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  1. Trovata Zippalanda, la mitica città santa degli Ittiti Sarebbero quasi certamente dell'antico centro religioso gli enigmatici resti emersi dalla più che decennale campagna di scavi dell'Università di Pisa in Anatolia Gli scavi dell'Università di Pisa in Anatolia Centrale - Università di Pisa Un grande enigma archeologico potrebbe essere giunto a soluzione. In attesa della conferma finale sembra proprio che il sito archeologico nei pressi dell’attuale Uşaklı Höyük in Anatolia Centrale, sia la mitica, tanto cercata e per ora introvabile Zippalanda, l’antica città santa degli Ittiti, centro del culto a un potente dio della tempesta, sede di un santuario e di una residenza reale menzionata in diverse feste a cui prendeva parte il re. Appena conclusa, la sedicesima campagna della missione archeologica italiana in Turchia, guidata dall’Università di Pisa, ha fatto emergere, infatti, nuovi e importanti elementi sull’uso rituale delle strutture di epoca ittita ritrovate nella zona nord di Uşaklı, proprio intorno alla singolare struttura circolare rinvenuta nel 2022. Il lavoro degli archeologi negli anni passati aveva già permesso di far riemergere i resti di edifici monumentali e frammenti di tavolette con iscrizioni in cuneiforme, contribuendo alla ricostruzione di un periodo di primaria importanza per il Vicino Oriente e il bacino orientale del Mediterraneo, quando gli Ittiti, popolazione che parlava una lingua appartenente alla famiglia delle lingue indoeuropee, fecero la loro comparsa tra i protagonisti della grande storia, costituendo il potente regno di Hatti. Le architetture e i materiali avevano mostrato inoltre che questo sito era stato occupato in maniera estesa a partire dalla fine del Bronzo Antico fino all’epoca romano-bizantina, con sporadiche tracce più recenti che arrivano sino al periodo ottomano. Foto da drone del sito. Sono visibili le aree di scavo e i teli in tessuto-non-tessuto utilizzati per la copertura dei cantieri a fine lavori - Università di Pisa Gli scavi condotti quest’anno hanno portato alla luce reperti e resti animali che confermerebbero la tesi che ci si trovi di fronte a un vasto sito di epoca ittita destinato al culto religioso. «Siamo ancora in attesa dei risultati dello studio archeozoologico - ha spiegato Anacleto D’Agostino dell’Università di Pisa, che dirige gli scavi - ma il ricco repertorio di resti faunistici, principalmente pecore e capre, con segni di una lavorazione molto particolare, diversa da quella ordinariamente utilizzata per l’uso di cucina, sembra confermare una sua interpretazione in chiave rituale. Ipotesi realistica, vista anche la sua vicinanza al tempio della città bassa, emerso negli scavi del 2013. Allo stesso modo, l’ampliamento dello scavo sulla corte lastricata vicina alla struttura circolare trovata lo scorso anno, che continua a suscitare interrogativi, ha fatto riemergere gli scheletri parziali di due bambini nei pressi di un focolare, tra un accumulo di cenere, ossa animali e frammenti di contenitori ceramici. Un ritrovamento enigmatico, ma che rafforza ulteriormente l’ipotesi sulla specificità del contesto che stiamo scavando, che si inquadra nell’ambito rituale e delle attività connesse, verosimilmente, con la sfera religiosa».Tra i reperti che rafforzano l’ipotesi anche alcuni frammenti di intonaco dipinto a fresco con raffigurazioni e motivi geometrici di colore rosso e nero del tutto simili ad altri analoghi rinvenimenti in templi di epoca ittita, oltre ai pezzi di due particolari vasi fatti a forma di avambraccio e con la parte terminale, quella della mano, a “coppella”, usati per le libagioni. Nel corso della sedicesima campagna di scavo, l’attività del gruppo internazionale di archeologi guidato dall’Università di Pisa si è concentrata anche in altre zone della città. In particolare, è proseguito lo scavo della necropoli individuata lo scorso anno, sul limite della parte pianeggiante del sito, mettendo in luce tombe di epoca tardo romana e bizantina (in giara e a cista) risultate importanti per la ricostruzione delle pratiche funerarie e lo studio delle paleopatologie e del Dna, in una regione che vedeva in quel periodo importanti variazioni socio-demografiche con l’avvicendarsi alle genti autoctone di nuovi arrivati. Sulla pendice sud-orientale del sito, inoltre, è stato aperto un nuovo scavo per approfondire la conoscenza del sistema di terrazzamento della cittadella dell’età del Ferro. I resti di un vaso per libagioni ittita al disegno il frammento riproduce una mano che tiene una coppella - Università di Pisa Proseguono, infine, le analisi dei resti vegetali, condotti su campioni di terreno precedentemente raccolti e setacciati, e delle ossa animali, che stanno fornendo importanti informazioni sugli usi alimentari. Studi di archeologia dell’alimentazioni che consentiranno di definire la ricostruzione del contesto ambientale antico. A questo riguardo D’Agostino ha precisato che «i resti di cibo e degli animali abbattuti, gli specifici contenitori ceramici in uso permettono di ricostruire aspetti importanti relativi alle pratiche di cottura e sfruttamento delle risorse via via a disposizione dando nuovo impulso alla ricostruzione del paesaggio antico, a definire aspetti quotidiani legati alle ricorrenti crisi (guerre, siccità, carestie, ndr) che lo hanno riguardato e alle risposte che la società ha saputo trovare nel corso del tempo. In particolare, le ricerche di paleobotanica, archeozoologia e paleoantropologia hanno permesso l’acquisizione di importanti dati ambientali che oggi ci permettono di comprendere come l’uso del territorio e le abitudini alimentari si siano trasformate nel corso dei secoli in risposta anche alle trasformazioni sociali, etniche, culturali e politiche prodotte dalla fine delle organizzazioni centralizzate e delle economie a esse legate». Il progetto archeologico della "Missione archeologica italo-turca in Anatolia Centrale" (Uşaklı Höyük archaeological project), iniziato nel 2008 e in cui è impegnato l’Ateneo pisano, è l’unico a direzione italiana che opera su un insediamento ittita nell’area che fu centro del regno prima e poi dell’impero. Il progetto coinvolge archeologi, filologi, ricercatori e studenti delle Università di Pisa, Firenze, Siena, Koç, Istanbul, Yozgat Bozok e UCL Londra coordinati da Anacleto D’Agostino (Pisa), Valentina Orsi (Siena e Koç), Stefania Mazzoni e Giulia Torri (Firenze), Yagmur Erskine Heffron (Londra), Demet Taşkan (Yozgat Bozok), e gli specialisti Claudia Minniti (Sapienza Università di Roma), Yılmaz Selim Erdal (Ankara Hacettepe) e Lorenzo Castellano (New York University). https://www.avvenire.it/agora/pagine/zippalanda-trovato-il-mitico-centro-religioso-ittita
  2. ARES III

    La stele di Hartapu

    Un’antica stele dimostra l’esistenza di un “regno perduto” in Anatolia Un gruppo internazionale di ricerca lavora ormai dal 2017 in un sito, Türkmen-Karahöyük (Turchia Centrale), risalente all’età del bronzo e del ferro, abitato all’incirca tra il 3500 il 100 a.C. Nel 2019 succede qualcosa che manda in fibrillazione Michele Massa, direttore del progetto archeologico regionale Konya del British Institute, e James Osborne, professore assistente dell’Istituto Orientale dell’Università di Chicago. Mentre tutti i ricercatori e gli studenti sono lì intenti a raccogliere frammenti di ceramiche, a mappare il grande tumulo, a fotogrammarlo dall’alto con i droni, scoprendo tra l’altro che si tratta di uno dei più grandi siti pre-ellenistici dell’Anatolia, ecco che arriva un contadino a raccontare di una grande pietra con strane incisioni che affiora da un canale di drenaggio in un terreno di sua proprietà, lì nelle vicinanze degli scavi. Il sito di Türkmen-Karahöyük in Anatolia L’uomo descrive così bene la pietra da suscitare l’immediata curiosità di Massa e Osborne. I due archeologi si precipitano sul luogo, vedono la pietra semisommersa e subito scendono nel canale, con l’acqua che arriva ai loro fianchi. Basta un’occhiata e gli archeologi capiscono subito di trovarsi davanti a un’antichissima stele, incisa con caratteri luviani. Il luvio è un’antichissima lingua indoeuropea, usata in Anatolia nell’età del bronzo e del ferro, che nella forma scritta si avvale di caratteri cuneiformi e di geroglifici. La stele trovata in un canale di drenaggio Quella stele, così fortunosamente ritrovata, è un tesoro archeologico: “In un lampo abbiamo avuto nuove importanti informazioni sull’età del ferro in Medio Oriente”, dice Osborne. Perché quella vecchia pietra racconta di un regno fino ad ora sconosciuto, governato da un sovrano di nome Hartapu, che riesce a conquistare il vicino regno di Muska, che dovrebbe corrispondere alla Frigia dell’età del ferro, dove governava Mida, il re dal tocco d’oro. Sulla pietra c’è scritto: “Gli dei della tempesta hanno consegnato i re [opposti] a sua maestà”, e l’entusiasta Osborne la descrive come “una scoperta meravigliosa, incredibilmente fortunata”. Un particolare geroglifico ha subito fatto capire che quell’incisione era un messaggio dal re al suo popolo. Gli archeologi ancora non sanno il nome di quel regno perduto, ma ipotizzano che il sito di Türkmen-Karahöyük fosse la sua capitale, e Hartapu il suo re, all’incirca nell’VIII secolo a.C. La scoperta della stele chiarisce anche un’altra scritta trovata, già da molto tempo, su un vulcano a 16 chilometri a sud del sito archeologico, dove viene nominato un re Hartapu, sconosciuto quanto il suo regno, almeno fino al ritrovamento delle pietra. Oltre al valore storico-archeologico, la stele stuzzica la fantasia degli amanti del mito, con quel riferimento alla vittoria riportata sul re della Frigia, che potrebbe identificarsi con il leggendario Mida, un personaggio a metà tra realtà e fantasia. Il mito racconta di questo re avido che chiede al dio Dioniso un dono particolare: poter trasformare in oro tutto ciò tocca. Viene accontentato, ma così non riesce nemmeno più a mangiare ed è costretto a chiedere a Dioniso di togliergli quel potere. Nemmeno la figura storica di Mida è ben chiara: per qualche studioso visse nel II millennio a.C, per altri era il sovrano che nell’VIII secolo a.C. regnava sul popolo dei Muški, proprio quelli sconfitti dal re Hartapu. https://www.vanillamagazine.it/unantica-stele-dimostra-lesistenza-di-un-regno-perduto-in-anatolia/amp/
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