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Il denario EID MAR: la celebrazione dell'assassinio di Giulio Cesare
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La serie Greatest Coins di ANS esamina le monete della collezione dell'American Numismatic Society, accuratamente selezionate per la loro fama storica. In questo episodio, la curatrice delle monete romane, la dottoressa Lucia Carbone, esamina quella che è probabilmente la moneta romana più celebre, il denario EID MAR (Idi di marzo) di cui si conoscono soltanto 80 esemplari, due dei quali appartengono all'ANS. Quella moneta fu coniata sotto l'autorità del principale assassino di Giulio Cesare, Marco Giunio Bruto, nel 43-42 a.C., per commemorare l'assassinio di Cesare alle Idi di marzo del 44 a.C. Poco dopo Bruto morì sul campo di battaglia, suggellando la fine della Repubblica. Qui la scheda della moneta di proprietà ANS https://numismatics.org/collection/1944.100.4554- 3 commenti
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La Battaglia di Tapso La battaglia di Tapso fu uno scontro militare, avvenuto il 7 febbraio del 46 a.c. (secondo il calendario gregoriano), tra le legioni guidate da Caio Giulio Cesare e le restanti forze a disposizione della Repubblica Romana, dopo la sconfitta a Farsalo e l'uccisione di Pompeo. Tapso è annoverata tra i capolavori tattici e strategici di Cesare, poiché i suoi uomini sbaragliarono completamente gli avversari, spianando quindi la strada al proprio comandante, il quale, grazie a questa vittoria, rafforzò la propria posizione politica avvicinandosi ad ottenere un potere assoluto. La successiva fuga dei repubblicani in Iberia porterà allo scontro di Munda, dove furono annientati completamente e dove Cesare ottenne il trionfo totale. Cesare, sbarcato in Africa, avviò con la parte rivale una serie di scaramucce, per poi dirigersi e mettere sotto assedio la città di Tapso. Dapprima il dictator bloccò l'accesso meridionale alla città ereggendo tre linee fortificate. Ciò era un punto forte della sua tattica: aveva utilizzato le fortificazioni anche ad Alesia contro i galli, a Brindisi, durante l'assedio di Alessandria d'Egitto e infine contro il monarca del Ponto Farnace II a Zela. Metello Scipione, comandante in capo delle truppe repubblicane, tentò di tagliare ogni via di uscita ai cesariani dividendo le proprie forze (rinforzate anche dalle truppe del re numido Giuba) e attestandole sull'istmo, ove si erano piazzate le legioni di Cesare, sia sull'ulteriore passo che collegava la città alla terraferma, situato a Nord-Ovest dalla posizione cesariana. Il dictator era completamente accerchiato: ogni possibilità di ritirarsi gli era stata preclusa. Se avesse tentato di sfondare su di un lato sarebbe stato vulnerabile ai fianchi, rischiando quindi di essere sconfitto. Una situazione veramente spinosa. Quest’ultima si rendeva ancora più grave per il conquistatore delle Gallie per via della sua inferiorità numerica: secondo diverse fonti (le più attendibili sono Plutarco e i Commentarii cesariani), Cesare disponeva di circa 10 legioni; Scipione, invece, aveva sotto il proprio comando almeno 40.000 uomini (ovvero una decina di legioni), delle unità di auxilia, le quali erano composte da elefanti, diverse unità di cavalleria (secondo alcune stime 2500), e infine i soldati numidi di Giuba. Nonostante la posizione sfavorevole e la disparità numerica nei confronti degli avversari, Cesare serbava un asso nella manica: il terreno paludoso di Tapso. Infatti, Scipione e Giuba avevano accerchiato sì Cesare, ingabbiandolo all'interno dei due istmi, ma allo stesso tempo questa mossa si era rivelata per loro come un'arma a doppio taglio, poiché furono costretti a disporre il proprio schieramento su un suolo acquitrinoso e ristretto. Il vantaggio tattico che comportava per Cesare era che il terreno riduceva la forza d'urto della cavalleria e degli elefanti, oltre che della fanteria leggera. I cesariani quindi scesero in battaglia e si stabilirono adottando la tattica privilegiata dal loro comandante: la fanteria al centro, in modo da sostenere l'urto nemico, la cavalleria, gli arcieri e i frombolieri ai fianchi. Dietro la formazione fu posizionata la V° Legione, addestrata appositamente per combattere gli elefanti. Il vincitore di Farsalo e Alesia si posizionò sul lato destro, come sua abitudine. Secondo Plutarco, Cesare ebbe uno dei suoi attacchi epilettici, che gli impedirono di comandare e combattere durante lo scontro. Scipione, di contro, schierò gli elefanti di fronte ai legionari avversari, e adottò anche lui lo schema classico romano: cavalleria ai fianchi e fanti al centro. Secondo le cronache, la battaglia ebbe inizio non con un ordine diretto di Cesare ma per volontà della X° Legione, che si lanciò all'assalto nonostante i continui richiami all'ordine dei loro ufficiali. Cesare diede l'ordine di attaccare dopo la presa d'iniziativa della Decima. Il primo pericolo immediato per i legionari cesariani era costituito dagli elefanti, che furono prontamente respinti grazie all'intervento della Quinta, la quale riuscì, tramite vari stratagemmi, come quello di lanciare sassi e fare un forte rumore, a spaventare i pachidermi e quindi a far in modo che essi fuggissero. Nella loro fuga travolsero le file dei repubblicani, i quali, assieme ai numidi, finirono in rotta. Cesare aveva vinto anche questa volta, ma la battaglia non era finita. Nonostante la fuga dei nemici, i soldati cesariani, stanchi della lunga guerra civile e delle campagne guidate dal dictator precedentemente, non obbedirono agli ordini diretti del loro comandante di fermarsi, e quindi continuarono il loro inseguimento: fu una strage, un inaudibile bagno di sangue. Stando ai resoconti dell'epoca, i militi di Scipione subirono circa 10.000 perdite, mentre tra i legionari di Cesare morirono circa 50 uomini. Non fu risparmiato nemmeno chi presentò la resa. Nessun prigioniero. I sopravvissuti non ebbero vita facile: molti loro comandanti, tra cui lo stesso Scipione e Catone l'Uticense, si suicidarono all'indomani dell'esito della battaglia. Altri, come Tito Labieno e i figli di Gneo Pompeo Magno, organizzarono un'ultima disperata resistenza in Spagna con i reduci della disastrosa “Campagna d'Africa”. Nel giro di poche settimane, l'intero Nord Africa cadde nelle mani del Dictator, il quale rivolgerà la propria attenzione agli ultimi irriducibili, trionfando. Tratto da http://www.difesaonline.it/news-forze-armate/storia/la-battaglia-di-tapso Ciao Illyricum
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10 GENNAIO 49 a.C. : ALEA IACTA EST. Giunto a termine il primo triumvirato di Caio Giulio Cesare, Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo Magno, il Senato sostenne quest'ultimo che divenne unico console: era il 52 a.C. . I poteri proconsolari concessi a Cesare, che governava l'Illiria e la Gallia, sarebbero dovuti scadere il 31 dicembre 50 a.C., dopo una proroga di cinque anni concessa tempo prima. Forte dell'enorme consenso di cui godeva sia presso l’esercito che presso il popolo, nel marzo del 51 a.C., Cesare aveva chiesto al Senato un ulteriore prolungamento della sua carica. Per tutta risposta da Roma, consci delle sue aspirazioni, gli intimarono di sciogliere il suo esercito. Nel dicembre del 50 a.C., Cesare rispose che avrebbe obbedito alla richiesta se anche Pompeo avesse fatto la stessa cosa. Ma il Senato gli ordinò ancora una volta di congedare i suoi uomini per evitare di essere dichiarato nemico del popolo. Consapevole del pericolo che avrebbe comportato un suo rientro a Roma privo dell'immunità consolare e senza le sue legioni Cesare giunse sino a Ravenna alla testa di una sola legione, la XIII Gemina. Il Rubicone, rappresentava tra il 59 e il 42 avanti Cristo il confine tra l'Italia e la provincia della Gallia Cisalpina ed era vietato ai generali attraversarlo in armi senza il permesso del Senato. Scrisse Tito Livio di quel 10 gennaio del 49 a.C.: “…alla testa di cinquemila uomini e trecento cavalli, Cesare varcò il fiume Rubicone e mosse contro l’universo..” Iniziò così la terza Guerra Civile della storia di Roma, dopo la guerra tra Mario e Silla dell’82 a.C. e la guerra Sertoriana del 72 a.C. . Essa si sarebbe risolta a suo vantaggio solo quattro anni dopo. Antonio A. #accaddeoggi #giuliocesare #rubicone (tratto da https://www.facebook.com/Amanti-della-storia-112850062095704/?__tn__=%2CdkCH-R-R&eid=ARBT3sx6qpbT1wSNzNNWZkV5IImt0Q06Z0fMypOx10uVtTdshELCZOn7dwcSiYendEKElSPuRnPdlICw&hc_ref=ARQjZBN2HQlS4H0cYbti8eKVu2NAL_p2EtOS0ft0xEog9emXQiuOhHGfJQZwa-15e9w&fref=nf&hc_location=group )
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Buongiorno, posto, previo permesso da parte degli autori, una buona presentazione da un punto di vista militare, sui Galli che si scontrarono con Giulio Cesare. L’ESERCITO GALLICO AI TEMPI DELLA CAMPAGNA DI CESARE (58 a.C. – 50 a.C.) Nel magnifico dipinto di Giuseppe Rava quattro cavalieri galli in azione, di cui due provvisti di armatura pesante del tardo La tène. Doverosa premessa: questo articolo è una ricostruzione autoriale di quello che poteva essere l’apparato militare celtico della Gallia nel suo ultimo periodo romanizzazione. Per la stesura di questo “esperimento” ci si è basati su fonti archeologiche, articoli di autori stranieri e libri sull'argomento (tutti indicati in fondo), ma nonostante ciò si rimane comunque nel campo delle ipotesi, non avendo un’ovvia conoscenza diretta degli eventi. Possiamo però affermare di essere sufficientemente sicuri della bontà di questa ricostruzione tanto da volerla condividere con voi. Buona lettura. La conquista della Gallia da parte del divo Giulio Cesare è una delle imprese romane più conosciute e studiate. Il De Bello Gallico è inoltre una delle fonti storiche più esaustive sulla società celtica dell’ultimo periodo, eppure lascia per ovvi motivi innumerevoli aree nebulose. Una di queste è in realtà l’organizzazione militare dei suoi avversari, tralasciata forse perché data quasi per scontata nel mondo romano, avendo ormai da secoli contatti con il popolo d’oltralpe. Ciò ha lasciato spazio a ricostruzioni degli indomiti galli piuttosto farlocche: da una parte descritti come barbari sanguinari senza alcun acume tattico, dall'altra come eroi lontani dalla civilizzazione mediterranea, puri come il mito del buon selvaggio. Di queste ricostruzioni colpisce spesso la faziosità di una o dell’altra parte, fino ad arrivare ad abomini storici come le donne guerriere (attualmente tanto care ai vichinghi). Eppure la verità è ben lontana da ciò: il guerriero gallico dell’ultimo secolo a.C. era ben lontano da un urlante spadaccino ricoperto di pitture di guerra. Se questo potrebbe essere vero per le popolazioni del Belgio (metà germaniche) e dai lontani abitanti della Britannia, è del tutto errato per i civilizzati signori della Gallia meridionale e centrale, il vero fulcro di potere della Gallia antica. Il periodo di cui parliamo è infatti chiamato dagli archeologi come Tardo La Tène, ultimo tassello di una lunghissima evoluzione partita dall'antica cultura di Hallstatt, risalente all’800 a.C. In questo ultimo periodo i galli intessevano ricchi scambi commerciali con l’Africa, la Grecia, l’Italia e la Spagna. Dopo la grande migrazione del terzo secolo a.C. i celti erano entrati in contatto con una miriade di culture diverse, trasformandole e venendo trasformate da essi stessi. C’erano tribù celtiche stanziate in Egitto, c’era un regno celtico nel cuore dell’Anatolia, i Celtiberi dominavano la Spagna e avevano combattuto contro Roma e Cartagine. E dove non arrivavano i celti, erano gli altri popoli ad arrivare da loro: le colonie greche di Massalia, Emporio e Alalia erano importanti partner commerciali del mondo gallico, mentre i retaggi liguri erano comuni in tutta l’Occitania. Infine, i nemici germani e romani premevano da anni ai confini tribali. Dunque, essendo la società celtica imperniata sulla guerra, che forze militari si trovò ad affrontare nella sua conquista Cesare? Combattevano ancora come i loro antenati conquistatori? Dalle stringate parole di Cesare spesso non riusciamo a notare una reale differenza tra i Germani di Ariovisto e i galli di Vercingetorige, eppure le risultanze storiche nonché archeologiche marcano un’importante distinzione. Cominciamo dal primo punto: la cavalleria. Le forze migratorie che sconvolsero il Mediterraneo nel IV secolo a.C. parevano essere composte da grandi masse di fanteria armate con spade e asce, al cui seguito c’erano i civili (tra cui donne, che, sì, in questo caso, erano solite menare fendenti). La cavalleria, spesso sotto forma di primitivi carri da guerra, aveva una funzione di supporto e trasporto, tanto che in Italia si considerava i Veneti dei cavalieri molto più abili dei celti, all'epoca improntati sulla fanteria. Le compagnie inter tribali di mercenari al servizio dei sovrano ellenistici erano composte da fanti, non cavalieri, spesso protetti da pesanti armature di maglia. Invece, quando Cesare annienta gli Elvezi e penetra in territorio Gallico già da molti anni si parlava di abilissimi cavalieri galli, che avrebbero presto preso servizio nell'esercito romano (primi su tutti gli Edui, alleati di Cesare). I romani erano estremamente abili nel copiare dal nemico e nel prendere il meglio di loro, perciò è gioco facile capire come in quel momento la cavalleria gallica fosse superiore in valore della fanteria celtica. Dalle ricostruzioni sembra che i galli avessero due classi di cavalieri: i cavalleggeri di rango inferiore, spesso piccoli proprietari terrieri capaci di avere solo un cavallo oppure il seguito di qualche nobile importante, armati alla leggera e i cavalieri nobili riccamente equipaggiati. Bisogna ricordare che i galli non avevano le staffe, perciò i loro soldati a cavallo non operavano come i futuri cavalieri medievali, bensì fiancheggiavano e assalivano a sciame le fanterie nemiche, cercando di scardinarne i ranghi più con l’altezza e la velocità dell’animale che con il peso di una carica lancia in resta. I cavalleggeri gallici avevano funzione di esploratori, avanguardia e saccheggiatori, mentre nelle battaglie preferivano tenersi a distanza di sicurezza lanciando giavellotti o inseguendo i fuggitivi brandendo delle lance corte. Oltre all'elmo (non sempre presente) la loro unica difesa era di solito uno scudo rotondo, presto adottato dai cavalieri ausiliari romani (quasi sempre galli, celti cisalpini o ispanici) per la sua leggerezza e comodità. La cavalleria pesante gallica era formata da nobili o seguiti di sovrani, perciò poco numerosa. Parlare di pesante è molto relativo, in realtà, rispetto a un catafratto o un cavaliere medievale: questi uomini erano dei cavalieri leggeri, protetti da una corazza di maglia e da scudo ovale o semi quadrato, mentre le loro armi da offesa erano giavellotti (scagliati prima di una carica), lance e spade per il corpo a corpo. Non era raro che questi uomini smontassero da cavallo e ingaggiassero duelli contro uno o più avversari, mentre il seguito di cavalieri leggeri poteva supportare da distanza. Nella battaglia di Carre, nonché nelle future battaglie contro i parti combattute dal triumvirato, i cavalieri galli si distinsero per abilità e resistenza, formando muri di scudi anche quando erano ormai stati appiedati a causa del fitto dardeggiamento nemico. L’importanza rivestita dalla cavalleria, sfruttata per respingere i germani e nelle guerre tra tribù, portò a modifiche sostanziali nella fanteria. Se precedentemente il guerriero celtico appiedato era un duellante provvisto di scudo e spada, nonché giavellotti, e protetto da una cappa, nel periodo tardo latenico la lancia prese il posto della spada, mentre la difesa fu affidata ad armature di pelle, sormontate dai tipici elmi che divennero ordinanza tra i legionari del primo secolo d.C. La lancia presentava grandi vantaggi rispetto alla spada lunga celtica, il cui apogeo era stato nel IV secolo a.C. : per prima cosa una lancia era più economica, migliore della spada nel combattimento individuale tra fanti (ci sono tantissimi video e fonti storiche che ci fanno capire di come la lancia fosse un’arma migliore di una spada anche in uno scontro uno contro uno) e infine straordinaria per respingere un cavaliere. Se i primi guerrieri celti puntavano a scardinare la formazione nemica con la forza d’urto della fanteria (pensiamo a uno scontro tra celti e opliti etruschi) e quindi sfruttare le spade per sgominare dei nemici non addestrati nel duello, nel primo secolo avanti Cristo i galli utilizzavano la cavalleria per scompaginare il nemico, mentre la fanteria rivestiva un ruolo di supporto o difesa, per cui la lancia era indubbiamente meglio indicata. Inoltre un guerriero armato di lancia poteva comunque brandire una spada corta come arma di riserva. Attenzione! Ciò non significa che i primi guerrieri celtici non facessero uso di lance, ma che tale arma fosse vista (soprattutto dalle fonti romane e greche) più che altro come arma da getto o come equipaggiamento secondario. Con lo sviluppo della cavalleria, invece, la lancia assunse un ruolo via via crescente, fino a diventare l’arma standard dei guerrieri gallici. Altro errore è quello di pensare ai guerrieri gallici come masse disordinate. Bisogna ricordare che ciò che Cesare affrontò fu l’intero popolo gallico, dunque la maggior parte dei suoi avversari erano civili armati alla buona, che sfruttavano la mera forza d’urto per cercare di scardinare il muro dei legionari (senza quasi mai riuscirci). Invece la vera classe militare gallica non aveva grandissimi numeri, poiché divisa in una miriade di tribù che raramente poteva schierare più di un migliaio di soldati a piedi e altrettanti a cavallo. Il guerriero a piedi gallo, diciamo di professione sebbene professione non fosse, sapeva combattere fianco a fianco al compagno sfruttando muri di scudi e lance per respingere la cavalleria nemica (tanto che ci sono fonti storiche in cui si parla di “opliti” arverni), scagliava dardi sui nemici in avvicinamento e organizzava cariche in linea molto simili a quelle dei legionari romani. La reale differenza che dava maggiore vantaggio ai romani era il sistema degli ordini, ben più sviluppato, la formazione di centurie autonome e soprattutto la maggiore coesione dei numeri di una legione. Se un clan poteva schierare 1000 guerrieri a piedi ben addestrati, una legione metteva in campo 5 volte tale numero, costringendo i galli a doversi confederare ad altre tribù e quindi con tutte le problematiche che da ciò conseguivano. Se aggiungiamo poi che molti galli combattevano dalla parte dei romani (spesso i clan più ricchi e militarizzati), allora è indubbio il motivo per cui l’esercito romano vinceva sempre in uno scontro in campo aperto. Ci siamo dunque levati dalla mente il guerriero a petto nudo urlante, ma rimangono ancora tre punti di interesse: l’armatura, l’uso della spada e la schermaglia. Iniziando a spiegare il primo punto, è doveroso ricordare come i celti fossero fabbri indubbiamente superiori a quelli italici. I legionari che marciarono per le foreste della Gallia indossavano armature forgiate nella Cisalpina e moltissime delle reclute erano essi stessi liguri o insubri, popolazioni italiche da tempo celtizzate. La X legione, cara al Divo Cesare, aveva la sua sede di reclutamento nel Nord Italia, la cui popolazione era e rimase sempre di stirpe celto-ligure o al limite etrusca. Consegue che i guerrieri migliori dei Galli indossassero anch'essi ottime armature di maglia, molto simili a quelle dei legionari, abbellite da fregi e sormontate da grandi elmi. Come già accennato, però, al contrario dei romani i guerrieri corazzati erano una piccola parte del nucleo militare gallico, mentre la maggior parte doveva accontentarsi di cuoio e semplici cappe nonché l’onnipresente scudo. Sull'uso della spada le fonti sono troppo poche per ricostruire davvero come un celta combattesse: le spade dei cavalieri ritrovate avevano una lunghezza di 80-90 cm e potevano solo colpire di taglio, mentre la fanteria pare utilizzasse ancora le spade tra i 60 e i 70 cm, atte colpire sia di punta che di taglio. Il Gladius Hispaniensis (diverso dal gladio imperiale), arma d’ordinanza del legionario Giulio-Claudio aveva una lunghezza simile ed era palesemente ispirata alla spada celtica, che dunque aveva sviluppato una scherma diversa da quella degli antenati. Infatti, se il guerriero celta del primo periodo sfruttava la spada per calare colpi dall'alto durante una carica opponendo lo scudo a umbone contro il nemico, tanto da avere una catenella di sospensione ad anelli metallici per evitare che l’arma scivolasse nella mischia violenta, il guerriero celta “civilizzato” usava la spada come arma di ripiego, lunga a sufficienza per ferire un cavaliere, ma atta più che altro a sopravvivere in un combattimento fuori formazione contro nemici poco corazzati, ad esempio altri celti o più probabilmente dei germani. È importante però comprendere come l’uso della spada fosse legato allo scudo, non a improbabili combattimenti a due mani come qualche nostalgico del medioevo vuole vedere applicato anche ai galli. Ultimo punto, la schermaglia: certe volte si sente dire che i celti (o i barbari in generale) ritenessero disonorevole uccidere da lontano, dunque non facessero uso di armi da getto. Questo è, semplicemente, un falso mito. Sicuro la spada era vista come arma nobile, ma Cesare ci parla di vere e proprie piogge di giavellotti, sassi (dunque presenza di fromboli) e frecce sulle linee romane. Se attorno ai guerrieri di professione c’erano sempre accompagnatori armati alla leggera equipaggiati con armi da lancio, anche cavalieri e fanti scagliavano dardi contro il nemico, sia in funzione difensiva che per ammorbidire la resistenza prima di una carica. Il giavellotto, comunissimo in Iberia, era quindi un’arma utilizzata anche dai guerrieri gallici, a maggior ragione nelle grandi orde male armate che si opposero alla conquista romana. Infine, Cesare stesso non manca di citare, c’erano gruppi di arcieri, spesso utilizzati come avanguardia ed esploratori. L’arco, anche di dimensioni importanti, era l’arma prediletta per la caccia, che i celti non sfruttavano particolarmente in battaglia (un frombolo è un’arma molto più utile di un arco) se non dopo le decisioni di Vercingetorige, che a quanto pare chiese espressamente ai tanti cacciatori della Gallia di combattere con gli archi. Le genti meno civilizzate del nord, come Belgi e Armoricani, non avendo le stesse protezioni fisiche dei cugini del sud, facevano largo uso di archi e giavellotti, per poi caricare il nemico indebolito. In conclusione, possiamo notare come tantissimi dei luoghi comuni sui “selvaggi” Galli siano in realtà semplici creazioni dell’immaginario collettivo: l’esercito gallico dell’ultimo periodo era invece formato da nuclei altamente specializzati di guerrieri, ben armati e capaci di applicare tattiche avanzate, la cui principale forza era data dalla cavalleria, supportata da linee di lancieri corazzati e da nutriti gruppi di schermagliatori. Ciò che fece pendere la bilancia in favore dei romani, oltre a una straordinaria e superiore organizzazione militare (superiore però a chiunque nel Mediterraneo, pure ai civilizzati greci per esempio), fu soprattutto la divisione politica dei celti, incapaci di fare fronte comune contro un invasore spesso ben accetto, e dall’esiguo numero dei soldati professionisti, che costrinse i magistrati e i re celtici a rimpolpare le armate di miliziani mal armati, del tutto inefficaci contro i soldati romani. Ad ultimo, la frammentazione delle tribù non permetteva ai guerrieri professionisti di creare bande coese tra loro, costringendo a combattere spesso fuori formazione e quindi inadatti a tenere testa alla legione. In futuro, se questo esperimento vi è piaciuto, utilizzeremo questo formato per parlare anche di altri eserciti del mondo antico, dagli Iberici agli Illiri. Vi ringraziamo dunque per la lettura e vi invitiamo a condividere questo articolo per aiutarci nella nostra opera di divulgazione. FONTI PRINCIPALI - Il De Bello Gallico, Caio Giulio Cesare - Celtic Warriors: The armies of one of the first great peoples in Europe, Daithi O'Hogain - Lords of Battle: The World of the Celtic Warrior, Stephen Allen - Celtic Warrior 300 BC–AD 100, Stephen Allen - Rome's Enemies GALLIC & BRITISH CELTS, Peter Wilcox - Celtic Warriors: 400BC-160AD, Tim Newark Tratto da : https://www.facebook.com/regogoloboemetto/?__tn__=%2CdkCH-R-R&eid=ARAPlulxSn-0FQ28RnlxJ3xjQ98ydTWJxaI-0X9c-prD0OOa4fdNRwG6sTyDHYNiDldsPwtxufHPZ5og&hc_ref=ARS_Y-SdUDrKn_xULlP9VLqUKW38ZC0B2zr4at5_SBfj2CrxVQpqwEV36ir1U1-OV6M&fref=nf&hc_location=group
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Identificazione antiche monete romane Cesare
Alessio91 ha aggiunto un nuovo link in Richiesta Identificazione/valutazione/autenticità
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