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  1. Buona serata “Galeas per montes” è lo specifico termine con il quale si indica una delle più impensabili ed epiche imprese che la Serenissima mise in opera durante le numerose guerre che, nel medioevo, la videro opporsi a Filippo Maria Visconti, signore del ducato di Milano. A Venezia “regnava” il Doge Francesco Foscari eletto nel 1423 e deposto con gran scandalo, in spregio alla leggi della Repubblica, dal "Consiglio dei X" nel 1457; furono 34 anni di guerre che costarono a Venezia lunghi e penosi sacrifici, con le finanze in "sconquasso" e le cui conseguenze si trascinarono nel tempo. Guerra guerreggiata e guerra diplomatica, dicono gli storici e la vicenda in parola rientra nelle strategie ingegneristiche-militari, che Venezia decise di attuare per sorprendere le truppe milanesi asseragliate a Desenzano e Peschiera. Il Visconti teneva sotto assedio Brescia e controllava la parte meridionale del lago di Garda, grazie alle suddette fortezze lacustri; l'unico modo per Venezia di soccorrere la città era quello di passare a nord del lago e così, il 4 gennaio 1439, salpò da Venezia una flotta costituita da 25 barche grosse, 2 galee e 6 fregate al comando dell'ammiraglio Piero Zen. La flotta imboccò le foci dell'Adige nei pressi di Sottomarina di Chioggia e lo risalì fino a Legnago e Verona per proseguire poi verso la chiusa di Ceraino, posta nella Vallagarina; dopodiché si diresse fino ai Lavini di Marco, una distesa di roccia calcarea posta a sud di Rovereto e poi a Mori, grazie all'impiego di sterratori, falegnami, carpentieri che costruirono una apposita strada foderata da assi di legno sulle quali far agevolmente rotolare le imbarcazioni imbragate in "macchine" poste su rulli. Tutte queste maestranze provvidero a livellare il terreno, togliere dal tracciato alberi e macigni, demolendo anche case e stalle se erano di intralcio. Raggiunto il piccolo lago di Loppio, le imbarcazioni vennero rimesse in acqua per un paio di chilometri; poi la flotta venne nuovamente tirata in secco e trascinata sul ripido pendio per il passo San Giovanni, per poi discendere verso Nago, attraverso la valle di Santa Lucia, per arrivare, finalmente, al lago nei pressi di Torbole. Schema del tragitto e relativa legenda (centrostudidialogo.com) 1- Venezia – La flotta esce dall’Arsenale 2- Imbocca la foce dell’Adige 3- Verona – Nell’Adige c’è poca acqua e sulle imbarcazioni vengono applicati dei “galleggianti” 4- Mori (Tn) – Il convoglio viene portato in secca attraverso macchinari appositamente costruiti 5- Viene trascinato fino al Lago di Loppio, 230 metri slm, poi supera il Passo di San Giovanni, a 264 metri 6 – Torbole (Tn) – Attraverso una discesa molto pericolosa arriva al Lago di Garda. Nell'impresa di trascinamento vennero impiegati ben 2000 buoi requisiti nelle località attraversate dal convoglio e in quelle limitrofe, nonché centinaia di persone tra marinai, rematori, militari e uomini dei luoghi, che dovevano indirizzare le navi e all'occorrenza frenarle, tramite gosse funi. Tutta la complessa operazione non fu particolarmente fausta, giacché le forze milanesi riuscirono a bloccare la flotta veneziana e catturandola in parte; giusto le due galee riuscirono a riparare a Torbole. Brescia non fu liberata, ma grazie al controllo della parte superiore del lago di Garda, Venezia riuscì a far giungere alla città le derrate e gli aiuti che gli consentirono di resistere all'assedio ancora per un anno. Nell'anno successivo Venezia organizzò una nuova squadra navale a Torbole, ben più numerosa della precedente, sfruttando il tracciato impiegato l'anno precedente e questa volta sconfisse i milanesi, guadagnando l'intero controllo del lago. Il costo dell'impresa è stato calcolato in 15.000 ducati d'oro. Evitando di farci venire il mal di testa, non consideriamo l'eventualità che si tratti di ducati di conto, ma reali; 15.000 ducati al peso medio ciascuno di gr 3,50, vuol dire 52.000 grammi (52 Kg) di oro puro. Se consideriamo il valore dell'oro puro in questo periodo, pari a ca. €. 51,00, risulta un esborso da parte della Serenissima di €. 2.652.000, con l'avvertenza che, a quei tempi, il valore dell'oro era ben superiore. Ducato d'oro a nome di Francesco Foscari saluti luciano
  2. Quando si parla di monetazione veneziana, nei più corre subito alla mente il ducato doro, poi chiamato zecchino ed è ovvio trattandosi della moneta più longeva coniata dalla Repubblica di Venezia; moneta che dalla sua emissione, avvenuta nel 1284 e fino alla caduta della Serenissima nel 1797, è stata usata in quasi tutte le nazioni europee, nonché in molte nazioni africane ed asiatiche. Grazie alla sua diffusione fu anche tra le monete più imitate e falsificate nella sua lunga vita; solo questo aspetto basterebbe a dimostrare il grande favore che incontrò in così tanti mercati. Ci sono ovviamente tante altre monete conosciute, non altrettanto così longeve, ma che sono caratterizzanti della monetazione veneziana: dal "grosso", al soldo d'argento "soldino" e di mistura "soldone", dal "ducato" d'argento allo "scudo della croce"; per non parlare delle varie tipologie di "bagattini" e di "gazzette"; tutte monete che, pur con le loro varianti, i loro multipli e/o sottomultipli, furono coniate per parecchi decenni ed a volte secoli. Ci sono però talune monete che la zecca veneziana coniò per pochissimo tempo, a volte durante un solo dogato, a volte solo per pochi mesi; emissioni non di prove o progetti, ma di monete che circolarono ufficialmente, ma in maniera estemporanea e che possiamo considerare delle vere meteore numismatiche. Certamente all'atto della loro emissione ci fu un preciso motivo contingente di tipo economico o politico che fu poco dopo superato rendendole inutili; coniazioni il cui scopo fu vanificato da problemi di natura valutaria seguiti alla loro emissione, oppure monete che non furono gradite dal mercato e/o della popolazione che le doveva usare. E' bene precisare che, per "meteore", non è mia intenzione riferirmi solo a monete coniate in pochi esemplari e quindi rarissime ma, nell'accezione più estesa del termine, mi riferisco a quelle monete – non appartenenti alle "anonime" - coniate anche in gran numero di esemplari, ma che sono state emesse durante un unico dogato, magari per pochi mesi. Comincio io richiamando una piccola monetina coniata sotto il dogato di Francesco Foscari (1423 - 1457), ovviamente tutti possono partecipare, aggiungendo ulteriori "meteore". FRANCESCO FOSCARI (1423 – 1457) Denaro (o piccolo) con leone rampante Venezia era in guerra. Principalmente con i Visconti, signori di Milano e con i turchi; guerre che continuarono dal 1429 al 1454 tra effimere tregue e riprese delle ostilità e per poter finanziare queste guerre e pagare le truppe mercenarie ingaggiate, c'era un gran bisogno di denaro. Uno dei modi per reperirlo era aumentare i proventi dalla coniazione di monete; coniare monete con un intrinseco d'argento sempre più ridotto a fronte di un valore nominale immutato, determinava l'uso di monete quasi di solo rame e dal valore pressoché fiduciario. Il denaro (o piccolo) fu una delle più caratteristiche monete in uso a Venezia fin dagli albori della Repubblica, non fosse altro che per la sua forma scifata. Il peso all'origine, sotto il dogato di Sebastiano Ziani (1172-1178) era di ca. gr. 0,36 ed il titolo dell'argento contenuto, dello 0,27; nel tempo si vennero rispettivamente ridotti fino ad avere, sotto il dogato del Foscari un peso di ca. gr. 0,24 ed un titolo d'argento di appena lo 0,055. Una monetina praticamente difficile anche solo da maneggiare; le sue caratteristiche erano le seguenti: D/ — Croce in un cerchio + FRAC • FO DVX R/ — Croce in un cerchio + ∽ MARCV • ∽ Alla data del decreto del 21 giugno 1446 fu decisa la sua sostituzione con una nuova moneta; il motivo addotto fu quello che ormai, questa monetina, era troppo falsificata e si dispose che la moneta nuova dovesse essere coniata con le immagini che verranno decise dal Consiglio e che venisse preservata la medesima lega della precedente; così venne riportato al riguardo nel “Capitolar dalle Broche” Prexa in Pregadi. 1446 adì 21 zugno. Che nel nome de Dio el se faza e debia farsse far una nuova stampa a forma de essi pizoli, chomo al Colegio meio aparirà; ma che questi pizoli da nuovo stampido siano de quella liga e bontà che sono i pizoli de la presente stampa, e che da qua avanti el non se faza né se stampissa più pizoli de la stampa prexente. … etc. D: Croce patente in un cerchio ✠ • FRA • FO • DVX • R: Leone nimbato, senza ali, rampante a sinistra nel campo S • • M Alla data del decreto del 18 settembre 1453, preso atto che queste infime monetine hanno infestato il mercato e solo quelli si usano nei pagamenti, tanto che è invalso l'uso di non maneggiarli singolarmente, ma di raggrupparli in sacchetti di un dato valore totale, il Consiglio interviene e ne blocca la coniazione. Dal “Capitolar dalle Broche”. Copia de I° parte prexa, trascritta da Lucha Rizo 1543 adì 25 zugnio. + 1453 adì 18 settembre. In Pregadi. Per la gran suma de pizoli, la qual è stata cuniada a la nostra Cecha fin al prexente. L'è multiplichado per questo in questa terra però che l'è zià commenzado a spender in li pagamento che sono fati in scharnuzi, chomo se oserva in Padoa, contro ogni buona uxanza de questa nostra citade et con manchamento de la fama e reputacion nostra, et al postuto el sia de proveder a questo, vada parta ch'el sia commandato, per autoritatde de questo Conseio, a li officiali del la Cecha nostra che, soto pena de duchati Iic per ziascun de loro intro i suoi proprii beni, lor non possan per alcun muodo far over chuniar far a la dita nostra Cecha pizoli de Veniexia da mo per fin anni do prossimi …. “Parte veneziana non dura una settimana”, così dicevano i veneziani riguardo alle leggi emanate dallo Stato, infatti, ecco che solo dopo quattro giorni dalla precedente disposizione, viene emanata la deroga, affinché si coniassero ancora piccoli ed il relativo ricavato venisse consegnato all'Arsenale per l'armamanto di cinquanta galere: + 1453 adì 22 settembre. De chomandamento de la serenissima Signoria, chomo referì ser Chonstantin de cha' Fantin noder a la Chanzelaria che, nonnostante la parte presa adì 18 settembre in Pregadi che non se podesse far pizoli da Veniexia chome in quella parte se Chontien, se debia chompir fino a la suma de libre 18.000 de pizoli da Veniexia per dar a l'Arsenal, chome se chontien in una parte presa adì 23 avosto del ditto milesimo in ditti Pregadi..... Ultimo atto che riguarda il piccolo con il leone rampante. Moneta che non verrà più coniata nei dogati successivi. saluti luciano Seguono foto
  3. Buona Domenica Non sappiamo se nei primi giorni di quel luglio 1429, i membri del Consiglio dei Pregàdi della Serenissima Repubblica di Venezia – così veniva chiamato il Senato della Repubblica – con le loro lunghe toghe rosse e raccolti nella sala posta al secondo piano del palazzo ducale, fossero oppressi da quella canicola umida che, generalmente, avvolge la città in questo mese. Certamente lo erano per le condizioni politiche, sociali ed economiche dello Stato. Venezia era in guerra e le finanze erano a zero. Pochi anni aprima, il 15 aprile 1423, era stato eletto doge, alla sola età di quarantanove anni, Francesco Foscari, già Procuratore di San Marco. Il Foscari era il personaggio di spicco tra i fautori della politica di espansione territoriale della Serenissima in Italia, necessità che nasceva dall'esigenza di garantire la sicurezza dello Stato in prima persona, senza avvalersi di alleanze con le signorie limitrofe che non davano affatto certezze di stabilità e più volte si erano dimostrate infide, facendo dei trattati sottoscritti, carta straccia. Era la persona giusta per questo scopo; era soprattutto giovane, di ottima presenza e di miglior eloquenza, aveva una mimica oratoria che, stando a quanto ci è stato tramandato dai contemporanei, incantava i convenuti; un vero istrione. Dalla sua elezione e per i successivi 34 anni del suo dogato, furono 34 anni di guerre che costarono a Venezia lunghi e penosi sacrifici, con le finanze in “sconquasso” e le cui conseguenze si trascinarono nel tempo. Il casus belli fu l'alleanza che venne siglata nel dicembre del 1425 tra Venezia e Firenze, già in guerra contro Filippo Maria Visconti; di fatto Venezia apriva un nuovo fronte che servisse ad indebolire Milano e le sue mire espansionistiche. Milano aveva già conquistato precedentemente Imola e Faenza e aveva esteso i suoi interessi a ridosso della Dominante; bisognava fermarla ora, senza alcun indugio. La guerra fu più volte interrotta da paci tanto effimere, quanto brevi; tra il 1425 ed il 1433 le battaglie si susseguirono e Venezia, alla fine, poteva aggiungere al suo dominio di terraferma il Bresciano, il Bergamasco e parte del Cremonese. Noi ci fermiamo qui, al 9 luglio 1429; parlare delle successive fasi della guerra ci porterebbe troppo lontano dal nostro tema. Il Papadopoli, nel suo libro “Le monete di Venezia”, ci dice che in questo giorno il Consiglio dei Pregàdi determinava che con il quarto di tutto l'argento che i mercanti vendevano a Venezia e che avevano l'obbligo di consegnare in zecca per farne moneta, si dovevano coniare i soldi nella forma usata e due nuove monete: l'una da due soldi (pari a mezzo grosso) e l'altra da 8 soldi (pari a 2 grossi); l'argento impiegato per tale produzione doveva essere suddiviso in uguale proporzione e cioè per 1/3 ciascuna. Veniva anche confermato che la lega delle monete, sia quelle nuove, sia la vecchia, doveva essere quella solita, tale per la quale 104 soldi fossero pari ad un ducato; si confermava altresì la produzione solita del grosso ad uso dei mercanti che lo utilizzavano in Levante. Il mezzo grosso, seppur col nome di mezzanino, era una moneta che la zecca veneziana aveva già coniato, anche se aveva caratteristiche differenti da quest'ultimo e l'ultima sua coniazione era avvenuta ai tempi del doge Andrea Dandolo (1342 – 1354); era quindi passato quasi un secolo e quella moneta era ormai sconosciuta ai tempi del Foscari, tant'è che non riprese nemmeno la vecchia denominazione; il grosso da otto soldi, chiamato grossone, era invece un nuovo conio che non aveva precedenti. Ma quali erano le motivazioni che avevano spinto Venezia a produrre le due nuove nonete? Sempre il Papadopoli scrive che le monete da uno, da due e da otto soldi erano state coniate perchè venissero spedite nei nuovi territori entrati a far parte del dominio, in particolare il bresciano ed il bergamasco, poiché quelle provincie erano invase da monete forestiere. Più esplicito quello che viene riportato nel “Capitolar dalle broche” - Giorgetta Bonfiglio Dosio, Bibliotheca Winsemann Falghera, Editrice Antenore Padova 1984: “De le sorascrite veramente tre sorte over qualittà de monede debia esser manda' mo' e de tempo in tempo a le parte bressiane e pergamesse quella quantitade, la qual serà deà de bexogno in numero dei denari, i qual de tempo in tempo serà mandadi per le page de le nostre ziente d'arme, aziò che quele monede rezeva chorso debito si per honor chomo utilitate nostra e contentamento de' sudditi nostri.” Analizzando le motivazioni scritte nel capitolare, possiamo evincere che le motivazioni erano più d'una, non solo quella addotta dal Papadopoli. Vogliamo scriverne? In particolare del “Grossone”, moneta da otto soldi veramente nuova nel contesto della monetazione veneziana; moneta che non si rifà a precedenti emessi e che solamente dopo quasi ottant'anni verrà nuovamente coniata, sotto il dogato di Leonardo Loredan (1501 – 1521), ma in un contesto sociale, economico e monetario drasticamente cambiato rispetto a quello in essere al tempo del Foscari. Intanto posto qualche immagine...... saluti luciano
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