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Un mito tra storia e leggenda: Romolo


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NellVIII secolo a.C. Esiodo si trova all'isola di Eubea, forse per i funerali di Anfidamante, e conosce i grandi esploratori marittimi di quell'isola, che gli narrano di cose delle mitiche terre selvagge, poste nell'estremo occidente, oltre le colonne d'Ercole (che in quell'epoca erano identificate con lo stretto di Messina). Esiodo trascriverà questi racconti fantastici, di terre lontane e meravigliose, nella Teogonia. Narra lo scrittore greco di un posto favoloso, le Isole dei Beati, ove regnano due fratelli, Agrios e Latino.

Siamo - è bene ricordarlo - in un'epoca così remota che Roma era appena un aggregato di capanne, a mala pena identificato da un muro terreo attorno al Palatino.


Inviato

Ovidio e Virgilio tramandano una delle più antiche leggende dei Latini: la storia di un nume, Pico, figlio di Saturno (divinità che si era installata sul Palatino, cedutogli da Giano, fondandovi la mitica Saturnia) e da Feronia, divinità silvestre. Fu lui a fondare la rocca in cui in seguito si sarebbe identificato il popolo dei Latini, Alba Longa, sui lussureggianti Colli Albani che, visti dalle Paludi Pontine, apparivano probabilmente come isole, isole felici, Isola dei Beati. Il suo animale totemico era il picchio, che con il suo becco, appuntito, come una saetta, batteva il legno dei boschi, provocando suoni simili al rombo dei tuoni, strumenti della natura che per i Latini furono nella mani di Pico, prima ancora che di Giove. In origine, probabilmente, il picchio era unicamente un simbolo per un dio che, secondo le antiche credenze latine, era aniconico. In seguito, si dirà invece che Pico fosse stato trasformato in un picchio da Marte, per punizione.


Inviato

Pico suscitò l'amore di Circe, che regnava sull'isola di Eea (il promontorio del Circeo). Dalla loro unione nacque un altro nume, Fauno, divinità della campagna e dei boschi che, per questo, era soprannominato "l'Agreste": cioè Agrios, per i Greci. Essendo agreste, proteggeva le greggi ed era quindi, per un popolo dedito alla pastorizia, Benevolo, ossia Fausto; meglio, un suo attributo era il vezzeggiativo "Piccolo Benevolo", Faustolo. Per questo, in seguito, si dirà che Faustolo era un pastore.

Siccome tuttavia nella sua natura selvaggia assommava e conciliava gli opposti, non solo proteggeva le capre dai lupi, ma era lupo egli stesso, lupo e capro quindi, lupus et hircus; per questo un altro suo attributo era Luperco.

Fauno si associava a Fauna: in seguito si dirà che era stata sua moglie, ma in origine ella era la sua divinità femminile paredra e ne rappresentava il "doppio femminile" (come Liber e Libera: http://www.lamoneta.it/topic/90356-tra-liber-e-dioniso/?p=1000588). Anche Fauna avevano un animale totemico; e siccome Fauno era Luperco, l'animale che rappresentava Fauna era la lupa.

Fauno ereditò dal padre la sovranità su Alba Longa e sul popolo che vi si identificava.


Inviato

Gli succedette sul trono un parente, forse suo fratello (come attesta Esiodo) o forse suo figlio (come invece afferma Virgilio), Latino. In suo onore, il popolo.

Il sangue divino cominciava ormai a cedere il posto alla natura umana. Più vicino nelle forme e nella sostanza agli uomini, Latino diede quindi il nome al popolo indoeuropeo che si aggregava e si riconosceva nella rocca antichissima da cui egli regnava: il popolo dei Latini.


Inviato

Dalla dinastia iniziatasi con Pico, Fauno/Fauna/Faustolo e Latino discesero due fratelli che si contesero il trono di Alba, Numitore e Amulio. Il primo fu spodestato dal secondo, ma sua figlia, rea Silvia, generò - per intervento di un grande dio dei Latini, Marte - due gemelli. Tutti sanno la loro storia: furono esposti sul Tevere, si salvarono per volere divino, vendicarono il nonno e furono designati a fondare un nuovo regno là dove erano stati salvati, sulle sponde del Tevere.

I due gemelli avevano, ovviamente - secondo la tradizione latina - lo stesso nomen gentilizio, peraltro attestato dall'epigrafica in ambiente etrusco ed in epoca arcaica, che derivava forse da un'antica parola (indoeuropea?) *ruma, "mammella".

Si chiamavano, i due gemelli, Romo; poiché la vocale corta poteva subire una mutazione di suono, erano detti anche Remo. Uno era detto Remo e basta. L'altro, forse perché più gracile, forse perché nato dopo, era detto invece, per distinguerlo, "il piccolo Romo": Romolo.


Inviato

In seguito nasceranno altre leggende sulla discendenza di Romolo, per attestarne un'ascendenza greca.

Già Esiodo affermava che a generare Agrios (Fauno) e Latino erano stati Ulisse e Circe, anziché Pico e Circe.

Nei secoli successivi, fu invece l'eroe troiano - Enea - a imporsi come progenitore dei Latini.

Ma a Roma non si dimenticarono mai le antiche leggende sui numi che avevano regnato sul popolo dei Latini, Pico, Fauno/Faustolo, Fauna e Latino.

Una prima eccezionale attestazione archeologica è lo specchio di bolsena, specchio eneo del IV secolo sul cui retro è impressa la leggenda: la lupa (Fauna) ha salvato ed allatta i gemelli, Latino indica quello di loro che è predestinato a grandi imprese ("il piccolo" diremmo noi oggi, ossia Rom-olo), Fauno assiste. La scena è ambientata nel Lupercale, la grotta del Palatino dove i gemelli furono salvati. Dalle scale di Caco (altro mitico sovrano semi-divino del Palatino, succeduto a Saturno) assiste un'altra divinità cara ai Latini, Acca Larenzia, che in seguito la vulgata "demitizzerà" nella moglie di Faustolo (a sua volta "demitizzato", da Fauno a capo dei pastori di Amulio)


Inviato (modificato)

Ma noi conosciamo un'altra, straordinaria attestazione: il denario RRC 235/1, uno dei primi ad abbandonare al retro i motivi canonici dei "bigati" (coppia di Dioscuri a cavallo o altra divinità in biga).

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Modificato da L. Licinio Lucullo
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Inviato

Osservatelo, in quei pochi millimetri c'è tutto. C'è il picchio/Pico. C'è Faustolo/Fauno. C'è la lupa/Fauna. Sono queste le divinità che salvano i gemelli e li proteggono (per volere del loro padre, Marte). Solo in seguito, con la loro immensa praticità, i Romani "demitizzeranno" tutto, Faustolo diverrà un pastore e la lupa addirittura ... una prostituta.


Inviato

Aggiungo una curiosità, importantissima per chi - come me - ama la storia e la memoria dell'Urbe.

Esiste un oggetto che quasi sicuramente è stato toccato da romolo, forse gli apparteneva.

E' un piccolo vaso, datatao - ovviamente - all'VIII secolo a.C.. Si trovava, unitamente a resti umani (un sacrificio?), sotto il solco delle mura palatine, il solco segnato appunto da Romolo. Costituivga un interramento volontario, di natura sacrale, e quindi fu probabilmente opera dell'autore stesso del solco - il Piccolo Romo, appunto.

Lo ha trovato Carandini, e ora fa bella mostra di sè, negletto dalle folle di turisti meno accorti, in una bacheca della prima sala del Museo della civiltà romana.

Quando la otterrò, ne "posterò" una fotografia

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Inviato

Salute Licinio

hai citato Carandini ed io stò leggendo un suo libro sulle origini di Roma il quale dice ciò che hai scritto ed anche molto di più.Nel libro di Carandini ci sono molte informazioni storiche miste a leggende ed anche molte note.

Da molto tempo stò leggendo questo libro,molto interessante,ma,per le troppe nozioni faccio una gran confusione ,ma mi piace riprenderlo in mano e proseguire nella lettura per qualche pagina.

--Salutoni

-odjob


Inviato

Ciao,

il tema delle origini di Roma è molto interessante e mi complimento per questo bel riassunto.

Per chi fosse interessato all'argomento suggerisco di leggere il libro "Tre variazioni romane sul tema delle origini" scritto da Angelo Brelich, già professore di religione romana presso La Sapienza. Il libro è molto interessante perché ricostruisce la mitologia antica del neonato popolo romano con tutti i personaggi sopra citati.

Io l'ho dovuto studiare all'università e mi ha affascinato molto perché inserisce le varie fonti del tema delle origini in un racconto che si legge benissimo!


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