDR, e altrettanto sicuramente non era URSS.

Scusami ma mi sfugge il collegamento. Qual'é il legame tra il concetto di "autonomia giuridica" ed il "collegamento biunivoco tra luoghi e stati"? L'esistenza di un'autorità giuridica porterebbe a considerare quest'ultima come necessariamente "radicata su un territorio definito"? E perché? Abbiamo svariati esempi di autorità emittenti radicate sul territorio (esempio banale, le poleis) ed autorità emittenti che legate al territorio necessariamente non erano (esempio banale "la gente del campo" di alcune emissioni siculo-puniche, ma anche moltissime emissioni romane).

Quello che conta non é se l'autorità emittente sia legata ad un territorio o meno, la questione é del tutto secondaria. Cio' che é importante é che l'autorità emittente "esista", e sia in grado di avere una legittimità tale da farla accettare in quanto "autorità" nel mercato in cui immette moneta.

Se tale mercato é costituito da un esercito a cui pagare il soldo, i presupposti giuridici di tale autorità saranno tutti interni all'organizzazione militare; se il mercato é una polis, saranno le istituzioni dell'organizzazione statale della polis a costituire tale autorità.

Ma un'autorità emittente, in ogni caso DEVE esistere. Ed il suo status giuridico non é affatto secondario, dato che la moneta deve essere garantita ed accettata nell'ambito del mercato in cui é immessa (sia esso costituito da truppa mercenaria o da cittadini di un nomos.

Questa idea socio-politica, però, è sorta poco alla volta dopo la Pace di Westfalia; nell'antichità non esisteva. Durante la Repubblica romana, in particolare, il diritto aveva natura personale, non territoriale, con l'ovvia conseguenza che l'apparato giuridico romano "seguiva" i cittadini romani. Non esisteva un confine [il pomerium era un "confine" solo sacrale, l'ager Romanus delimitato a soli fini di diritto privato, non di diritto pubblico, e l'idea del limes, che forse non esisteva neppure - è molto discussa in dottrina - non impediva ai Romani di considerarsi padroni anche del mondo al di là di esso].

Appunto. Il diritto privato deve comunque essere comunque garantito da un'autorità, giuridicamente riconosciuta, e... "pubblica". Altrimenti non esiste.

Il profilo giuridico-formale non aiuta, quindi, a delimitare lo "Stato" romano.

E perché?

Al contrario, é proprio il profilo giuridico che delimita lo "Stato" romano, é lo status delle colonie (di diritto latino, o romano...) dei municipia, dei cives con "suffragio" o meno che delimita lo "Stato" romano, al di là di tutte le questioni territoriali.

Personalmente, contrariamente a quanto affermi, considero l'elemento giuridico assolutamente fondante in tutta la storia della civiltà romana, fin dai suoi inizi, e con risvolti (se mi posso permettere) quasi estremistici visti con gli occhi di oggi.

Il cives romano ed il suo status giuridico é un elemento fondante della Repubblica.

Ci furono popoli in Italia che si gettarono in guerre sanguinose per ottenere tale status... giuridico.

Gabii, città latina a 20 km da Roma, da sempre fedele alleata dell'Urbe, era formalmente all'estero (lo possiamo dire con sicurezza, perché l'ager Gabinus era considerato ager peregrinus); Mutina (Modena), colonia di diritto romano a 400 km da Roma, era formalmente un quartiere dell'Urbe.

Appunto.

In questo contesto giuridico, è errato pensare alle provinciae come ad articolazioni di uno Stato. Giuridicamente, la provincia era l'ambito di competenza in cui un magistrato cum imperio poteva appunto esercitare il suo imperium: talvolta la provincia era delimitata sul piano funzionale (pensiamo all'incarico di sconfiggere la pirateria, conferito a Pompeo), talatro sul piano territoriale; a questo secondo caso corrisponde la "provincia" così come la concepiamo noi, ma - ripeto - giuridicamente essa non era un'articolazione politico-amministrativa (come le nostre Regioni), bensì solo l'ambito entro cui un magistrato (il governatore) era stato incaricato di esercitare il suo imperium (fermo restando che non perdeva l'imperium se anche, illegittimamente, varcava i confini della provincia: esso decadeva unicamente all'interno del pomerium).

Non mi pare proprio.

Un magistrato della Res Publica é un'articolazione dello Stato, qualunque sia il suo ambito di competenza, territoriale o meno.

E' lo status "giuridico" di magistrato dello Stato che lo rende rappresentante dello Stato (con i poteri di delega più variati) in un contesto dato, che sia l'amministrazione di un territorio, o la lotta ai pirati... o qualsiasi altra cosa.

Aggiungiamo che l'imperium è, in origine, un potere di natura sacrale-militare (che si trasfonde nell'ambito giuridico, come attesta la mutazione di significato dalla parola "populus", in origine significante "esercito") ed ecco roveciata l'ottica di Aulisio: su un piano formale, il rapporto tra le Hispaniae e Roma era più simile a quello della DDR (nei confronti di Mosca), che non a quello della Cecenia.

Sinceramente questo punto non l'ho capito.

Sul serio: la consecutio mi appare oscura.

Nei fatti, il simbolo del giogo romano sulle comunità allocate in una provincia era l'imposizione del tributo, ma sul piano giuridico-formale esse non facevano parte dello "Stato" romano, quale che esso fosse (l'unificazione giuridica dell'impero si avrà solo con l'editto di caracalla del 212 d.C., e sarà realizzata estendendo a tutti i cittadini liberi la cittadinanza romana). Quindi, formalmente, erano comunità "autonome": mentre Dresda era DDR e non era URSS, la Sicilia orientale invece era un po' Lylibaeum un po' Roma: dipende a quali fini si esegue l'analisi.

Siamo d'accordo, in parte, ma qui parliamo di emissione di monete, e di un periodo di guerra "calda", non "fredda". Ed abbiamo emissioni riconducbili ad autorità emittenti romane (funzionari dello stato romano che per alcuni motivi stazionavano nel territorio) oltre ad emissioni delle poleis locali (nelle condizioni in cui erano).

Non é questione di griglia d'osservazione. L'elemento giuridico, fossero le città tributarie o meno, resta fondante.

Anche in Sicilia c'erano sia le Dresda sia le basi dell'Armata Rossa.

... ...

Che risvolti ha tutto questo in numismatica?

L'effetto è che non è possibile definire a priori, con scientifica coerenza, quali emissioni debbano essere considerate "provinciali" e quali no.

"Provinciale" significa "della provincia", ma la "provincia" non è una struttura (cui imputare le emissioni), è un ambito territoriale su cui insistono autonomie (formali, ma qualcuna anche fattuale) che emettono moneta.

A questo punto, delle due l'una:

[1] consideriamo "provinciali" tutte le emissioni riconducibili a comunità soggette a Roma (prescindendo dalla difficoltà che spesso non sappiamo quando una specifica città è stata sottomessa, si pensi al caso di molte comunità celtiche della Gallia Cisalpina)

[2] consideriamo "provinciali" le sole emissioni riconducibili al potere romano, classificando come "locali" le altre.

La prima opzione è inattaccabile sul piano logico, ma è di fatto priva di significato sociale e numismatico. Molte comunità (come Bolskan) continuarono a emettere monete che esistevano, pressoché identiche, prima della costituzione della provincia. Che senso ha dire che fino al giorno prima è un'emissione autonoma, dal giorno dopo è un'emissione provinciale?

La seconda opzione sembra più feconda, ma si scontra con la natura magmatica del concetto di provincia. La conseguenza di questa difficoltà di definizione è evidente laddove si debbano scegliere i criteri pratici per discernere tra "locale" e "provinciale". La metrologoia? No, visto che anche le monete provinciali, dovendo essere usate in loco, sono per definizione su piede locale. L'alfabeto delle legende? Questo criterio viene appunto usato per classificare le emisisoni ispaniche, ma non ha valore assoluto. Molte emissioni provinciali/locali sono anepigrafe (si pensi ai bronzi di Panormos e Lylibaeum), e molte emissioni sicuramente riconducibili ai magistrati romani recano l'alfabeto gerco (si pensi ai bronzi di C. Publilius e L. Fulcinnius, questori in grecia). L'iconografia? Questo criterio è ancora più aleatorio: molti tipi, di derivazione greca, sono comuni a monete romane e non romane, e proprio il ritratto presente sui denari di Bolskan verrà adottato anche su un denario romano repubblicano (RRC 532/1 - http://numismatica-classica.lamoneta.it/moneta/R-G223/1), e ci sono monete emesse da magistrati romani con tipologia locale, sia in ambitoi provinciale (i cistofori, ad esempio) che "all'estero" (le dracme di Silla, ad esempio).

Il caso emblematico dell'impossibilità di trovare un confine tra monetazione locale e monetazione provinciale è rappresentato, secondo me, dai cistofori.

Il cistoforo era una tetradracma con tipi dionisiaci, emessa a Pergamo a partire dal 200 a.C.; data la sua fortuna, la sua emissione si diffuse rapidamente in molte comunità dell'Asia Minore. Il regno di Pergamo divenne provincia d'Asia solo nel 133 a.C., quindi esistono sicuramente cistofori "autonomi" (nel senso di monete emesse "all'estero", da un'entità statuale pienamente indipendente da Roma). All'estremo opposto, troviamo cistofori emessi sino al 138 d.C., quindi palesemente "provinciali".

Anche in epoca repubblicana furono emessi moltissimi cistofori: forse alcuni di essi erano "locali", ma quelli di Pergamo erano sicuramente "provinciali", perché nei regni orientali esisteva una apparato amministrativo ramificato e omogeneizzante che passava sotto dominio romano, riducendo a mera parvenza giuridica l'autonomia delle comunità locali.

Orbene, nelle emissioni di Pergamo non c'è alcuna modificazione numismatica che attesti il passaggiuo dalle emissione "autonome" a quelle "provinciali". Esistono, sì, alcuni cistofori firmati da magistrati romani (che ne ha parlato anche ahala: http://www.lamoneta.it/topic/94712-provincial-coins-of-the-roman-republic/), ma sono talmente poche emissioni che servono solo a complicare il quadro (ci si chiede infatti: perché quelli sì e molti altri no?).

E qui arriviamo al punto: se è impossibile tracciare un confine tra cistofori "autonomi" e cistofori "provinciali", seppur concettualmente distinguibili (i primi sono quelli che precedono il 133 a.C.), come possiamo sperare di distinguere fra cistofori "provinciali" e cistofori "locali", la cui differenza si basa solo sul grado di autonomia socio-politica della comunità che li ha emessi?

... ...

Per concludere (e scusatemi se Vi ho annoiato), a me le emissioni di Bolskan sembrano un po' come i cistofori. Iniziano come "autonome" e permangono invariate dopo la costituzione della provincia. Se quelle posteriori a tale costituzione le si vuole ritenere "locali" (come penso io) o "provinciali", è questione di scelte classificatorie prive di basi giuridiche, e fondate solo su basi socio-politiche sfuggenti e poco note.

Su questo ultimo periodo non entro nel dettaglio, pur condividendone parecchi elementi (altri meno...).

E qui veniamo al problema vero.

La classificazione in "Romane provinciali", "Coloniali" o, peggio, "Greche imperiali"...

Una classificazione moderna, arbitraria, che tenta goffamente di ricondurre entro ambiti nettamente delimitati una realtà complessa, che si ribella alle etichette di coloro che vorrebbero classificare tutto in categorie "semplici", anche quando i fenomeni sono di una complessità che ci sfugge.

Per questo, ribadisco, l'elemento che deve essere preso in considerazione per l'attribuzione di una moneta (non per CLASSIFICARLA, ma per COMPRENDERLA) sia l'autorità emittente, colei che la garantiva sul mercato, ed i suoi presupposti giuridici (a mio avviso fondamentali per il periodo romano repubblicano).

Ci sono quini a mio avviso emissioni "romane", in quanto emesse da un'autorità emittente articolazione della Res Publica, dello Stato, ed emissioni che romane non sono, in quanto emesse da altre autorità, per quanto variamente sottomesse, politicamente o militarmente, al giogo romano.

Quanto alle cosiddette "imperatoriali" (definizione orrenda), ci troviamo semplicemente di fronte a "legittimazioni" giuridiche contrapposte, ma tutte afferenti alla stessa fonte, la Res Publica, rispetto alla quale rivendicano legittimità.

Non mi sembra ci sia alcun dubbio, qualunque siano i sistemi adottati ed i luoghi di emissione, nel considerarle Romane.

Poi ci sarebbero le emissioni di Thasos... Ma si aprirebbe un altro scenario... :)

Modificato da g.aulisio
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