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Esplorazione dei nuovi scavi di Pompei
Vel Saties ha aggiunto un nuovo link in Storia ed archeologia
Explore the newest excavation in Pompeii! Darius ti porta nelle trincee per esplorare gli scavi in corso dell'Insula 10 nella Regione IX di Pompei. Si tratta di un tour unico degli scavi, delle recenti scoperte e di uno sguardo ai lavori di conservazione in corso che si svolgono sul posto. Questo è uno sguardo speciale all'opera a Pompei nel 2024 che sottolinea l'impegno del sito per la conservazione e la documentazione approfondita di uno scavo limitato, che alla fine sarà aperto al pubblico. Darius takes you into the trenches to explore the ongoing excavation of Insula 10 in Region IX of Pompeii. It's a unique tour of the excavation, recent discoveries, and a look at ongoing conservation work that takes place on site. This is a special access look at the work in Pompeii in 2024 that underlines the site's commitment to preservation and thorough documentation of a limited excavation, which will eventually be opened to the public. -
Scoperte archeologiche a Pompei: 13 statuine per un rito domestico
Vel Saties ha aggiunto un nuovo link in Rassegna Stampa
Circa 15 centimetri l’una di altezza, per queste 13 statuine in terracotta, raffiguranti esseri umani, ma anche elementi quotidiani come una mandorla, una noce, una pigna di vetro e una testa di gallo modellata in argilla. Le scoperte archeologiche emergono in un’Insula che già è stata indagata con la Domus di Leda e il Cigno. Sono state ritrovate dritte su un piano orizzontale, messe praticamente in fila su uno scaffale andato perduto nell’eruzione, all’interno di un piccolo vano. Si tratta certamente di un emozionante squarcio di religiosità domestica, tracce di un rito antico in ambienti ristretti, famigliari. Erano piuttosto in alto, a circa due metri dal piano di calpestio romano, prima che venissero sepolte dai lapilli nella loro posizione originale, nel probabile atrio della dimora, che sta già suggerendo la presenza di decorazioni che affiorano dalla parte superiore delle murature Il Parco Archeologico di Pompei ci fa sapere che una prima analisi comparativa suggerisce che i soggetti – almeno un parte - si riferiscono al mito di Cibele e Attis, quindi una trasposizione del rincorrersi delle stagioni e della fertilità della terra da mettere nel calendario dunque di primavera. Ma non basta. Il comunicato del Parco scrive testualmente che “Durante la fase di rimozione delle terre ancora presenti in alcuni ambienti della casa di Leda, al fine di raggiungere il livello del piano pavimentale, è inoltre emersa una stanza finemente affrescata dove spiccano 4 tondi con volti femminili di raffinata eleganza”. Si tratta sempre di quegli scavi che in questi mesi vengono condotti per mettere in sicurezza i fronti, ossia il limite tra gli scavi già compiuti e quelli già scavati . Ovviamente a questo si accompagna una fase di restauro e consolidamento per permettere, in futuro, la fruizione pubblica delle scoperte- 3 commenti
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Anteprima mostra Pompei: L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio
ARES III ha aggiunto un nuovo link in Rassegna Stampa
Anticipazioni Mostra | L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio. In anteprima l’esposizione di un letto che racconta la vita degli ultimi Il 15 dicembre Pompei apre le porte alla scoperta del cuore della vita quotidiana degli antichi romani. La mostra, intitolata L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio, sarà ospitata nella prestigiosa “Palestra Grande” nell’area archeologica di Pompei. Tuttavia, un’anticipazione affascinante è già visibile nel Parco: la ricostruzione di una branda, un letto semplice rinvenuto nella villa extraurbana di Civita Giuliana, nella “stanza degli schiavi”. Questo letto, risalente all’epoca romana e composto da assi di legno e una rete di cordini, è stata abilmente ricostruito con la tecnica dei calchi, una procedura che permette di dare forma ai vuoti nella cenere vulcanica lasciati da oggetti organici. Attualmente esposto sotto la scala di una bottega su via dell’Abbondanza, questo reperto offre uno sguardo intimo nella quotidianità di Pompei prima dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Il direttore del Parco e curatore della mostra, Gabriel Zuchtriegel, sottolinea l’importanza di questa esposizione nel rivelare il vero tessuto sociale della città antica. “La mostra vuole raccontare questa ‘altra’ Pompei: la città dei ceti medio e basso, degli artigiani, dei negozianti, delle prostitute, dei liberti e degli schiavi. La gente comune che è rimasta nell’ombra dei grandi eventi della storia, ma la cui vita a Pompei può essere ricostruita in maniera unica.” La brandina, è solo uno dei tanti elementi che si possono ammirare durante l’esposizione. La co-curatrice Silvia Bertesago mette in risalto la significativa dimensione umana che queste ricostruzioni offrono: “Il letto è parte di una stanza di soli 16 mq, in cui vivevano probabilmente tre servi. La copia dell’intero contesto, ricreata grazie ai calchi, così come la riproduzione di altri due ambienti della Casa del Larario, costituiranno il fulcro della mostra.” Attraverso sette sezioni e circa trecento reperti, la mostra offre un viaggio attraverso le varie fasi della vita quotidiana di coloro che abitavano la Pompei meno celebrata ma altrettanto significativa. Un sistema interattivo all’interno dell’app My Pompeii permette ai visitatori di immergersi nel tessuto stesso di queste vite, selezionando una “identità antica” e seguendo le indicazioni per rivivere virtualmente questo spazio anonimo. La precisione della riproduzione è stata possibile grazie alle moderne tecniche di scansione digitale, stampa 3D e rifinitura manuale, offrendo così un’esperienza autentica e coinvolgente. “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio” è curata da Gabriel Zuchtriegel e Silvia Martina Bertesago. La mostra promette di svelare una Pompei meno conosciuta ma altrettanto viva e reale, restituendo voce e vita alle persone comuni che hanno reso vibrante questa città sepolta sotto le ceneri del Vesuvio. https://stilearte.it/anticipazioni-mostra-laltra-pompei-vite-comuni-allombra-del-vesuvio-in-anteprima-lesposizione-di-un-letto-che-racconta-la-vita-degli-ultimi/ -
Rimanendo in tema di schiavi a Pompei: la villa di Civita Giuliana
Vel Saties ha aggiunto un nuovo link in Rassegna Stampa
Pompei: vivere (e morire) tra i topi [anche qui titoloni proprio] 21 agosto 2023 All’interno della villa romana di Civita Giuliana, a circa 600 metri dalle mura dell’antica Pompei, il misero arredo di una stanza restituisce l’istantanea di vita degli ultimi della città vesuviana: gli schiavi. “Diversamente” schiavi Come in altri casi, l’immagine di quasi 2000 anni fa ci viene consegnata grazie alla straordinaria tecnica dei calchi. La nuova stanza, denominata “ambiente “A”, si presenta diversa da quella già nota come ambiente “C”, ricostruita a novembre 2021 in cui erano posizionate tre brande e che fungeva al tempo stesso da ripostiglio. Quello che è emerso adesso spalanca una finestra sulla esistenza di una precisa gerarchia all’interno della servitù. Spiega il direttore del Parco archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel: «Sappiamo che i proprietari adottavano diverse strategie, tra cui anche la possibilità di creare una famiglia (seppure senza alcuna tutela giuridica) per legare indissolubilmente alcuni schiavi al posto di lavoro: talvolta “promuovendoli” ad alleati nel sorvegliare gli altri. Di sicuro si puntava a un legame sociale con la servitù per impedire fughe e forme di resistenza. Il fatto di non aver rinvenuto tracce di grate, lucchetti o ceppi ne è la conferma». Letti, armadi e topi Mentre uno dei due letti trovati in queste settimane è della stessa fattura (estremamente semplice e senza materasso, di quelli del 2021), l’altro è di un tipo più confortevole e costoso, noto in bibliografia come “letto a spalliera”. Nella cinerite sono ancora visibili le tracce di decorazioni rosse su due delle spalliere. Oltre ai due letti ci sono poi due piccoli armadi, anch’essi conservati parzialmente come calchi, una serie di anfore, vasi di ceramica e diversi attrezzi, tra cui una zappa di ferro. Il microscavo all’interno di vasi e anfore provenienti dall’ambiente “C” ha nel frattempo rilevato la presenza di almeno tre roditori: due topolini in un’anfora e un ratto in una brocca, posizionata sotto uno dei letti e dalla quale sembra che l’animale cercasse di scappare quando morì nel flusso piroclastico dell’eruzione. Dettagli che sottolineano ancora una volta le condizioni di precarietà e disagio igienico in cui vivevano gli ultimi della società dell’epoca. La Villa “strappata” ai tombaroli L’esplorazione archeologica della villa di Civita Giuliana, già oggetto di scavi nel 1907-1908, ebbe inizio nel 2017 in base a una collaborazione tra il Parco archeologico di Pompei, quale ente competente per la tutela dell’area circostante la città antica, e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, che insieme ai Carabinieri aveva scoperto un’annosa attività di scavi clandestini nell’area della Villa poi sgominata. -
Scoperto a Pompei il panificio-prigione. Nel pavimento intagli per coordinare il movimento di asini e operai schiavizzati. LE IMMAGINI Un panificio-prigione, dove persone ridotte in schiavitù e asini erano rinchiusi e sfruttati per macinare il grano necessario a produrre il pane. Un ambiente angusto e senza affaccio esterno, con piccole finestre con grate in ferro per il passaggio della luce. E nel pavimento intagli per coordinare il movimento degli animali, costretti a girare per ore con occhi bendati. L’impianto è emerso nella Regio IX, insula 10, dove sono in corso scavi nell’ambito di un più ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione dei fronti che perimetrano l’area ancora non indagata della città antica di Pompei. Panificio foto dall’alto Le indagini hanno restituito una casa in corso di ristrutturazione. Un’abitazione suddivisa – come spesso avviene – in un settore residenziale decorato con raffinati affreschi di IV stile, e un quartiere produttivo destinato in questo caso alla panificazione. In uno degli ambienti del panificio, erano già emerse nei mesi scorsi tre vittime, a conferma che nonostante la ristrutturazione in corso, la dimora fosse tutt’altro che disabitata. Una fotografia/testimonianza del lavoro massacrante a cui erano sottoposti uomini, donne e animali negli antichi mulini-panifici, del cui racconto abbiamo la fortuna di poter disporre di una fonte d’eccezione, lo scrittore Apuleio, vissuto nel II secolo d.C., che nelle Metamorfosi IX 11-13, racconta l’esperienza del protagonista, Lucio, trasformato in asino e venduto a un mugnaio, evidentemente sulla base di una conoscenza diretta di contesti simili. Regio IX Mulino Le nuove scoperte rendono possibile descrivere meglio anche il funzionamento pratico dell’impianto produttivo che, seppure in disuso al momento dell’eruzione, ci restituisce una conferma puntuale del quadro sconcertante dipinto da Apuleio. Il settore produttivo messo in luce è privo di porte e comunicazioni con l’esterno; l’unica uscita dà sull’atrio; nemmeno la stalla possiede un accesso stradale come frequente in altri casi. “Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento – fa notare il Direttore Gabriel Zuchtriegel, in un articolo scientifico a più mani pubblicato oggi sull’E-Journal degli scavi di Pompei http://pompeiisites.org/e-journal-degli-scavi-di-pompei/ – È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro. “ Regio IX mulino e trace La zona delle macine, ubicate nella parte meridionale dell’ambiente centrale, è adiacente alla stalla, caratterizzata dalla presenza di una lunga mangiatoia. Attorno alle macine si individua una serie di incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico. Data la forte resistenza del materiale, è verosimile che quelle che a prima vista potrebbero sembrare delle “impronte” siano in realtà intagli realizzati appositamente per evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione e contemporaneamente tracciare un percorso, formando in tal modo un “solco circolare” (curva canalis) come lo descrive anche Apuleio. “Le fonti iconografiche e letterarie, in particolare i rilievi della tomba di Eurysaces a Roma, suggeriscono che di norma una macina fosse movimentata da una coppia composta da un asino e uno schiavo. Quest’ultimo, oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare l’animale e monitorare il processo di macinatura, aggiungere del grano e prelevare la farina.” L’usura dei vari intagli può essere ascritta agli infinti giri, sempre uguali, svolti secondo lo schema predisposto nella pavimentazione. Più che a un solco viene pertanto da pensare all’ingranaggio di un meccanismo di orologeria, concepito per sincronizzare il movimento intorno alle quattro macine concentrate in questa zona. Regio IX trace L’ambiente riaffiorato, con la sua testimonianza di dura vita quotidiana, integra il quadro raccontato nella mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio” – che inaugurerà il 15 dicembre alla Palestra grande di Pompei- dedicata a quella miriade di individui spesso dimenticati dalle cronache storiche, come appunto gli schiavi, che costituivano la maggioranza della popolazione e il cui lavoro contribuiva in maniera importante all’economia, ma anche alla cultura e al tessuto sociale della civiltà romana. “In ultima analisi – aggiunge il direttore- sono spazi come questo che ci aiutano anche a capire perché c’era chi riteneva necessario cambiare quel mondo e perché negli stessi anni un membro di un piccolo gruppo religioso di nome Paolo, poi santificato, scrive che è meglio essere tutti servi, douloi che vuol dire schiavi, ma non di un padrone terrestre, bensì di uno celeste.” (comunicato stampa) https://stilearte.it/scoperte-scoperto-a-pompei-il-panificio-prigione-nel-pavimento-intagli-per-coordinare-il-movimento-di-asini-e-operai-schiavizzati/
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Pompei: trovato Askos di bronzo per vini trovato
ARES III ha aggiunto un nuovo link in Rassegna Stampa
Askos di bronzo per vini trovato, durante gli scavi in corso, nella casa servile di 2000 anni fa presso Pompei. Vino e abitudini di mescita Il contenitore appare sotto i detriti. A destra l’askos recuperato @ Parco archeologico di Pompei di Redazione Stile arte è un giornale di arte, cultura e archeologia, fondato nel 1995 e diretto da Bernardelli Curuz. Un vaso antico (un Askos bronzeo a ventre allungato) originariamente utilizzato per mescere mescere vino, è stato rinvenuto nel corso degli scavi in corso presso la Villa suburbana di Civita Giuliana, sul pavimento di una stanza del primo piano del quartiere servile. Lo annuncia il Parco archeologico di Pompei. Non siamo, probabilmente, in un’area per schiavi, ma in un punto in cui abitavano i capi della servitù che lavorava nella villa. Di grande interesse, questo oggetto bronzeo, che, insieme ad altri indizi, lascerebbe intendere diversi livelli sociali nelle categorie servili romane. Gli appartamenti in fase di scavo erano occupati da addetti alla villa che vivevano, diremmo oggi, in una situazione piccolo borghese. Il contenitore rinvenuto qui ricorda vagamente la forma di un’anatra ed è dotato di un manico leggiadro ed ergonomico che consentiva di dosare perfettamente la mescita di vino. In alto la freccia indica un contenitore ceramico, in basso l’askos bronzeo @ Parco archeologico di Pompei La civiltà romana è stata notoriamente ricca di tradizioni e stili di vita sofisticati, e il consumo del vino occupava un ruolo centrale nella società. La bevanda era considerata parte integrante del tessuto sociale, utilizzata in vari contesti e celebrata durante eventi importanti. Viticoltura e produzione I Romani erano maestri nella coltivazione della vite e nella produzione del vino. Le regioni come la Campania, la Sicilia e la Gallia erano famose per la qualità delle loro uve. Varietà di vini I Romani producevano e consumavano una vasta gamma di vini. Il “posca” era una bevanda popolare tra i soldati romani, una miscela di vino diluito con acqua e una punta di aceto. Possiamo immaginare che fosse qualcosa di simile a un lambrusco secco all’ennesima potenza. Una punta asprigna, con acqua fresca, rendeva la miscela molto dissetante. Il “mulsum” era. invece, un vino aromatizzato con miele, spesso servito durante i banchetti e che risultava gradevole perchè possiamo immaginare – ricordando i nostri vini del contadino, prodotti fino a qualche decennio fa – che molti vini romani dovevano essere molto tannici e corposi, con un fondo denso e amarognolo. Il “conditum” era un vino speziato arricchito con miele, pepe e altre spezie., qualcosa che poteva aver un sapore che si colloca a metà tra la sangria e il vin brulé Cerimonie e banchetti Il vino era centrale durante i banchetti romani, noti come “convivia”. Questi eventi erano caratterizzati da abbondanza di cibo e vino, con gli ospiti sdraiati sui triclini a godere della compagnia e dei piaceri della tavola. Il padrone di casa svolgeva spesso il ruolo di “symposiarch,” responsabile di mescere e diluire il vino. Utensili e pratiche di consumo I Romani utilizzavano una varietà di utensili per bere il vino. Le coppe, come le celebri “calix” o “scyphus,” erano spesso elaborate e variamente decorate. L’aggiunta di acqua al vino era una pratica comune, non solo per ridurre la gradazione alcolica, ma anche per permettere una lunga e piacevole consumazione. Simbolismo e cultura Il vino non era solo una bevanda, ma portava anche un significato simbolico nella cultura romana. Era associato a Dionisio/Bacco, dio del vino, e svolgeva un ruolo centrale nei riti religiosi. La bevanda rifletteva il lusso, la prosperità e l’arte di vivere dei Romani. Mescere e mescita: cosa significano Sino a quele anno fa, in Italia, permaneva l’espressione arcaica “mescere il vino” inteso come l’atto di versare il vino nel bicchiere. Si parlava anche di “mescita di vino” per indicare un locale, in cui veniva servita questa bevanda, con alcuni “stuzzichini” come pezzi di formaggio molto forti e perchè stagionati e quasi avariati. Mescita deriva dal verbo “mescere” che a sua volta trae origine dal latino “miscere”, che non significa tanto versare quanto, evidentemente, “mescolare”. Il significato di “mescere il vino” è legato all’antica pratica romana di mescolare il vino con acqua prima di berlo. Questa usanza aveva lo scopo di diluire il vino, rendendolo meno denso e più adatto al consumo durante i pasti e i banchetti. La miscelazione del vino con l’acqua aveva diversi scopi, tra cui: Riduzione della gradazione alcolica: la diluizione del vino con acqua riduceva la quantità di alcol per dose, permettendo una consumazione prolungata, senza eccessivi effetti inebrianti. Questo era particolarmente importante durante i banchetti romani, dove la convivialità durava a lungo. L’acqua, dove fosse possibile, veniva prelevata da fonti fresche. E pertanto essa aveva, specie nelle stagioni più calde, la funzione di trasformare il vino miscelato in una bibita abbastanza fresca e dissetante. Adattamento ai pasti: il vino miscelato era considerato più adatto all’accompagnamento dei pasti. La pratica rispondeva alla concezione romana di un pasto equilibrato e armonico, in cui il vino non doveva essere troppo pesante. I vini troppo tannici possono peraltro, in alcuni soggetti, rendere difficoltosa la digestione. Segno di raffinatezza: mescere il vino era considerato un gesto raffinato e di buon gusto. Mostrava l’attenzione del padrone di casa per il comfort dei suoi ospiti ed era un segno di ospitalità. Possiamo anche immaginare che ogni padrone di casa offrisse una propria versione del vino e che ogni famiglia mettesse a punto una propria ricetta. https://stilearte.it/askos-di-bronzo-per-vini-trovato-durante-gli-scavi-in-corso-nella-casa-servile-di-2000-anni-fa-nei-pressi-di-pompei-vino-e-abitudini-di-mescita/ -
Archeologia e tecnologia: Il recupero dei papiri della biblioteca perduta di Ercolano (2003)
Vel Saties ha aggiunto un nuovo link in Storia ed archeologia
Out of the Ashes: Il recupero della biblioteca perduta di Ercolano (2003) Vent’anni fa, gli ingegneri e gli studiosi classici della Brigham Young University furono pionieri nell’uso delle tecnologie di imaging multispettrale per leggere documenti antichi, inclusi i fragili e carbonizzati papiri di Ercolano. Nel caso dei papiri di Ercolano, che furono carbonizzati e sepolti dalla stessa eruzione che distrusse l'antica città di Pompei nel 79 d.C., il team della BYU ha ottenuto risultati miracolosi. L'inchiostro nero sulle pagine annerite dei papiri divenne improvvisamente leggibile, con stupore degli studiosi. Le immagini della BYU avrebbero portato a dozzine di nuove pubblicazioni e avrebbero cambiato per sempre il mondo della papirologia. Out of the Ashes: Recovering the Lost Library of Herculaneum, prodotto nel 2003, racconta la storia dell'unica biblioteca mai recuperata dall'antichità e gli sforzi di un team mondiale di studiosi per srotolare, leggere e preservare i fragili rotoli. Il documentario è stato prodotto dalla Brigham Young University/KBYU Television per la televisione pubblica americana. Un ringraziamento speciale a Roger Macfarlane, professore associato di arti e lettere comparate della BYU, Giovanni Tata, e alla Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli, Italia. Nel 2023, gli ingegneri dell'Università del Kentucky hanno annunciato nuovi entusiasmanti progressi che consentiranno di leggere i papiri di Ercolano senza srotolarli e di decifrare i testi utilizzando l'intelligenza artificiale. L'annuncio ha suscitato un rinnovato interesse per il documentario originale su Ercolano e per il lavoro rivoluzionario della BYU che utilizza la tecnologia per studiare gli antichi papiri.-
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La Conceria di Pompei apre al pubblico dopo il restauro. Le immagini e il tour RIAPERTA LA CONCERIA DI POMPEI: UNO STRAORDINARIO RITORNO AL PASSATO DELLA LAVORAZIONE DELLE PELLI” Un’antica testimonianza delle attività artigianali è tornata a nuova vita con l’inaugurazione della conceria di Pompei, il più grande impianto per la lavorazione delle pelli mai scoperto nella città antica. Grazie alla collaborazione tra il Parco archeologico di Pompei e il gruppo UNIC-Concerie Italiane Lineapelle, che ha sostenuto finanziariamente l’operazione di restauro, il complesso conciario è stato riaperto al pubblico. I visitatori avranno l’opportunità di esplorare la conceria attraverso un allestimento didattico-espositivo che illustra il processo di lavorazione delle pelli dell’antichità, accompagnato dalla mostra di strumenti originali per la concia. Inoltre, è stato creato un modellino tattile in 3D con legenda in braille per consentire anche alle persone ipovedenti di vivere questa esperienza. Tra le attrazioni, spicca la riproduzione in copia del celebre mosaico del Memento Mori, originariamente ospitato presso la mensa del Triclinio all’Aperto e realizzato dal Laboratorio di Restauro del Mosaico della Fondazione RavennAntica. Il restauro e la valorizzazione dell’antica conceria sono stati curati dal Parco archeologico di Pompei, con interventi mirati per migliorare l’accessibilità alle aree, danneggiate anche dai tragici eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale. Sono state installate passerelle per facilitare la visita e sono state effettuate importanti opere di cura e manutenzione del verde, oltre al rifacimento del pergolato. L’apertura della conceria è parte di un nuovo itinerario proposto dal Parco archeologico di Pompei, che permetterà ai visitatori, dal 30 giugno all’1 agosto, di scoprire anche altre botteghe artigiane dell’epoca. Oltre alla conceria, sarà possibile visitare la Fullonica (antica lavanderia), il Panificio di Popidio Prisco e la Bottega del garum, dove veniva prodotto il pregiato condimento a base di colatura di pesce. Gabriel Zuchtriegel, Direttore del Parco, dichiara: “Con la riapertura di questa importante area degli scavi, siamo certi che sarà apprezzata dai visitatori che hanno scelto Pompei come meta dei loro viaggi. Inserirla in un itinerario di impianti artigianali ci permette di raccontare anche gli aspetti di una città produttiva e commerciale, andando oltre le magnifiche Domus con i loro affreschi. La sponsorizzazione del gruppo UNIC-Concerie Italiane Lineapelle è un esempio virtuoso di collaborazione tra settore pubblico e privato, che si inserisce perfettamente nel percorso intrapreso dal Parco archeologico per promuovere nuovi processi culturali”. Fulvia Bacchi, Direttore UNIC, sottolinea l’importanza dell’operazione di restauro, affermando: “UNIC crede fermamente in questa iniziativa che ha un profondo valore sotto diversi aspetti e che ci ha visti impegnati a stretto contatto con il Parco archeologico di Pompei. È un omaggio alla storia che, valorizzando le radici della nostra attività, crea un ponte tra antiche tradizioni e futuro”. Anche il Presidente Lineapelle, Gianni Russo, aggiunge: “Crediamo che le aziende possano svolgere un ruolo aggregante di interessi sociali e di stimolo nei territori di riferimento. L’industria rappresenta il patrimonio culturale di un paese e la conceria, in particolare, ha un ruolo di leadership riconosciuto a livello internazionale. Il restauro di Pompei rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra il mondo dell’impresa e della cultura, con benefici per l’intera comunità”. La conceria di Pompei: cenni storici La conceria di Pompei, situata nella Regio I degli scavi (Insula 5), è emersa alla luce alla fine del XIX secolo. L’impianto conciario fu identificato grazie a testimonianze epigrafiche e agli utensili rinvenuti durante gli scavi, simili a quelli utilizzati nelle concerie medioevali e moderne. Costruita intorno alla metà del I secolo d.C., occupava la maggior parte dell’insula. Dopo i danni causati dal terremoto del 62 d.C., subì importanti modifiche per renderla più funzionale, assumendo l’aspetto attuale. Le diverse fasi del processo di lavorazione delle pelli si svolgevano in diverse aree dell’edificio. Il lavaggio delle pelli, che comportava l’uso di sostanze dall’odore sgradevole, avveniva all’interno di grandi contenitori alimentati d’acqua, situati sotto il porticato o forse in un’area distante lungo le rive del fiume Sarno. La concia vera e propria, mediante la macerazione delle pelli, avveniva all’interno di quindici grandi vasche cilindriche conservate in uno degli ambienti dell’edificio. Infine, le pelli venivano battute e lavorate nei piccoli ambienti sul lato est del peristilio, divisi da bassi muretti trasversali. Inoltre, si trova un ampio triclinio estivo, destinato agli ospiti del titolare dell’attività, che risiedeva all’interno del complesso. La conceria di Pompei rappresenta un documento eccezionale delle antiche produzioni artigianali. Con la sua riapertura al pubblico, i visitatori avranno l’opportunità di immergersi nel passato e scoprire la maestria e l’importanza dell’arte della concia delle pelli nell’antica città romana di Pompei. https://www.stilearte.it/la-conceria-di-pompei-apre-al-pubblico-dopo-il-restauro-le-immagini-e-il-tour/
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Trovato a Pompei altorilievo di un serpente agatodemone. Indica la presenza di un larario che sarà portato alla luce Ancora una meravigliosa scoperta a Pompei, dove un altorilievo che rappresenta un serpente, probabilmente inserito in un larario, è emerso durante i nuovi scavi in corso nella Regio IX. A darne notizia è stato il direttore del parco archeologico Gabriel Zuchtriegel: “La scoperta continua” dice mostrando il rettile “che esce dai lapilli“. “Vedremo che c’è ancora su questa parete decorata“ prosegue il direttore. La rappresentazione in rilievo dell’animale è stata trovata nelle ore scorse nell’edificio in cui, recentemente, sono stati scoperti gli scheletri di due donne e di un bambino di 3 o 4 anni, uccisi dal materiale crollato dal soffitto durante le scosse telluriche che precedettero l’eruzione del 79 dopo Cristo. I resti sono stati trovati in quello che doveva essere un panificio. Due donne e un bambino dovevano aver cercato rifugio in quel luogo o erano i proprietari del forno. I nuovi scavi avevano permesso, nelle settimane scorse, di portare alla luce, nei pressi dell’atrio di una domus due pareti affrescate sulle quali appaiono Apollo e Dafne, da un lato e Poseidone e Amimone dall’altro. Il serpente appariva nei larari – gli altari domestici – come custode, genius benevolo del luogo e delle sorti della famiglia, ma anche dei singoli individui. Viene definito serpente agatodemone (“demone buono”). Agathodaimon era anche un giovane che reggeva un colubro. Apparteneva inizialmente alla mitologia greca, dalla quale era considerato una divinità protettrice del grano, dei vigneti e anche delle città. Presente anche nella mitologia romana nella veste di genius loci, è associato anche alla fortuna, alla salute e alla saggezza. Serpenti come i colubri – che non sono velenosi e che spesso vivono presso le muraglie dei giardini e degli orti – si nutrono di topi e di insetti e per questo erano considerati esseri benigni. Il rilievo antropometrico di uno dei tre scheletri trovati a Pompei @ Parco archeologico di Pompei Il direttore del Parco nell’edificio scavato in questi giorni. @ Foto Parco archeologico di Pompei Il ministro della Cultura in visita allo scavo, dopo la nuova scoperta @ Foto Parco archeologico Pompei Le nuove indagini, che proseguono anche in questi giorni, sono state avviate a febbraio nella cosiddetta Regio IX di Pompei – uno dei nove quartieri in cui è suddiviso il sito – in un’area estesa per circa 3.200 mq, quasi un intero isolato della città antica sepolta nel 79 d.C. dal Vesuvio. Il progetto si inserisce in un più ampio approccio che, sviluppato durante gli anni del Grande Progetto Pompei, mira a rettificare e risolvere i problemi idrogeologici e conservativi dei fronti di scavo, ovvero il confine tra la parte scavata e quella inesplorata della città antica. Quest’ultima ammonta a circa 22 ettari di isolati e case ancora sepolti sotto lapilli e cenere, quasi un terzo dell’abitato antico. L’impostazione del nuovo scavo, ubicato nell’Insula 10 della Regio IX, lungo Via di Nola, è dunque la stessa già attuata nello scavo della Regio V durante gli anni 2018-2020 che, sotto la direzione dell’allora direttore, Massimo Osanna, ha visto emergere la casa di Orione, la casa con Giardino e il Thermopolium. Oltre a migliorare le condizioni di conservazione e tutela delle strutture millenarie attraverso una risistemazione dei fronti di scavo, da sempre elementi di vulnerabilità a causa della pressione del terreno sui muri antichi e del deflusso delle acque meteoriche, i nuovi scavi si avvalgono dell’impiego delle diverse professionalità, tra cui archeologi, archeobotanici, vulcanologi, sismologi, numismatici, oltre ad architetti, ingegneri e geologi, per trarre il massimo di informazioni e dati dalle operazioni di indagine stratigrafica. L’obiettivo è migliorare la conservazione, rimodulando il fronte di scavo e acquisire nuovi dati archeologici Lo scavo nell’area, lungo via di Nola, fu iniziato nel 1888, ma fu presto interrotto. Dopo più di un secolo è stato ripreso e ha già restituito sorprese. Emergono due case ad atrio, già parzialmente indagato nell’800, costruite in età Sannitica e trasformate nel I secolo d.C. in officine produttive. Si tratta di una fullonica (lavanderia) impiantata nell’atrio dell’abitazione al civico 2, con banconi da lavoro e vasche per il lavaggio e la tintura degli abiti e di un panificio con il forno, gli spazi per le macine e gli ambienti per la lavorazione e la creazione dei prodotti alimentari da distribuire in città. In questi ultimi ambienti sono affiorati i resti ossei di tre vittime dell’eruzione, tre pompeiani che si erano rifugiati in cerca della salvezza e che hanno invece trovato la morte sotto i crolli dei solai. Le prime indagini antropologiche indicano due individui pienamente adulti, probabilmente donne sulla base delle prime analisi in situ, e di un bambino di età approssimativa intorno ai 3-4 anni. Gli individui sono stati ritrovati in un ambiente già scavato, dove erano rimasti solamente 40 cm. di stratigrafia intatta. Essi poggiavano a diretto contatto con il pavimento, e presentavano – unitamente alle evidenze di importanti processi di assestamento postmortem – una serie di traumi perimortem dovuti al crollo del solaio soprastante, i cui frammenti erano frammisti a lapilli pomicei bianchi, che caratterizzano le prime fasi dell’eruzione Pliniana del 79 d.C. a Pompei. Gli affreschi in uno dei cubicoli del panificio @ Foto Parco archeologico di Pompei Nell’atrio dell’abitazione con forno annesso, sono riemersi – come dicevamo – due cubicoli affrescati con scene del mito: Poseidone e Amimone nel primo, Apollo e Dafne nel secondo. Nel primo dei due ambienti si conservano le tracce del mobilio carbonizzato a causa di un incendio che si sviluppò durante la catastrofe. Resti di morte e devastazione intrappolati e custoditi dalla coltre eruttiva che raccontano storie di vita dell’antica Pompei. Ora il serpente. https://www.stilearte.it/trovato-a-pompei-altorilievo-di-un-serpente-agatademone-indica-la-presenza-di-un-larario-che-sara-portato-alla-luce/
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Dedicato a tutti i barbari che credono che la pizza non sia italiana... Pompei, trovato affresco con pizza bianca molto condita e guarnita. E’ l’antenata di 2000 anni fa del nostro piatto Sembra una pizza, quello che si vede su un dipinto pompeiano di 2000 anni fa, ma ovviamente non lo può essere, a rigore, dato che mancavano alcuni degli ingredienti più caratteristici, ovvero pomodori e mozzarella. Ma una pizza bianca, sì. “Come risulta da una prima analisi iconografica di un affresco con natura morta, emerso in questi giorni nell’ambito dei nuovi scavi nell’insula 10 della Regio IX a Pompei, ciò che era rappresentato sulla parete di un’antica casa pompeiana potrebbe essere un lontano antenato della pietanza moderna, elevata a patrimonio dell’umanità nel 2017 in quanto “arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano”.- spiegano gli archeologi – Si suppone che accanto a un calice di vino, posato su un vassoio di argento, sia raffigurata una focaccia di forma piatta che funge da supporto per frutti vari (individuabili un melograno e forse un dattero), condita con spezie o forse piuttosto con un tipo di pesto (moretum in latino), indicato da puntini color giallastro e ocra. Inoltre, presenti sullo stesso vassoio, frutta secca e una ghirlanda di corbezzoli gialli, accanto a datteri e melograni. Il Moretum è un tipo di formaggio di erbe spalmabile che gli antichi Romani mangiavano con il pane. Un tipico moretum era fatto con erbe, formaggio fresco, sale, olio d’oliva ed aceto. Opzionalmente, si potevano aggiungere diversi tipi di noci. Quindi potremmo pensare ad un piatto che unisse il salato al dolce. Ciò che appare come una mozzarellina potrebbe essere un uovo sodo. Colpisce il fatto che il centro della pizza era schiacciato, mentre il bordo era in rilievo, come nelle nostre pizze, con un crostone. La presenza del bordo rilevato è testimoniata dal fatto che il pittore ha inserito un’ombra sul piano, proprio con il fine di suggerire il rilievo della corona esterna, come abbiamo evidenziato nell’immagine qui sotto. Una natura morta con pizza arcaica, quindi. Questa pare proprio una novità assoluta, mentre diffuse sono le immagini di cibo e di abbondanza. Questo genere di immagini, noto in antico con il nome xenia, prendeva spunto dai “doni ospitali” che si offrivano agli ospiti secondo una tradizione greca, risalente al periodo ellenistico (III-I secolo a.C.). Dalle città vesuviane si conoscono circa trecento xenia, che spesso alludono anche alla sfera sacra, oltre a quella dell’ospitalità, senza che tra le attestazioni rinvenute finora ci sia un confronto puntuale per l’affresco recentemente scoperto, che colpisce anche per la sua notevole qualità di esecuzione. ”L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta come parte del patrimonio culturale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana, secondo i criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003. Si tratta di una pratica culinaria che comprende varie fasi, tra le quali la preparazione dell’impasto, un movimento rotatorio fatto dal pizzaiolo e la cottura nel forno a legna. L’Arte è nata a Napoli, dove vivono e lavorano circa 3000 pizzaiuoli, suddivisi in tre categorie in base all’esperienza e alle capacità. Ogni anno l’Accademia dei Pizzaiuoli Napoletani organizza corsi sulla storia, gli strumenti e la tecnica dell’arte con lo scopo di assicurarne la sopravvivenza, ma gli apprendisti possono fare pratica anche nelle loro case, dove l’arte è ampiamente diffusa. Il riconoscimento dell’UNESCO porta la pizza, cibo tra i più amati e consumati al mondo, nell’Olimpo della cucina nazionale e internazionale e identifica l’arte del pizzaiuolo napoletano come espressione di una cultura che si manifesta in modo unico, perché la manualità del pizzaiuolo non ha eguali e fa sì che questa produzione alimentare possa essere percepita come marchio di italianità nel mondo. Il ritrovamento dell’affresco pompeiano potrebbe far comprendere che la forma del pane schiacciato che sostituisce il piatto per accogliere guarniture e condimento è il prototipo bimillenario della pizza stessa. https://www.stilearte.it/pompei-trovato-affresco-con-pizza-bianca-molto-condita-e-guarnita-e-lantenata-di-2000-anni-fa-del-nostro-piatto/ PS: può essere solamente bianca perché per il pomodoro dobbiamo aspettare un po'di tempo...
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Eros e pathos a Pompei, ecco il carro della sposa Ricostruito dopo il restauro. E' la prima volta al mondo Abbracci voluttuosi e amplessi rubati, violenza e piacere che si mischiano, eros e pathos. Restaurato in ogni suo pezzo e assemblato con un'operazione che non ha precedenti, torna in vita dopo duemila anni - documentato in esclusiva dall'ANSA - lo stupefacente carro della sposa ritrovato nel 2021 a Pompei, nel portico della villa di Civita Giuliana, la stessa da dove emersero, grazie ai calchi, i corpi dei due fuggiaschi. "Un lavoro straordinario che recupera un manufatto unico al mondo" sottolinea Massimo Osanna, il dg musei del Mic che lo ha voluto, in prima assoluta, per "L'istante e l'eternità", la grande mostra in programma dal 4 maggio al 30 luglio a Roma alle Terme di Diocleziano. "Una perla che dimostra l'unicità del nostro patrimonio, applaude il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, sottolineando che il restauro "è anche il coronamento di uno sforzo che ha visto operare insieme parco archeologico di Pompei, Procura della Repubblica di Torre Annunziaa e Carabinieri del comando per la tutela del patrimonio culturale" Strappato per un soffio ai tombaroli, che lo cercavano da anni e che quasi l'avevano trovato scavando cunicoli a più non posso alla ricerca dei tesori della lussuosa villa alle porte di Pompei, questo carro che i romani chiamavano pilentum, era conosciuto in realtà quasi soltanto dalle immagini di mosaici e bassorilievi e dal racconto delle fonti antiche, Livio, Virgilio, Claudiano, che l'associavano ai culti femminili descrivendone lo splendore e la comodità. Il restauro, che dopo la delicatissima fase dello scavo ha impegnato per un intero anno, microscopio alla mano, il team guidato da Emiliano Africano, ci riporta ora davanti agli occhi l'oggetto stupefacente di quei racconti. Con Massimo Osanna alla scoperta del Carro della sposa "Quasi più una lussuosa carrozza", sottolinea Osanna indicandone ogni particolare mentre accanto a lui i restauratori assemblano con mille cautele gli ultimi pezzi sotto le volte monumentali delle terme romane. "Un veicolo rilucente di bronzi e di argenti, fatto per stupire e incantare". Vederlo da vicino, quando ancora non è montata la vetrina che dovrà proteggerlo dalle moltitudini di visitatori, quasi toglie il fiato. "E' incredibile come Pompei abbia questa particolarità di fermare l'attimo", sorride il dg. Perché a dispetto degli inevitabili interventi moderni -il legno di base del cassone che naturalmente è stato ricostruito, gli elementi in plexiglass per indicare le parti mancanti- quello che ci troviamo davanti agli occhi è a tutti gli effetti una macchina di duemila anni fa, meravigliosa, complessa e certo delicatissima. Con grandi ruote che una volta erano in legno di faggio e i cerchioni in ferro che l'orrore dell'eruzione e l'ingiuria del tempo hanno risparmiato, i tronconi dei mozzi in legno che il fenomeno della mineralizzazione ha in qualche modo tenuto in vita, il lungo perno in ferro che garantiva il movimento delle ruote anteriori ancora lì a rendere possibile lo sterzo. Senza parlare del cassone di legno dipinto -stretto, certo, se immaginato per una ragazza di oggi- letteralmente tappezzato di metalli lucenti, grandi e piccoli medaglioni con scene erotiche anche molto crude, amorini, figurine femminili, una miriade di raffinate e a volte microscopiche decorazioni sparse ovunque, dallo sfondo in bronzo alle pigne che rifinivano i terminali dei mozzi. Tutto è decorato in questo capolavoro di raffinatezza artigianale, persino le bobine in ferro dove si avvolgevano le funi che si immagina sorreggessero un po' come una culla il cassone della carrozza, così da offrire a chi ci stava sopra il conforto di un'andatura basculante. E poi la spalliera della seduta di cui oggi rimane solo lo scheletro in ferro ma che è facile immaginare ricoperta di cuoio e di comodi cuscini, con i due braccioli per rendere più agevole il percorso alla sposa e a chi l'accompagnava. "Chi sa forse la madre", ipotizza Osanna facendo notare che il sedile sembra fatto per due persone. Un carro simile a questo, racconta, è stato ritrovato anni fa in Grecia, nei luoghi dell'antica Tracia, in una tomba appartenuta a una famiglia di alto rango. "In quel caso però si decise di lasciarlo nel tumulo senza restaurarlo né rimontarlo". Anche questo rende straordinaria l'operazione del parco di Pompei: è la prima volta al mondo che un pilentum viene ricostruito e studiato. I restauri che hanno reso leggibili i decori riportando alla luce centinaia di particolari, confermano il legame di questo carro con il mondo femminile e con le nozze. "Ora bisogna lavorare sull'iconografia dei medaglioni", anticipa Osanna, e poi "sul sistema di movimento del carro". Ludovica Alesse e Paola Sabbatucci, le restauratrici del parco di Pompei, supervisionano attente i lavori di assemblaggio. "Eravamo lì quando il carro veniva fuori, impresse nella cinerite erano ancora evidenti le tracce delle corde, delle stoffe, dei legni", raccontano. Tutte cose che il tempo ha dissolto, come l'impronta delle due spighe di grano lasciate sulla seduta. A pochi metri da lì, nella grande stalla, sono stati trovati i resti dei cavalli, anche un sauro ancora bardato. Gli scavi, come gli studi, intanto proseguono. Certo, è difficile dire se quel giorno di festa la giovane sposa l'abbia vissuto davvero. Ma chissà che non sia proprio il suo splendido carro d'argento ora a raccontarci qualcosa di più. www.ansa.it/amp/sito/notizie/cultura/2023/04/29/eros-e-pathos-ecco-il-carro-della-sposa-di-pompei_19bca3ca-e188-47da-ae08-e3c42eceff46.html Ecco le condizioni di ritrovamento
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Medaglia del giorno 21 ottobre - 41° Giovanni Paolo II a Pompei
fabio22 ha aggiunto un nuovo link in Monete e Medaglie Pontificie
Il 21-10-1979 fu la prima volta che un Pontefice si recò al Santuario Mariano di Pompei: da poco rientrato dal Viaggio in Irlanda e America, nel corso dell'udienza generale, San Giovanni Paolo II annunciò l'imminente pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Rosario. Era una splendida Domenica di sole, il Santo Padre recitò l'Angelus affacciato alla loggia centrale del Santuario, benedicendo e ringraziando i giovani e i pellegrini radunati nella Piazza Bartolo Longo. La medaglia, coniata per l'occasione dallo Stabilimento Emilio Pagani di Milano, su modello eseguito da Piero Monassi, presenta al dritto il busto di 3/4 a sx di Papa Wojtyla con abito talare e al verso la riproduzione del noto dipinto della Madonna del Rosario. E' in metallo bianco e fu eseguita in due dimensioni differenti di modulo. http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-F262/45-
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"Moneta straniera a Pompei in età repubblicana." - S. Ranucci
Illyricum65 ha aggiunto un nuovo link in La più grande community di numismatica
"Moneta straniera a Pompei in età repubblicana." - S. Ranucci View File Intesressante disamina sulla monetazione di origine extraitalica di piccole dimensioni che integrava il flusso monetale a Pompei. Submitter Illyricum65 Submitted 24/04/2020 Categoria Monete Antiche-
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"Soldi, acquisti, spese a Pompei e nell'area vesuviana." - Perassi
Illyricum65 ha aggiunto un nuovo link in La più grande community di numismatica
"Soldi, acquisti, spese a Pompei e nell'area vesuviana." - Perassi View File ... quali erano i prezzi a Pompei nell'imminenza dell'eruzione? Submitter Illyricum65 Submitted 23/04/2020 Categoria Monete Antiche -
"Circolazione monetaria a Pompei. La documentazione numismatica dagli scavi dell’Università di Perugia." - S. Ranucci
Illyricum65 ha aggiunto un nuovo link in La più grande community di numismatica
"Circolazione monetaria a Pompei. La documentazione numismatica dagli scavi dell’Università di Perugia." - S. Ranucci View File Relazione sulle monete rinvenute nel corso degli scavi dell'Università di Perugia. Submitter Illyricum65 Submitted 23/04/2020 Categoria Monete Antiche -
22 Ottobre 2018 - Presentazione libro: Rinvenimenti monetali e circolazione a Pompei c/o Museo Egizio di Torino
centurioneamico ha aggiunto un nuovo link in Segnalazione mostre, convegni, incontri e altro
https://museoegizio.it/esplora/appuntamenti/presentazione-del-libro-rinvenimenti-monetali-e-circolazione-a-pompei-giacomo-pardini/ Il 22 Ottobre presso il Museo Egizio di Torino, Giacomo Pardini presenterà il suo nuovo libro “Rinvenimenti monetali e circolazione a Pompei”, interverranno la Prof.ssa Renata Cantilena ed il Direttore del Museo Egizio. Leggere le info sul link per orari e luogo. Da non perdere!- 6 commenti
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Ciao ragazzi, Di recente sono stato agli scavi di Ercolano per ammirare quella stupenda città tragicamente conservata nel tempo. Mi chiedevo se esiste una monetazione antica che sia in qualche modo collegata ad Ercolano? Spulciando le guide in loco è spuntato un solo nome che ha attirato la mia curiosità ed è quello di Marco Nonio Balbo appartenente alla famiglia di origine nocerina dei Nonii Balbi. Riporto: "La gens Nonia fu famiglia nobilissima abbastanza frequente in Campania. Tra gli esponenti di spicco del ramo nocerino di questa famiglia va annoverato, tra gli altri, quel Marco Nonio Balbo, proconsole di Creta e di Cirene, che provvide al restauro della Basilica, delle mura e delle porte di Herculaneum come risulta da uniscrizione ritrovata sul posto". Ho cercato quà e là, ma senza successo, cè poco o niente su questa famiglia e di conseguenza non sò se ha anche qualche tipo di monetazione? Cè qualcuno che ne sà, o può aiutarmi? Grazie cari..
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Per concludere la carrellata delle coniazioni "speciali" di Augusto, mi piaceva introdurre questo argomento, che seppur trattato in ambito di pubblicazioni, non lo è mai stato sul Forum, o almeno, non approfonditamente. Inizio con il postarvi un link molto utile ad avere un'idea più chiara di ciò di cui stiamo trattando, un articolo di Ermanno Arslan nel quale potrete trovare tutte le informazioni di contesto su queste "sfortunate" emissioni (scoprirete poi perché): Monetazione di lusso durante l'Impero. Mi limiterò a elencare, solamente, gli esemplari dell'Alto impero, quelli del Basso, ammesso che esistano, siete invitati a postarli di seguito a me :P. Partiamo con il dire che attualmente sono conosciuti solamente sei esemplari e ognuno di essi è, ovviamente, un unicum. Tre esemplari appartengono ad Augusto, uno a Domiziano e due a Commodo (in realtà, ai fatti, questi sono multipli da tre aurei). Per una visione nel Catalogo LaMoneta degli esemplari di Augusto -> http://numismatica-classica.lamoneta.it/cat/R-AUG4AU Ma partiamo con la carrellata. 1) Il primo di Augusto è l'unico del quale non vi sia dubbio della sua autenticità, è stato trovato a Pompei nel 1759 insieme ad un tesoretto di Aurei ed è attualmente conservato al Museo Nazionale di Napoli. Nel 1977 fu rubato insieme ad altri numerosi oggetti, poi, fortunatamente, recuperati. Al D/ CAESAR - AVGVSTVS - DIVI F PATER PATRIAE, Testa di Augusto, laureata, rivolta verso sinistra. Al R/ IMP - XV; SICIL (esergo), Diana, drappeggiata e con copricapo a polos, che avanza verso destra, intenta a prendere una freccia con la mano destra; nella sinistra, tiene l'arco. 7-6 a.C., Lione. RIC 204, CLM 668 30,88 g x 33 mm La tipologia fa sicuramente parte della serie di Denari e Aurei provenienti sempre da Lione. Fonte Cataloghi Online Fonte Cataloghi Online 2) Questo esemplare, secondo la storia, comparve al Museo d'Este, dove è attualmente conservato. Considerato inizialmente dubbio, oggi, la comunità scientifica tende a considerarlo genuino. Al D/ CAESAR AVGVSTVS - DIVI F PATER PATRIAE, Testa di Augusto, laureata, rivolta verso destra. Al R/ AVGVSTI F COS DESIG PRINC IVVENT; C L CAESARES (esergo), Caio Cesare e Lucio Cesare, in piedi e togati, tengono ognuno una mano su di uno scudo davanti a loro; dietro ogni scudo c'è una lancia; sopra di loro, a sinistra, un simpulum rivolto verso destra e a destra un lituus rivolto verso sinistra. 7-6 a.C., Lione. RIC 205, CLM 669 31,3 g Anche di questo la tipologia è estremamente conosciuta, la serie di Denari di Augusto più famosa. Fonte Cataloghi Online Fonte Cataloghi Online Gli esemplari di Lione sono considerati tali sia perché in quel periodo era la zecca di coniazione delle monete in metallo pregiato, sia perché il ritratto tipico di quest'ultima non da adito a dubbi in tal senso. 3) Questo esemplare, come quello sopra, comparve nel Museo di Madrid, dove è attualmente conservato. E' l'esemplare che ha dato più problemi di tutti e oggi, ancora, si tende a considerarlo falso, nonostante vi siano buoni motivi storici e tipologici per ritenerlo buono. Al tempo non erano conosciute molte delle monete delle zecche "estere" di Augusto, dove si pensa sia stato coniato e quindi non era possibile confrontare quel ritratto con altre monete attualmente conosciute. A mio modesto parere, per suddetti motivi, è da considerarsi autentico. Al D/ IMP CAESAR DIVI F - AVGVST COS VII, Testa di Augusto rivolta verso destra. Sotto il collo, un capricorno rivolto anch'esso verso destra. Al R/ AEGYPTO / CAPTA, Un ippopotamo rivolto verso destra. 27 a.C., Zecca incerta. RIC 546, CLM 670 31,97 g Se fosse autentico sarebbe una bellissima moneta della serie della conquista d'Egitto, meglio conosciuta con il coccodrillo. Fonte Cataloghi Online Fonte Cataloghi Online Dei prossimi tre esemplari, purtroppo, non vi sarà nessuna immagine. Come ho già detto sono stati sfortunati. Ben prima della rapina a Napoli, nel 1831, al Cabinet de Medailles de Paris, ve ne fu un'altra che costò la "vita" a numerosi reperti, molti dei quali, infatti, furono fusi; tra questi i nostri prossimi Aurei :(. Ne rimangono solo disegni e un calco (del Domiziano) al British Museum. Purtroppo non sono riuscito a reperirli. La comunità scientifica del tempo li considerò tutti genuini. 4) Partiamo con il Domiziano. Conosciuto grazie al calco e al censimento da parte del Cohen. Al D/ IMP CAES DOMIT AVG GERMAN P M TR P VII, Busto laureato e con egida rivolto a destra. Al R/ IMP XIIII COS XIIII CENS P P P. Minerva su due prue con lancia e scudo. Ai piedi un gufo. 88 d.C., Roma. Cohen 237. La tipologia è quella conosciuta nei numerosissimi Denari con Minerva. 5) Il prossimi di Commodo, probabilmente, furono coniati per commemorare il decennale dell'Impero. Al D/ M COMMODVS ANT P FELIX AVG BRIT Al R/ FORT FELI P M TR P IIII IMP VIII COS V P P, Fortuna Felix, con piede su prua, con caduceo e doppia cornucopia. 188-189, Roma La tipologia doveva essere questa: 6) Ed ecco l'ultima, idem come sopra. Al D/ M COMMODVS ANT P FELIX AVG BRIT Al R/ PACI AETER P M TR P XIIII IMP VIII COS V P P. Pax, seduta verso sinistra, con ramoscello e scettro. 188-189, Roma. Ed anche di questa abbiamo la tipologia, più o meno. Piaciuti? :D Bene, adesso aspetto vostri contributi per scovare gli altri "quaternioni" e magari, dato che ci siamo, possiamo anche inserire tutti i multipli di Aureo conosciuti. Mi sa che gli altri, però, sono tutti del Basso Impero ;). Vi lascio con l'Historia Augusta... :( Cattivo Alessandro Severo! Chissà quanti ne ha fusi...poi li immagino quelli del pazzoide Elagabalo...chissà quant'erano belli... :D Mirko