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IGNORED

Denario con Venere e panorama di Erice


L. Licinio Lucullo

Risposte migliori

Si conosce un Marco Considio Noniano, successore di Cesare in Gallia, e si ipotizza che il monetario fosse suo fratello.

È questa la fase di massima espressione dell'iconografia denariale, con raffigurazioni particolarmente ricche ed esclusive. Dopo quasi un ventennio, torna l’effige di Venere, collegata con la rappresentazione di un tempio sul R/, e quindi interpretata come Venere Ericina.

Di questo culto antichissimo ci informa Diodoro Siculo: Erice, mitico re dagli Elimi figlio di Bute e Afrodite, nel fondare la città da lui denominata vi “innalzò il sacro recinto della madre e lo abbellì colla costruzione del tempio e l'abbondanza dei doni. La dea, in virtù della devozione degli abitanti del luogo e dell'onore tributatole dal figlio, amava in modo straordinario la città: perciò la stessa Afrodite è detta Ericina ... Enea figlio di Afrodite, navigando verso l'Italia e approdato nell'isola, adornò il tempio con molte offerte, come se fosse della propria madre. ... Infine i Romani, impadronitisi di tutta la Sicilia, superarono tutti i loro predecessori in onori verso di lei. E facevano ciò per ovvi motivi: poiché la loro stirpe risaliva ad essa e per questo le loro imprese avevano esito felice .... Infatti i consoli e i governatori che giungono nell'isola, e tutti coloro che la visitano investiti di una qualsiasi autorità, quando si recano a Erice, con splendidi sacrifici e onori adornano il santuario e, deposto il volto austero dell'autorità, passano a scherzi e a compagnie di donne con molta allegria, in quanto sono convinti che solo così rendono la loro presenza gradita alla dea". Diodoro ci restituisce l'immagine di una divinità diversa rispetto alla formale e contegnosa Venus romana. Già Platone aveva evidenziato il dualismo di Afrodite (Urania e Pandemia): pratiche erotiche e licenziose costituivano l'essenza e la peculiarità stessa del culto; le ierodule, sacerdotesse schiave, praticavano secondo un costume tipicamente orientale la prostituzione sacra mettendo a diretto contatto divinità e uomo.

Anche a Roma e Venere era cossustanziale un certo polimorfismo: tramanda infatti Macrobio che durante la monarchia venivano adorate differenti divinità femminili, come Murcia (dell'amore puro e del matrimonio) e Libitina (dei funerali e delle sepolture), poi confluite in un’unica dea, Venere appunto, alla quale furono pertanto attribuiti varî epiteti. Alla fine del IV secolo si data il culto di Venus Calva (il cui epiteto rimanda alla decisione delle matrone di tagliarsi i capelli fer forgiare corde per gli archi, durante l’assedio di Brenno), nel 295 fu dedicato un tempio a Venus Obsequens o Propizia (per onorare una vittoria contro i Sanniti).

Nel 215 il Cunctator ottenne dal Senato di dedicare un tempio proprio a Venere Ericina, cui aveva fatto voto da dittatore. Vista la comune origine troiana di Romani ed Elimi ella fu ritenuta dea patria e il nuovo tempio sorse all’interno del pomerium. Questa collocazione comportò tuttavia di imporre severi limiti ai licenziosi riti ericini, seppur di per sè non consierati disonorevoli o amorali; le pratiche religiose elleniche si duffusero tanto che, nel 184, il console Lucio Porcio Licinio decise di dedicare un secondo tempio a Venere Ericina, sul Quirinale, in un apposito tèmenos all'interno degli Horti Sallustiani, nei pressi di Porta Collina. Fuori dal pomerium i riti potevano essere più licenziosi: era iniziata l’assimilazione culturale di Venere (fino ad allora legata ad alti valori etici e morali) ad Afrodite. In prossimità degli Horti sono stati rivenuti numerosi pezzi archeologici ritenuti di provenienza magno-greco e siceliota (tra cui un acrolito della dea e la famosa Ara Ludovisi, scoperta nel 1887, forse parte del bottino portato a Roma proprio da Erice). Ligorio ci ha lasciato una pianta del tempio e sembra fosse circolare, a tholos; avava capitelli corinzi e le sue ultime vestigia furono trasportate sul Gianicolo e là riedificate nel tempio cristiano di S. Pietro in Montorio.

Si discute se la moneta rappresenti il tempio di Erice o quello di Porta Collina. A favore di questa seconda ipotesi depongono considerazioni stilistiche: la porta, con linee ornamentali e sontuose, non somiglia alle porte militari delle mura siceliote o puniche, più essenziali e tetragone; le colonne del tempio hanno le basi, ma un simile impianto era tipico della grande architettura ionica, specie in ambiente microasiatico. Soprattutto, è improbabile che il popolo romano riconoscesse il tempio siciliano, più che quello urbano. Le mura e la porta effigiati apparterrebbero allora alle strutture degli Horti e sotto il tempio non sarebbero raffigurate rocce, ma cespugli o alberi; il disegno sarebbe quello di un tempio a tholos con relativa copertura, reso nella stilizzazione con quattro colonne.

Si discute infine se il tema politico narrato fosse popolare (per l’implicito rinvio ai licenziosi riti ellenistici) e quindi pompeiano (in questi anni Pompeo era l'indiscusso beniamino del popolo di cui incarnava le speranze di rivalsa contro la supremazia senatoria), oppure aristocratico, per alcuni impliciti rinvii alla sillana vittoria di Porta Collina (il sito del tempio e la corona d’alloro indossata dalla dea). Amisano, favorevole alla seconda ipotesi, evidenzia che i giochi celebrativi di Vittoria erano stati istituiti da Sesto Nonio Sufena (come ricorda la moneta Cr. 421/1), parente di sangue del monetario “Noniano”

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Per le raffigurazioni di monumenti nell'antica Roma, suggerisco di dare un'occhiata ai recenti due voluni di:
Atlante di Roma Antica, a cura di Carandini.

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Bravo Licinio

una discussione come quelle che piacciono a me:dalla moneta si passa alla storia,all'arte ed alla religione

Discussioni così si beccano il 5 stelle di voto da me

--Ad maiora!!!!

-odjob

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Grazie ma non è meritato: ho solo riassunto contenuti già messi nel forum da altri

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