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  1. Buongiorno ancora una rarità estrema dall'Asta Varesi 70 - lotto 474, un soldo di Lira Dalmata classificato R4 dal Montenegro. Riporto quanto scritto dal Papadopoli La moneta che porta, in caratteri semigotici, la iscrizione MONETΛ DΛLMΛTIE, sfuggita, ai primi cultori della numismatica veneziana e accennata vagamente dallo Zon, fu per la prima volta illustrata dal cav. Vincenzo Lazari nella sua bellissima opera: Le monete dei possedimenti veneziani d’oltre mare e di terra ferma, che può servire di modello a tutte le pubblicazioni di questo genere. Sgraziatamente la fretta con cui fu scritto il libro, per circostanze indipendenti dalla volontà dell’Autore, e la cattiva conservazione dell’esemplare del Museo di S. Marco, che solo si conosceva allora, misero l’illustre scienziato sovra una cattiva strada, ed egli credette vedere in tale moneta un tornese1 battuto per quella provincia che aveva costato tanti sagrifici alla Repubblica. Lazari combatte argutamente la prima obbiezione che si poteva fare ad una simile denominazione, e cioè che non vi ha memoria di tornesi coniati per la Dalmazia, ma [p. 362 modifica]non riesce a persuadere; perchè i Crociati avevano reso popolare il tornese in Oriente ove era diventato una moneta nazionale, ma di esso invece non si trova traccia in Dalmazia, né nei documenti contemporanei, né nelle monete che si conservano nelle raccolte. In epoche diverse fu ordinata alla Zecca di Venezia la coniazione di tornesi, indicando quasi sempre le località dove dovevano essere spediti, e troviamo che erano destinati sempre ai possedimenti veneziani del Levante ma non alle coste dell’Adriatico. Più tardi altri esemplari di questo interessante nummolo furono rinvenuti presso i raccoglitori triestini e dalmati, e finalmente un tesoretto, abbandonato presso il Monte di Pietà di Treviso, mise alla luce quattro altri pezzi, tutti di migliore conservazione di quello esistente nella Raccolta Marciana. Ne parla Carlo Kunz nella sua: Miscellanea Numismatica2, dimostrando che l’argento in essi contenuto è di una lega più fina assai di quella dei tornesi e di poco inferiore a quella usata nei soldini, per cui lo ritiene un mezzanino di grosso del valore di due soldi veneziani. Pure esso non è né un tornese né un mezzanino, come risulta da una terminazione del Senato in data 31 maggio 14103 nella quale lamentando, che nella città di Zara e nel suo territorio corrano monete forestiere, e cioè grossi di Crevoja4 ed altri di buon argento del valore di tre soldi e meno che si spendono per quattro, — soldini ungheresi che non valgono se non otto denari e si spendono per un soldo, — e frignacchi5 che non tengono [p. 363 modifica]tre oncie d’argento per marca e si spendono pure per un soldo, — allo scopo di impedire questo danno, delibera di coniare una moneta contenente tre oncie di argento per marca, che vada a 42 pezzi per oncia, avente da un lato l’immagine di S. Marco e dall’altro uno scudo alto in quo sii nihil. È curioso il modo con cui questo decreto esprime quel concetto, che oggi è pressoché un assioma della pubblica economia, e cioè che la cattiva moneta caccia da un paese la buona, con queste pratiche parole: “Et hoc modo moneta nostra, videlicet grossi nostri qui valent quatuor soldos, et soldus noster exeunt et dantur venientibus Jadram et ad partes illas, qui ipsam monetam nostram imbursant et dimittunt monetas suas, quae sunt multo minoris valoris cum tanto damno nostro.” Nel 27 aprile 14146 un altro decreto del Senato fa conoscere che la esecuzione del precedente era stata sospesa, ed assunte informazioni da chi veniva da Zara, ordina nuovamente la coniazione della moneta per la Dalmazia col fino di tre oncie e un quarto per marca, tagliandone da ogni oncia 44 pezzi, descrivendolo nello stesso modo, col S. Marco da un lato e lo scudo vuoto dall’altro. Il tenore di questi due documenti mostra esattamente il valore della moneta emessa per i bisogni della circolazione in Dalmazia, giacché secondo il Decreto 31 maggio 1410, essa avrebbe dovuto pesare grani veneti 13,714; secondo quello del 27 aprile 1414 avrebbe dovuto pesarne 13,09, ma siccome in quest’ultimo si migliorava la lega, poca era la differenza dell’intrinseco che sarebbe stato di gr. v. 5,142 [p. 364 modifica]nel primo caso e gr. v. 5,317 nel secondo per ogni pezzo, e quindi due terzi circa del fino contenuto nel soldo veneziano, che in quel tempo pesava gr. V. 8,47 e conteneva gr. v. 8,065 d’argento puro. Da ciò si scorge il pensiero del Senato che intendeva creare una moneta la quale sostituisse i soldi ungheresi che valevano otto piccoli, ed i denari frisacensi, ossia di Aquileja, che avevano molto favore in quei paesi e si spendevano per un uguale valore. A me sembra di riconoscere in questo pezzo il soldo di una lira speciale, probabilmente adoperata nel regno di Servia e comune a tutti i vicini paesi slavi, la quale fu conservata dagli ungheresi e dai veneziani e restò per molto tempo ancora come lira di conto col nome di lira dalmata. Anche il Lazari parla di questa lira7 che si usava anche nel secolo XVIII: a proposito delle monete di Cattaro8 egli osserva che il grossetto di quella terra corrispondeva a due terzi del grosso veneziano e da varie circostanze accessorie arriva alla supposizione che questo grossetto si dividesse in quattro soldi minori, equivalenti a due terzi dei veneziani, e che erano quindi soldi di una lira particolare a quei paesi ed inferiore di altrettanto alla lira veneziana. È però degno di attenzione che il nome di soldo non è mai pronunciato tanto nei decreti surriferiti, quanto in una deliberazione conservata nel Capitolare delle Brocche sotto la data 13 agosto 14109 in cui si stabiliscono le competenze dei lavoratori ed i cali del metallo a proposito delle monete che si fanno per Zara; così pure è adoperata la parola generica di [p. 365 modifica]moneta anziché quella di soldo pel pezzo su cui troviamo scritto MONETΛ DΛLMΛTIE. Anche lo scudo raffigurato sopra uno dei lati nella moneta fu argomento di discussione. Zon lo disse ignoto, Lazari non seppe trovare una soddisfacente spiegazione e si smarrì in ipotesi credendo vedervi l’arma Contarini, ma un’opera intitolata: Storia dei Dogi di Venezia10rilevò essere questo lo stemma della famiglia Surian, cosa che fece dire al mite Kunz che non vi è libro tanto cattivo che non contenga alcun che di buono. Infatti lo scudo d’oro con una banda a tre ordini di scacchi d’argento e di negro appartiene ad una della due case patrizie Surian 11 e si vede anche oggi scolpito in un marmo del quattrocento sopra un fabbricato al Malcanton che dà accesso ad un sottoportico ed una calle Surian. Ma non bastava avere rilevato lo stemma, era anche necessario sapere chi fosse l’illustre uomo di stato o di guerra cui fosse stato accordato l’onore singolare di porre le insegne sopra una moneta coniata nella zecca di Venezia. Le storie sono mute a questo proposito e non ricordano alcun personaggio della famiglia Surian che abbia avuto in quest’epoca una parte importante in Dalmazia. Qualche anno fa, V. Padovan12 pubblicò un documento, dal quale risulta che un Jacopo Surian era capitano a Zara nel 16 luglio 1414, essendogli in tal giorno assegnata una piccola somma dal Senato per alcuni lavori da farsi nella casa di sua abitazione. Sebbene fra questa data e quella del decreto che [p. 366 modifica]ordina la coniazione della moneta per la Dalmazia corressero oltre due anni, epoca più lunga di quella che ordinariamente era la durata di simili cariche, e malgrado che sia nota a tutti la cura gelosa, colla quale il governo repubblicano vigilava perchè nessun personaggio, per quanto eminente, eccedesse nei poteri o negli onori, pure mi sembra assai probabile che a questo oscuro Capitano delle armi a Zara, sia toccato il vanto di porre il suo stemma sulla moneta in questione. Non conviene confondere questo caso eccezionale colle iniziali e cogli stemmi di alcuni Conti e Rettori veneziani a Cattaro ed a Scutari, perchè queste erano zecche secondarie, governate da propri statuti e lontane dalla sorveglianza dei principali corpi dello Stato, e meno ancora si deve confondere con le monete coniate da alcuni Provveditori generali o da altri comandanti delle armate in epoca di necessità. Per la moneta della Dalmazia si tratta di un’epoca più antica, nella quale non vi erano precedenti, e di un fatto che non può essere ad altri paragonato; lo stemma Surian è disegnato chiaramente ed in modo da non poter essere confuso con altri in quello scudo che il Senato avea decretato dovesse rimanere vuoto. Cercando pertanto quale abbia potuto essere la ragione che fece cambiare tale proposito, io credo indovinarla nel timore che la nuova moneta non fosse gradita ai paesi dov’era destinata, timore che trasparisce dalle parole dei decreti e dall'idugio frapposto all’esecuzione della prima deliberazione. Allo scopo quindi di rendere più facile a quei popoli rozzi ed ignoranti l’accettazione di una nuova moneta, bisognava farla quanto più fosse possibile simile a quella che essi adoperavano e ciò si ebbe di mira nello scegliere un tipo che ricordava in parte il denaro d’Aquileja, favorevolmente conosciuto in quelle regioni ed il cui [p. 367 modifica]intrinseco corrispondeva a quello della nuova moneta cioè a due terzi del soldo veneziano. Anche lo scudo era stato posto sul rovescio della moneta per la Dalmazia, per ricordare quello che portava le insegne degli ultimi patriarchi, e probabilmente lo stemma Surian fu preferito ad ogni altro perchè poteva facilmente essere confuso con quello del patriarca Antonio II Panciera che pure aveva una banda scaccata con differenze che facilmente sfuggivano alla maggior parte del pubblico. Riproduco qui il disegno del diritto di tale denaro con l’arma Panciera, sembrandomi questo il modo migliore ed il più breve per dimostrare il fondamento della mia supposizione. Ecco la descrizione della moneta per la Dalmazia: D/ — SΛNTVS MΛRCVS. Il santo in piedi di prospetto, vestito di abiti vescovili, nimbato di perle, colle mani aperte. R/ — • MONETΛ DΛLMΛTIE. Entro un cerchio di perle, uno scudo con una banda scaccata attorniato da 3 gruppi ciascuno di 3 cerchietti accompagnati da 6 punti. [p. 368 modifica]Osserverò finalmente che per negligenza dell’incisore qualche esemplare rarissimo di questo pezzo ha l’arma disegnata a rovescio, per cui la banda fu convertita in una sbarra.
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