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Il denario è firmato da Publio Licinio Crasso, probabilmente secondo figlio del triumviro Marco. Questore nel 59, l'anno successivo seguì Cesare nelle campagne militari in Gallia, dapprima colla carica di "praefectus equitum", poi come legato, e combattè contro Ariovisto e le tribù dei Veneti e degli Aquitani. Al suo ritorno a Roma nel 55 portò con sé mille cavalieri gallici, arruolati appositamente per la guerra in Oriente contro i Parti. Fu proprio in occasione della disastrosa battaglia di Karrhae, nel 53, che morì, a fianco di suo padre. Il denario venne coniato nel 55, per delegazione senatoriale, come indica la sigla S.C. posta sul diritto, dietro al busto diademato e coronato di Venere. La presenza della dea è da considerarsi un omaggio a Cesare, il quale attribuiva alla gens Iulia una discendenza divina dalla dea. Il rovescio, invece, ha suscitato diverse interpretazioni: il Babelon, che data l'emissione al 58 in concomitanza colla questura rivestita dal monetario, vede nel tipo un'allusione alla censura del padre Marco, nel 55, e a quella rivestita nell'89 da un altro antenato del triumviro monetale, P. Licinius Crassus. La carica della censura infatti prevedeva la "recognitio equitum", l'ispezione della cavalleria romana, che sarebbe rappresentata sul denario dal cavaliere che trattiene il cavallo. Il Crawford invece si distacca da questa interpretazione riconoscendo nel personaggio in armatura una figura femminile, con i capelli lunghi e un curioso copricapo ornato da due protezioni sulla fronte. Comunque sia, l'iconografia tradisce il connubio tra Venere e le armi, di cui i triumviri erano i massimi esponenti, facendo nuovamente emergere l'adattabilità di tale divina figura a qualsiasi causa politica e la sempre minor coerenza ideologica degli ambiziosi condottieri degli ultimi decenni della Repubblica

Modificato da L. Licinio Lucullo

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