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IGNORED

Denario di P. Accoleius Lariscolus


L. Licinio Lucullo

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Si ritiene che Publio Accoleio Lariscolo, ignoto alla storiografia, verosimilmente plebeo, sia stato monetario tra il 69 e il 43; secondo il Babelon ricoprì anche un incarico militare con Cesare, forse questore. Era infatti usuale che i dipendenti di Cesare battessero moneta (come nel caso di Lucio Roscio Fabato, autore dell'emissione RRC 412/1 - http://www.lamoneta.it/topic/99441-rrc-4121/).

Modificato da L. Licinio Lucullo
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Al D/ è raffigurato un viso che, per la sua rigida ieraticità, appare quasi mascolino, ma proprio l'immobilità gli conferisce un senso di arcaismo e sacralità. La femminilità è espressa dall'acconciatura (ovvero, nella variante a capo coperto, dalla fascia, uso delle donne dell'antica nobiltà ellenistica), dall'abito (che le fibulae sulla spalla e le pieghe fitte identificano come un chitone, abbigliamento femminile della Grecia antica) e dai seni, sempre magistralmente in evidenza sotto la stoffa leggera. Al R/ le tre figure femminili sembrano sostenere una trave, su cui sembrano appoggiati i cinque alberelli di cipresso. La figura di sinistra regge un oggetto alternativamente identificato come un papavero o un arco, qeulla di derstra un fiore (forse un giglio). Per l'identificazione del D/ sono state formulate tre ipotesi, connesse con l'interpretazione del R/.

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Riccio, Cohen e Babelon identificano al D/ Climene, madre di Fetonte, figlio del Sole, precipitato da Zeus nella foce dell’Eridano (il Po) per aver osato rubare il carro del padre. Questa interpretazione è oggi rigettata ma Amisano (che pur identificando al D/ Acca Larentia) propone che al R/ siano rappresentate le sorelle dello stesso Fetonte, ovvero le Eliadi, colte nel momento in cui le Zeus le traforma in pioppi perché, sulle rive del fiume, piangevano inconsolabili la morte del fratello. La scelta iconografica deriverebbe dall'origine della gens del monetario, che Amisano ipotizza provenire da Aquileia, e richiamerebbe il suo cognomen, mediante il "tipo parlante" dei larices (pioppi, appunto), usati nella Pianura Padana per delimitare le proprietà (e quasi sconosciuti nel resto d’Italia).

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Crawford identifica al D/ Diana Nemorensis, antichissima divinità latina venerata in un santuario di Nemi. Al R/ sarebbe allora raffigurata l'assimilazione della dea sotto le tre forme di Diana, Ecate e Selene, ripartizione tricorpe venerata nel santuario di Nemi.

Questa interpretazione è suffragata esclusivamente da elementi della raffigurazione al R/ (essendo quella del D/ totalmente priva di attributi tipici). In particolare, l'oggetto tenuto dalla figura di sinistra sarebbe un arco (seppur in alcuni conî presenti ornamenti alle estremità che fanno effettivamente pensare a un fiore), attributo di Diana. Inoltre il fiore tenuto dalla figura di destra può essere associato a Ecate, divinità ctonia e psicopompa, nella cui sfera di influenza rientrano anche i fiori veleniferi (l'aconito su tutti). Infine, altro elemento è costituito dal rinvenimento (citato da Alföldi, Zehnacker, Ghini e Diosono) nella zona di Nemi di una base circolare recante l'iscrizione M(arcus) IVLIVS M(arci) F(ilius) (et) M(arcus) ACCOLEIVS M(arci) F(ilius) AED(iles) D(e) S(enatus) S(ententia), attestante le presunte origini aricine della gens Accoleia (ad Ariccia stessa è stata inoltre rinvenuta una dedica a un liberto di tale Quinto Accoleio).

Diana Nemorensis era una figura arcaica, appartenente alla categoria divina delle potnie, "signore degli animali e delle selve" (in cui si annoveravano anche Fauna-Bona Dea, Angizia, Marìca, Feronia, Retia e i maschili Cernunnos e Fauno). Fu inserita nel pantheon romano per esigenze politiche, al fine di sancire, anche in ambito religioso, la supremazia di Roma sulla Lega Latina, ma la sua vastissima sfera funzionale (tipica della somma dea di una comunità tribale) risultò inadatta ad inquadrarsi in un contesto civico evoluto. Le sue differenti ed ampie funzionalità furono allora giustificate mediante l'associazione ad altre figure aventi sfere d'influenza maggiormente circoscritte; da qui nacque la triade Diana, Selene ed Ecate costituente Diana Nemorensis.

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Depongono contro l'identificazione di Diana i seni (che Diana, dea vergine per eccellenza, aveva acerbi) e la mancanza di attributi tipici. Per Cavedoni, Grueber e la Ceci, oltre che per Amisano, al D/ sarebbe allora raffigurata la madre dei Lari, Mater Larum o Acca Larentia (*acca = "madre"). Secondo il mito fu una bellissima meretrice, amata anche da Ercole e da Tarunzio, ricchissimo Etrusco che le lasciò tutti i suoi averi, da lei distribuiti al popolo romano. Secondo un'altra versione, sarebbe stata la compagna di Faustolo, madre adottiva di Romolo e Remo, forse anche la lupa (nel senso metaforico di meretrice) che li avrebbe allattati. Sarebbe questa la sua unica rappresentazione pervenutaci.

Al R/ potrebbero allora esse raffigurate le ninfe Querquetulane (così anche Borghesi, Cohen, Riccio e Babelon). Infatti, secondo antiche tradizioni (che risalivano alla più remota religiosità romana, per la quale le divinità erano semplici entità aniconiche. In particolare, il bosco di querce detto Querquetulanum (Tacito) che occupava lo spazio (in origine, suburbano) tra Oppio e Celio era ritenuto abitato dalle ninfe dette appunto Virae Querquetulanae, cui era anche dedicato un tempietto.

Per Borghesi, Riccio e Cohen, le Virae sarebbero qui raffigurate in quanto il boschetto che presidiavano era dedicato ai Lari. Babelon, sviluppando un'idea del Cavedoni ("tre ninfe poste a guisa di cariatidi per sostenere quella traversa ornata da arboscelli"), ritiene che le ninfe Querquetulane siano raffigurate nel momento in cui reggono una trave su cui sono poggiati cinque alberelli di cipresso. La trave sulle spalle delle tre figure e la base su cui poggiano i piedi potrebbero effettivamente far pensare che siano qui raffigurate le statue delle Virae, cariatidi intagliate nel legno poste nel tempio del Celio. I fiori in mano alle figure alle estremità testimonierebbero allora l'usanza romana di ornare di fiori, due volte l'anno, i templi dei Lari e delle loro custodi, le Virae.

Sul piano etimologico, queste scelte iconografiche potrebbero giustificarsi a fini autocelebrativi: il nomen del monetario si accosta infatti a quello di Acca mentre il cognomen è stato sciolto in Lares colens (Eckhel, Grueber), "colui che venera i Lari".

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