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  1. Slave un mio amico (non numismatico mi ha dato una moneta romana è vorrei capire se è vera o falsa
  2. ARES III

    Un vetro in sarcofago

    Solleva il coperchio del sarcofago. E cosa trova. Il vetro meraviglioso dei romani. Cos’è, a cosa serviva. La scritta, il profumo Trovata recentemente in un sarcofago romano, ai piedi di un defunto, la coppa è stata studiata e restaurata. Il prezioso, raffinatissimo contenitore di vetro che reca la scritta VIVAS FELICITER (Vivi felicemente) conteneva tracce di ambra grigia, il “vomito di balena”, una sostanza preziosa, usata in profumeria, ricavata dai resti digestivi dei grandi cetacei. L’opera rarissima è stata portata alla luce dall’Inrap, in collaborazione con il Servizio Archeologico della Città di Autun (Saône-et-Loire) che ha scavato parte della necropoli situata nei pressi dell’antico insediamento paleocristiano chiesa di Saint-Pierre-l’Estrier. “Un sarcofago in pietra ha restituito un notevole vaso “diatreta”, risalente al IV secolo d.C. – dicono gli archeologi dell’Inrap – Completo, ma molto frammentato, è stato affidato al Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza (Germania). Dopo il restauro e lo studio, questo pezzo eccezionale è tornato ad Autun”. Il sarcofago in calcare in cui è stata trovata la coppa. Christophe Fouquin, Inrap Il vaso di vetro scolpito e – al centro – e lettere che furono applicate per realizzare la scritta Vivas feliciter. Hamid Azmoun/Inrap La scritta è un’esortazione romana, che si presenta generalmente correlata all’atto del bere vino: “Bibe, vivas feliciter” appare su una coppa romana che fu trovata ad Aquileia. il cui significato è analogo rispetto all’oggetto trovato recentemente nella necropoli francese, qui nella foto. Hamid Azmoun/Inrap La coppa diatreta è una tipologia di contenitore in vetro romano di lusso, diffusosi intorno al IV secolo circa, e considerato il vertice delle potenzialità dei romani nella lavorazione del vetro. Le diatreta consistono di un contenitore interno e di una gabbia o un guscio decorativo esterno che si distacca dal corpo della coppa, al quale resta attaccato tramite corti supporti. “Dei pochi vasi diatreta individuati, rari sono quelli rinvenuti in ambito archeologico. – proseguono gli archeologi dell’Inrap – Questi capolavori dell’arte vetraria romana, scolpiti da un blocco di vetro, richiesero diversi mesi di lavoro da parte di un esperto vetraio. Molto prestigioso, questo vaso fu offerto come dono ad una persona importante, probabilmente vicina al potere imperiale. Questa ciotola di 15 cm di diametro per 12,6 cm di altezza è leggermente inclinata di lato e il suo bordo non è perfettamente circolare. Sulla fascia centrale si sviluppa, appunto, un’iscrizione latina VIVAS FELICITER (“Vivi felicemente”), sormontata da un collare decorato con ovali (motivo a uovo). Una rete in filigrana di otto ovali cuoriformi con rosetta circolare costituisce la base del vaso”. “Per conoscere la composizione del suo contenuto sono state effettuate analisi di impregnazione. – dicono gli archeologi dell’Inrap – Le indagini hanno rivelato la presenza di una miscela di oli, piante e fiori oltre all’ambra grigia. Concrezione intestinale di un capodoglio, l’ambra grigia viene solitamente raccolta dalle spiagge. La sua origine è stata a lungo dibattuta, prima di essere compresa nel XVIII secolo. Questo prodotto estremamente raro e prezioso, a volte indicato come “tartufo di mare” o “vomito di balena”, viene utilizzato per le sue proprietà aromatiche e medicinali. Ezio d’Amida, medico greco vissuto a cavallo tra il V-VI secolo dC, lo cita come componente di una ricetta del “nardo”, un profumo destinato alla chiesa. Le analisi effettuate sul vaso diatreta ne fanno attualmente la più antica testimonianza archeologica dell’uso di questa rarissima sostanza”. Ma cos’è, esattamente, l’ambra grigia? Il capodoglio produce una secrezione a base di una molecola chiamata ambreina. Di fatto è un lubrificante che protegge le mucose dello stomaco e dell’intestino da frammenti indigesti – ad esempio frammenti di conchiglie -. Il capodoglio rilascia ambra grigia quando vomita – e in quel caso l’emissione è in grossa quantità – o diluita nelle feci. Il prodotto è profumatissimo ed è utilizzato dall’uomo per fissare e rendere più durature le fragranze volatili delle essenze di fiori o piante. https://stilearte.it/solleva-il-coperchio-del-sarcofago-e-cosa-trova-il-vetro-meraviglioso-dei-romani-cose-a-cosa-serviva-la-scritta-il-profumo/ Precisazione: La sostanza viene prodotta naturalmente come secrezione biliare per difendere le mucose intestinali del capodoglio dai resti indigesti dei molluschi cefalopodi, di cui i capodogli si nutrono, indurendosi intorno ai residui della digestione ed inglobandoli. Il principale costituente chimico dell'ambra grigia è l'ambreina e l'attrazione che il suo odore esercita è dovuta al grande contenuto di feromone analogamente ad altre sostanze aromatiche di origine animale, come il castoreum. L'ambra grigia viene espulsa naturalmente dal capodoglio attraverso le feci, oppure, in caso di accumuli eccessivamente grandi per essere espulsi attraverso il tratto fecale, viene occasionalmente rigurgitata. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ambra_grigia
  3. Scavi per il polo scolastico rivelano capolavori dell’edilizia romana. La riconoscenza dell’imperatore Claudio A Dardilly una squadra di archeologi guidata da David Baldassari ha portato a termine una significativa fase di scavi che ha svelato dettagli sull’antico acquedotto romano denominato Brévenne. Quest’ultimo è uno dei quattro che un tempo rifornivano d’acqua la maestosa città di Lugdunum, l’odierna Lione, tracciando il suo percorso dalla sorgente nel comune di Aveize, situato a nord dei Monts du Lyonnais. Il manufatto romano @ Foto Archeodunum Dardilly è un comune francese di 8.500 abitanti della regione Alvernia-Rodano-Alpi. Si trova a una dozzina di chilometri da Lione. L’acquedotto, lungo ben 9,4 chilometri nel territorio di Dardilly, si snoda sia in superficie, aeree e panoramiche, che sottoterra, attraverso complessi canali e gallerie. È proprio in questa forma sotterranea che è emerso durante lo scavo di un’area destinata ad accogliere il nuovo polo scolastico del comune. Il canale dell’acquedotto, ben conservato per oltre 60 metri, ha rivelato testimonianze affascinanti della sua originaria struttura a volta, un dettaglio che ha entusiasmato gli archeologi impegnati nel progetto. Illustrazione dello scavo da parte dell’archeologo @ Foto Archeodunum La sezione dell’acquedotto mostra la solidità dell’opera romana @ Foto Archeodunum Il sito non si limita alla scoperta dell’acquedotto; al contrario, offre una finestra aperta sul passato, presentando anche tracce dell’occupazione medievale della zona. Tra le scoperte più suggestive figurano silos e resti di antiche abitazioni, che gettano luce sulle modalità di vita e le attività quotidiane della comunità che un tempo popolava questa regione. David Baldassari, il capo della missione archeologica, ha commentato entusiasticamente le scoperte: “Questo scavo offre una rara opportunità di esplorare il passato della nostra regione. L’acquedotto Brévenne non solo ci permette di riscrivere la storia dell’approvvigionamento idrico di Lugdunum, ma anche di comprendere meglio le dinamiche sociali e economiche delle civiltà antiche che hanno abitato questa terra.” Lugdunum (o Lugudunum) – la città in cui giungeva questo acquedotto – è il nome della colonia che diventerà la capitale della Gallia nel 27 a.C., corrispondente all’odierna città di Lione. Il luogo, occupato sin dal VI secolo a.C. da popolazioni locali, fu scelto dai Romani per la fondazione della colonia sulla collina di Fourvière nel 43 a.C., ad opera di Lucio Munazio Planco, governatore della Gallia Comata. Questo periodo di fondazione fu segnato da turbolenze politiche a seguito dell’assassinio di Cesare e della successiva guerra civile tra Marco Antonio e il Senato. Lugdunum diventa un punto strategico per la presenza romana in Gallia, posizionandosi al centro del corridoio commerciale tra il Mediterraneo e le regioni del Reno, dell’Aquitania e delle coste sulla Manica, attraverso la valle del Rodano e della Saona. L’Impero romano investe notevoli risorse per sostenere lo sviluppo della città, includendo la costruzione di strade, acquedotti, dighe e moli sul fiume. Questi investimenti portano prosperità durante l’apice dell’Impero, ma contribuiscono anche alla rapida decadenza di Lugdunum nel III secolo a causa dell’elevato costo di manutenzione delle infrastrutture. L’imperatore Claudio, nato a Lugdunum nel 10 a.C., visita frequentemente la città, contribuendo anche alla costruzione dell’acquedotto della Brévenne. Nel passato sono stati trovati una trentina di tubi di piombo che recano le sue iniziali. Perché Claudio è nato qui? Suo padre, il generale Druso, fratello del futuro imperatore Tiberio, risiedette in questa città fra il 13 a.C. e il 9 a.C.; nella stessa città la moglie Antonia, che attendeva il rientro di Druso dalla campagna in Germania, diede alla luce Claudio, che mantenne un forte legame affettivo con questi luoghi e i suoi abitanti. Egli concesse ai galli l’accesso ala magistratura romana. Durante la dinastia dei Flavi (69-96) e successivamente sotto gli Antonini (96-192), Lugdunum conosce il suo periodo di massima prosperità, in sintonia con la pax romana. La sua popolazione, stimata tra 50.000 e 80.000 abitanti, la colloca tra le più grandi città della Gallia, insieme a Narbo Martius. https://stilearte.it/scavi-per-il-polo-scolastico-rivelano-capolavori-delledilizia-romana-la-riconoscenza-dellimperatore-claudio-per-la-citta-natale/
  4. Vel Saties

    La conquista romana delle Alpi

    lette col senno di poi le Res Gestae divi augusti, là ove parlano della conquista e pacificazione (parliamone) della Rezia e delle regioni alpine sono il preludio per la conquista della Germania. I resti archeologici dello scontro tra romani ed antiche popolazioni delle vallate svizzere riportato dal buon @ARES III si inquadrano proprio in questo scenario è piano di conquista a lungo termine.
  5. Le ultimi battaglie dell'impero romano d'Occidente sono molto poco conosciute e documentate. Ma non per questo furono meno fondamentali negli ultimi anni dell'impero d'Occidente. Chi conosce, per esempio, la battaglia di Bergamo del febbraio 464 in cui Ricimero sbaraglierà l'esercito degli Alani di Beorgor? Nel 468 d.C., nelle acque davanti alla città di Cartagine, si consuma uno dei peggiori disastri militari dell'intera Storia romana. È la battaglia di Capo Bon, nella quale Genserico, re dei Vandali, distrugge la più grande flotta romana mai messa assieme nella Storia. E con essa, l'ultima speranza per i Romani di poter avviare una ripresa dell'impero in Occidente.
  6. ARES III

    Isole Canarie: nuove scoperte romane

    Los Lobos: insediamenti romani si arricchisce di un nuovo capitolo per le Canarie Los Lobos: insediamenti romani si arricchisce di un nuovo capitolo per le Canarie Nell’isola di Los Lobos, nell’arcipelago delle Isole Canarie, nuovi rilievi effettuati con un georadar hanno consentito di identificare nuove aree di scavo, che aprono la strada all’ipotesi che gli insediamenti romani a Los Lobos, datati tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. fossero molto più estesi di quanto si presumesse fino ad oggi. Queste sono le ipotesi espresse lo scorso mese dalla direttrice degli scavi Carmina del Arco, Docente di Archeologia presso l’Universidad de La Laguna, dopo che si è concluso il sesto ciclo di scavi. I primi scavi erano iniziati nel 2012, quando alcuni turisti trovarono pezzi di ceramica, che vennero identificati come resti di anfore romane. Le nuove scoperte nascono dai lavori realizzati in collaborazione con l’Universidad de Las Palmas de Gran Canaria, che hanno visto l’applicazione e l’utilizzo di un georadar nelle zone nord e sud dell’area di scavo. Grazie all’ausilio di questa tecnologia, è stato possibile definire le dimensioni dell’insediamento e rilevare anche le infrastrutture edificate dai Romani, per capire poi successivamente a cosa erano destinate. L’insediamento di Los Lobos misura 520 metri quadrati già riportati alla luce, ma eventuali nuovi rilevamenti in futuro potrebbero confermarne le maggiori dimensioni ed estendere la superficie interessata oltre Playa de La Calera, verso altre zone dell’isola. Si tratta di valutazioni provvisorie, ma sembra siano già stati identificati altri punti nella zona meridionale dell’insediamento, come anche verso nord e verso la parte estrema de La Calera, come spiega la Direttrice Del Arco. Dopo la conclusione dell’ultimo ciclo di scavi, gli archeologi coinvolti nel progetto ipotizzano che nel prossimo ciclo di lavori sarà necessario stabilire cosa fare a lungo termine e che destinazione dare a quest’area. Alcuni pensano alla creazione di un museo, progetto per cui si renderebbe necessario avviare una intensa campagna di lavori, per dissotterrare tutto quello che rimane ancora coperto, ed intervenire dando priorità alle finalità del progetto. La campagna appena conclusa ha riguardato i lavori di scavo nella zona sud dell’insediamento, ed ha avuto come obiettivo la definizione dei limiti dell’area collegata ad una frana, verificatasi nel passato, e che aveva colpito insediamenti precedentemente occupati. Gli scavi del 2023, come conferma Del Arco, hanno consentito un avanzamento nel lavoro di analisi di tutti gli aspetti di vita quotidiana di coloro che lavoravano nel laboratorio per l’estrazione della porpora. Grazie a quest’ultimo ciclo di scavi, si è potuto apprendere cosa mangiavano, quali stoviglie usavano, che tipo di rifiuti generavano, e come erano costruiti gli spazi dedicati alla lavorazione della porpora. I lavori hanno riguardato ulteriori approfondimenti in merito ai resti della “Stramonita haemastoma”, il mollusco che rilasciava il liquido utilizzato per tingere i tessuti. Ma sono stati anche rinvenuti resti di esemplari di foca monaca e di tartarughe marine, come anche numerosi pezzi di ceramica romana. L’elenco delle ceramiche ritrovate in questi anni a Los Lobos è ampio e significativo, e risale all’epoca della tarda Repubblica e dell’Alto Impero, spesso provenienti da laboratori della regione della Spagna meridionale del Bajo Guadalquivir, anche se molti resti di ceramica provengono direttamente dalla penisola italica. In questi anni sono stati ritrovati pezzi di ceramica da trasporto, come anfore, vasellame comune, da tavola, oltre ad esemplari e pezzi metallici in bronzo, ferro, piombo, e anche pietre impiegate nella lavorazione della porpora. I lavori effettuati quest’anno hanno portato alla luce nuove concerie, nuovi sedimenti impregnati di porpora, che attualmente stanno richiamando grande interesse presso la comunità scientifica internazionale. In particolare, l’archeologo israeliano Zui Koren ha mostrato interesse per questi insediamenti, confermando che le scoperte fatte fino ad ora aprono uno spettro di ricerca molto importante. L’insediamento di Los Lobos rappresenta per i prossimi anni un ampio campo di studi e servirà per lo sviluppo di diverse linee di ricerca. Del Arco ha confermato che il laboratorio per la lavorazione della porpora di Los Lobos era unico nel suo genere, in tutta la fascia che va dallo stretto di Gibilterra fino all’Atlantico. Anche le massime autorità di Fuerteventura, nello specifico il Presidente del Cabildo, Lola García, ha confermato che questi sono gli scavi archeologici più importanti delle Canarie. Scavi resi possibili grazie alla collaborazione tra il Cabildo di Fuerteventura e quello di Tenerife, assieme alla società Binter. https://www.vivilecanarie.com/storia-e-cultura-delle-isole-canarie/los-lobos-insediamenti-romani-si-arricchisce-di-un-nuovo-capitolo-per-le-canarie/?amp=1
  7. Si stacca piccola lastra di marmo da edificio romano a Roselle. E sul lato B si scopre un’epigrafe. Cosa dice il frammento? Studiosi al lavoro Il punto in cui è avvenuto il distacco che ha consentito una piccola, interessante scoperta @ Parco archeologico di Roselle A sinistra, impronta lasciata dalla lastra di marmo. Ben visibili le lettere, in negativo, sulla stesura di malta. Altre informazioni potrebbero essere ricavate dal marmo lì accanto? @ Parco archeologico di Roselle “Non tutto il male vien per nuocere”! Capita a volte che un piccolo danno possa essere fonte di nuove informazioni. – osservano gli studiosi che dirigono il parco archeologico di Roselle – E’ quello che è successo tempo fa a Roselle, quando si è staccata un piccola lastra di rivestimento all’interno della cosiddetta basilica “A”, nell’area settentrionale del foro romano. La lastra, in marmo di Carrara, è risultata infatti essere una parte di un’epigrafe, riutilizzata però da rovescio, in modo che la scritta fosse contro il muro e quindi non si leggesse”. Sul pilastro a sinistra dell’abside della basilica ne è ancora ben visibile l’impronta. L’epigrafe compressa sulla malta antica ha lasciato un calco. “In epoca romana era uso comune reimpiegare materiali, soprattutto se preziosi come il marmo, ad esempio quando rotti o quando l’iscrizione non era più adeguata o addirittura da nascondere perché la persona ricordata era caduta in disgrazia”. – spiega il Parco archeologico di Roselle – La lapide è in corso di studio”. Sarà possibile rimuovere delicatamente anche altri lacerti di marmo, lì vicino, per capire se esista l’opportunità di comporre un “puzzle”? Intanto si lavora sul singolo lacerto. Volete vedere quello che c’è scritto? Abbiamo preso l’immagine della malta con le lettere impresse e l’abbiamo portata in una posizione speculare, collocandola nel possibile verso di lettura. Ecco cosa si legge. Roselle, conosciuta come Rusel nell’antica lingua etrusca e Rusellae per i Romani, rappresenta un affascinante sito archeologico di origini etrusche situato a soli 8 chilometri a nord della moderna città di Grosseto, in Italia. I resti della città sono collocati nelle vicinanze dell’attuale frazione omonima. Storia Roselle occupava una posizione strategica, lungo il passaggio tra la valle dell’Ombrone e la Maremma grossetana, sulle rive del vecchio lago Prile. Originariamente un’antica lucumonia dell’Etruria centrale e parte della dodecapoli etrusca, la città ha conservato tracce di diverse fasi storiche, dalla fase etrusco-villanoviana a quella romana. Fondata nel VII secolo a.C., Roselle fu menzionata da Dionigi di Alicarnasso tra le città che fornirono aiuto ai Latini durante la guerra contro Tarquinio Prisco. La città prosperò a spese delle lucumonie circostanti, in particolare Vetulonia. Nel 294 a.C., Roselle cadde sotto il dominio romano, diventando prima un municipio e successivamente, durante l’epoca di Augusto, una colonia. Questo periodo vide la costruzione del Foro, della basilica, di un sistema di raccolta delle acque piovane e di un edificio termale. Tracce di un anfiteatro e di ville romane sono ancora visibili. Tuttavia, a partire dal VI secolo, Roselle subì un declino, influenzato dalla diffusione della malaria che flagellò l’intera Maremma. La città fu abbandonata e rimase in uno stato di oblio fino al tardo Settecento, quando Pietro Leopoldo avviò la bonifica della zona. Scavi archeologici Negli anni ’50, la Soprintendenza archeologica della Toscana ha avviato una lunga campagna di scavi che ha riportato alla luce gli antichi edifici di Roselle. Tra i reperti più significativi si trovano la cinta muraria, l’anfiteatro romano, la Domus dei Mosaici, il Tempietto dei flamines Augustales, la basilica paleocristiana e le terme. La necropoli e la cattedrale di Roselle aggiungono ulteriori strati di fascino e mistero a questa antica città che, grazie agli sforzi degli archeologi moderni, continua a svelare la sua storia secolare. https://stilearte.it/si-stacca-piccola-lastra-di-marmo-da-edificio-romano-a-roselle-e-sul-lato-b-si-scopre-unepigrafe-cosa-dice-il-frammento-studiosi-al-lavoro/ Situata a 10 km da Grosseto, nel passaggio tra la Valle dell'Ombrone e la Maremma grossetana, Roselle è una delle lucumonie, città-stato etrusche, meglio conservate della zona dell'Etruria centrale; situata sulla riva dell'antico lago Prile, una delle zone archeologiche più interessanti d'Italia. ROSELLE ETRUSCA La sovrapposizione di edifici e mura appartenenti alle civiltà Villanoviana, Etrusca e poi Romana rende questa città un interessante spaccato del graduale passaggio da una civiltà all'altra come tutte le città di questo territorio. Chiamata Rusel dagli Etruschi divenne Roselle per i Romani.
  8. Monete, resti di armamenti, ex voto degli antichi romani, Giano bifronte. Tempio e teatro. Cosa sta rivelando il santuario del mulino bruciato? A Estrées-Saint-Denis, nell’Oise, in Francia un complesso santuario gallo romano è al centro di studi e di scavi. L’area del sito archeologico è denominata “Moulin Brûlé”. Posizionato sulla cima di un’altura naturale, 87 metri sopra il livello del mare, questo luogo ha rivelato tre monumenti principali, ciascuno testimone di diverse fasi storiche che vanno dalla Seconda Età del Ferro al Tardo Impero romano. Le indagini condotte dall’Inrap hanno illuminato la complessa storia di questo antico centro, svelando dettagli su un recinto consacrato, un tempio e un edificio per spettacoli. L’Inrap stesso ne ha dato notizia in queste ore, dopo un accurato studio dei materiali e dei resti. Siamo davvero al cospetto di uno spazio protetto, collocato su un rilievo del terreno, in cui avvenivano liturgie religiose e che offriva ai fedeli spazi per la preghiera. Un santuario attivo e ricco di iniziative come dimostra la presenza di un teatro. Parti di depositi rituali di origine militare dimostrano che il luogo era frequentato anche da soldati. “Una buca di posta lungo il muro sud del tempio iniziale ha rivelato un lotto di 13 monete galliche. – spiegano gli archeologi dell’Inrap – Appartengono tutte ad una facies regionale, in un range cronologico -60 / +50 (100), ad eccezione di due monete forse più antiche, la cui prima data di emissione risale al 150 a.C. Un piccolo oggetto indeterminato completa questo lotto monetario. Realizzato in lega di rame, assume la forma di un nocciolo di oliva. Un secondo oggetto della stessa costruzione è stato rinvenuto in una buca di posta adiacente, mentre un terzo, proveniente dal bottino del tempio, proviene sicuramente dall’una o dall’altra di queste strutture. Si tratta di tre pezzi di forma e dimensioni quasi simili (31×9 mm; circa 8,80 g). può essere paragonato ad un oggetto identico proveniente dal santuario di Fesques (Seine-Maritime)”. Un singolare oggetto con l’effigie di Giano bifronte, scoperto durante gli scavi © Clichés/DAO : S. Lancelot, Inrap E veniamo alla seconda fase del tempio. Anche in questo caso i gallo-romani portarono offerte. “Qualunque sia il periodo considerato, i reperti archeologici rinvenuti, soprattutto metallici, sono piuttosto caratteristici dei contesti santuariali. – spiegano gli archeologi dell’Inrap – Comprendono monete, ornamenti (fibule, perle potin), due ruote, anelli, pezzi di armamento (tre rivetti umbone, un grande rivetto a scudo) ed elementi di finimenti e finimenti (morsi, chiodo smaltato, anello guida). All’altezza della torre del portico, all’ingresso del recinto, è stato rinvenuto un singolare oggetto recante l’effigie di Giano, il dio bifronte ma anche degli inizi, dei passaggi e delle porte. Trovato anche un cursore dell’equilibrio, un oggetto militare, deviato dalla sua funzione primaria e bruciato. Infine, molti di questi manufatti furono oggetto di mutilazione intenzionale”. Uno dei reperti: una rotella metallica. Aveva la funzione di ex voto? © Samuel Guérin, Inrap I misteriosi oggetti a forma di nocciolo d’oliva © Inrap E ci sono poi questi oggetti metallici simili a noccioli d’oliva o ai piombi che biconici che si usano – oggi – per la pesca sportiva. Cos’erano quegli oggetti? Si può supporre che simulassero i micidiali proiettili lanciati dai frombolieri? Il recinto consacrato: uno spazio evolutivo La parte meridionale del sito rivela i resti di un recinto quadrangolare molto antico, il cui angolo sud-est è stato accuratamente esplorato. Questo recinto, risalente alla Seconda Età del Ferro (circa 360-210 a.C.), suggerisce uno spazio circondato da buche e fosse, con tracce di una palizzata ad est. La presenza di un ampio ingresso, delimitato da quattro buche per pali, indica una funzione significativa. Successive trasformazioni vedono il recinto evolversi in una struttura piena di fossati, con un portico d’ingresso più elaborato e spazi semi-interrati. Questa fase, datata tra il 50 a.C. e il 30 d.C., rivela un edificio circolare, forse di culto, con una pianta di circa 12,50 metri quadrati. Il complesso del santuario diviene più forte e imponente. La seconda metà del I secolo segna, infatti, un cambiamento monumentale, con il recinto che viene trasformato, con opere in muratura. Gallerie porticate emergono, seguendo in parte il percorso del recinto originale, e una “torre porticato” sostituisce il portico in legno. Questo complesso, esteso su circa 2116 metri quadrati, potrebbe essere stato occupato per tutto il II secolo, abbandonato alla fine dello stesso secolo o nella prima metà del III secolo. Reperti archeologici, in particolare manufatti metallici e un oggetto raffigurante Giano, il dio bifronte, forniscono un affascinante affaccio sulla vita e sulle pratiche religiose del luogo. Il tempio: un luogo sacro di trasformazione La porzione settentrionale del sito rivela i resti di un tempio, caratterizzato da due fasi costruttive successive. Il primo tempio, in legno, occupa un’area sacra racchiusa da una palizzata. Con una pianta absidata, questo edificio del 50-30 a.C. potrebbe aver ospitato un focolare o un altare. Una buca di posta lungo il muro sud ha rivelato un tesoro di monete galliche, offrendo un’interessante finestra sulle attività economiche della zona. La trasformazione successiva vede il tempio evolvere in una struttura in muratura, con una cella di circa 17 metri quadrati. Un pozzo, forse sormontato da un’edicola circolare, e la presenza di elementi mobili suggeriscono un abbandono alla fine del II secolo o all’inizio del III secolo. Il palazzo degli spettacoli: un teatro antico di rara eleganza Lo scavo dell'”orchestra” del teatro contenuto nel recinto sacro © S. Guérin, Inrap L’edificio degli spettacoli, uno dei soli otto teatri antichi nell’Oise, sorge sul punto più alto del sito. Due fasi costruttive si delineano: un’originaria costruzione in legno, datata tra il 50 a.C. e il 27 a.C., seguita da una versione più monumentale in muratura. La facciata diametrale del teatro, lunga 68 metri, comprende un muro scenico decorato con cornici modanate e elementi statuari. Il palco rettangolare, noto come pulpitum, occupa una superficie di circa 60 metri quadrati. L’emiciclo della cavea, sebbene non ancora completamente compreso nelle sue dimensioni, suggerisce una capacità di 3000-4000 posti. Il teatro sembra essere stato occupato fino alla fine del II secolo, abbandonato nella prima metà del III secolo. https://stilearte.it/monete-resti-di-armamenti-ex-voto-degli-antichi-romani-giano-bifronte-tempio-e-teatro-cosa-sta-rivelando-il-santuario-del-mulino-bruciato/ L’ENCLOS CONSACRÉ Dans la moitié sud du site sont apparus les vestiges d’un enclos quadrangulaire dont seul l’angle sud-est a pu être fouillé. Trois états de constructions ont été reconnus. Un enclos palissadé ? La première construction semble correspondre à un espace ceinturé par des structures de type trous de poteaux et fosses, dont une partie, à l'est, coïncide probablement avec l’élévation d’une palissade, ainsi qu'une large entrée matérialisée par quatre trous de poteaux. Dans l'un de ces derniers, de forme ovalaire, a été mis au jour un contenant en matière périssable (boîte en bois ? en cuir ?) en position quasi-centrale. Outre quelques gros charbons de bois, y ont été découverts sept tessons, la moitié d’une grosse perle en calcaire coquillier et plusieurs gouttelettes et/ou micro-scories de bronze, ainsi que des semences de caméline, des grains d’orge, de blé amidonnier et de céréales indéterminées, des fragments d’une matière organique évoquant de la mie de pain ou de galette, ainsi qu'un nombre important de semences de gesse cultivée/gesse chiche. Les analyses ont démontré que cette première occupation se met en place au second âge du Fer, autour de 360-210 av. J.-C., et perdure au moins jusqu’à 160 av. J.-C. Or, la gesse est quasiment absente en Picardie et en Île-de-France à cette période. Aussi, sa présence en quantité élevée tend à évoquer un dépôt primaire ou un dépôt de fondation. Un enclos fossoyé et un bâtiment circulaire Le deuxième état de construction paraît indiquer une transformation de l’espace palissadé en un enclos fossoyé. Celui-ci reprend pratiquement le même tracé que la palissade. Le porche d’entrée devient plus important et des espaces semi-enterrés sont aménagés de part et d’autre. La voie qui mène à l’entrée est elle-même bordée de poteaux, de nouvelles palissades étant peut-être dressées. Selon le mobilier retrouvé, cet enclos aurait été occupé de 50 - 30 av. J.-C. jusqu’à la fin du règne de Néron (54 apr. J.-C.), avant dernier empereur de la dynastie julio-claudienne. Évolution de l’enclos consacré et focus sur le bâtiment de plan circulaire. © Topographie : Sébastien Hébert ; DAO : S. Guérin, Inrap À l’intérieur de l’enclos, dans l’angle sud-est, 9 trous de poteaux déterminent le plan d’un bâtiment circulaire d’environ 4 m de diamètre (soit près de 12,50 m²), précédé à l’est d’une possible entrée signalée par deux autres trous de poteaux. Les édifices de plan circulaire et ovale ne sont pas inédits aux époques laténienne et pré-augustéenne. Pour preuve, le sanctuaire du « Moulin des Hayes » (Estrées-Saint-Denis) a lui aussi livré plusieurs bâtiments similaires, interprétés comme des espaces sacrés et/ou réservés à des entités sacrées. Un enclos maçonné C'est au cours de la seconde moitié du Ier s. apr. J.-C. que l’enclos est monumentalisé et pérennisé dans la pierre. Bien que cet ensemble nous soit parvenu uniquement à l’état de fondations, on constate qu’une fois les fossés comblés, des galeries à portiques sont élevées, reprenant en partie le tracé de l’enclos fossoyé. Cependant, pour ne pas réduire l’espace intérieur de la cour, l’emprise des galeries est reportée à l’extérieur des fossés (sur les côtés notamment). Enfin, une entrée monumentale de plan carré – la « tour-porche » – vient se substituer au porche en bois. La superficie minimum de cet ensemble est d’environ 2116 m², si l’on se base sur la façade orientale longue d’environ 46 m. Ce monument pourrait avoir été occupé durant tout le IIe s., avant d’être définitivement abandonné soit à la fin de ce même siècle ou au cours de la première moitié du IIIe s. Secteur 1 : photographie aérienne de l’enclos romain présentant les fondations d’une galerie de circulation et d’une tour-porche. Arc de Dierrey – « Le Moulin Brûlé », Estrées-Saint-Denis (Oise), 2014. © Pascal Raymond, Inrap/Mehdi Belarbi, Inrap. Quelle que soit la période considérée, le mobilier archéologique mis au jour, notamment métallique, est assez caractéristique des contextes de sanctuaires. Il comprend des monnaies, des parures (fibules, perle en potin), deux rouelles, des anneaux, des pièces d’armement (trois rivets d’umbo, un grand rivet de bouclier) et des éléments d'attelage et de harnachement (mors, clou émaillé, anneau passe-guides). Un objet singulier à l’effigie de Janus, le dieu aux deux visages mais aussi dieu des commencements, des passages et des portes, a quant à lui été mis au jour au niveau de la tour-porche, à l’entrée de l’enclos. Il s'agit d'un curseur de balance, détourné de sa fonction première et brûlé. Enfin, plusieurs de ces artefacts ont fait l’objet de mutilations intentionnelles. Après un hiatus, le secteur sera partiellement réinvesti à compter de l’an 325 jusqu’à la fin du IVe s., voire le début du siècle suivant. On constate en effet qu’un long fossé de drainage et un puits recoupent en totalité la galerie à portique sud. LE TEMPLE Dans la moitié nord de l’emprise, les vestiges d’un temple ont été mis en évidence. Deux états de construction successifs ont été reconnus. Un temple sur poteaux plantés et un dépôt de fondation Le temple dans son premier état a été découvert à la faveur d’un décapage consistant à démanteler les fondations du temple romain qui lui a succédé. Ce premier édifice en bois s’inscrit dans une aire sacrée (temenos) d’au moins 437 m² (23x19 m) clôturée par une palissade (le péribole). De plan absidal et ouvert a priori vers l’ouest, ce temple primitif, s’élevant sur dix poteaux, occupait une surface de 39 m². Il est possible qu’il ait abrité un foyer ou un autel, mais il n’en subsiste aucune trace. Enfin, le mobilier archéologique indique que ce temple fonctionna au cours de 50 - 30 av. J.-C. à la période julio-claudienne (entre 27 av. J. -C. et 68 apr. J.-C.). Secteur 2, emprise du temple gaulois (Ier s. av. notre ère). Arc de Dierrey – « Le Moulin Brûlé », Estrées-Saint-Denis (Oise), 2014. © Samuel Guérin, Inrap Un trou de poteau bornant la paroi sud du temple initial a livré un lot de 13 monnaies gauloises. Toutes appartiennent à un faciès régional, dans une fourchette chronologique -60 / +50 (100), à l’exception de deux monnaies qui sont peut-être plus anciennes, leur première date d’émission remontant à 150 av. J.-C. Un petit objet indéterminé vient compléter ce lot monétaire. Réalisé à partir d’un alliage cuivreux, il prend la forme d’un noyau d’olive. Un deuxième objet de même facture a été découvert dans un trou de poteau adjacent, tandis qu’un troisième, issu des déblais du temple, provient certainement de l’une ou l’autre de ces structures. Ces trois pièces de forme et de dimensions quasi similaires (31x9 mm ; environ 8,80 g). peuvent être assimilés à un objet identique issu du sanctuaire de Fesques (Seine-Maritime). Objet indéterminé en forme de noyau d’olive rréalisé à partir d’un alliage cuivreux. © Inrap Un temple maçonné Les fondations maçonnées du temple à plan centré, appelé fanum, ont succédé au temple primitif en bois ; il en est de même pour l’emprise du péribole. Les limites de l’aire sacrée ne sont pas connues, mais on constate que le fanum n’était pas centré dans le temenos. De plan presque carré, la cella mesure environ cinq mètres sur six de côté, pour un espace interne d’environ 17 m². L’édifice est fondé sur un radier de silex assez dense, de même que la galerie de circulation, de 10,50 m de côté et de 1,50 à 2 m de large, les déambulatoires mesurant environ 9 m de long. Seule une partie des fondations des murs nord, est et sud du péribole ont été mises au jour. Par ailleurs, un puits est localisé à l’extérieur de l’espace sacré, mais proche du mur nord du péribole. Ce puits était probablement coiffé d’un édicule circulaire. Sondé jusqu’à 5 m de profondeur, il a livré quelques éléments mobiliers qui suggèrent un abandon à la fin du IIe s. ou au début du IIIe s. Bâti à la fin de la première moitié du Ier s. apr. J.-C. ou dans le courant de la seconde moitié du Ier s., le temple a été désaffecté lui aussi durant la première moitié du IIIe s. Évolution du temple en bois vers le fanum maçonné. En haut, à droite : fragment d’orle de bouclier découvert dans St.126 et talon à douille conique d’arme d’hast mis au jour dans le niveau 1033 (temenos) ; en bas, à droite : petits objets indéterminés en forme de noyau d’olive découverts dans St.437 et 445. © Topographie : Sébastien Hébert ; clichés : S. Lancelot ; DAO : S. Guérin, Inrap L’ÉDIFICE DE SPECTACLE L’édifice de spectacle compte parmi les huit théâtres antiques recensés dans l’Oise. Il a été construit sur le point le plus haut de l’éminence naturelle, alors que le temple qui lui fait face, s’élève sur un léger versant exposé au nord. Entre les deux, une longue esplanade (porticus post scaenam) de plan quadrangulaire permet la circulation entre les deux monuments. Deux états de construction ont été identifiés pour le théâtre (fig. 4). En effet, une série de structures en creux suggère qu’une construction en bois précéda le monument en partie maçonné (état 2). Secteur 2 (plan) : esplanade localisée à l’arrière du théâtre romain (Ier-IIe s. apr. notre ère). Arc de Dierrey – « Le Moulin Brûlé », Estrées-Saint-Denis (Oise), 2014. © Samuel Guérin, Inrap Un premier théâtre construit en bois Le plan de l’édifice de spectacle dans son deuxième état reprend celui d’un édifice primitif, de plus petite dimension, dont ont été identifiés l’axe de la façade diamétrale, l’emplacement supposé de la scène et une partie de l’emprise de la cavea. Lors du décapage des fondations de la façade diamétrale maçonnée, les fonds de trous de poteaux alignés, distants les uns des autres d’environ 1 m, sont apparus. Une structure construite sur ossature bois semble donc avoir constitué cette première façade, sa longueur restituée étant d’environ 50 m. Le dispositif scénique était intégré au centre de celle-ci, à cheval entre l’esplanade qui la borde à l’extérieur et une aire trapézoïdale localisée devant la scène (vestige d’une orchestra ?). Les dimensions de cette scène sont évaluées à 10 m de long contre environ 4,50 m de large, soit une surface d’environ 45 m². Structures rectangulaires interprétées comme les fosses d’implantation de pieux verticaux qui bordaient la cavea primitive. © Cliché : S. Guérin, Inrap À environ 8 m au sud de la façade diamétrale maçonnée, une aire en forme de demi-cercle prolongé par deux lignes parallèles est circonscrite par une succession de vingt fosses interprétées comme les fosses d’implantation de pieux verticaux qui bordaient la cavea. Du côté nord, une tranchée était probablement destinée à recevoir une poutre de sablière basse, limitant l’emprise de la cavea de ce côté-ci. Finalement, l’ensemble de ces structures a vraisemblablement été aménagé dans le but de contenir une partie des remblais qui constituaient la pente de la cavea. Il pourrait aussi concerner un dispositif supportant une cavea construite intégralement en bois, comme sur le site de Boult-sur-Suippe, à 15 km de Reims, où des fosses rectangulaires semblent avoir servi à l’implantation de pieux verticaux permettant de contenir une partie du remblai interne de la cavea d’un édifice de spectacle en bois d’époque romaine. Dans le cas présent, il manque des données sur la nature des gradins : ces derniers étaient soit en bois, ou bien de simples talus concentriques ont été aménagés, tenant lieu de gradins gazonnés. Le théâtre primitif d’Estrées-Saint-Denis paraît avoir été édifié durant la période Pré-augustéenne (50-27 av. J.-C.), voire Augustéenne (27 av. J.-C./14 apr. J.-C.), ce qu’une datation C14 tend à confirmer. De fait, ce théâtre peut être considéré comme le plus ancien édifice de spectacle de l’Oise et, au-delà, comme l’un des plus anciens théâtres de Gaule Belgique. Secteur 2 : photographie aérienne du fanum et du théâtre. Arc de Dierrey – « Le Moulin Brûlé », Estrées-Saint-Denis (Oise), 2014. © Pascal Raymond, Inrap/Mehdi Belarbi, Inrap Le théâtre maçonné Dans son état maçonné, les vestiges de l’édifice de spectacle se résument pour l’essentiel aux éléments de fondation et aux tranchées de récupération. Sont ainsi conservés les murs périmétraux rectilignes et le mur de scène, les substructions de la scène, l’emprise de l’orchestra, deux tronçons de murs dans la cavea. Des observations réalisées à partir des bermes est et ouest de la fouille ont également permis de constater des apports de sables pour constituer le monticule artificiel sur lequel les gradins s’élevaient. À l’exception de l’hémicycle monumental encaissé, l’ensemble est très arasé. La façade diamétrale du théâtre maçonné est composée des murs rectilignes ouest et est qui encadrent un mur de scène plus large ; sa longueur est estimée à 68 m. Concernant le mur de scène (11 m de long), il possédait certainement une élévation plus importante, propre à recevoir des décors. C’est d’ailleurs précisément dans ce secteur qu’ont été mis au jour la plupart des éléments décoratifs. Si aucun placage n’a été découvert, en revanche trois morceaux d’une corniche moulurée, un fragment de colonne d’environ 60 cm de diamètre (pour 4 m de haut à l’origine) et trois éléments statuaires, dont un fragment de drapé, sont recensés. Ces derniers apportent un témoignage précieux quant à la présence d’une ou plusieurs statues (ou reliefs) au niveau du mur de scène, sans que l’on ne puisse en préciser davantage la position d’origine ni même identifier le ou les sujets qui étaient représentés (élite locale, figure impériale ou représentation divine ?). Adossée au mur de scène, l’estrade ou pulpitum est de plan rectangulaire pour une surface occupée d’environ 60 m². Son plancher était supporté par trois murs dont il subsiste principalement les tranchées d’épierrement. La scène occupe en grande partie la surface de l’orchestra, là où le chœur et les musiciens prenaient place. Cet élément architectural est le plus remarquable et le mieux conservé de l’édifice de spectacle. Excavée sur 0,50 m de profondeur, l’orchestra est délimitée au nord-ouest par le mur de scène et les murs périmétraux rectilignes, tandis qu’à l’opposé et latéralement, elle est cernée par un alignement de grandes pierres de taille disposées sur deux rangées. L’aménagement en grand appareil de l’orchestra forme un dispositif original ; 82 dalles en calcaire ont été nécessaires pour le concevoir. Il est interprété comme un couloir de circulation, ce qui est aussi le cas d’un dispositif similaire au théâtre antique de Châteaubleau (Seine-et-Marne). Enfin, à l’arrière de l’orchestra s’ouvre l’hémicycle de la cavea formé par un monticule de remblais sableux, vraisemblablement maintenus dans la partie inférieure par l’aménagement en grand appareil. À ce stade des recherches, on ignore presque tout de l’emprise initiale de la cavea. En extrapolant sa forme en fonction de la longueur de la façade diamétrale, on obtient un plan semi-circulaire outrepassé. Cette hypothèse permet de restituer un théâtre de 68 m de long sur 60 m de profondeur, ce qui le rapprocherait de celui de Ribemont-sur-Ancre (Somme) construit peu après le milieu du Ier s. (capacité de 3000 à 4000 places). Bien que les accès à la cavea soient méconnus, on peut néanmoins se demander si des entrées latérales n’ont pas été aménagées le long des murs périmétraux rectilignes. Secteur 2, théâtre romain. Emprise supposée de la cavea (Ier-IIe s. apr. notre ère). Arc de Dierrey – « Le Moulin Brûlé », Estrées-Saint-Denis (Oise), 2014. © Samuel Guérin, Inrap Ainsi, le développement et la « pétrification » du monument semble être intervenue au cours du Ier s. apr. J.-C., sans plus de précision. Puis, le théâtre paraît avoir été occupé au moins jusqu’à la fin du IIe s., son abandon intervenant au cours de la première moitié du IIIe s. Enfin, si l’édifice de spectacle est le lieu indispensable pour accueillir la foule et concentrer son attention, celui-ci répond à plusieurs fonctions : il a certainement été le lieu de ludi scaenici (pantomimes et autres manifestations), mais aussi l’espace où se déroulèrent mystères et autres cérémonies religieuses en rapport avec la vie du sanctuaire.
  9. ARES III

    Tesoro monetale romano in Galles

    Hide caption Large Roman coin hoard found in ceramic vessel. AMGUEDDFA CYMRU – MUSEUM WALES Coins found buried in Welsh field turn out to be 2,000-year-old Roman treasure A cache of old coins found in a Welsh field were determined to be about 2,000 years old, according to the experts who analyzed them and believe the treasure was buried during the Roman Empire. David Moss and Tom Taylor were using metal detectors in December 2018 when they found two hoards of ancient coins in Caerhun Community, Conwy, north of Wales. Four years later, Kate Robertson, Assistant Coroner for North Wales, declared the two hoards of coins as treasure, according to a news release from Cymru Museum. The first hoard found consisted of 2,733 coins composed of silver denarii and stamped between 32 BC and AD 235, as well as silver and copper-alloy coins made between AD 215 and 270. The second hoard contained 37 silver coins that date back between 32 BC and AD 221, according to the museum Moss explained that he and Taylor had just started using the metal detector and were surprised to find the ancient Roman treasure. "On the day of discovery, just before Christmas 2018, it was raining heavily, so I took a look at Tom and made my way across the field towards him to tell him to call it a day on the detecting when all of a sudden, I accidentally clipped a deep object making a signal," Moss said. "It was a huge surprise when I dug down and eventually revealed the top of the vessel that held the coins." From old coins to Roman treasure Moss and Taylor carefully dug out the hoards and wrapped them in bandages. They then reported their findings to Dr Susie White, the Finds Officer for the Portable Antiquities, according to the museum. According to the museum, the coins were cleaned of any remaining soil and identified the hoards at Amgueddfa Cymru – Museum Wales. After CT scans, photographs, and 3D models, researchers got a better idea of the material of the coins and its origins. Researchers concluded that the large hoard of coins were buried during the Roman Empire with the larger hoard dated near AD 270 and the smaller believed to have been buried near AD 220. Moss and Taylor found the coins close to the remains of a Roman building. Researchers believed the building was possibly a temple dating back to the third century AD. Researchers believe they were buried there for religious purposes like an offering or to keep safe or that the coins may have belonged to a soldier at a nearby Roman fort of Canovium. Silver coins found in the smaller hoard AMGUEDDFA CYMRU – MUSEUM WALES Where will the treasure go? Llandudno Museum will keep the treasure with support from the Conwy Culture Centre and Amgueddfa Cymru. The treasure will join all the collections from Canovium Fort on display at Llandudno Museum. Dawn Lancaster, Director of Amgueddfa Llandudno Museum, said it is exciting that they will keep the treasure and display it for the world to see. "The opportunity to purchase these important coin hoards associated with Kanovium Roman Fort will allow future generations to see and experience a significant collection of ancient silver coins dating from 32BC and representing 50 rulers." https://eu.usatoday.com/story/news/world/2023/10/25/roman-coins-field-wales/71301037007/
  10. ARES III

    Claterna: un tesoro di 3.000 monete

    Sotto il prato c’è una città romana. Scavano e trovano un tesoro di 3mila monete e 50 gemme a Claterna, nei pressi di Bologna. Scoperto anche rarissimo quinarius A sinistra: il disegno delle rovine che preme dal sottosuolo sul prato. A destra: lo scavo archeologico in corso @ Foto ARCA Appennino Bolognese Nello scavo del sito archeologico di Claterna, situato strategicamente lungo la via Emilia tra le colonie Bononia (Bologna) e Forum Cornelii (Imola), archeologi hanno effettuato scoperte straordinarie che promettono di trasformare questo luogo in un parco archeologico senza precedenti nel Nord Italia. Lucia Borgonzoni, sottosegretaria alla Cultura del governo Meloni, ha svelato in anteprima i risultati, presentandoli come relativi a una sorta di “Pompei del Nord”. Claterna sorse nel territorio dell’attuale Comune di Ozzano dell’Emilia, 14 079 abitanti, realtà appartenente alla città metropolitana di Bologna. Gli archeologi, impegnati in scavi che coprono solo una piccola porzione del vasto insediamento di Claterna, hanno riportato alla luce oltre 3.000 monete, sia in argento che in bronzo. Questi ritrovamenti comprendono un notevole numero di danari, molti dei quali in condizioni di conservazione ottimali. Ancora più significativo è il ritrovamento di 50 gemme incise, suggerendo la possibile presenza in città di una bottega specializzata nella loro produzione. Il gioiello della scoperta, tuttavia, è un eccezionale ‘quinarius’, risalente al 97 a.C. Questa moneta presenta una raffigurazione dettagliata di una ‘vittoria alata’ che scrive su uno scudo, poggiato su un trofeo. La presenza chiara della scritta ‘ROMA’ testimonia la celebrazione di vittorie militari e la connessione della città con il potere romano. Lucia Borgonzoni ha commentato oggi con entusiasmo i risultati – che sono stati presentati stamane, 10 novembre 2023 – affermando che “i reperti restituiscono materiali molto preziosi e significativi”. Il ritrovamento delle monete d’argento e delle gemme colorate, presumibilmente prodotte localmente, suggerisce che Claterna non fosse solo un centro di passaggio, ma anche un vivace centro commerciale. L’obiettivo dichiarato è quello di trasformare Claterna da un sito archeologico in un parco archeologico di risonanza internazionale. Con una vastità di 18 ettari, Claterna si candida a diventare il più grande sito non stratificato del Nord Italia. La sottosegretaria Borgonzoni ha sottolineato il carattere unico del sito, annunciando il finanziamento da parte del Ministero della Cultura di nuovi interventi, con uno stanziamento di circa 450.000 euro per il periodo 2022-2024. L’ampio spazio circostante Claterna permetterà la creazione di un parco archeologico completo, con aree dedicate a parcheggi e servizi. Borgonzoni ha evidenziato anche la previsione di riutilizzare il Teatro per spettacoli culturali, con l’obiettivo di valorizzare il territorio circostante sotto un profilo culturale e turistico. Il Ministero della Cultura ha pianificato nuovi finanziamenti a sostegno di Claterna, con un fondo già in atto (2022-2024) e ulteriori risorse previste per il futuro. Un finanziamento di 60.000 euro per il prossimo anno sarà specificamente destinato all’ampliamento dello scavo del Teatro, promettendo ulteriori rivelazioni sulla storia e la grandezza di questa affascinante città romana. Situata strategicamente sulla via Emilia tra le colonie romane di Bologna (Bononia) e Imola (Forum Cornelii), Claterna si ergeva con orgoglio come una tappa vitale lungo la maestosa arteria stradale. Questa antica città romana, il cui nome era tratto dal vicino torrente Quaderna, è stata testimone della storia millenaria della via Emilia. Le radici di Claterna: una tappa cruciale fra due grandi colonie Fondata probabilmente come un centro di sosta cruciale tra le due colonie principali, Claterna, come molti altri insediamenti lungo la via Emilia, occupava una posizione regolare, corrispondente a una giornata di marcia per le legioni romane. La sua collocazione era tra la frazione di Maggio e il torrente Quaderna, conferendole un’importanza strategica nella rete stradale romana. Tra strade antiche e nuove colonie: la nascita di Claterna Con l’inizio della colonizzazione romana della Gallia Cisalpina e la costruzione della via Emilia, Claterna vide la luce come risultato della convergenza di un altro importante tracciato, forse la via Flaminia Minor, che attraversava l’Appennino e collegava la strada emiliana ad Arezzo. Fondata all’inizio del II secolo a.C., Claterna inizialmente si sviluppò come un modesto villaggio, ottenendo successivamente lo status di municipium nel I secolo a.C. e diventando il capoluogo di un territorio compreso tra i torrenti Idice e Sillaro. Il triste declino: crisi e abbandono Come molte città dell’Impero romano, Claterna iniziò a declinare durante la tumultuosa crisi del III secolo. Colpita dagli impatti economici e politici delle istituzioni romane, insieme alle incursioni barbariche che caratterizzarono l’epoca, la città vide un graduale impoverimento e una diminuzione demografica. Questo processo culminò nell’abbandono definitivo tra il V e il VI secolo, durante il periodo post-caduta dell’Impero romano d’Occidente. Claterna si trasformò in un raro esempio di città scomparsa nella regione dell’Emilia-Romagna. Scavi e ritrovamenti: alla scoperta dell’eredità romana di Claterna Gli archeologi, affondando le loro pale nella terra carica di storia di Claterna, hanno portato alla luce un patrimonio unico. Fra i tesori riportati alla luce figurano una villa romana con mosaici straordinariamente conservati e le testimonianze delle antiche arature che solcano ancora la terra. Un viaggio nella storia romana di Claterna, che un giorno potrebbe risorgere come un parco archeologico dedicato a svelare gli affascinanti segreti della sua epoca d’oro. https://stilearte.it/sotto-il-prato-ce-una-citta-romana-scavano-e-trovano-un-tesoro-di-3mila-monete-e-50-gemme-a-claterna-nei-pressi-di-bologna-scoperto-anche-rarissimo-quinarius/ Claterna era una città posta sulla via Emilia fra le colonie romane di Bologna (Bononia) e Imola (Forum Cornelii). La sua localizzazione è fra la frazione di Maggio ed il torrente Quaderna (affluente dell'Idice) da cui la città prendeva il nome. Claterna è sorta probabilmente come tappa nel tragitto fra le due colonie maggiori, come tanti altri centri che costellano la via Emilia, tutti a una distanza pressoché regolare l'uno dall'altro, che corrisponde ad una giornata di marcia delle legioni. Con l'inizio della colonizzazione romana della Gallia Cisalpina e la costruzione della via Emilia, in parte forse sul tracciato di un antico sentiero pedecollinare, Claterna fu fondata alla confluenza nell'Emilia di un'altra strada romana che attraversava l'Appennino, forse la via Flaminia Minor, che congiungeva la strada emiliana con Arezzo. L'insediamento, di medie dimensioni per quei tempi, sorse verso l'inizio del II secolo a.C. (le fonti storiche indicano il 183 a.C.). Inizialmente un semplice villaggio, ottenne il rango di municipium nel I secolo a.C., come capoluogo di un territorio compreso fra i torrenti Idice e Sillaro.
  11. Gli archeologi scoprono ad Aquileia i resti di un mega-centro commerciale romano, “unico nell’Impero”. 4 edifici collegati, portici e botteghe all’esterno. Impressionante per modernità Un’équipe dell’Università di Verona – Dipartimento Culture e Civiltà, sotto la direzione di Patrizia Basso in collaborazione con Diana Dobreva, ha da poco concluso concluso una nuova campagna di scavo nell’area del Fondo ex Pasqualis, posta all’estremità sud-orientale di Aquileia. I lavori sono condotti su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. “Continuano le entusiasmanti nell’area del mercato dell’Aquileia tardoantica – annuncia la Fondazione Aquileia – Investigate tre nuove vaste aree e aperte pagine di grande interesse da verificare con la prosecuzione dell’attività di ricerca. E’ stata infatti avanzata l’ipotesi di un grande complesso commerciale, costituito da almeno quattro edifici paralleli affiancati fra loro, ognuno caratterizzato da un’area scoperta attorniata da portici e botteghe: si tratterebbe di un mercato davvero straordinario per monumentalità e ampiezza, unico nell’Impero, almeno allo stato attuale delle conoscenze, e quindi tale da attestare con particolare evidenza la vitalità di Aquileia come centro di scambi e commerci nel Tardoantico. Si è trattato di una campagna particolarmente importante, quella appena conclusa. Sulla base dell’accordo di collaborazione scientifica e finanziaria con la Fondazione Aquileia, cui è conferita l’area archeologica e che fin dal 2018 sostiene generosamente i lavori, si è convenuto di allungare il periodo di scavo e di orientare la ricerca anche in funzione della futura valorizzazione del sito. Le indagini si sono protratte per due mesi e hanno coinvolto più di una ventina di studenti, dottorandi e giovani dottori di ricerca dell’ateneo veronese , permettendo così di investigare tre nuove vaste aree e aprendo pagine di grande interesse da verificare con il prosieguo della ricerca. “Innanzitutto, nel corso dei lavori di quest’anno è venuto alla luce un quarto lastricato, oltre ai tre già noti dagli scavi degli anni Cinquanta del Novecento e dalle recenti indagini.- prosegue la Fondazione Aquileia – Quest’ultimo è ubicato a est degli altri e a una quota più alta, perché probabilmente si adeguava al naturale andamento del terreno. Tale scoperta indirizza verso l’ipotesi, come dicevamo, di un grande complesso commerciale, costituito da almeno quattro edifici paralleli affiancati fra loro, con portici e botteghe. I quattro edifici dovevano essere composti in modo modulare (due a due), lasciando uno spazio intermedio fra loro, ove nello scavo di quest’anno è stata individuata una strada acciottolata, che dal decumano posto a nord del mercato e quindi dall’area della basilica portava al grande centro commerciale: essa permetteva il passaggio dei numerosi avventori che quotidianamente popolavano questi spazi e dei carri per il trasporto delle merci, come confermano anche le tracce individuate sul suo piano di calpestio. Come dimostrato nel corso degli scavi condotti in questi anni, al mercato si accedeva anche dal fiume, attraverso una serie di ingressi aperti sul più esterno dei due muri di cinta urbani portati alla luce a sud delle stesse piazze e correlati a rampe per il trasporto delle merci”. Infine, fra le scoperte di quest’anno si segnala il rinvenimento lungo un muro perimetrale di uno degli edifici di una decina di anfore poste in posizione verticale, segate all’altezza della spalla e quindi mancanti del collo e dell’orlo. La loro funzione andrà chiarita con il seguito dei lavori, ma esse già da ora risultano riferibili a una fase precedente alla realizzazione del mercato, quando nell’area esisteva una banchina fluviale e altre strutture ancora individuate solo parzialmente, perché in gran parte coperte dalle piazze. Di questa banchina nella campagna 2023 è stata messa alla luce una scalinata acquea composta da 4 gradini in arenaria che era funzionale proprio alla discesa verso il fiume. Parte integrante del lavoro sul campo è stato anche quello svolto negli archivi del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia con la possibilità di riesaminare la documentazione grafica, fotografica e manoscritta lasciata dagli archeologici che hanno indagato l’area prima di noi. Alcune delle loro intuizioni sono state confermate dai nostri scavi, mentre per altre è stato necessario un’attenta lettura dei dati d’archivio. I risultati di queste ricerche hanno trovato spazio in un primo volume di prossima uscita, in cui si raccontano le vicissitudini di più di un secolo di scoperte archeologiche nell’area. Durante i mesi di lavoro, lo scavo è sempre rimasto aperto al pubblico, che ogni giorno è stato coinvolto in visite guidate da parte degli studenti veronesi. Di particolare interesse fra le attività di comunicazione e racconto dei dati raccolti, vanno menzionati i due open day organizzati il 17 giugno e il 23 settembre dalla Fondazione Aquileia, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia e altri enti che lavorano per la valorizzazione della città. https://stilearte.it/gli-archeologi-scoprono-ad-aquileia-i-resti-di-un-mega-centro-commerciale-romano-unico-nellimpero-4-edifici-collegati-portici-e-botteghe-allesterno-impressionante-per-modernita/
  12. Scavi per la realizzazione di una scuola. Viene alla luce un mosaico. Poi colonne e ceramiche. Scoperta una villa romana del I-II secolo d. C. Sopralluogo di tecnici, archeologi e pubblici amministratori dopo il ritrovamento del mosaico @ Instituti Kombëtar i Trashëgimisë Kulturore Scoperto il mosaico di Durres, tra i più rari dei Balcani @ Instituti Kombëtar i Trashëgimisë Kulturore Archeologa mostra parte di una colonna @ Instituti Kombëtar i Trashëgimisë Kulturore Il monitoraggio archeologico, durante la costruzione del Liceo “Gjergj Kastrioti” di Durazzo-Durres, in Albania, ha portato alla luce le tracce di un mosaico. La scoperta – annunciata dall’Instituti Kombëtar i Trashëgimisë Kulturore – è tra le scoperte più importanti degli ultimi anni in questa città. Il mosaico contiene figure geometriche e floreali, di qualità estremamente elevata. Gli elementi geometrici in bianco e nero che caratterizzano il mosaico da poco scoperto. Per quanto astratto, il disegno si riferisce alla prosperità della natura. Gli esagoni ricordano quelli del favo d’api e sono evidentemente un sotteso augurio di abbondanza @ Instituti Kombëtar i Trashëgimisë Kulturore @ Instituti Kombëtar i Trashëgimisë Kulturore “La composizione e la qualità della lavorazione la collocano tra i mosaici più rari presenti finora nella regione balcanica. – affermano gli archeologi dell’ente culturale albanese – Partendo dalla situazione attuale in cui è stato trovato, si pensa che la superficie del mosaico sia di circa 30 metri quadrati. Assieme al mosaico, sono state portate alla luce strutture murali costruite con mattoni e legante di calce colorata, elementi decorativi, come frammenti di colonne, pitture murali, ceramiche ad uso quotidiano ecc. Tutti elementi che indicano che abbiamo a che fare con una villa di epoca romana. Questi reperti archeologici insieme al mosaico scoperto si pensa appartengano al periodo medio, cioè I – II dopo Cristo. Si prevede che gli scavi continueranno a fornire un chiaro panorama del sito archeologico, informazioni più complete sul periodo di costruzione e sull’estensione dell’edificio. L’intera indagine avverrà sotto il pieno coordinamento del Ministero della Cultura, dell’Istituto Nazionale del Patrimonio Culturale, dell’UNDP e degli specialisti archeologici”. Durazzo oggi ha circa 113 249 abitanti, è capoluogo dell’omonima prefettura, nonché seconda città dell’Albania per numero di abitanti dopo la capitale Tirana. Sorge sull’Adriatico, di fronte a Brindisi, che dista 200 chilometri. I Romani, superstiziosi, le cambiarono nome La città fu fondata con il nome di Epidamno, tuttavia è anche conosciuta con il secondo nome, Dyrrhachion (in greco: Δυρράχιον), che indicava più specificamente il porto. Dopo le guerre illiriche, i Romani la chiamarono solo Dyrrachium, visto che Epidamno era considerato di cattiva sorte poiché richiamava alla parola damnum, in latino danno, perdita, svantaggio. La conquista illirica La storia di Dyrrhachium inizia con la conquista illirica sotto il regno di Glaucia nel 312 a.C. Questo evento segnò l’inizio del coinvolgimento della città nei conflitti dell’antica Illiria. Durante la prima guerra illirica, i Romani sconfissero la regina Teuta e stabilirono stati clienti in Dalmazia, governata da Demetrio di Faro. Tuttavia, in seguito Demetrio si ribellò a Roma nel 220 a.C., ma il Senato inviò il console Lucio Emilio Paolo, che rase al suolo la città di Faro e riconquistò la Dalmazia. L’indipendenza parziale sotto i Romani Nonostante la ribellione di Demetrio, la Repubblica romana decise di concedere all’Illiria una parziale indipendenza. La situazione rimase relativamente stabile fino alla terza guerra macedonica, quando Genzio, re degli Illiri, manifestò l’intenzione di respingere l’autorità romana. La terza guerra illirica fu condotta da Lucio Anicio Gallo, che riuscì a sottomettere gli Illiri in breve tempo. Dopo la fine della quarta guerra macedonica, l’intera regione balcanica meridionale, compresa Dyrrhachium, fu inclusa nella nuova provincia romana di Macedonia. I Romani attribuirono grande importanza alla città e al suo porto. La costruzione della Via Egnatia, che collegava Dyrrhachium a Bisanzio (l’odierna Istanbul) e passava per Tessalonica, testimonia l’attenzione che Roma dedicava a questa regione. Dyrrhachium durante la guerra civile romana Uno degli episodi più noti della storia di Dyrrhachium risale alla guerra civile romana del 49 a.C. In quell’anno, la città fu teatro di una sanguinosa battaglia tra gli eserciti di Giulio Cesare e Gneo Pompeo. Sebbene i pompeiani abbiano ottenuto una vittoria tattica, la successiva ritirata dei cesariani portò alla decisiva battaglia di Farsalo, in cui Pompeo subì una sconfitta devastante. L’epoca d’oro sotto Augusto e Traiano Sotto il governo dell’imperatore Augusto, Dyrrhachium fu trasformata in una colonia romana destinata a insediare i veterani della battaglia di Azio, una delle vittorie più importanti di Cesare Augusto. La città ottenne lo status di “civitas libera,” il che rappresentava una forma di autonomia all’interno dell’Impero romano. Un altro momento significativo nella storia di Dyrrhachium fu la costruzione dell’imponente anfiteatro romano sotto l’imperatore Traiano. Questo anfiteatro aveva una capacità di circa 20.000 posti, il che lo rendeva il più grande di tutti i Balcani. La provincia di Epirus Novus sotto Diocleziano Nel III secolo, con la riforma tetrarchica di Diocleziano, Dyrrhachium divenne la capitale della nuova provincia dell’Epirus Novus. Questo periodo segnò un’altra fase importante nella storia della città, poiché divenne un importante centro amministrativo ed economico nell’ambito dell’Impero romano. https://stilearte.it/scavi-per-la-realizzazione-di-una-scuola-viene-alla-luce-un-mosaico-poi-colonne-e-ceramiche-scoperta-una-villa-romana-del-i-ii-secolo-d-c/
  13. ARES III

    Nuovi reperti a Vindolanda

    Scavi nel forte romano. Riportate alla luce due punte di lancia. Una fonte inesauribile di reperti Due punte di lancia sono state portate alla luce nei pressi della caserma del forte romano di Vindolanda, non lontano dal Vallo di Adriano, in Gran Bretagna. In questo periodo sono in corso gli scavi estivi, con l’ausilio di volontari. Le due punte di lancia trovate durante lo scavo in corso @ Vindolanda trust Una veduta aerea del forte romano di Vindolanda, scattata nelle ore scorse @ Vindolanda Trust Vindolanda era un forte realizzato per accogliere truppe ausiliarie. Esso venne costruito dai Romani in Britannia per ordine di Gneo Giulio Agricola nel 79 dopo la conquista della Britannia del nord e ubicato a circa due chilometri dalla parte meglio conservata del Vallo di Adriano, in Northumbria. La struttura militare venne ricostruita più volte. Essa era un nodo di rilievo perchè serviva a vigilare sulla strada tra Tyne al Solway Firth. Da questo forte provengono delle tavolette scritte in antico corsivo romano da cui emergono molti interessanti dettagli sulla vita delle guarnigioni delle zone di frontiera. Gli scavi archeologici in questo sito iniziarono negli anni trenta del XX secolo. https://www.stilearte.it/scavi-nel-forte-romano-riportate-alla-luce-due-punte-di-lancia-una-fonte-inesauribile-di-reperti/
  14. Negli scavi della città romana trovata una latrina di 2000 anni fa con 60 posti sedere. Come funzionava Credit: Israel Antiquities Authority Nei meandri degli scavi archeologici, a Bet Shean, in Israele, sono state scoperte in questi giorni grandi latrine romane. Queste latrine, le più grandi nel loro genere in Israele, offrono una visione di come i Romani sapessero affrontare le necessità fisiologiche in totale mancanza di privacy, trasformando probabilmente queste necessità, in un momento di socializzazione. Siamo, certo, in dimensione di strutture pubbliche. A casa propria i più ricchi disponevano di ben altri servizi. Le latrine delle terme o degli spazi pubblici contavano sulla presenza di condutture che, in molti casi, disponevano di acqua corrente, in grado di raccogliere immediatamente i rifiuti. Credit: Israel Antiquities Authority Situata a Bet Shean, questa struttura unica ospita ben 60 posti a sedere in legno, resi disponibili al pubblico. L’eccezionalità di queste latrine risiede nel loro contesto di epoca romana e bizantina, in cui le necessità igieniche pubbliche erano affrontate in modo organizzato e di ampia portata. Queste latrine erano collocate in una zona aperta e comune, il che indica chiaramente che erano utilizzate da un vasto numero di persone. La trasformazione più significativa di Bet Shean avvenne durante il periodo romano. La città fu inclusa nella Decapoli, una confederazione di dieci città ellenistiche e romane della Giudea e della Siria. Come parte di questa confederazione, Bet Shean divenne una città romanizzata e prospera, con infrastrutture impressionanti. Credit: Israel Antiquities Authority Secondo il dottor Walid Atrash, uno degli archeologi che ha lavorato a Bet Shean, ognuna delle quattro latrine pubbliche scavate nel sito ospitava circa 60 sedili di legno in un’area aperta comune. Questa struttura ben organizzata era caratterizzata da elementi architettonici notevoli, tra cui dipinti murali e scale ornamentali con ringhiere. Al centro dell’edificio pubblico si trovava un cortile con un pavimento a mosaico, decorato con colonne adornate da capitelli. Lungo tre pareti del cortile erano disposte tre file di sedili in legno, ognuno separato da blocchi di asfalto naturale. Questi sedili in legno erano dotati di fori rotondi e fungevano da latrine, permettendo alle persone di sedersi comodamente mentre affrontavano le loro necessità fisiologiche. Un dettaglio interessante riguarda la copertura parziale delle latrine, una caratteristica progettata per dissipare gli odori sgradevoli. Le latrine romane non erano solo luoghi per affrontare le necessità fisiologiche, ma anche spazi sociali. Le persone si riunivano, conversavano e facevano affari mentre si sedevano sui sedili di legno. https://www.stilearte.it/negli-scavi-della-citta-romana-trovata-una-latrina-di-2000-anni-fa-con-60-posti-sedere-come-funzionava/
  15. ARES III

    Un anello e una storia molto toccante

    Come il volto del figlio morto fu imprigionato nell’anello della matrona romana. Il viso era il suo. I segreti dell’immagine L’anello dell’amore eterno: la toccante storia di Aebutia Quarta e suo Figlio Carvilio Nell’antica Roma, tra i fasti e le tragiche vicissitudini della vita quotidiana, si cela una storia d’amore e dolore che ha sfidato il trascorrere dei secoli. Aebutia Quarta, una nobildonna romana, ha vissuto il profondo amore di ogni madre. Purtroppo, il destino ha portato via Carvilio, il suo amato figlio, a soli 18 anni, forse a causa di una setticemia o, secondo alcune teorie, a causa di avvelenamento. Indagine antropometriche e tecniche hanno permesso di stabilire che il volto inciso nella gemma non era un viso di una divinità o un’immagine idealizzata del ragazzo. L’opera mostra, al contrario, il rifiuto di ogni idealizzazione e una ricerca realistica assoluta. La madre voleva che fosse ricreato il volto del figlio amato perchè lui continuasse a guardarla e a colloquiare mutamente con lei. E lei, la mamma, avrebbe portato quell’anello con sé per l’eternità. Le fu, infatti, trovato al dito, durante gli scavi in cui furono portate alla luce le loro due tombe. Com’era possibile che il volto di Carvilio trovasse perfetta rispondenza nell’anello? L’artista che realizzò l’opera ebbe certamente la possibilità di avere davanti a sé, mentre intagliava e bulinava il cristallo di rocca e la cera della fusione, la maschera funebre del ragazzo. I tratti del volto furono probabilmente fissati nel calco, grazie al gesso che veniva steso sul volto del defunto, sul quale era stata posta una crema. Il gesso rapprendendosi, creava un negativo perfetto. Oliando la parte interna della maschera e gettando altro gesso era possibile ricavare il positivo: un volto perfetto. Le maschere per mantenere vivo il ricordo del volto reale del defunto. La storia di Aebutia e Carvilio ha trovato la sua testimonianza più toccante in questo gioiello prezioso, un anello che – appunto – contiene il volto delicatamente cesellato di Carvilio. Oggi, questo anello, con il volto di Carvilio, può essere ammirato “Museo Archeologico Nazionale di Palestrina e Santuario della Dea Fortuna”. Il 2000 è stato un anno cruciale per questa storia, quando durante i lavori di rimozione di un traliccio in un terreno privato vicino a Grottaferrata, è stata scoperta una tomba romana pressoché intatta risalente al I secolo d.C. All’interno della tomba, sono stati ritrovati due sarcofagi di marmo, uno con l’iscrizione “Carvilio Gemello” e l’altro con “Aebutia Quarta”. Sorprendentemente, i corpi erano ancora quasi intatti, conservati grazie all’antica pratica dell’imbalsamazione e alle particolari condizioni microclimatiche della tomba. La tomba di famiglia è nota come “delle ghirlande” per due corone poste sui due corpi sepolti. Una rivelazione sorprendente è emersa grazie al lavoro del prof. Lorenzo Costantini, bioarcheologo del Museo dell’Arte Orientale di Roma. Analizzando il polline presente nella tomba, è stato possibile stabilire che i fiori utilizzati per le ghirlande funebri erano viole, rose e lilium. Questa scoperta indica che madre e figlio – in anni diversi – sono morti all’inizio dell’estate, forse nella loro villa suburbana a Tusculum. Aebutia aveva avuto due figli da matrimoni diversi. Carvilio era il figlio del suo primo marito, Tito Carvilio, della gens Sergia. L’anello al dito di Aebutia è un pezzo di straordinaria bellezza. Sotto il raro cristallo di rocca, lavorato con maestria, è realizzato un mini-busto di Carvilio, un giovane a torso nudo. Questa microfusione crea un effetto luminoso, conferendo all’immagine un’aura di mistero, come se l’anima di Carvilio fosse sempre vicina a sua madre. La gemma fu incisa così da creare una cavità. I particolari furono evidenziati grazie a una microfusione. Al di là degli Dei, che avevano immagini idealizzate e stereotipate, i Romani amavano ritrarre con estrema accuratezza i volti umani. La perfetta tecnica del ritratto aveva funzioni sociali – la riconoscibilità del politico – e affettive. Piccoli ritratti venivano mandati a casa da legionari lontani. I familiari ricordavano i defunti attraverso una galleria degli antenati in cui erano appesi dipinti o collocate statue ricavate dal calco del volto. Le tecniche pittoriche utilizzate da Greci e Romani erano in grado di sviluppare, quasi fotograficamente, l’oggetto da effigiare. Così si può dedurre che questo fosse proprio il volto del ragazzo, che ora galleggia, come in un ologramma in uno spazio privo di una dimensione temporale. La causa esatta della morte di Carvilio rimane un enigma. Le teorie spaziano da una setticemia derivante da un trauma a un possibile avvelenamento, come suggerito dalla presenza di arsenico nei suoi capelli. Aebutia, nell’immensa tristezza per la perdita del figlio, volle un sarcofago pregevole e finemente decorato per lui. La madre stessa morì alcuni anni dopo, all’età di 40-45 anni, nella stessa stagione in cui Carvilio aveva trovato la sua pace, com’è rivelato, appunto, dall’analisi dei pollini presenti sulle ghirlande funebri. In modo sorprendente, all’interno del sarcofago di Aebutia sono state scoperte piccole ossa infantili. https://www.stilearte.it/come-il-volto-del-figlio-morto-fu-imprigionato-nellanello-della-matrona-romana-il-viso-era-il-suo-i-segreti-dellimmagine/
  16. ARES III

    Resti romani da uno scavo parigino

    Piccoli Dei romani e resti antichissimi emergono dallo scavo nel cuore di Parigi. Come nacque la metropoli Nel cuore di Parigi, presso l’École des Mines de Paris – di fatto, la Facoltà di ingegneria -, gli archeologi stanno rivelando i segreti del passato gallo-romano mentre si prepara il terreno per un nuovo edificio. L’Inrap e il Dipartimento di Storia dell’Architettura e dell’Archeologia della Città di Parigi (DHAAP) – stanno conducendo scavi su un terreno di 300 metri quadrati con l’obiettivo di svelare quando e come questo spazio fu occupato durante l’epoca gallo-romana. Quando i lavori edilizi lo consentono, in queste aree fondative, non va persa l’occasione di scavare, studiare e capire. Siamo davvero nel cuore della città romana. A quell’epoca, però, la parcella topografica dell’Ecole des mines – dove avvengono ora gli scavi – era defilata. Una zona artigianale e residenziale, mista, di Lutetia come capita alle periferie dei nostri paesi. Case e botteghe. Officine e residenze. Le affascinanti scoperte compiute nello scavo in corso verranno eccezionalmente mostrate al pubblico in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, sabato 16 e domenica 17 settembre. Numerosi i materiali recuperati e, soprattutto, le vestigia di antichi edifici che risalgono ai primi secoli di vita di quella che sarebbe divenuta una metropoli. Siamo sulla riva sinistra della Senna, nel quartier latin. Cioè nel nucleo antico della città che non aveva ancora “attraversato” il fiume e che era stata costruita, appunto, sulla rive gauche, all’altezza dell’isolotto – Ile de la cité -. Un viaggio nel tempo Il nome antico della città, Lutetia e dei suoi quartieri principali, come Marais, può far supporre che le aree circostanti fossero caratterizzate da zone paludose. Luteus è un aggettivo latino che significa “fangoso, melmoso”. Inondazioni causate dalla Senna si verificavano probabilmente nella valle situata all’estremità orientale del quartiere Marais, dall’altra parte del fiume, che si estendeva dal canal Saint-Martin ai grandi boulevard e fino al ponte dell’Alma. Questa valle rappresenta un antico meandro abbandonato della Senna, presumibilmente circa 10.000 anni fa, mentre paludi effettive esistevano tra Montmartre e il colle di Sainte-Geneviève. Romani e Parisi costruirono dalla parte opposta, al riparo dalle piene. Per molti secoli, tribù celtiche – i Parisi – si erano stabiliti lungo un’ansa della Senna. Nel 53 a.C., Tito Labieno, luogotenente di Cesare, assediò e sconfisse l’oppidum dei Parisi, dopo di che i Romani stabilirono il proprio insediamento chiamandolo Lutetia Parisiorum. Lutetia cominciò a svilupparsi sulla riva sinistra della Senna a partire dal I secolo d.C. I quartieri della città erano strutturati da una rete di strade ortogonali, collegate dal cardo maximus, la principale arteria nord-sud delle città gallo-romane, situata nell’attuale rue Saint-Jacques. Il cuore di Lutetia era il suo foro, circondato dalle sue terme, e la città vantava anche un teatro e altre terme, tra cui quelle del Collège de France e di Cluny. L’area degli scavi attuali si trova ai margini della città dell’Alto Impero (I-III secolo). Stratificazioni storiche Veduta dello scavo che si sviluppa su un’area di 300 metri quadrati @ Pablo Ciezar, Inrap “Lo scavo – dicono gli archeologi dell’Inrp – ha messo in luce diverse fasi di occupazione. Sono rappresentati da stratificazioni, trincee per il recupero delle più antiche fondazioni in pietra di antiche costruzioni, un grande pozzo (cisterna o ricettacolo d’acqua per attività artigianali?), trasformato in discarica e un’area che può essere interpretato come una fucina”. Alla scoperta di una fucina Tracce scure indicano le parti occupate da un’antichissima fucina @ Pablo Ciezar, Inrap Il settore interpretato come una fucina presenta un forno e strutture contenenti numerosi detriti metallici, tra cui scorie specifiche della metallurgia all’aperto. L’area sembra essere stata utilizzata per lavorazioni metallurgiche, e l’analisi delle scorie e dei sedimenti presenti aiuterà a comprendere meglio le fasi del processo metallurgico attestato nel sito. Tracce di un antico habitat Frammento di una statuetta, qui trovata e realizzata in terracotta di Allier, che rappresenta Venere e che risale al I-II secolo d. C. La Dea è identificabile grazie al tipo di capigliatura, ad onde, con netta scriminatura al centro. © Pablo Ciezar, Inrap Durante lo scavo sono stati trovati resti domestici, come stoviglie in ceramica, elementi di ornamento in bronzo, oggetti di vita quotidiana, come spatole in bronzo e statuine di divinità in terracotta, oltre a elementi di decorazione architettonica come rivestimenti dipinti e tessere di mosaico lapideo o ceramico. Questi ritrovamenti confermano la prossimità di un antico habitat, precedentemente rilevato durante gli scavi condotti nel 1989. https://www.stilearte.it/piccoli-dei-romani-e-resti-antichissimi-emergono-dallo-scavo-nel-cuore-di-parigi-cosi-nacque-una-metropoli/
  17. ARES III

    Frigoriferi romani in Bulgaria...

    Scoperto un altro frigorifero dei legionari romani e come funzionava. Questo ha un tubo di raffreddamento, cibo e vino. Trovati anche i contenitori. Ha circa 1900 anni Un frigorifero in muratura, a servizio dei legionari romani di circa 1900 anni fa, alimentato da un tubo di piombo che rilasciava il freddo dell’acqua, in un ambiente chiuso e isolato accuratamente, è stato trovato dagli archeologi nel corso della campagna 2023 nel forte romano. Lo scorso anno, nello stesso insediamento – in un’area non distante dalla “nuova” caserma portata alla luce in queste settimane – gli studiosi avevano trovato un primo contenitore coibentato in muratura, che poteva essere usato sia come fornetto per tenere in calda le vivande, che come frigorifero, forse utilizzando blocchi di ghiaccio di una neviera. Ma la scoperta di quest’anno è ancor più sorprendente. Il frigorifero trovato era raffreddato da un tubo di piombo collegato all’acquedotto. Nel cuore della Bulgaria settentrionale, precisamente nell’ex fortezza di Novae, un team di archeologi polacchi, guidato dal Prof. Piotr Dyczek, ha così compiuto scoperte sorprendenti. Questo sito storico, che un tempo fu una base militare dell’Impero Romano, ha rivelato una vasta gamma di dettagli sulla vita dei legionari e sulla complessità dell’infrastruttura romana. La ricerca condotta nel nord della Bulgaria ha rivoluzionato la nostra comprensione di Novae, svelando non solo la sua importanza strategica come presidio di confine, ma anche il suo ruolo cruciale nella fornitura d’acqua e nella conservazione degli alimenti per i soldati romani. Novae era inizialmente una delle poche grandi fortezze legionarie romane lungo il confine dell’impero, facente parte delle difese (limes Moesiae) lungo il Danubio nel nord della Bulgaria . Successivamente l’insediamento si espanse in una città nella provincia romana di Mesia Inferiore , in seguito Moesia Secunda. Si trova a circa 4 km a est della moderna città di Svishtov . La presenza militare romana permanente nella regione del Basso Danubio ebbe inizio all’inizio del I secolo d.C. Verso il 45 d.C., la Legio VIII Augusta partecipò alla soppressione della ribellione dei Traci, stabilendosi nella zona e istituendo il proprio castrum. In contemporanea, venne istituita la provincia della Mesia. La legione, insieme ai suoi distaccamenti, vigilava sulla porzione del Danubio che si estendeva dalla foce del fiume Osum (noto come Asamus) fino alla foce del fiume Yantra, nelle vicinanze di Iatrus. Un complesso di caserme militari straordinario L’insediamento militare di Novae e, a destra, la struttura per il raffreddamento dei cibi. Il raffreddamento era garantito dal passaggio dei tubi di piombo che captavano l’acqua da un pozzo profondo posto a monte delle caserme. Uno dei risultati più significativi di questa campagna di scavo 2023 è stata la scoperta di un complesso di alloggi militari, il cui pavimento era in terra battuta. Queste caserme erano associate all’VIII legione di Augusto, la prima a essere permanentemente dislocata al confine del Danubio dell’Impero Romano. Le misurazioni effettuate hanno rivelato che questa struttura massiccia aveva una larghezza di trentotto metri e una lunghezza di sessanta metri, testimoniando l’importanza strategica di Novae nel sistema di difesa dell’Impero. Il misterioso pozzo e il frigorifero romano Una delle scoperte più intriganti è stata quella di un antico pozzo, il primo mai conosciuto a Novae. Questo pozzo aveva un ruolo fondamentale nel fornire acqua ai legionari attraverso un sistema di acquedotti realizzati con tubazioni in ceramica e piombo. Probabilmente il prelievo era costante, grazie ai dislivelli. Tuttavia, la sorpresa più grande è stata la scoperta di un sistema di raffreddamento unico. Attorno al tubo in piombo, che trasportava l’acqua fredda, è stato scoperto un contenitore fatto di piastre di ceramica, che permetteva al tubo di correre lungo il suo lato più lungo. Questa struttura era in realtà un frigorifero antico, un’innovazione tecnologica incredibile per l’epoca. Al suo interno sono stati rinvenuti frammenti di vasi per bere il vino, scodelle e ossa di animali. Questa scoperta rivela che i Romani avevano sviluppato un sistema di raffreddamento aggiuntivo per conservare le bevande e la carne fresca, dimostrando una sofisticata comprensione dell’ingegneria termica. Il Prof. Dyczek ha commentato: “Questo è un altro esempio di un frigorifero antico, ma questa volta con un raffreddamento aggiuntivo, perché all’interno erano presenti frammenti di vasi per bere il vino, scodelle e ossa di animali. Questo ci permetterà di ricreare l’ultimo pasto”. Ceramiche e misteri del passato Un’altra sorprendente scoperta è stata una fornace per ceramica risalente al IV secolo, che ha rivelato un insieme di vasi unici, tra cui un set per bere il vino. Questi vasi, caratterizzati da una superficie nera decorata con motivo liscio e a pettine, rappresentano una preziosa testimonianza della cultura materiale dell’epoca romana sul Danubio. La precisione nella datazione di questi reperti aiuta a porre fine a lunghe discussioni tra gli esperti sulla cronologia e l’origine di tali ceramiche rare. Inoltre, tra i reperti rinvenuti, è emerso un piccolo ciondolo in argento raffigurante un topo, finemente dettagliato, oltre a oltre duecento altri souvenir del passato, gettando luce su aspetti della vita quotidiana dei legionari romani a Novae. La presenza di tasselli di dimensioni ridotte all’interno delle ampie stanze delle caserme del forte indica la possibilità che ci fossero letti a castello situati negli angoli. Inoltre, è evidente che vi fossero mensole in legno presenti nei vestiboli. Durante le ricerche condotte nell’area della caserma, sono stati identificati vari oggetti, tra cui lampade ad olio e contenitori in vetro, come bottiglie di vino e bicchieri. Gli archeologi hanno inoltre rinvenuto frammenti di vasi in bronzo e altri manufatti, tra cui fibbie, parti di armature, catene per lampadari, tavoli pieghevoli con basi in bronzo e gambe a forma di zampa di leopardo. Inoltre, sono stati scoperti strumenti chirurgici in bronzo nella zona che presumibilmente era dedicata al medico della legione. Un contenitore coibentato per la conservazione degli alimenti, che, con il ghiaccio conservato nelle nevaie poteva costituire il progenitore dell’attuale frigorifero, è stato trovato, lo scorso anno, sempre dagli stessi archeologi polacchi. Ma forse il primo, piccolo vano fungeva, più che altro, da termos, conservando la temperatura dei liquidi e degli alimenti. Anche in questo primo frigo furono trovati, nel 2022, frammenti di vasi e ossi d’animali, che presentano segni di cottura. Ciò significa che nel contenitore veniva riposto il cibo avanzato. La minuscola struttura, avrebbe potuto essere utilizzata anche per tenere in caldo le vivande cotte, durante la stagione fredda, in attesa dell’arrivo del commensale. https://www.stilearte.it/scoperto-un-altro-frigorifero-dei-legionari-romani-e-come-funzionava-questo-ha-un-tubo-di-raffreddamento-cibo-e-vino-trovati-anche-i-contenitori/
  18. Scavano per realizzare una rotonda stradale e trovano un tesoro. Portati ora alla luce un mausoleo romano e una statua di tritone Scoperte archeologiche Gli archeologi del Canterbury Archaeological Trust (“CAT”) hanno scoperto in questi giorni una spettacolare statua di un tritone romano durante i loro scavi in connessione con la realizzazione di nuovo complesso residenziale – e della viabilità ad esso relativa – portato avanti congiuntamente da Moat Homes (“Moat”) e Chartway Partnerships Group (“ Chartway”) adiacente alla A2 London Road (che segue l’antico tracciato della Roman Watling Street) a Teynham nel Kent. Gli scavi hanno portato alla luce un mausoleo situato in un recinto murato che era delimitato da un fossato lungo quella che un tempo era la strada principale tra Londra e i porti romani di Richborough e Dover. La notizia è stata data oggi, 13 settembre 2023, dal gruppo di archeologi britannici e dalle società costruttrici. Il sito era stato inizialmente identificato nel 2017, durante uno scavo di saggio compiuto da Wessex Archaeology che scoprì due frammenti perpendicolari delle fondamenta di un muro di pietre calcaree e due sepolture romane a incinerazione, con i resti deposti in urne. A seguito di questi risultati, lo Swale Borough Council, seguendo le indicazioni degli archeologi del Kent County Council Heritage Conservation (“KCC Heritage Conservation”), ha posto una condizione alla realizzazione edilizia e alla rotatoria stradale di accesso. L’area doveva essere sottoposta a preventiva indagine archeologica estesa. All’inizio di quest’anno, la società di consulenza archeologica RPS, A Tetra Tech Company ha concordato uno scavo archeologico di mezzo ettaro con KCC Heritage Conservation per conto dello Swale Borough Council. Il CAT è stato incaricato di intraprendere l’indagine archeologica, che è stata avviata alla fine di maggio 2023. I frammenti di muro identificati nel 2017 si sono rivelati elementi di un recinto murato di 30 metri quadrati, che era collocato attorno a una struttura quadrata di circa 8 metri. Ulteriori scavi hanno suggerito che la struttura fosse un mausoleo romano i cui riempimenti di demolizione contenevano una moneta romana datata dal 320 al 330 d.C. circa. Il recinto con mura in pietra era inserito all’interno di un fossato di recinzione esterno più ampio di circa 65 x 70 m che si estendeva verso sud, fino a fiancheggiare l’ex strada romana. Durante lo scavo sono state identificate diverse sepolture romane – e forse alcune successive alla romanità stessa -, diverse delle quali dotate di un corredo funerario, sia all’interno del recinto che nelle immediate vicinanze. La scoperta più spettacolare è stata una statua scolpita in un blocco unico di pietra che rappresenta il dio del mare Tritone, figlio di Poseidone/Nettuno (o di un Tritone, uno dei servitori di Nettuno). La statua è stata trovata ritualmente collocata all’interno di un serbatoio d’acqua in disuso, rivestito di argilla, insieme a materiale di riempimento bruciato, oltre l’angolo sud-est del recinto esterno con fossato. Un ulteriore possibile piccolo monumento o base di statua (circa 1 metro quadrato) è stato trovato a sud del recinto interno murato. Durante gli scavi si sono tenuti incontri settimanali con il consulente RPS (una società Tetra Tech), CAT, Chartway e il team di KCC Heritage Conservation per esaminare i progressi delle indagini sul sito, la metodologia di scavo e l’importanza delle scoperte che via via venivano compiute. La consulenza specialistica viene fornita anche da Historic England. Fortunatamente, la conservazione delle fondamenta del mausoleo centrale sarà compatibile con i lavori stradali. Le vestigia romane – mausoleo e muro di cinta – appariranno al centro della rotatoria. La statua del Tritone è stata accuratamente sollevata e rimossa dal sito per i primi lavori di conservazione che hanno rivelato gli affascinanti dettagli e la fattura del pezzo. Sono in corso ulteriori ricerche sulla statua stessa e sulle circostanze della sua sepoltura rituale. Forse la statua decorava il mausoleo e fu ritualmente sepolta nel momento in cui il mausoleo collassò. “Chartway e Moat sono entusiasti di questa entusiasmante scoperta. – dice Steve Cresswell, CEO del gruppo Chartway, a nome della partnership Chartway e Moat – Vogliamo aiutare le persone a connettersi con i luoghi in cui vivono attraverso la preservazione del patrimonio locale e ridando vita alle storie che lo circondano. Stiamo continuando a lavorare con KCC Heritage Conservation, RPS e CAT per garantire che gli elementi chiave del mausoleo e le mura del recinto siano preservati sotto gli strati protettivi, all’interno del centro paesaggistico della rotatoria. Usando idee innovative e lavorando con il team archeologico e con la comunità locale, esploreremo i modi in cui questi reperti potranno essere rivelati al pubblico e apprezzati dalle generazioni future”. “È stato un privilegio contribuire a queste scoperte che hanno messo in luce l’importantissima eredità romana di Teynham e offrono anche una grande opportunità per creare un’eredità ad uso della comunità locale.” afferma Richard Helm, Senior Project Manager del CAT. “Ci aspettavamo interessanti vestigia romane, forse un cimitero, ma i reperti, tra cui la vivace e unica statua di un Tritone e i resti del mausoleo, hanno di gran lunga superato le previsioni.- dice Robert Masefield, direttore archeologico di RPS, consulente archeologico del progetto – Questi reperti fanno ora parte dell’eredità locale di Teynham e della ricca storia romana della nazione. Ulteriori studi collocheranno i risultati nel loro intero contesto storico”. “Questa zona del North Kent, dove la principale strada romana correva vicino alle numerose insenature, al largo dello Swale, è particolarmente ricca di resti romani, nell’antica interazione tra collegamenti marittimi e stradali. – sostiene Simon Mason, principale responsabile archeologico del Consiglio della contea di Kent – Il mausoleo romano è l’ultima spettacolare scoperta nello Swale. Sarà affascinante seguire le ricerche sulla statua e scoprire di più sulla sua sepoltura rituale”. “Sono entusiasta di questa scoperta e nel constatare come tutti hanno lavorato bene, insieme, per garantire che il sito fosse stato scavato correttamente. Questo potrebbe essere uno dei tanti siti simili lungo l’antica strada romana e questa scoperta potrebbe aiutare a identificare ulteriori reperti simili nel Kent” commenta Susan Carey, membro del gabinetto, Consiglio della contea di Kent. “Questa è una scoperta incredibile ed emozionante che sottolinea ancora una volta il ricco patrimonio che abbiamo nel nostro Comune. Il consiglio considera l’archeologia di Swale come uno dei suoi principali beni di cui siamo orgogliosi e che riconosciamo nella nostra strategia di conservazione e valorizzazione del patrimonio. – dice il consigliere Mike Baldock di Heritage Champion, Swale Borough Council – Il sito e la statua susciteranno molto interesse nella nostra comunità e non vediamo l’ora di lavorare con Chartway e con gli archeologi per garantire che ci siano opportunità per la popolazione locale di conoscere e celebrare i reperti e il patrimonio romano. ” “Si tratta di un pezzo di scultura davvero straordinario, senza dubbio di grande significato per la nostra comprensione della Britannia romana e della collocazione della regione nel più ampio scacchiere dell’Impero Romano. – afferma Richard Hobbs, curatore senior della sezione della Britannia romana, al British Museum – La scultura raffigura un Tritone – metà uomo e metà pesce – che cavalca un mostro marino. Sebbene siano noti alcuni altri frammenti di sculture simili provenienti dalla Britannia romana, prima non era stato scoperto nulla di simile". https://www.stilearte.it/scavano-per-realizzare-una-rotonda-stradale-e-trovano-un-tesoro-portati-alla-luce-ora-un-mausoleo-romano-e-una-statua-di-tritone/
  19. Trovano un tempio, marmi pregiati, case e strade. I primi scavi danno ragione al professore che con Google Earth aveva visto un quartiere romano sepolto nelle Marche Straordinari i primi risultati dei saggi di scavo condotti nel grande prato marchigiano di Falerio Piceno nel quale, un professore dell’Università di Bologna, aveva individuato la presenza di articolate strutture utilizzando il semplice programma di Google Earth, a disposizione di tutti sul web. Gli scavi di saggio condotti, per conto della Soprintendenza, dallo stesso professor Storchi hanno permesso, in questi giorni, di portare alla luce una porzione di tempio romano con abside e pavimentazione in marmi pregiati, una strada romana del primo secolo – che era il decumano, la via principale della città che la percorreva da est a ovest – e domus. E siamo solo agli inizi. Tra le primissime immagini delle evidenze di scavo, quelle scattate da Marco Ramadori dell’associazione Viarum, benemerito sodalizio che promuove la conoscenza storica legata al cammino su antichi sentieri. Il saggio si scavo porta in evidenza una struttura absidata con pavimentazione in marmi pregiati @ Foto Marco Ramadori, Viarum La trincea dello scavo di saggio porta alla luce il basolato del decumano @ Foto: Marco Ramadori, Viarum Come dicevamo, basta un computer e un po’ di occhio allenato per vedere ciò che è nascosto dal terreno. Lo studioso dell’Università di Bologna, Paolo Storchi, mesi fa aveva individuato, attraverso le immagini satellitari messe a disposizione di tutti i navigatori di internet sul sito Google earth, un quartiere romano, in un campo coltivato, nel territorio comunale di Falerone, in provincia di Fermo, nelle Marche. Siamo nella zona di una cittadina romana, chiamata Falerio Picenus. Il sito archeologico della città antica di Falerio Picenus è nella frazione Piane di Falerone, sulla sinistra del fiume Tenna; si trova a circa 2 km dall’odierno centro di Falerone in provincia di Fermo. Il parco archeologico è formato principalmente dall’area urbana dell’antica città di Falerio Picenus, integrata dalle attigue aree cimiteriali e dalle ville suburbane. L’intera area, per una estensione di circa 30 ettari, può sommariamente essere divisa in due parti: la prima, centrale, per buona parte intaccata dalla edificazione avvenuta dagli anni settanta in poi; la seconda, verso est e verso settentrione, sostanzialmente non urbanizzata, quasi totalmente coltivata, e dunque idonea ad interventi di ricerca e valorizzazione. L’intera estensione, praticamente pianeggiante, si sviluppa lungo la Strada Statale 210, con la superficie principale del lato nord sullo stesso asse viario. Il teatro si presenta ancora oggi come un monumentale edificio ( qui sopra, nella parta arte della foto, alla nostra sinistra) che, seppure saccheggiato nella sua decorazione, si staglia ancora isolato in mezzo alla campagna, all’ombra di un querceto, al termine di un breve vialetto. È uno dei teatri romani meglio conservati delle Marche e viene tuttora utilizzato in estate per numerose rappresentazioni. Attualmente sono conservati e recentemente restaurati il primo e il secondo ordine delle gradinate (media e ima cavea), parte dell’edificio scenico, il prospetto del proscenio a nicchie circolari e rettangolari, alternate alla base del muro del frontescena. Secondo i canoni allora correnti, la colonia era imperniata su due assi ortogonali: il cardo, in direzione nord-sud e coincidente con l’attuale via del Pozzo ed il decumanus che univa il Teatro all’Anfiteatro da est a ovest. Da queste due strade principali si ripartivano quelle secondarie che costituivano la struttura dell’insediamento urbano. La città doveva avere sicuramente una notevole consistenza, se si pensa che il suo perimetro si snodava per circa due miglia, senza considerare le aree esterne dedicate ai sepolcreti. https://www.stilearte.it/trovano-un-tempio-marmi-pregiati-case-e-strade-i-primi-saggi-di-scavo-danno-ragione-al-professore-che-con-google-earth-aveva-identificato-un-quartiere-romano-sepolto-nelle-marche/ @Vel Satiespenso che questo sia di tuo gradimento!
  20. Una splendida statua di ninfa del II secolo trovata ora nel fango di una città romana che fu governata da Plinio il Giovane Foto: Dipartimento Scavi e Ricerche della Direzione Generale dei Beni Culturali e dei Musei del Ministero della Cultura e del Turismo turco Una splendida ninfa scolpita nel marmo, che doveva adornare un ninfeo romano del II secolo, nella città di Amastris, oggi provincia turca del Mar Nero, nel distretto di Amasra di Bartın, è stata portata alla luce in questi giorni dagli archeologi, a una profondità di tre metri dal piano di campagna.. Gli archeologi che hanno compiuto la scoperta datano la statua – che è integra, al di là della decurtazione del naso e della mano destra – al II secolo d. C. Il manufatto di marmo – alto 1,53 centimetri – sarà presto esposto al Museo Amasra. L’annuncio del ritrovamento è stato dato stamattina. La costa di Amasra ospitò la colonia fenicia Sesamus nel XII secolo a.C. Il periodo di massimo splendore della colonia fu durante il regno della principessa iraniana Amastris. Importanti vestigia risalgono però all’epoca romana. Successivamente divenne uno dei più importanti porti fortificati bizantini sulla sponda meridionale del Mar Nero. Foto: Dipartimento Scavi e Ricerche della Direzione Generale dei Beni Culturali e dei Musei del Ministero della Cultura e del Turismo turco Il sito in cui è avvenuta ora questa clamorosa scoperta venne donato al Ministero della Pubblica Istruzione turca nel 2014 e successivamente – nel 2017 – iniziarono i lavori per la costruzione di una scuola. Ma il progetto non fu avviato perché durante gli scavi si iniziarono a trovare reperti romani. Furono così predisposte, dopo il vincolo dell’area, indagini sistematiche. Gli scavi sono ora effettuati sotto la direzione del Museo di Amasra – direttore dello scavo è l’archeologo Zübeyde Kuru – e la consulenza scientifica dell’Università Bartın. A loro si deve il prodigioso rinvenimento delle ninfa che regge un vaso dal quale doveva cadere l’acqua che alimentava una vasca o uno specchio d’acqua. Foto: Dipartimento Scavi e Ricerche della Direzione Generale dei Beni Culturali e dei Musei del Ministero della Cultura e del Turismo turco Plinio il Giovane, mentre era governatore di Bitinia e Ponto, in una lettera a Traiano, descrisse Amastri come una bella città, con un lungo viale, fiancheggiato su un lato da un corso d’acqua, che in realtà era un canale di scolo, sporco e nauseante; Plinio ottenne dall’imperatore il permesso di ricoprirlo. Probabilmente, in questo periodo, ebbe modo di impostare correlati lavori idraulici di risanamento – contava, infatti, sull’esperienza accumulata a Roma – valorizzando le acque chiare. In una moneta del periodo di Traiano, Amastri è nominata con il titolo di Metropoli. Continuò ad essere una città di una certa importanza fino al VII secolo. Plinio Cecilio Secondo era nato a Novum Comum (oggi Como) nel 61 o 62 da una ricca famiglia di rango equestre. Suo padre Lucio Cecilio era morto nel 70 e il bambino era stato preso sotto la tutela dello zio materno, Plinio il Vecchio, alla cui morte avvenuta nel 79, a Pompei, durante il disastro provocato dal Vesuvio, essendo stato nominato per testamento figlio adottivo, prese i nomi di Gaio e Plinio. Poiché era ancora minorenne, Plinio fu affidato all’amico di famiglia Verginio Rufo, che già si era preso cura di lui subito dopo la morte del padre. Plinio il Giovane si trasferì a Roma dove concluse gli studi e avviò la propria attività nel campo della legge – fu avvocato -, della cultura e della politica. Nel 98, sotto Traiano, a Roma, Plinio il Giovane fu prefetto dell’erario di Saturno, ossia soprintendente del tesoro. Nel 100 divenne console suffetto per due o tre mesi, poi augure e curatore dell’alveo del Tevere e delle rive delle cloache di Roma. Chiuse la carriera con la nomina nel 111 a governatore della provincia della Bitinia e Ponto come legatus Augusti pro praetore, una carica che gli fu confermata dal Senato essendo quella una provincia senatoria. Era ancora governatore quando morì, nel 113 o 114, probabilmente proprio in Bitinia. Ora è possibile chiedersi se la statua della ninfa fosse stata collocata durante questi anni o in quelli immediatamente successivi – siamo proprio all’inizio del II secolo – in seguito all’azione di riordinamento disposto da questo splendido intellettuale e amministratore. https://www.stilearte.it/una-splendida-statua-di-ninfa-del-ii-secolo-trovata-ora-nel-fango-di-una-citta-romana-che-fu-governata-da-plinio-il-giovane/
  21. Dal momento che negli ultimi tempi girano spesso teorie di ogni sorta, ho creduto di fare cosa gradita di riportarne una interessante... L’impero romano è crollato a causa dell’avvelenamento da piombo? La teoria di una equipe americana fa discutere Gli imperatori dell’Antica Roma hanno sicuramente guadagnato la loro reputazione per l’eccessiva stravaganza e le bizarrie. E se dietro questi comportamenti ci fosse un avvelenamento da piombo? Le bizzarrie degli imperatori Come non ricordare l’imperatore Caligola, noto per i suoi capricci sconcertanti: raggiunse l’apice della stravaganza quando nominò il suo adorato cavallo, Incitatus, sacerdote. L’equino fu coinvolto in cerimonie religiose e persino accolto a banchetti da lui ospitati. Il bizzarro imperatore Nerone era affascinato dalle arti, ma il suo amore per la recitazione andò oltre il convenzionale. Si racconta che avesse costruito un palco meccanico rotante in modo da poter esibirsi nei teatri da tutti gli angoli, come se fosse in cima al mondo. Commodo, ispiratore del personaggio di Joaquin Phoenix nel film “Il Gladiatore”, amava esibirsi come gladiatore. Organizzava spettacoli in cui si confrontava con sfide insulse e improbabili, come sconfiggere animali inermi o persino decapitare giraffe.Tiberio, noto per la sua paranoia eccessiva, fu coinvolto in uno scandalo quando si diffuse la voce che avesse vestito delle capre con abiti senatoriali e le avesse fatte girovagare per il Senato romano. La teoria dell’avvelenamento da piombo Mentre la maggior parte degli storici scarta queste storie, etichettandole come esagerate campagne di diffamazione politica, l’idea che ci fosse più di un briciolo di verità in questi racconti persiste. Entra in scena la curiosa teoria proposta da Reactions, e da un team di studiosi dell’American Chemical Society in collaborazione con la PBS Digital Studios. Gli antichi Romani avevano un rapporto intimo con il piombo, un elemento noto per la sua notevole malleabilità e resistenza alla corrosione. La sua presenza era onnipresente, adornando tutto, dagli utensili alle tubature dell’acqua, fino alle bare. È un curioso capovolgimento del destino che questo elemento apparentemente innocuo possa aver giocato un ruolo nei comportamenti enigmatici dei leader dell’impero. Mentre ci addentriamo in questa affascinante teoria, scopriamo un’interessante connessione culinaria che farebbe alzare un sopracciglio anche al più ardente appassionato di cucina. L’aristocrazia romana si abbandonava a sontuosi banchetti, e una gemma storica nota come il Manuale di Cucina Romana di Apicio svela una sorprendente rivelazione: quasi un centinaio delle sue 450 ricette conteneva acetato di piombo, spesso chiamato “zucchero di piombo”. La domanda si fa strada, perché rivolgersi al piombo per dolcificare i loro piatti, quando alternative come il miele e l’uva erano a loro disposizione? Una scelta culinaria perplessa, ma che ha prodotto risultati sorprendenti. Sembra che l’acetato derivato dall’uva si combinasse con ioni di piombo, rilasciati dalle pentole di cottura, formando una deliziosa mistura – un gioco culinario che farebbe alzare un sopracciglio persino a Carlo Cracco. Curiosamente, questa indulgenza nella cucina zuccherata al piombo era accompagnata da una insaziabile sete di vino, con gli aristocratici romani che avrebbero bevuto tra uno e cinque litri al giorno. Vino servito in boccali che, forse, portavano ad un rilascio di piombo. Un sontuoso banchetto ospitato dal politico Lucullo avrebbe avuto, si dice, circa quattro milioni di litri di vino. Un’indulgenza ebbra, ma poco sapevano che il dolce nettare che ingerivano nascondeva un ingrediente nascosto e sinistro. Nei meandri della scienza moderna, l’ombra gettata dal piombo si staglia imponente. La capacità dell’elemento di sostituire il calcio crea il caos nei nostri corpi, in particolare nei nostri cervelli. L’equilibrio delicato del calcio necessario per la comunicazione tra i neuroni è disturbato, portando a sbalzi d’umore erratici e ad un elaborazione compromessa delle informazioni – effetti che sembrano riflettere il comportamento dei sovrani romani antichi. L’attrazione per il piombo si estendeva al di là dei confini degli esperimenti culinari. I Romani usavano il piombo in diverse applicazioni, dalle stoviglie alle tubature dell’acqua, lasciando un segno indelebile per le generazioni future. Ma avrebbe davvero questo elemento apparentemente innocuo potuto orchestrare la caduta di un impero? I ricercatori si sono dibattuti con questa domanda per decenni, ricreando antichi sciroppi e vini, scoprendo concentrazioni di piombo che farebbero rabbrividire le agenzie di regolamentazione moderne. Eppure, il mistero è lontano dall’essere risolto. Uno studio recente condotto nel 2014 si è imbarcato in un’escavazione acquatica intorno a Roma, confrontando i livelli di piombo nei sedimenti con quelli conservati nelle antiche tubature. Sebbene abbia rivelato che l’acqua di Roma potrebbe aver contenuto più piombo dell’acqua di rubinetto odierna, non era l’unico presagio del destino, temperando l’attrattiva della teoria. Le ossa, quei silenziosi testimoni di epoche passate, detengono un altro pezzo del puzzle. Analizzando i resti scheletrici dei cittadini romani comuni, i ricercatori hanno scoperto una sorprendente discrepanza nei livelli di piombo tra l’Età del Ferro e l’Impero Romano – registrando concentrazioni fino a 400 volte maggiori di piombo nell’ultimo. Un cocktail potente, sicuramente in grado di influenzare la chimica cerebrale e il comportamento, ma può davvero essere accreditato della caduta dell’impero? Il palcoscenico è pronto, le prove affascinanti, ma l’intera portata dell’impatto del piombo nel grande teatro dell’Antica Roma rimane avvolta nel mistero. È stato un fattore contributivo o semplicemente una curiosa parentesi nelle cronache della storia? Mentre cala il sipario su questo racconto enigmatico, una cosa rimane certa: i sussurri del passato risuonano ancora nelle sfide che affrontiamo oggi, un potente monito che l’eredità del piombo continua a gettare la sua ombra sul presente. FAQ: Le Bizzarrie degli Imperatori Romani e la Teoria del Piombo Quali sono alcune delle bizzarrie attribuite agli imperatori romani? Gli imperatori romani sono noti per una serie di comportamenti stravaganti, tra cui Caligola che nominava il suo cavallo sacerdote, Nerone che si esibiva in abiti animali e Claudius che aveva attacchi di risate incontrollabili. Questi episodi sono documentati in fonti storiche dell’epoca. Qual è la teoria del piombo e il suo ruolo nelle bizzarrie degli imperatori? La teoria del piombo suggerisce che l’avvelenamento da piombo potrebbe aver contribuito ai comportamenti insoliti degli imperatori romani. Il piombo è tossico per il cervello e potrebbe aver causato disturbi comportamentali, spiegando così alcuni degli atti eccentrici riportati. Qual è la connessione tra il piombo e l’Antica Roma? Il piombo era ampiamente utilizzato nell’Antica Roma in vari contesti, tra cui utensili, tubature e addirittura nelle ricette culinarie. La sua ubiquità potrebbe aver portato a un’esposizione diffusa alla popolazione romana. Quali sono alcuni esempi di piombo nelle ricette culinarie romane? Le antiche ricette romane, comprese in opere come il “Manuale di Cucina Romana di Apicio”, contenevano spesso acetato di piombo, noto come “zucchero di piombo”, per dolcificare i piatti. Questa pratica è stata suggerita come possibile fonte di esposizione al piombo. Quali sono gli effetti tossici del piombo sul corpo umano? Il piombo può causare danni gravi al corpo umano, in particolare al cervello. Può interferire con la comunicazione neurale e causare sbalzi d’umore, alterazioni comportamentali e problemi di salute mentale. Qual è l’atteggiamento degli antichi Romani nei confronti del piombo? Gli antichi Romani potrebbero non aver compreso appieno la tossicità del piombo e avrebbero potuto utilizzarlo ampiamente a causa delle sue proprietà fisiche, come la malleabilità e la resistenza alla corrosione. Ci sono prove archeologiche dell’uso di piombo nell’Antica Roma? Sì, ci sono prove archeologiche che mostrano l’ampio utilizzo del piombo nell’Antica Roma, inclusi oggetti di uso quotidiano, utensili, tubature e reperti di cucina. Quanto è affidabile la teoria del piombo come spiegazione per le bizzarrie degli imperatori? La teoria del piombo è una speculazione basata su prove storiche e scientifiche, ma non può essere confermata in modo definitivo. È possibile che ci siano anche altre spiegazioni per il comportamento eccentrico degli imperatori romani. Qual è l’importanza di esaminare la storia in modo critico? Esaminare la storia in modo critico ci aiuta a ottenere una comprensione più accurata e completa delle culture passate. Ciò include l’esplorazione delle teorie alternative e l’analisi delle fonti storiche disponibili. Qual è l’eredità delle bizzarrie degli imperatori romani? Le bizzarrie degli imperatori romani ci offrono un’insight affascinante nella complessità dell’Antica Roma, svelando aspetti intriganti della società, della cultura e della psicologia umana dell’epoca. Ciò ci aiuta a costruire un quadro più ricco delle sfumature della storia romana. https://www.stilearte.it/limpero-romano-e-crollato-a-causa-dellavvelenamento-da-piombo-la-teoria-di-una-equipe-americana-fa-discutere/
  22. Scavano nei bagni del forte romano. Archeologa trova un grosso anello con il sigillo di Marte. La storia del luogo Questo fantastico anello romano con intaglio (che potrebbe rappresentare il dio Marte) è stato scoperto il primo giorno di apertura di una trincea, durante gli scavi archeologici in corso nei mesi di giugno-luglio 2023, presso il Forte romano di Birdoswald, accanto al Vallo di Adriano, in Gran Bretagna. Il ritrovamento è stato compiuto da Katie della PCA Durham , un’impresa britannica che si occupa di scavi archeologici preventivi. Lo scavo è avvenuto a Est del forte, nella zona dei bagni, e a nord della cittadella militare romana e del Vallo di Adriano, contrassegnata da un insediamento artigianale romano ad alta produttività e da alcune abitazioni Il nome originario del forte era Banna. Fu edificato in cima ad un alto sperone triangolare, che risultava protetto, naturalmente, da scarpate a sud e a est. Dal castrum si dominava un ampio meandro del fiume Irthing, in Cumbria. Il forte fu sede operativa di truppe ausiliarie romane tra il 112 al 400 circa. All’interno furono erette, in pietra, secondo la diffusa pianta elaborata a Roma per garantire la massima funzionalità degli insediamenti militari, i principia (quartier generale), gli horrea (granai) e gli alloggi dei soldati; cosa insolita per un forte destinato alle truppe ausiliarie, a Banna fu eretta anche una basilica exercitatoria (palestra), come previsto per gli addestramenti invernali.[ Le iscrizioni ritrovate sul posto hanno permesso di identificare la guarnigione del forte con la cohors I Aelia Dacorum, – che si fermò qui tra il 205 circa e il 282 circa – in epoca severiana era presente probabilmente anche la cohors I Thracum. La Cohors Primae Aelia Dacorvm (nome latino per “1a Coorte Eliana dei Daci”) era un reggimento di fanteria del corpo Auxilia dell’esercito imperiale romano . Fu innalzato per la prima volta dall’imperatore romano Adriano (r. 117–38 d.C.) nella provincia romana della Dacia – attuale Romania – non più tardi del 125 d.C. e la sua ultima registrazione sopravvissuta risale al c. 400. È stato schierato, praticamente per tutta la sua storia, nei forti sul Vallo di Adriano, alla frontiera settentrionale della provincia di Britannia. la Cohors VI Thracum quingenaria equitata (“6a coorte di Traci a cavallo parziale “) era un reggimento ausiliario romano contenente contingenti di cavalleria.I Traci erano un popolo, poi romanizzato, che risiedeva principalmente tra Bulgaria, Romania e Grecia settentrionale , ma anche nell’Anatolia nord-occidentale (Asia Minore) in Turchia . https://www.stilearte.it/scavano-nei-bagni-del-forte-romano-archeologa-trova-un-grosso-anello-con-il-sigillo-di-marte-la-storia-del-luogo/
  23. Scavi e che trovi? Terme romane “intatte” nel sottosuolo. La clamorosa scoperta di “bagni abnormi” accanto alla domus Straordinaria scoperta in Spagna, dove sono state portate alla luce terme romane di dimensioni abnormi rispetto ai servizi di una domus. Il ritrovamento è avvenuto in una città fondata da ex legionari romani. Mérida, il luogo in cui è in corso lo scavo archeologico, è un comune che oggi ha 59mila abitanti ed è capoluogo della comunità autonoma dell’Estremadura. È posta sulla riva destra del fiume Guadiana, a 217 metri sul livello del mare ed è una delle città della Spagna più ricche di monumenti romani tanto da essere chiamata la Roma spagnola. La città fu fondata nel 25 a.C. come colonia dai soldati veterani di Augusto delle legioni V Alaudae e X Gemina, da cui scaturì il nome originario di Augusta Emerita – il nome attuale, Mérida, deriva proprio dal latino Emerita -, e fu costruita in gran parte da Marco Vipsanio Agrippa, grande amico e genero dell’imperatore romano. La nuova città, grazie a consistenti investimenti, iniziò subito un periodo di grande splendore così da divenire, negli ultimi anni del regno di Augusto, una dei più importanti centri urbani di tutto l’Impero. Era situata sulla cosiddetta via de la Plata (“via dell’argento”), che univa la Cantabria alla Betica. Si dotò di un grande teatro, di un anfiteatro e di un circo. Il ritrovamento di questi giorni è avvenuto nei pressi della cosiddetta Domus dell’anfiteatro, un edificio ampio del quale non si conosce ancora esattamente l’originario utilizzo. Le stesse terme trovate in questi giorni sembrano, come è stato detto durante la conferenza di presentazione, “troppo grandi per una dimora privata”. E’ possibile pensare che la domus fosse utilizzata per importanti ricevimenti? La casa sorse al di là delle prime mura difensive della città ed è strutturata come una tipica domus casa romana, con un cortile centrale circondato da un portico. È la più grande casa romana di Merida, ma i bagni ora scoperti sono assolutamente sovradimensionati rispetto alla reale – pur consistente – grandezza della casa. “Stiamo scavando la continuazione della Casa dell’Anfiteatro – i cui limiti sono sconosciuti – per completare la cronologia dell’edificio, ma la cosa più importante è la scoperta di bagni fantastici di dimensioni enormi per quella che è una casa romana standard”, ha sottolineato l’archeologa Félix Palma durante la conferenza stampa di presentazione della scoperta. Lo scavo, che dura da sei mesi, vede la partecipazione dei tecnici del Consorzio Emeritense, di studenti di diversi centri di archeologia della Spagna e 8 studenti universitari dell’Università di Granada diretti da Macarena Bustamante. L’area presenta ampie decorazioni parietali e pavimentali, tra cui lastre marmoree, modanature, pitture parietali e varie strutture sotterranee legate alle terme, tutte in ottimo stato di conservazione. Durante altri scavi sarà forse possibile trovare le vasche delle piscine? Gli archeologi spagnoli ipotizzano che un così vasto impianto termale romano fosse stato pensato per numerosi i invitati alle feste organizzate dal proprietario della casa, forse in connessione con i giochi dei gladiatori che si svolgevano nelle vicinanze. https://www.stilearte.it/scavi-e-che-trovi-terme-romane-intatte-nel-sottosuolo-la-clamorosa-scoperta-di-bagni-abnormi-accanto-alla-domus/
  24. ARES III

    Vestigia di un Foro sull’Adriatico?

    Gli archeologi individuano i resti di un palazzo colonnato romano lungo almeno 24 metri. Sono vestigia del Foro sull’Adriatico? L’Università di Varsavia e il Centro per la conservazione e l’archeologia del Montenegro, che stanno scavando a Risan o Risano, nei pressi dell’Adriatico, ha individuato un’importante struttura: resti di un edificio lungo almeno 24 metri, che un tempo presentava grandi colonne. La struttura è probabilmente riferibile a uno dei palazzi che si affacciavano sulla piazza del Foro della città romana. Risan è il più antico nucleo abitativo delle Bocche di Cattaro; oggi conta circa 2.000 abitanti ed è una frazione del comune di Cattaro. Di fondazione illirica, la cittadina divenne romana dal 168 a.C. con il nome di Rhizinium o (Rhisinium) e crebbe d’importanza. Plinio la chiamò oppidum civium Romanorum; la città fiorì nel I e II secolo, periodo al quale risalgono i cinque mosaici di Risano, tra i maggiori tesori artistici del Montenegro. A causa dei frequenti terremoti, alcune parti della città sprofondarono in mare, dove si trovano tuttora. L’importante scoperta compiuta dagli archeologi polacchi ci porta proprio nel cuore pulsante della città romana, dove avvenivano i commerci, si faceva politica e ci si incontrava prima di discutere delle cause. “Risan ci ha sorpreso – dicono gli archeologi polacchi – Il frammento dello stilobate monumentale – basamento del colonnato ndr – ci porta a identificare un edificio lungo almeno 24 metri. E diciamo almeno perchè non siamo ancora arrivati all’angolo finale di questo colonnato. E’ stato grazie al maltempo – piogge intense e brevi periodi di sole al mattino – che abbiamo potuto notare, grazie al riflesso, piccole depressioni ripetitive sulla superficie delle placche stilobate. Erano le “impronte” dei piedistalli su cui poggiavano le colonne monolitiche. Sono stati scoperti due incavi frammentari di tali colonnati. Hanno un diametro di oltre 50 cm, il che significa che il portico doveva essere alto almeno 5 metri. Ciò vuol dire che il colonnato apparteneva a un edificio imponente, monumentale. La parte anteriore dello stilobate fu accuratamente lavorata. L’unica possibile spiegazione di questa disposizione è che si trattasse di un portico che fiancheggiava da un lato il foro romano. È stato portato alla luce anche il muro di fondo del portico, realizzato con pietre accuratamente accostate”. “Abbiamo ottenuto dati che consentono di datare l’edificio all’inizio del I secolo d.C. (epoca di Augusto/Tiberio ).- proseguono gli archeologi dell’Università di Varsavia. Tuttavia, sotto il livello del portico ci aspettava un’altra sorpresa. Sono state individuate mura del periodo ellenistico (II secolo a.C.) con un orientamento completamente diverso, corrispondente all’orientamento degli edifici ellenistici di Rhizon”. Anche gli edifici precedenti alla conquista romana erano opere imponenti e pertanto si ritiene che il Foro, pur con lavori di rifacimento e di mutamento dell’asse urbanistico, sia stato realizzato nell’area della precedente agorà. https://www.stilearte.it/gli-archeologi-individuano-i-resti-di-un-palazzo-colonnato-romano-lungo-almeno-24-metri-sono-vestigia-del-foro-sulladriatico/
  25. Alla caccia di resti di imponenti strutture romane nel mare delle Cesine di Lecce. Acheo-sub al lavoro. Cosa hanno trovato? Avviata la campagna 2023 di ricerche archeologiche subacquee e costiere nel comprensorio della Riserva Naturale dello Stato e Oasi WWF “Le Cesine” nel Comune di Vernole. Condotta dal Dipartimento di Beni culturali dell’Università del Salento in collaborazione con ESAC – Centro Euromediterraneo per l’Archeologia dei paesaggi costieri e subacquei (Concessione di scavo MiC, DDG-ABAP n. 1057 del 22 agosto 2022, per il tramite della SABAP Brindisi Lecce), con la direzione scientifica della professoressa Rita Auriemma, docente di Archeologia subacquea dell’Ateneo salentino, la campagna mira a indagare le strutture individuate nel 2020, in gran parte di età romana, ubicate lungo il tratto di costa compreso tra San Cataldo e Le Cesine in località “Posto San Giovanni”, nelle immediate vicinanze dell’Edificio Idrovoro della Riforma Agraria, che suggeriscono l’esistenza di un importante complesso portuale. Ricostruirne lo sviluppo complessivo è l’obiettivo primario di questa campagna di scavo che, avviata dal 3 al 15 luglio 2023 scorsi, continuerà a settembre, anche con eventi di archeologia pubblica e il coinvolgimento delle comunità locali. La campagna 2023 segue le precedenti fasi d’indagine svolte nel corso del 2021 (sempre dirette da Rita Auriemma), che avevano visto la collaborazione con docenti e ricercatori di due Dipartimenti del Politecnico di Torino per eseguire il rilievo fotogrammetrico delle evidenze e prospezioni con droni, posizionatori subacquei e ROV (robot subacquei muniti di telecamera) di ultima generazione impiegati con metodologie innovative e i cui già eccellenti risultati preliminari erano stati presentati nell’ambito dell’evento dedicato “Il porto ritrovato”, svoltosi nell’Auditorium del Museo Castromediano di Lecce in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia (19 giugno 2021). A 15 metri circa dalla costa, verosimilmente in corrispondenza della riva antica, a una profondità che va da meno di un metro ai 3,5 metri, si sviluppa una struttura (settore A) identificata con la fondazione di un possente molo, larga circa 8 m, lunga almeno 90 m, realizzata in grandi blocchi giustapposti e originariamente sovrapposti, oggi crollati e sparsi a causa della forza disgregatrice del moto ondoso. Si nota la presenza di grandi blocchi parallelepipedi con un lato sagomato a cilindro posti a intervalli piuttosto regolari e interpretabili come possibili bitte, anch’essi in crollo, e di altri blocchi lavorati e canalette. Sullo stesso allineamento ma più al largo si trovano altri blocchi, disposti in linee parallele e perpendicolari (settore B). Una parte di questa struttura era stata vista e documentata negli anni ’90 ma le ricerche in corso hanno messo in luce altri tratti, rivelandone l’imponenza. La campagna 2023 mira a comprendere se i due settori siano parte della stessa opera (il potente riporto sabbioso dovuto alle mareggiate nasconde forse la continuità della struttura) e a realizzare un nuovo e più completo rilievo tridimensionale delle parti visibili. Infine, il settore C corrisponde all’area della cosiddetta “Chiesa sommersa”; si tratta dei resti di un edificio con base intagliata in uno sperone roccioso e l’elevato dei muri in cementizio; la possibile identificazione con una “torre-faro” è un’ipotesi ancora da verificare. Nel corso di questa campagna sarà possibile realizzare anche di questo elemento un modello digitale tridimensionale. La tecnica di costruzione del molo, “a cassone”, con l’impiego di blocchi sui lati e anche nel corpo del molo, insieme a pietrame dilavato dalla forza del mare, è tipica delle strutture di approdo dell’Adriatico e di altre aree del Mediterraneo, soprattutto orientale. Si segnalano anche strutture a terra, alcune già note – una serie di vasche scavate nella roccia, probabile impianto per la produzione del sale, e alcuni ambienti a nord, forse databili a età tardorepubblicana – altre venute alla luce proprio nel corso di questa campagna, più a sud. L’insieme delle evidenze a mare e a terra, con l’approccio olistico dell’archeologia dei paesaggi, in questo caso paesaggi di mare, suggerisce appunto l’esistenza di un importante complesso portuale; ricostruirne lo sviluppo complessivo è, come detto, l’obiettivo primario di questa campagna di scavo, che continuerà a settembre, con eventi di archeologia pubblica e il coinvolgimento delle comunità locali. Questa struttura è simile alla parte sommersa del grande molo adrianeo a nord dell’ampia baia di San Cataldo, a cui lo avvicina anche l’imponente sviluppo e la tecnica edilizia, ma potrebbe essere anche più antico di quello. Autori antichi ricordano lo sbarco di Ottaviano da Apollonia al porto di Lupiae, che doveva quindi godere di una certa considerazione nella seconda metà del I secolo a.C. ed essere forse già munito di alcune infrastrutture, per accogliere la nave del futuro imperatore Augusto. In ogni caso quest’importante scoperta non fa che accrescere la ricchezza del patrimonio costiero e sommerso dei comuni di Lecce e Vernole, già testimoniato dai numerosi relitti censiti nella Carta Archeologica Subacquea a cura di Rita Auriemma, ora in CartApulia (Carta dei beni culturali pugliesi, www.cartapulia.it), di età romana, medievale e moderna spiaggiati lungo questa costa. Un altro importante contributo delle precedenti indagini era stata l’individuazione di una fase dimenticata del porto di San Cataldo: la datazione assoluta di alcuni pali sommersi, effettuata dal CEDAD dell’Università del Salento, conferma la ricostruzione di un molo a opera della regina angioina Maria d’Enghjen nella prima metà del XV secolo, che sfrutta il molo romano come fondazione. «Questo ricco patrimonio tra terra e acqua si presta senz’altro a un intervento integrato di valorizzazione in grado di coinvolgere tutti gli attori locali (Comune, associazioni, concessionari di lidi, diving club e center, eccetera) e riconoscere a questo paesaggio la sua unicità», sottolinea la professoressa Rita Auriemma: «Fare archeologia dei paesaggi nel comprensorio San Cataldo-Cesine, dove si recuperano anche insediamenti importanti dell’età del Bronzo/Ferro, significa fare archeologia pubblica, per restituire alle comunità locali un patrimonio di eccezionale interesse. È da questo capitale culturale che occorre ripartire per immaginare e progettare la rigenerazione, la valorizzazione e una fruizione nuova del paesaggio dimenticato di un waterfront denso di storia». Ed è proprio quanto intende fare il nuovo EuroMediterranean Seascapes Archaeology Center – ESAC, nato da un accordo di collaborazione promosso dalla Regione Puglia – Poli BiblioMuseali con le tre Università regionali – Foggia, Bari e Salento – e la Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo; il Progetto dell’ESAC “Andar per mare. Itinerari subacquei e costieri di Puglia” vuole infatti rendere accessibili vari itinerari sommersi, grazie a una rete di servizi e di attori locali; l’antico porto di San Giovanni – Cesine sarà parte di quest’offerta integrata di turismo costiero e subacqueo culturale, esperienziale e sostenibile. «Abbiamo accolto da subito l’invito della professoressa Auriemma e abbiamo compreso che, oltre alla fondamentale importanza storica e scientifica delle scoperte che si stanno susseguendo nel nostro territorio costiero, siamo davanti alla possibilità di essere protagonisti silenziosi della scrittura di una pagina inedita della storia del nostro mare e della nostra costa», sottolinea il Sindaco del Comune di Vernole Mauro De Carlo, «Per questo è forte la nostra volontà di accompagnare le attività di scavo dando la massima disponibilità a collaborare, a divulgare i risultati del lavoro svolto grazie alla realizzazione di open day e di convegni sul tema dell’archeologia del paesaggio costiero. Per ospitare poi tecnici, archeologi e studiosi provenienti da diverse parti del mondo o semplicemente turisti incuriositi dalle meravigliose scoperte già note e che verranno alla luce nelle prossime campagne di scavo». Le ricerche si svolgono con il sostegno della Ditta Angelo Colucci, del Centro Equituristico Masseria Fossa e del Comune di Vernole; si ringraziano il Consorzio di Bonifica Ugento e Li Foggi (per la concessione degli spazi dell’edificio idrovoro), la Riserva Naturale dello Stato e Oasi “WWF Le Cesine”, l’ARIF Puglia – sezione di Lecce, il Nucleo Carabinieri Tutela Biodiversità di San Cataldo e il Corpo delle Capitanerie di Porto e Guardia Costiera (Ufficio Circondariale Marittimo di Otranto e Ufficio Locale Marittimo di San Cataldo) per la consueta disponibilità. Le indagini vedono la partecipazione di archeologi/archeologhe, collaboratori/trici, dottorandi/e e studenti/esse delle Università del Salento, Ege (Izmir, Turchia), Roma Tor Vergata e del Politecnico di Torino: Annamaria Alabiso, Cristiano Alfonso, Antonella Antonazzo, Carlotta Quarta Colosso, Angelo Colucci, Luigi Coluccia, Tuana Zara Eren, Melissa Mele, Michela Rugge, Beatrice Tanduo, Fernando Zongolo. Drone, riprese ed editing video di Emiliano https://www.stilearte.it/alla-caccia-di-resti-di-imponenti-strutture-romane-sommerse-dal-mare-alle-cesine-di-lecce-acheo-sub-al-lavoro-le-foto/
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