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VENEZIA Grossone - doge Foscari; vogliamo parlarne?
417sonia ha aggiunto un nuovo link in Monete della Serenissima Repubblica di Venezia
Buona Domenica Non sappiamo se nei primi giorni di quel luglio 1429, i membri del Consiglio dei Pregàdi della Serenissima Repubblica di Venezia – così veniva chiamato il Senato della Repubblica – con le loro lunghe toghe rosse e raccolti nella sala posta al secondo piano del palazzo ducale, fossero oppressi da quella canicola umida che, generalmente, avvolge la città in questo mese. Certamente lo erano per le condizioni politiche, sociali ed economiche dello Stato. Venezia era in guerra e le finanze erano a zero. Pochi anni aprima, il 15 aprile 1423, era stato eletto doge, alla sola età di quarantanove anni, Francesco Foscari, già Procuratore di San Marco. Il Foscari era il personaggio di spicco tra i fautori della politica di espansione territoriale della Serenissima in Italia, necessità che nasceva dall'esigenza di garantire la sicurezza dello Stato in prima persona, senza avvalersi di alleanze con le signorie limitrofe che non davano affatto certezze di stabilità e più volte si erano dimostrate infide, facendo dei trattati sottoscritti, carta straccia. Era la persona giusta per questo scopo; era soprattutto giovane, di ottima presenza e di miglior eloquenza, aveva una mimica oratoria che, stando a quanto ci è stato tramandato dai contemporanei, incantava i convenuti; un vero istrione. Dalla sua elezione e per i successivi 34 anni del suo dogato, furono 34 anni di guerre che costarono a Venezia lunghi e penosi sacrifici, con le finanze in “sconquasso” e le cui conseguenze si trascinarono nel tempo. Il casus belli fu l'alleanza che venne siglata nel dicembre del 1425 tra Venezia e Firenze, già in guerra contro Filippo Maria Visconti; di fatto Venezia apriva un nuovo fronte che servisse ad indebolire Milano e le sue mire espansionistiche. Milano aveva già conquistato precedentemente Imola e Faenza e aveva esteso i suoi interessi a ridosso della Dominante; bisognava fermarla ora, senza alcun indugio. La guerra fu più volte interrotta da paci tanto effimere, quanto brevi; tra il 1425 ed il 1433 le battaglie si susseguirono e Venezia, alla fine, poteva aggiungere al suo dominio di terraferma il Bresciano, il Bergamasco e parte del Cremonese. Noi ci fermiamo qui, al 9 luglio 1429; parlare delle successive fasi della guerra ci porterebbe troppo lontano dal nostro tema. Il Papadopoli, nel suo libro “Le monete di Venezia”, ci dice che in questo giorno il Consiglio dei Pregàdi determinava che con il quarto di tutto l'argento che i mercanti vendevano a Venezia e che avevano l'obbligo di consegnare in zecca per farne moneta, si dovevano coniare i soldi nella forma usata e due nuove monete: l'una da due soldi (pari a mezzo grosso) e l'altra da 8 soldi (pari a 2 grossi); l'argento impiegato per tale produzione doveva essere suddiviso in uguale proporzione e cioè per 1/3 ciascuna. Veniva anche confermato che la lega delle monete, sia quelle nuove, sia la vecchia, doveva essere quella solita, tale per la quale 104 soldi fossero pari ad un ducato; si confermava altresì la produzione solita del grosso ad uso dei mercanti che lo utilizzavano in Levante. Il mezzo grosso, seppur col nome di mezzanino, era una moneta che la zecca veneziana aveva già coniato, anche se aveva caratteristiche differenti da quest'ultimo e l'ultima sua coniazione era avvenuta ai tempi del doge Andrea Dandolo (1342 – 1354); era quindi passato quasi un secolo e quella moneta era ormai sconosciuta ai tempi del Foscari, tant'è che non riprese nemmeno la vecchia denominazione; il grosso da otto soldi, chiamato grossone, era invece un nuovo conio che non aveva precedenti. Ma quali erano le motivazioni che avevano spinto Venezia a produrre le due nuove nonete? Sempre il Papadopoli scrive che le monete da uno, da due e da otto soldi erano state coniate perchè venissero spedite nei nuovi territori entrati a far parte del dominio, in particolare il bresciano ed il bergamasco, poiché quelle provincie erano invase da monete forestiere. Più esplicito quello che viene riportato nel “Capitolar dalle broche” - Giorgetta Bonfiglio Dosio, Bibliotheca Winsemann Falghera, Editrice Antenore Padova 1984: “De le sorascrite veramente tre sorte over qualittà de monede debia esser manda' mo' e de tempo in tempo a le parte bressiane e pergamesse quella quantitade, la qual serà deà de bexogno in numero dei denari, i qual de tempo in tempo serà mandadi per le page de le nostre ziente d'arme, aziò che quele monede rezeva chorso debito si per honor chomo utilitate nostra e contentamento de' sudditi nostri.” Analizzando le motivazioni scritte nel capitolare, possiamo evincere che le motivazioni erano più d'una, non solo quella addotta dal Papadopoli. Vogliamo scriverne? In particolare del “Grossone”, moneta da otto soldi veramente nuova nel contesto della monetazione veneziana; moneta che non si rifà a precedenti emessi e che solamente dopo quasi ottant'anni verrà nuovamente coniata, sotto il dogato di Leonardo Loredan (1501 – 1521), ma in un contesto sociale, economico e monetario drasticamente cambiato rispetto a quello in essere al tempo del Foscari. Intanto posto qualche immagine...... saluti luciano- 21 commenti
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