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    Teodorico e il battistero degli ariani

    Teodorico e il battistero degli ariani https://www.storicang.it/a/teodorico-e-il-battistero-degli-ariani_16345 Secondo sovrano barbaro di Roma dopo Odoacre, Teodorico seppe far convivere sudditi di origini e religioni diverse Tra quanto sancito nel 325 dal I concilio di Nicea vi fu la condanna dell’arianesimo: la controversia verteva sulla natura di Gesù a cui la Chiesa attribuiva la medesima natura divina del Padre – sulla base dell’homooùsios, il principio della consustanzialità – negata invece dalla visione ariana. Nonostante la condanna, l’arianesimo continuò a diffondersi, soprattutto tra i germani di culto cristiano. Tra questi, anche il sovrano ostrogoto Teodorico, la cui tollerante politica religiosa si scontrò – a due secoli dal concilio – con quella dell’imperatore bizantino Giustino I, improntata invece a una decisa lotta contro l’arianesimo. Di fede ariana, ma incline a una politica religiosa basata su principi di tolleranza, Teodorico volle che nella sua capitale, Ravenna, cattolici e ariani potessero praticare in libertà il proprio credo. Per questo motivo fece erigere doppi luoghi di culto e in nome della propria fede fece costruire una basilica con l’annesso battistero. L’edificio, a pianta ottagonale, è in laterizi. Unico decoro oggi rimasto all’interno del battistero è il mosaico della cupola, organizzato in due cerchi concentrici su fondo oro. Battistero degli ariani. Interno, cupola, VI secolo d.C., Ravenna Foto: Marco Ravenna / Age Fotostock Soggetto primario del mosaico è il battesimo di Cristo, raffigurato nudo nelle acque del Giordano. Ritratto secondo l’iconografia classica, Giovanni Battista impone la mano sul capo di Cristo. Alla destra di Cristo l’anziana figura in semplici drappi verdi è la personificazione del fiume Giordano, nelle cui acque fu battezzato Gesù. Il cerchio più esterno del mosaico raffigura il corteo dei dodici apostoli, tutti in paramenti bianchi e recanti una corona in mano. Tra Pietro e Paolo spicca un trono vuoto, evidente rimando al tema dell’etimasia, l’attesa del ritorno di Cristo per il giudizio universale. Sul trono è raffigurato anche un sudario, secondo alcuni chiaro riferimento alla natura umana di Gesù e quindi alla dottrina ariana stessa. Pietro e Paolo recano le chiavi e il rotolo delle leggi (traditio legis et clavium) che il Cristo affidò loro. Tuttavia la morte del sovrano prima e l’intervento di Giustiniano I dopo decisero che le tracce di Teodorico e dell’arianesimo in città fossero cancellate dalla storia. Il processo investì tutti i luoghi di culto ariani, tra cui un'altra basilica voluta da Teodorico – l’attuale Sant’Apollinare Nuovo – che conservava al suo interno un mirabile ciclo musivo. La conversione al culto cattolico, avvenuta nel 540, comportò anche un intervento sui mosaici che raffiguravano temi legati alla dottrina ariana. La conversione, su iniziativa del vescovo Agnello, implicò una damnatio memoriae, una sorta di condanna della memoria: se alcune fasce, quelle più alte raffiguranti santi, profeti e scene della vita di Cristo vennero lasciate integre, quelle inferiori – sopra gli archi tra le navate – riguardanti Teodorico e i rimandi più evidenti al credo ariano vennero ridecorate e in alcuni casi drasticamente alterate.
  2. Teodorico, in equilibrio tra due mondi Secondo sovrano barbaro di Roma dopo Odoacre, Teodorico fu spregiudicato nella conquista del potere, ma accorto nella sua gestione. Seppe far convivere sudditi di origini e religioni diverse. https://www.storicang.it/a/teodorico-in-equilibrio-tra-due-mondi_16308 Alla metà del V secolo gli ostrogoti erano subordinati agli unni e stanziati nella pianura pannonica (l’odierna Ungheria). In seguito divennero “federati” dell’impero d’Oriente e come tali s'insediarono in Macedonia; ma il governo di Costantinopoli, che preferiva non averli ai suoi confini, li incoraggiò a indirizzarsi sull’Italia conferendo al loro re Teodorico il titolo di patricius, vale a dire di difensore della città di Roma e di governatore per conto dell’impero dell’Italia e della Dalmazia. Vinto e ucciso a tradimento nel 493 il re degli eruli Odoacre, che nel 476 aveva deposto l’ultimo imperatore della pars Occidentis, Teodorico, risiedendo nella capitale di Ravenna, inaugurò una politica di convivenza tra goti e romani, basata sulla distinzione dei compiti, ma attenta a evitare soperchierie e quindi attriti. Sotto il suo regno, l’Italia divenne la principale potenza territoriale d’Europa. L’altorilievo raffigura il duello tra Teodorico e Odoacre, re degli eruli. XII secolo, basilica di san Zeno a Verona Foto: Scala, Firenze Oltre all’Italia, i suoi confini includevano la metà occidentale dell’antica Illiria e la porzione della Rezia corrispondente grosso modo alle attuali Svizzera e Austria. Teodorico aveva conquistato anche la Gallia meridionale, persa tuttavia all’inizio del VI secolo; era inoltre importante il legame personale che lo congiungeva all’altro grande regno goto nella penisola iberica. I privilegi concessi a Teodorico ne facevano una sorta di viceimperatore per la parte occidentale, al punto che il sovrano seguiva un cerimoniale delle apparizioni pubbliche non dissimile da quello dell’imperatore vero e proprio; era chiamato augustus dai funzionari romani al suo servizio in una linea di continuità rispetto al passato. Tuttavia, Teodorico ebbe sempre l’accortezza di farsi chiamare rex, mai imperator, in modo da non creare dissidi con Bisanzio che, già preoccupata per i suoi vasti poteri, avrebbe avuto una ragione in più per contrastarlo appena fosse stato possibile. Non si trattava però di un rex Gothorum, cioè di un sovrano della sola “nazione” germanica, come si può verificare per gli altri regni dell’Europa del tempo, ma di un titolo che gli veniva attribuito senza specificazioni etniche, in modo da coinvolgere anche i sudditi latini. A questa saggia ed equilibrata politica interna egli accompagnava un estremo dinamismo nei rapporti con gli altri regni romano-barbarici: si alleò, anche con una costante politica matrimoniale, con visigoti di Spagna, franchi di Gallia, burgundi. Insomma, la sua azione prese gradualmente a configurare una sorta di soluzione federativa germanica dell’Occidente, nonostante l’ascesa dei franchi di Clodoveo agli inizi del VI secolo ponesse un serio pregiudizio alla supremazia teodoriciana. Statua bronzea del re Teodorico raffigurato con la sua armatura. XVI secolo, tomba dell’imperatore Massimiliano, chiesa francescana di Innsbruck Foto: Scala, Firenze Latini e germani Teodorico era, istituzionalmente parlando, l’unico goto ad avere, come patricius, la cittadinanza romana; per il resto, goti e romani convivevano in un regime di separazione giuridica. I primi, che istituzionalmente erano “federati” dell’impero, si occupavano solo delle cose militari; i secondi, solo di quelle civili. Il fatto che i goti fossero ariani mentre i “latini” (come sempre più spesso venivano definiti dalla loro lingua ufficiale) seguaci della Chiesa che aveva accettato il concilio di Nicea (325) favorì lo sviluppo della vita parallela delle comunità, ciascuna delle quali aveva i suoi edifici di culto, il suo clero e la sua liturgia. Sarebbe stata possibile un’altra strada, cioè quella di promuovere l’integrazione tra le due comunità, favorendo per esempio i matrimoni misti? È difficile dirlo: Teodorico aveva trascorso l’infanzia come ostaggio a Costantinopoli, dove aveva ricevuto un’educazione romana; tuttavia, se in lui la convivenza di due culture si deve considerare naturale, non si può dire altrettanto per l’insieme dei goti. Nelle diverse nationes scaturite dall’ insediamento dei germani entro i confini dell’impero d’Occidente l’assimilazione tra i romani e i nuovi arrivati fu un processo piuttosto lento. Nonostante le numerose differenze tra le situazioni regionali, è possibile evidenziare alcuni caratteri comuni di natura sociale e culturale. Il modello prevalente nell’organizzazione delle società romano-germaniche si basava sulla separazione fra un esercito a prevalenza germanica e la popolazione civile, romana. Questo fece sì che nei diversi regni romano-germanici vigesse un sistema di duplici (o molteplici) diritti. Tuttavia, il caso italico era differente, in quanto formalmente la penisola era parte dell’impero e, come scriveva Cassiodoro, «qualunque cosa venga associata all’Italia obbedisce al diritto romano». In effetti manca per il regno ostrogoto un codice per i germani. L’Editto di Teodorico, testo in 154 articoli di discussa attribuzione (potrebbe appartenere alla Spagna visigotica e a Teodorico II), è comunque ispirato al diritto romano. Le cariche civili rimasero dunque in larga parte nelle mani dei latini. Non mancano tuttavia casi di latini che svolgevano un ruolo nella militia gota. I rampolli maschi dell’aristocrazia gota venivano allevati a corte, secondo la tradizione germanica. L’esercito era guidato da duces scelti dal re. Rispetto a quella terrestre, la difesa marittima è meno considerata; i germani, con l’eccezione dei vandali, non avevano grande consuetudine con la navigazione, e la supremazia bizantina nel Mediterraneo in questo periodo era da considerarsi indiscussa. Tuttavia anche i goti dovevano aver acquisito una qualche dimestichezza. Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, eretta per volere di Teodorico nel 505 come luogo di culto ariano Foto: Gabriele Croppi / Fototeca 9X12 Il governo Lo splendore della corte teodoriciana (chiamata domus o palatium) a Ravenna doveva ricordare quella imperiale. Purtroppo il palazzo di Teodorico non esiste più, ma si può comunque ammirare nel magnifico mosaico della basilica di Sant’Apollinare Nuovo, fatta edificare dal sovrano come cappella palaziale. Le scelte di Teodorico mostrano con chiarezza la sua attenzione per la valorizzazione dell’antico, ma anche per un rinnovamento che seguisse il solco di tale tradizione: il materiale di spoglio dei templi abbandonati e cadenti avrebbe dovuto essere utilizzato per abbellire nuove costruzioni. A Ravenna non sono molte le applicazioni di questo principio, ma è l’intera edilizia monumentale a illustrare il progetto teodoriciano, appoggiato dall’aristocrazia gota, di raccogliere l’eredità della Roma antica. Oltre alle chiese e al suo palazzo, Teodorico vi fece restaurare il celebre acquedotto di Traiano, quasi interamente rovinato. Goti e italici avevano i medesimi doveri nei confronti del fisco. Era forse più difficile sottoporre i goti a un costume, quello della tassazione, nuovo per loro. Si registrano a questo proposito provvedimenti regi, per esempio quello contro i goti di Andria che si rifiutavano radicalmente di versare le tasse allo stato. Teodorico cercò di dare impulso all’economia. La sua opera più celebre furono le bonifiche, delle quali egli parlava come di una gloria del suo tempo. Per i commerci era previsto l’appalto triennale sul teloneum, una tassa sui commerci che gravavano tanto sull’acquirente quanto sul compratore. È stato ipotizzato che a coprire il ruolo di telonarii fossero gli ebrei del regno. Verso di una moneta in oro che raffigura Teodorico. Sul recto è raffigurato il coevo imperatore d’Oriente. VI secolo Foto: Bridgerman / Aci Nonostante, in teoria, la monetazione avrebbe dovuto ricalcare per le stesse ragioni quella imperiale, sappiamo che l’effigie del re goto veniva impressa sulle monete, in quanto in una lettera si tratta dell’istituzione di un funzionario preposto al controllo di tale attività. Il sovrano era anche considerato giudice supremo; per processi particolarmente spinosi e di grande rilevanza, quindi, le parti in causa potevano essere convocate alla presenza del re, che si serviva poi di appositi funzionari per ciò che riguardava la parte amministrativa. La successione Nel 518 l’imperatore Giustino I accettò di riconoscere Eutarico come successore designato di Teodorico, del quale aveva sposato la figlia Amalasunta. Tuttavia, Giustino intraprese una dura politica di persecuzione antiereticale; a farne le spese furono, tra gli altri, anche gli ariani. Nel nord Italia si verificarono diversi disordini che vedevano i goti ariani e gli ebrei da una parte, i cattolici dall’altra. La repressione fu dura, ma in due anni la questione parve risolta. Nel 522, come segno di distensione fra le comunità cattolico-latina e ariano-germanica, Teodorico scelse di affidare il consolato ai due figli di Boezio, al tempo magister officiorum. Ma nello stesso anno Eutarico morì, lasciando Amalasunta e due figli, Atalarico e Matasunta, ancora in tenera età; si riaprì così il problema della successione, nella quale il senato romano era a quanto pare convinto di avere voce in capitolo. Nel 523 il patricius e console Albino scrisse alcune lettere all’imperatore Giustino nelle quali si discuteva, appunto, della successione. Tali lettere vennero però intercettate e Albino fu accusato di complotto ai danni del regno di Teodorico. Nonostante sia probabile che Albino avesse alle spalle buona parte dell’élite romana, per quanto possiamo capire non tutti auspicavano una rottura definitiva con il sovrano. Voluto dal sovrano stesso e realizzato intorno al 520, il mausoleo di Teodorico è tra i più noti esempi di architettura funeraria visigota Foto: Scala, Firenze A spingere verso un’accusa per alto tradimento fu infatti un altro patrizio e console anziano, Cipriano; in qualità di magister officiorum Boezio assunse la difesa: pur sostenendo la falsità delle accuse mosse da Cipriano, affermò che, qualora Albino avesse fatto qualcosa, lui stesso e il senato avrebbero dovuto esser ritenuti colpevoli: non solo la mossa era azzardata, ma aveva il sapore di una presa di posizione radicale nei confronti di Teodorico. È probabile che, a questo punto, fosse in atto un dissidio fra la corte di Ravenna, che ovviamente parteggiava per Teodorico, e l’aristocrazia latina di Roma: una divisione fra quanti a Roma avrebbero visto di buon occhio un intervento bizantino e i latini, fedeli invece al potere goto, fra i quali Cassiodoro. A seguito delle sue parole, e forse di alcuni documenti falsificati, Boezio fu incarcerato a Pavia con l’accusa di tradimento e di magia; nel 525 venne condannato e messo a morte. Alla morte di Teodorico, sarà Amalasunta, sua unica figlia, ad assumere la reggenza Nello stesso anno Giustiniano era succeduto a Giustino I: fu lui ad accogliere l’ambasceria di papa Giovanni I il quale, per conto di Teodorico, chiedeva invano la cessazione delle persecuzioni contro gli ariani. Intanto Teodorico, dati i cattivi rapporti con il nuovo imperatore, designò il nuovo successore senza chiedere il parere di Giustiniano, ma consultandosi solo con l’aristocrazia gota. La scelta cadde sul nipote Atalarico, al tempo circa decenne. Questo e l’elezione del papa Felice IV furono gli ultimi atti pubblici di Teodorico, che morì nel 526. La figlia Amalasunta assunse la reggenza, ma gli anni che seguirono furono difficili e portarono al rapido deteriorarsi del potere goto in Italia. Per saperne di più Storia dei Goti. Herwig Wolfram, Res Gestae, Milano, 2021
  3. BUONGIORNO, spulciando in una vecchia colleziona di famiglia ho trovato una monetina interessante ma per il mio grado di interesse ancora difficile da catalogare. si tratta di una mezza siliqua di teodorico in onore a zeno. sul ric la da a al n. 3647 volume 10 quella in mio possesso e' un fior di conio, e' stupenda nel senso che posso contare uno a uno i capelli della figura se voglio ma, particolarita' non da poco la mia ha la Z al contrario che il ric la da al 3648. la mia domanda e': qualcuno sa dirmi qualcosa di piu? indice di rarita', valore approsimativo e soprattutto perche' ha la z al contrario?
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