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  1. I bronzi di San Casciano dei Bagni visti da vicino, tra Etruschi e Romani Visti da vicino i bronzi di San Casciano dei Bagni mostrano tutta la loro forza di fede e speranza, verso il soprannaturale e verso le guarigioni, offerta ed ex foto, preghiera stessa in lega di bronzo, carichi di suggestioni e di informazioni importantissimi sugli etruschi e il loro contatto con i romani In mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino a giugno 2024 (dal 14 febbraio)
  2. Il Salotto del GAAm - "Mondi Etruschi meno conosciuti: Etruria Padana" Quarto appuntamento del nostro Salotto dedicato agli Etruschi - 18 Marzo 2021 In questo ultimo incontro del ciclo Etrusco la dott.ssa Cristiana Battiston ci accompagna alla scoperta di quei luoghi del nord Italia che non si associano immediatamente alla cultura etrusca, ma che in realtà ne fanno parte.
  3. Vel Saties

    La Stele di Auvele Feluskes da Vetulonia

    Tesori Etruschi della Toscana | La Stele di Auvele Feluskes Alla scoperta del capolavoro nascosto nel Museo Civico Archeologico «Isidoro Falchi» di Vetulonia in compagnia dell’etruscologo Giuseppe M. Della Fina Un particolare della riproduzione grafica della Stele di Auvele Feluskes. Vetulonia, Museo Civico Archeologico «Isidoro Falchi» Giuseppe M. Della Fina | 27 novembre 2023 | Castiglione della Pescaia (Gr) Nella Sala A del Museo Civico Archeologico «Isidoro Falchi» di Vetulonia è presente una stele che ricorda Auvele Feluskes, un personaggio vissuto durante il VII secolo a.C.: il segnacolo funerario è databile, infatti, nell’ultimo quarto di quel secolo. Si tratta di una stele che riesce a illustrare le caratteristiche della società etrusca in decenni centrali per il suo sviluppo. Conosciamo i tempi e i modi del ritrovamento avvenuto nel 1894. Essi sono ricordati da Isidoro Falchi, il medico condotto appassionato di archeologia a cui si deve l’identificazione di Vetulonia, e da Luigi Adriano Milani, direttore del Regio Museo Archeologico di Firenze (oggi Museo Archeologico Nazionale), in una relazione pubblicata sulla rivista «Notizie degli Scavi di Antichità» nel 1895. Falchi ricorda che, scavando sul Poggio alle Birbe, fu localizzato, tra la casetta Bambagini e la «via del piano» (o «dei sepolcri»), «un grande ammasso di pietre piccole informi, che sembrava costituissero un cumulo regolare». Nel proseguo delle ricerche, il cumulo di pietre si rivelò «una tomba a circolo grandissimo di pietre ritte», al cui interno si rinvenne una «pietra grandissima e pesantissima», che «si mostrava pel circolo con una sua punta all’esterno fra i pruni e i cespugli del bosco». Lo scopritore denominò la tomba come «del Guerriero», o «della stele figurata». Il corredo funerario era stato già sconvolto e gli scopritori segnalano soltanto «frammenti di bucchero baccellati» e «fittili a grande anse intagliate». Rinvennero anche un piccone antico in ferro. La stele attrasse subito l’interesse degli studiosi soprattutto per l’iscrizione etrusca incisa su tre dei suoi lati: il destro, il sinistro e l’inferiore. Un’iscrizione difficile da leggere per lo stato di conservazione e sulla quale, da allora, si sono confrontati numerosi studiosi di epigrafia etrusca giungendo a conclusioni divergenti in alcuni dettagli significativi. Va segnalato subito che essa inquadra la figura di un guerriero intento a incedere verso sinistra: la testa è sormontata da un elmo di tipo corinzio simile ad alcuni che sono stati rinvenuti, dotato di un cimiero e di un paranaso; il corpo è nascosto da un grande scudo rotondo decorato da una rosetta a sei petali; le gambe sono raffigurate nude e prive di schinieri nell’atto di camminare (di marciare, verrebbe da scrivere); i piedi sempre nudi poggiano sul terreno da cui sorge un virgulto vegetale proprio tra le gambe del guerriero. L’uomo ha in mano una doppia ascia, intorno ad essa si è discusso a lungo: per alcuni rappresenterebbe il simbolo del potere militare di cui l’uomo era investito; per altri si tratterebbe invece di un’effettiva arma da combattimento. Il contesto sembrerebbe rendere la prima ipotesi più plausibile. Va segnalato che la stele è solo incisa e precede cronologicamente di poco altre rese a leggero rilievo e, di qualche decennio, quelle a pieno rilievo che sono datate tra il primo e il secondo quarto del VI secolo a.C. L’interesse dell’iscrizione è notevole e, senza entrare nel dibattitto che l’ha caratterizzata e la caratterizza, va segnalato che ricorda un personaggio di nome Auvele Feluskes. Paolo Poccetti nel 1999 ha proposto di riconoscere nel gentilizio (Feluskes) il ricordo dell’etnico dei Falisci. Per Adriano Maggiani, che ha realizzato un nuovo apografo dell’iscrizione nel 2007, anche il prenome (Auvele) trova un confronto nell’agro falisco. Ci dovremmo trovare così di fronte a un italico, a un uomo d’arme confrontabile, sempre nell’ipotesi di Maggiani, con Avile Tite a Volterra, Larth Ninies a Fiesole, i Vipiennas a Vulci e Lars Porsenna a Chiusi seppure in un’epoca più recente e con un successo ancora maggiore. Si potrebbe aggiungere anche Larth Cupures a Orvieto. Tutti personaggi che riuscirono a scalare la società del loro tempo grazie alle doti militari e alla capacità politica e, nel caso di Porsenna, a lasciare un segno importante nella storia etrusca. C’è un aspetto ulteriore da evidenziare nella stele rinvenuta a Vetulonia: si ricorda anche il matronimico di Auvele Feluskes, quindi non solo il nome del padre, ma anche quello della madre, una Papanai, a suggerire il ruolo sociale diverso avuto dalla donna nella società etrusca rispetto ad altre del mondo antico. Chi aveva dedicato la stele? Per alcuni epigrafisti un membro della famiglia; per Maggiani, che legge il nome del dedicante come Hirumina Phersnainas, un personaggio non legato a lui da legami di sangue, ma da vincoli di altro tipo, di «etaireia» o di «philìa», in quanto suo compagno di arme o erede politico. https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/tesori-etruschi-della-toscana-la-stele-di-auvele-feluskes/144239.html
  4. «Oggi viviamo nell’ossessione della visibilità. Gli Etruschi invece costruivano non per gli occhi degli uomini» È dedicato agli archeologi «custodi di ogni fine» il film «La Chimera» in cui la regista Alice Rohrwacher, attraverso le devastazioni dei tombaroli, racconta la sua passione per il passato e per il mondo etrusco con cui ha convissuto fin da bambina https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/-oggi-viviamo-nell-ossessione-della-visibilit-gli-etruschi-invece-costruivano-non-per-gli-occhi-degli-uomini-/144266.html Un fotogramma di «La Chimera» (part.) Giuseppe M. Della Fina | 29 novembre 2023 | Orvieto (Tr) Incontro Alice Rohrwacher in un caffè, a Orvieto. Due giorni prima avevo visto il suo nuovo film «La Chimera», appena uscito nelle sale cinematografiche e presentato già al Festival di Cannes e alla Festa del Cinema di Roma. Un film difficile da riassumere, dove una serie di personaggi differenti tra loro per cultura, estrazione sociale e valori vanno alla ricerca di una personale felicità, che può essere assicurata dal denaro per alcuni, o dalla creazione di uno spazio di vita dignitoso, o, ancora, dalla ricerca di una persona amata e perduta per altri. Tra i protagonisti principali Josh O’Connor (Arthur), Isabella Rossellini (Flora) e Carol Duarte (Italia): una parte significativa è interpretata da Alba Rohrwacher e, come sempre nei suoi film, sono presenti anche attori non professionisti. Fanno da sfondo i paesaggi dell’antica Etruria e mi è tornata alla memoria un’affermazione di Stendhal in Rome, Naples et Florence (1826), che mi ha colpito: «Mi sento indignato contro i Romani, che vennero a turbare, senz’altro titolo del coraggio feroce, quelle repubbliche d’Etruria che erano loro tanto superiori per le belle arti, per le ricchezze e per l’arte di essere felici». Ricerca della felicità ed Etruria sembrano collegate da un filo sottile. Nel film sono altri ad andare a turbare le «repubbliche d’Etruria»: due bande di tombaroli diversamente inserite nel mercato che commercia antichità. Non essendo un critico cinematografico, ma un archeologo, la nostra conversazione si è indirizzata soprattutto sul rapporto con il passato, più o meno remoto, ricorrente nella produzione della regista. In «Lazzaro felice» (2018), ad esempio, arriva addirittura a farlo convivere con il presente nelle scene iniziali del film immaginando un ambiente restato fuori dalla contemporaneità. Quale funzione affida al passato nei suoi film? Tutti i miei film sono legati al tema del passato, cosa fare con il passato: sono fatti di tracce, resistenze, reminiscenze e oblii. Vivendo in un Paese come l’Italia, è un ragionamento imprescindibile. Spesso ci si rivolge al passato cancellandolo o cristallizzandolo: è difficile trovare qualcuno che abbia un rapporto vitale con esso. La ricerca è convivere con il passato senza esserne schiacciati e trovarvi una radice comune, che consenta d’immaginare il futuro. Un futuro non solo come un luogo dove costruire, ma anche come luogo dove custodire. Il mondo degli Etruschi ritorna nei suoi film: un popolo che non ha avuto sinora grande attenzione da parte del cinema se si escludono alcuni horror. La loro civiltà viene richiamata già in «Le meraviglie» (2014), denunciandone con forza e ironia lo sfruttamento mediatico/turistico, e torna ora in «La Chimera». Quando e come ha incontrato quel mondo lontano nel tempo? In «Le meraviglie» è presente la commercializzazione dell’idea di mondo etrusco, mentre in questo ultimo film parlo proprio del traffico dei loro oggetti meravigliosi. Sono cresciuta in un angolo di terra tra Umbria, Lazio e Toscana, in una terra intrisa dall’eredità di questo popolo e, sin da piccola, mi sono chiesta quali fossero i pensieri e le sensazioni delle persone che avevano abitato quei luoghi prima di me. Non era soltanto un’idea astratta: sapevo che i tracciati, le strade, le cavità, le alture che osservavo erano state vissute già da altri e non potevo ignorarlo. Durante la mia infanzia mi sono imbattuta anche nei profanatori di questo mondo etrusco. Tombaroli che, di notte, andavano «ad aprire» le tombe per rubarne i «tesori». Ero incredula, non solo per il fatto che derubavano la nostra memoria collettiva e privavano quegli oggetti di una storia con le loro azioni, ma anche per il motivo che quegli oggetti erano stati depositati come dono per le anime e non capivo con quale tracotanza si potessero rubare e vendere. Qual è il messaggio della civiltà etrusca che più le interessa? Se penso al mondo di oggi, credo che il messaggio più contemporaneo sia l’idea che un popolo costruisca con cura e fatica oggetti non per gli occhi degli uomini. Costruire per l’invisibile, per le anime, è qualcosa che adesso a stento possiamo immaginare: oggi viviamo nell’ossessione della visibilità, addirittura se facciamo una torta dobbiamo farla vedere a tutti! Sicuramente confrontarci con una civiltà che ha dato tanta cura alle anime è una vertigine. La sensazione che la civiltà etrusca mi trasmette è un legame forte tra i vivi e i morti e quindi tra il presente e il passato. Il protagonista è un archeologo inglese in crisi esistenziale, quasi alla deriva, con doti di rabdomante e il film è dedicato «agli archeologi custodi di ogni fine». Quale immagine ha di questo mestiere? Questo film nasce da un amore per l’archeologia, anche se narra le vicende di devastatori del patrimonio archeologico, ma a volte, per esprimere l’amore verso qualcosa occorre metterne in luce la fragilità. Un patrimonio non minacciato solo dai tombaroli, ma anche dall’incuria e dall’abbandono. Nel film vediamo necropoli piene di spazzatura, umiliate dalla plastica e dal degrado. La scoperta più importante ad opera della banda di tombaroli è quella di un santuario sotto una centrale a carbone. Non ho esagerato nella rappresentazione, sono tutte impressioni che scaturiscono dall’osservazione attenta della realtà. In un mondo scandalizzato dai tombaroli, senza destare scandalo una centrale venne costruita su un sito archeologico e ancora oggi questo scempio continua. I tombaroli quindi profanano un mondo già profanato, sono figli della loro epoca. Mi sembrava importante inserire le loro malefatte all’interno di un contesto sociale e politico, far capire che pur sentendosi dei liberi «predatori», in realtà sono solo ingranaggi al servizio di un sistema economico. Ma torniamo all’archeologia. Gli archeologi mi sembrano tra i pochi che al giorno d’oggi si dedichino alla cosa più importante che ci sia, la cura di tutto ciò che abbiamo lasciato alle spalle. Ho dedicato loro il film in quanto «custodi di ogni fine», perché è proprio la ricerca archeologica che ci fa capire che nulla è per sempre, le civiltà finiscono e dobbiamo sempre tenerlo a mente. Se fossimo tutti più attenti all’archeologia, ci soffermeremmo di più non sulle cose da fare, ma su quelle che vorremmo lasciare dopo di noi, per gli archeologi di domani.
  5. Finito lo scavo. Ecco com’erano perfettamente le tombe etrusche dell’altopiano delle Onde marine di Cerveteri Lo scavo esterno @ Nucleo Archeologico Antica Caere odv Si scende verso l’accesso della camera sepolcrale @ Nucleo Archeologico Antica Caere odv La porta della tomba @ Nucleo Archeologico Antica Caere odv Cerveteri, 11 dicembre 2023 -Encomiabile il lavoro che consente di vedere le antiche tombe etrusche, dopo l’asportazione del terreno franato nei secoli. L’opera, con massima attenzione e con il controllo del terreno rimosso, viene svolta a Cerveteri dal Nucleo Archeologico Antica Caere odv e dal Lucumone onlus presso Necropoli Etrusca della Banditaccia. E’ di queste ore l’annuncio del “completamento del lavoro di ripulitura della tomba n.2349 e inizio del lavoro presso dromos esterno tomba n.2350, settore ellenistico altipiano Onde Marine. I lavori di ripulitura sono a cura dei volontari del Nucleo Archeologico Antica Caere odv e de Il Lucumone onlus, con il supporto della Dott.ssa Gilda Benedettini e sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio Etruria Meridionale. L’area diventa sempre di più interessante e affascinante dal punto di vista monumentale e architettonico”. @ Nucleo Archeologico Antica Caere odv @ Nucleo Archeologico Antica Caere odv Per giungere qui, bisogna dirigersi a Cerveteri, poi verso la Banditaccia e proseguire per le ondulazioni dell’altopiano delle Onde marine. Il paesaggio è meraviglioso. Il culto della vita eterna e della certezza dell’immortalità dell’essere diviene un viaggio gioioso. Si scava verso l’accesso della sepoltura. Immagine scattata dal Nucleo Archeologico Antica Caere e dal Lucumone onlus Nella camera sepolcrale di una tomba del III-IV secolo a.C. con il Nucleo Archeologico Antica Caere e del Lucumone onlus Con badili si rimuove attentamente il terreno che si è accumulato nei secoli. Nella camera sepolcrale, là sotto, dopo la scala, rocce blu occhieggiano tra la malta, come lacerti di un cielo sereno. La necropoli della Banditaccia – che comprende l’area oggetto di ulteriore indagine – è una necropoli etrusca, afferente all’antica città di Caere, sita su un’altura tufacea a nord-ovest di Cerveteri, in provincia di Roma. Caere (detta anche Caisra o Cisra in etrusco) era un’antichissima città dell’Etruria meridionale (nel Lazio moderno), la cui fondazione risalirebbe al XIV secolo a.C., sorgeva sul luogo dell’attuale Cerveteri. Fu fondata dai Pelasgi (così i Greci dell’età classica indicavano le popolazioni preelleniche della Grecia) con il nome di Agylla. Fu chiamata Kyšryʼ dai Fenici e Caere vetus dai Romani. Da qui il nome Cerveteri. La necropoli si estende per circa 400 ettari e vi si trovano molte migliaia di sepolture (la parte recintata e visitabile rappresenta soli 10 ettari di estensione e conta circa 400 tumuli), dalle più antiche del periodo villanoviano (IX secolo a.C.) alle più “recenti” del periodo ellenistico (III secolo a.C.). La sua origine va ricercata in un nucleo di tombe villanoviane nella località Cava della Pozzolana, e il nome “Banditaccia” deriva dal fatto che dalla fine dell’Ottocento la zona viene “bandita”, cioè affittata tramite bando, dai proprietari terrieri di Cerveteri a favore della popolazione locale. Vista la sua imponenza, la Necropoli della Banditaccia è la necropoli antica più estesa di tutta l’area mediterranea. Le tombe a tumulo che sono generalmente le più antiche – dal VII secolo a. C. – hanno grandi dimensioni e al loro interno sono organizzate come una dimora etrusca dell’epoca. Sono caratterizzate da una struttura tufacea a pianta circolare con un corridoio (dromos) che dà accesso alle varie stanze. Nel V secolo a.C. le tombe a tumulo furono sostituite da quelle “a dado”. Quest’ultime consistono in una lunga schiera di tombe allineate regolarmente lungo vie sepolcrali. Nella parte visitabile della Necropoli della Banditaccia ci sono due di queste vie, via dei Monti Ceriti e via dei Monti della Tolfa, risalenti al VI secolo a.C.. Le sepolture più “recenti” sono del III secolo a.C., periodo dell’ellenizzazione etrusca. La sepoltura più rappresentativa di questo periodo risulta essere la “tomba dei Rilievi”, risalente al IV secolo a.C. e appartenuta alla famiglia dei Matunas. La tomba scavata ora sull’altopiano appartiene a questo periodo. https://stilearte.it/finito-lo-scavo-ecco-comerano-perfettamente-le-tombe-etrusche-dellaltopiano-delle-onde-marine-di-cerveteri/
  6. Cremona Statuetta etrusca in bronzo ritrovata in un campo di Grontardo Il consigliere Bolsi: «La conferma è arrivata dal direttore del museo archeologico di Cremona, Marina Volontè, e dai suoi colleghi» La statuetta riovata e una veduta aereadi Grontardo GRONTARDO - Tracce della civiltà etrusca tra i campi attorno a Grontardo. La scoperta è avvenuta tempo fa grazie al ritrovamento di una statuetta di bronzo, rinvenuta in modo casuale da un cittadino che ha poi contattato il consigliere di maggioranza e responsabile della biblioteca di Grontardo Manuel Bolsi per l’identificazione del manufatto, risultato autentico e attribuibile all’antica popolazione italica che ebbe epicentro nell’odierna Toscana. Dall’antica Etruria, nel periodo di massima espansione, i ‘rasènna’ (come loro stessi si definivano, ndr) arrivarono a occupare territori del nord e centro Italia, basti pensare alla fondazione di Felsina, l’odierna Bologna, nel VI secolo a.c., la principale città dell’Etruria padana. L’offerente etrusco, la piccola statua in bronzo trovata a Grontardo «Sono stato contattato qualche tempo fa da un compaesano – spiega lo stesso Bolsi - che ha per caso intravisto questo piccolo oggetto, alto circa 9 centimetri, in un campo attorno al nostro paese. Una volta a casa l’onesto cittadino, che vuole rimanere anonimo, ha capito che si trattava di un oggetto particolare per forma, dimensione e materiale». E così è partita la procedura che ha portato ad identificare la statuetta come un reperto dei culti religiosi della civiltà etrusca. «Quando mi è stata portata la statuetta ho capito che poteva appartenere alla civiltà etrusca e la conferma è arrivata dal direttore del museo archeologico di Cremona, Marina Volontè, e dai suoi colleghi». L’oggetto è stato identificato come ‘l’offerente’, tipico dell’arte votiva della religione etrusca risalente al secondo o terzo secolo avanti Cristo. «Tutti i passaggi sono stati fatti secondo legge e dopo aver contattato il museo archeologico abbiamo interpellato anche la Sopraintendenza che, nella persona del funzionario competente per il nostro territorio Nicoletta Cecchini, ci ha permesso di tenere il manufatto in zona per poi consegnarlo al museo di Cremona dove troverà definitiva collocazione a breve». La scoperta, decisamente interessante, ha portato con sé anche altri quesiti riguardanti la provenienza della statuetta o il modo in cui è arrivata nel luogo del ritrovamento. Manuel Bosi «L’offerente, così come viene chiamata questa figura, è tipico della religiosità etrusca e dei riti che venivano compiuti. Ce ne sono centinaia esposte nei musei etruschi, il più famoso è a Bologna. Ma nel nostro territorio è davvero singolare. È stata ritrovata in un campo arato in una zona che corrisponde al confine di una centuria romana della prima centuriazione, ovvero quella del secondo secolo avanti Cristo che ospitò centinaia di coloni latini del centro Italia reimpiantati in queste zone. L’ ipotesi più accreditata, e che spero trovi conferma, è che sia traccia di questo passaggio anche perché sappiamo che gli etruschi si spinsero fino a Mantova nella loro espansione». Si tratterebbe dunque di un vero e proprio ritrovamento archeologico e non certo di un oggetto rubato e buttato nel campo. «Mi sento di scartare quest’ultima ipotesi anche perché, in caso, sarebbe stato più semplice, viste le dimensioni, piazzarla in qualche mercatino. E se fosse stato rubato l’avremmo certamente saputo. Credo invece che questo fatto possa essere interessante e soprattutto possa solleticare la curiosità degli addetti ai lavori per una ricerca storiografica più approfondita». Ovviamente bocche cucite sul luogo del ritrovamento, per evitare che curiosi o cacciatori di reperti arrivino a frotte magari muniti di metal detector. Sarà interessante capire se vi saranno ulteriori sviluppi, quantomeno per verificare se il piccolo bronzo non sia solo un ritrovamento occasionale ma faccia parte di un sito etrusco tutto ancora da scoprire. https://www.laprovinciacr.it/news/cronaca/428686/statuetta-etrusca-in-bronzo-ritrovata-in-un-campo-di-grontardo.html
  7. Pyrgi. Per me luogo del cuore. Il sito, forse, in tutto il mondo che mi ha fatto decidere di diventare archeologo. Una nuova conferenza del ciclo "CHI (RI)CERCA TROVA. I professionisti si raccontano al Museo". 8 incontri con esperti e studiosi che aprono il mondo della ricerca alla conoscenza e alla fruizione del grande pubblico e sono rivolte a curiosi, studenti e specialisti di ogni età, a cura dei Servizi educativi del Museo di Villa Giulia. Venerdì 17 novembre alle ore 16 Laura Maria Michetti ci ha raccontato le ricerche su Pyrgi e Spina, "porti gemelli" sui due mari, il Tirreno e l'Adriatico. Un parallelo e un confronto offerto anche dal percorso espositivo della mostra temporanea "Spina etrusca a Villa Giulia. Un grande porto nel Mediterraneo", visitabile dal 10 novembre al piano nobile del Museo. Il controllo dei commerci marittimi esercitato dagli Etruschi, la “talassocrazia” che nelle fonti antiche si intreccia con la “pirateria”, si è fondata sulla presenza di porti strutturati attraverso i quali le metropoli etrusche hanno proiettato sul mare i propri interessi economici e la possibilità di entrare in contatto con le diverse realtà culturali del Mediterraneo. Pyrgi, porto di Caere (Cerveteri) e sede di un grande santuario sul Tirreno e Spina sull’Adriatico hanno assolto alla funzione di porte sui due mari, consentendo un rapporto privilegiato con il mondo greco. Laura Maria Michetti è Professoressa associata di Etruscologia e Antichità italiche alla Sapienza Università di Roma e nella stessa università e coordinatrice del curriculum di Etruscologia del Dottorato in Archeologia e direttrice del Museo delle Antichità etrusche e italiche. Membro ordinario dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici, dal 2016 dirige la missione di scavo presso il porto e il santuario etrusco di Pyrgi. La sua attività di ricerca è incentrata principalmente sull’archeologia del sacro, sul rapporto tra città e territorio in Etruria, sulle produzioni artigianali e gli aspetti del rituale funerario nell’Italia preromana.
  8. IL SEPOLCRO ETRUSCO DI SIGLIANO La ricostruzione di una tomba ipogea etrusca con video e modelli 3D interattivi Gironzolando per il web ho incrociato queste risorse ad opera del CNR. La tecnologia non è affatto nuova tant'è che anche io all'epoca della mia tesi ne feci uso per ricostruire delle forme ceramiche uniche rinvenute durante lo studio e per restituire l'ipotesi generale di un'area produttiva di laterizi in una villa rustica della bassa lombarda La finalità del progetto condotto dai ricercatori del CNR sul sepolcro etrusco di Sigliano è stata quella di proporre un percorso di interazione fra cultura umanistica e saperi scientifico-tecnologici, per la conoscenza del patrimonio archeologico e per l’accessibilità dei beni e delle loro storie ad un ambito di fruitori più ampio di quello degli specialisti. Il progetto presentato comprende un video a carattere narrativo/didattico, realizzato in computer graphics, sulla ricostruzione di una tomba ipogea di età ellenistica nella zona di Chiusi, oggi scomparsa. Inoltre propone la ricostruzione virtuale dell’ambiente, la scansione 3D dei pezzi sopravvissuti, la modellazione e il restauro virtuale del corredo. Nella pagina con la descrizione del progetto, si trovano il video, immagini del lavoro svolto, i 4 modelli 3D interattivi delle urne e il 3D interattivo dell’elmo, pre-post restauro, link a bibliografia e pubblicazioni. Video in computer animation che descrive una tomba etrusca in localita' Sigliano, Umbria, oggi andata perduta. Il video utilizza modelli 3D basati su scansione dei corredi funebri rimasti, e ricostruzione dagli appunti di scavo. Computer animation video describing a now destroyed etruscan tomb located near Sigliano, Umbria. The video uses 3D models coming from 3D scanning of remaining artifacts, and reconstructed from excavation documents. Un progetto del Laboratorio Visual Computing, ISTI-CNR, Pisa A work by Visual Computing Laboratory, ISTI-CNR, Pisa
  9. Un breve excursus per appassionati e neofiti.
  10. ARES III

    La Latona di Veio

    RESTAURI / La Latona di Veio “svela” i suoi segreti. E il pubblico potrà assistere in diretta Al via al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma) il cantiere di restauro della statua della Latona di Veio, eccezionale scultura in terracotta policroma risalente al 510-500 a.C. Appartenente al gruppo del santuario di Portonaccio, era collocata sul colmo del tetto del Tempio assieme alle statue dell’Apollo, di Eracle e di Hermes. Il cantiere sarà realizzato direttamente nella sala 40 del Museo che ospita il gruppo scultoreo di Portonaccio, offrendo al pubblico la straordinaria opportunità di assistere in diretta a tutte le operazioni. (foto: ©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia) Al via il restauro “aperto” della Latona di Veio (foto: ©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia) Al via al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma) il cantiere di restauro della statua della Latona di Veio, opera “identitaria” e tra le più rappresentative del Museo. L’eccezionale scultura in terracotta policroma, risalente al 510-500 a.C., appartiene al gruppo del santuario di Portonaccio ed era in origine collocata sul colmo del tetto del Tempio assieme a quella – celeberrima – dell’Apollo e a quelle di Eracle e di Hermes. La celebre Latona di Veio (foto: ©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia) Un intervento di restauro, quello iniziato in questi giorni, quanto mai necessario, reso possibile grazie alla partnership culturale con Carbonetti e Associati Studio Legale che ha deciso di sostenere economicamente l’intervento conservativo di questa opera così delicata che fu restaurata oltre 60 anni fa, alla metà degli anni ’50 del XX secolo. All’epoca, l’opera fu riassemblata in decine di differenti frammenti. Oggi appare, quindi estremamente lacunosa e bisognosa di numerose reintegrazioni a completare i panneggi, ma, soprattutto, la zona delle spalle e del collo, al fine di riposizionare correttamente il volto e la nuca. Il restauro “in diretta” (foto: ©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia) L’intervento sarà effettuato dal restauratore Sante Guido che ha restaurato in passato anche le statue di Apollo e di Eracle, appartenenti al medesimo gruppo scultoreo, e coordinato dal Servizio per la Conservazione del Museo, responsabile dott.ssa Miriam Lamonaca. Il cantiere di restauro sarà realizzato direttamente nella sala 40 del Museo che ospita il gruppo scultoreo di Portonaccio. Una straordinaria opportunità per il pubblico, quella di assistere in diretta a tutte le operazioni di restauro: dalla campagna fotografica digitale “ante operam” a quella diagnostica per identificare la natura degli ossidi metallici e/o dei pigmenti utilizzati e la composizione dell’argilla, dalle indagini radiografiche alle scansioni 3D che saranno effettuate anche sulle altre sculture veienti: Apollo, Ercole e Hermes. E poi partiranno gli interventi diretti sull’opera che prevederanno oltre alla pulitura superficiale e alla rimozione del vecchio protettivo, un delicatissimo intervento di risistemazione della zona del collo e del mento per mezzo di rimodellazione localizzata. 19 maggio 1916: una scoperta sensazionale Il momento della scoperta delle statue (foto: ©Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia) L’avvio del restauro si colloca a ridosso di una data molto significativa per il Museo e per la storia dell’archeologia. “Il 19 maggio 1916 – si legge nel comunicato diffuso dal Museo Etrusco – è infatti proprio la data dell’eccezionale ritrovamento del gruppo scultoreo in terracotta che coronava la sommità del tempio di Portonaccio nella famosa città etrusca di Veio (oggi in buona parte coincidente con il territorio del Comune di Roma in prossimità di Isola Farnese). La scoperta destò grande attenzione di pubblico. L’Italia era in guerra e il recupero dei reperti – ad opera di Giulio Quirino Giglioli – aveva avuto un effetto beneaugurante anche sulle sorti belliche della Nazione. La scoperta rivoluzionò le conoscenze fino ad allora acquisite sull’arte degli Etruschi ed ebbe una straordinaria influenza sulla cultura e l’immaginario contemporanei. Molti artisti, di fatti, trassero ispirazione dalle sculture veienti anche grazie al loro perfetto stato di conservazione e all’eccezionale policromia che dopo duemilacinquecento anni ancora le caratterizzava, quasi fossero state appena realizzate. L’Apollo, in particolare, incantò tutti ed entrò sin da subito nella rosa dei capolavori universali, opera di un maestro anonimo che nello stesso periodo dovette essere chiamato a Roma da Tarquinio il Superbo per la decorazione del tempio della triade capitolina sul Campidoglio, come attestano diverse fonti letterarie”. Nizzo: “Opportunità imperdibile per il pubblico” “106 anni fa – ricorda il direttore del Museo Nazionale Etrusco, Valentino Nizzo – venivano alla luce le sculture del santuario di Portonaccio a Veio, capolavori senza eguali che hanno rivoluzionato le conoscenze e gli studi sull’arte del mondo etrusco. Celebrare l’anniversario di quella scoperta con l’avvio del cantiere di restauro ci sembra quantomai doveroso e siamo felici che Carbonetti e Associati Studio Legale abbia accolto fin da subito il progetto, dimostrando che il sostegno al patrimonio culturale non possa prescindere dalla sensibilità e dall’impegno della comunità in cui il Museo vive e opera”. “Sentivamo il dovere di dare un contributo al recupero del nostro patrimonio culturale, come già ci è capitato più volte a supporto di ricerche e iniziative in ambito sanitario e scientifico. Lo facciamo perché ci crediamo: essere parte integrante e promotrice di questo momento così cruciale è una diretta conseguenza dello spirito che ha da sempre contraddistinto Carbonetti e Associati – spiega il prof. Francesco Carbonetti, fondatore dello Studio legale – e inorgoglisce tutti i nostri colleghi sapere di aver dato fattivo aiuto alla conservazione e valorizzazione di un gioiello del grande tesoro pubblico italiano”. “La scelta di collocare il lancio del cantiere nella Giornata Internazionale dei Musei rafforza il messaggio promosso quest’anno dall’ICOM a livello mondiale: il potere dei musei nella società e il valore delle relazioni con il territorio per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale”, conclude Nizzo. Ma non è tutto. “Se i musei hanno il potere – si legge nella nota diffusa dal Museo – di trasformare il mondo attorno a noi, come ci ricorda l’ICOM nel promuovere l’International Museum Day del 18 maggio, è con questo spirito che il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia intende costruire una comunità attraverso l’educazione, sostenendo progetti e accogliendo iniziative in collaborazione con le scuole del territorio. Grazie al progetto di PTCO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’Orientamento) “Racconti ad Arte”, gli studenti di diversi licei romani hanno potuto raccontare il Museo con un ruolo attivo e partecipativo”. Mercoledì 18 maggio, giorno non a caso scelto per la presentazione del restauro, gli studenti del Liceo Tasso hanno dunque messo in pratica le conoscenze acquisite partecipando attivamente all’organizzazione di una visita guidata destinata ai loro coetanei. Ad accompagnare la visita, una piccola orchestra della scuola che ha suonato sotto l’emiciclo alcuni brani classici per la gioia dei visitatori. Per informazioni e visite: www.museoetru.it Fonte: Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia https://storiearcheostorie.com/2022/05/19/restauri-la-latona-di-veio-svela-i-suoi-segreti-e-il-pubblico-potra-assistere-in-diretta-foto-video/
  11. ARES III

    Nuova necropoli etrusca a Vetulonia

    Il sepolcreto, non censito nella Carta archeologica , si trova in località Poggio Valli, a sud-ovest di Castiglione della Pescaia. Risale all’età orientalizzante e arcaica (VII-VI secolo a.C.) e presenta sepolture appartenenti a svariate tipologie, da quelle a fossa a quelle con camera inserite all’interno di tumuli funerari. Nuova, importante scoperta archeologica nella provincia di Grosseto, a Vetulonia dove fra le necropoli facenti capo all’antica città etrusca è stato individuato pochi giorni fa un sepolcreto finora non censito nella Carta archeologica di Vetulonia di Doro Levi nel 1931. La scoperta è stata annunciata dall’amministrazione comunale in videoconferenza col convegno annuale dell’Archaeological Institute of America a New Orleans (Stati Uniti). Il nuovo sito è in località Poggio Valli, a sud-ovest di Castiglione della Pescaia: un’area ricca di vestigia etrusco-romane, riportate alla luce nell’800 dal medico archeologo Isidoro Falchi e distribuite lungo i versanti collinari, ma sovrastate nei secoli sia dagli abitati tardo-medievale sia in aree boschive e rurali dal manto fitto della vegetazione. Tali condizioni hanno determinato la scomparsa di numerosi monumenti funerari che attività recenti si sono ripromesse di individuare. La necropoli rivenuta adesso è un inedito “è rimasta finora sconosciuta”, ha spiegato all’Ansa il sindaco di Castiglione della Pescaia, Elena Nappi, “e si pone in linea di continuità con le vicine necropoli villanoviane dei siti di Colle Baroncio e delle Dupiane”. “Nella nuova necropoli è possibile individuare un processo di sviluppo della tipologia architettonica delle sepolture etrusche di età orientalizzante e arcaica (VII-VI sec. a.C.) – ha aggiunto il direttore scientifico del Museo Civico Archeologico “Isidoro Falchi” – MuVet Simona Rafanelli – che conduce dalle tombe a circolo di pietre che racchiudono una semplice fossa terragna, chiusa o aperta su un lato breve, localizzati sulla spianata sommitale del poggio, alle tombe con fossa rivestita da filari in blocchi di pietra sotto piccoli tumuli cinti da tamburo, fino alle tombe a camera vere e proprie, inserite entro alti tumuli con tamburo e accessibili mediante un corridoio di accesso”. La “vecchia” carta archeologica elaborata da Levi dovrà quindi essere aggiornata con il nuovo ritrovamento. La realizzazione della nuova Carta è stata peraltro già stata avviata dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo con il sostegno della locale associazione culturale archeologica “Isidoro Falchi”. https://storiearcheostorie.com/2023/01/19/archeonews-trovata-nei-pressi-di-vetulonia-una-necropoli-etrusca-finora-ignota/ Una nuova necropoli scoperta a Vetulonia riscrive le carte archeologiche Il sepolcreto di epoca etrusca in località Poggio Valli non era stato censito dall’archeologo Doro Levi nelle mappe del 1931 L’associazione culturale archeologica Isidoro Falchi Una scoperta che riscrive le carte archeologiche, suscitando stupore e curiosità tra gli esperti. A Vetulonia, nell’area archeologica in provincia di Grosseto, è riemersa dal passato una necropoli di cui si ignorava l’esistenza. Un ritrovamento importante, in località Poggio Valli, a sud-ovest di Castiglione della Pescaia. Il sepolcreto non era stato censito nella Carta archeologica di Vetulonia di Doro Levi nel 1931: mappa che ancora oggi è un riferimento prezioso. Ora, dopo il ritrovamento, si dovrà provvedere all’aggiornamento. L’area in cui è avvenuta la scoperta è ricca di vestigia etrusco-romane: furono portate alla luce nell’800 dal medico archeologo Isidoro Falchi. Fondamentale per il progetto, ancora in corso, la collaborazione con la SABAP-Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Arezzo e Grosseto e il sostegno dell’Associazione Culturale Archeologica Isidoro Falchi. “La nuova necropoli vetuloniese dispiegata lungo il Poggio Valli precedentemente sconosciuta – affermano il sindaco Elena Nappi e l’assessore al patrimonio Walter Massetti – che si pone in linea di continuità con le vicine necropoli villanoviane del Colle Baroncio e de Le Dupiane“. L’associazione culturale archeologica Isidoro Falchi durante gli scavi alla Domus dei Dolia a Populonia Le testimonianze archeologiche a Vetulonia Le testimonianze archeologiche, presenti lungo i versanti collinari, sono state soggette nel corso dei secoli a sovrapposizioni da parte di abitati tardo-medievali. In alcuni casi le vestigia del passato sono state ricoperte da aree boschive e da un fitto manto della vegetazione. Questo ha portato alla scomparsa di numerosi monumenti funerari: gli scavi archeologici degli ultimi anni si propongono di individuare tali realtà archeologiche. “Nella nuova necropoli è possibile individuare un processo di sviluppo della tipologia architettonica delle sepolture etrusche di età orientalizzante e arcaica (VII-VI sec. a.C.) – spiega il direttore scientifico del MuVet, il museo locale, Simona Rafanelli – che conduce dalle tombe a circolo di pietre che racchiudono una semplice fossa terragna, chiusa o aperta su un lato breve, localizzati sulla spianata sommitale del poggio, alle tombe con fossa rivestita da filari in blocchi di pietra sotto piccoli tumuli cinti da tamburo, fino alle tombe a camera vere e proprie, inserite entro alti tumuli con tamburo e accessibili mediante un corridoio di accesso“. L’annuncio in videoconferenza a New Orleans La scoperta ha già varcato i confini nazionali. L’amministrazione comunale ha dato l’annuncio in videoconferenza in occasione del convegno annuale dell’Archeological Institute of America a New Orleans negli Stati Uniti. “Abbiamo presentato agli addetti ai lavori di tutto il mondo che hanno partecipato al celebre meeting archeologico annuale americano” puntualizzano sindaco e assessore, ripercorrendo le tappe dell’aggiornamento della carta archeologica. La nuova carta archeologica in lavorazione Era il gennaio del 2018 quando Nappi e Massetti annunciarono, all’interno del Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma, l’avvio dei lavori per la realizzazione della nuova Carta archeologica. Un lavoro portato avanti in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo, con il sostegno della locale associazione culturale archeologica “Isidoro Falchi”. “La carta – sottolineano – vedrà la luce quasi a cento anni di distanza da quella di Doro Levi e tiene conto dei mutamenti verificatisi sul territorio comunale in questo lungo periodo e delle integrazioni sostanziali da apportare“. L’impegno per valorizzare Vetulonia Uno sforzo dell’amministrazione che “attesta ancora una volta il nostro costante impegno nella valorizzazione del patrimonio culturale di tutto il territorio compreso nei limiti del Comune castiglionese. Una valorizzazione a tutto tondo che passa attraverso esperienze come quella delle nuove scoperte di Vetulonia, divenuta volano culturale capace di riscrivere pagine fondamentali nel libro della storia del nostro territorio". https://www.intoscana.it/it/articolo/una-nuova-necropoli-scoperta-a-vetulonia-riscrive-le-carte-archeologiche/
  12. Gli archeologi scoprono una necropoli etrusca nel Campo dell’Arpia a Populonia. Le prime evidenze, i reperti Gli specialisti di Sostratos, in concessione, stanno scavando al Campo all’Arpia nel Parco Archeologico di Baratti (Populonia). Populonia è una frazione del comune di Piombino in provincia di Livorno. “Sono stati compiuti in questi giorni – dicono gli archeologi di Sostratos onlus – i primi importanti ritrovamenti durante lo scavo di quella che sembra una necropoli etrusco-ellenistica (fine IV – prima metà III secolo aC) in un ambito di una zona con sepolture più antiche arcaiche e tardo arcaiche. In particolare la Tomba 3 e 4 hanno reso reperti interessanti che dimostrano un tipo di sepoltura appartenente ad individui ancora appartenenti alla tradizione etrusca. Baratti, Campo all’Arpia, Tomba 3 – particolare del corredo @ Sostratos trust Baratti – Scavo ad opera di Trust Sostratos. Campo all’Arpia, Tomba 4 (fine IV-prima metà III secolo aC). Corredo composto da: due coppe a vernice nera tipo Petite estampilles, una coppetta miniaturistica a vernice nera, lekytos acroma, due brocchette acrome @ Sostratos Baratti, campo all’Arpia, Tomba 4: particolare del corredo @ Sostratos Il Parco Archeologico di Baratti e Populonia – all”interno del quale si svolgono gli scavi archeologi di questi giorni – comprende l’area dove sorgeva la città etrusca e romana di Populonia, nota fin dall’antichità per l’intensa attività metallurgica legata alla produzione del ferro. Populonia è un luogo di grande fascino, immerso in un paesaggio naturale unico. Dal mare del golfo di Baratti, su cui si affacciano le sepolture dei princìpi guerrieri, alla macchia mediterranea che nasconde incredibili tombe etrusche scavate nella roccia, fino a giungere sull’acropoli, con i suoi edifici sacri affacciati sulle isole dell’arcipelago toscano. Sostratos onlus si occupa di organizzazione e gestione di scavi archeologici, della loro conoscenza e divulgazione attraverso incontri, conferenze, mostre, scambi culturali e altre attività specifiche e sperimentali, in stretto rapporto con la comunità e con il mondo della scuola, dell’Università, della cultura e dell’associazionismo. Il Trust di Scopo Sostratos ONLUS è stato fondato nel 2014 dopo alcune esperienze dei promotori nel campo del finanziamento dell’attività di ricerca scientifica, in particolare di quella archeologica. La passione che anima i fondatori è sempre stata il motore che ha promosso l’attività del Trust che in questi anni si è proposto come una delle poche realtà italiane a fare del finanziamento della ricerca senza scopi di lucro un impegno continuo e senza riserve. I promotori del Trust sono liberi imprenditori che attingono dai propri patrimoni la base economica con cui il Trust si mantiene. La sede legale ed operativa è a Firenze. https://www.stilearte.it/gli-archeologi-scoprono-una-necropoli-etrusca-nel-campo-dellarpia-a-populonia-le-prime-evidenze-i-reperti/
  13. ARES III

    Nuova campagna di scavi nell'orvietano

    Dagli scavi dell'area archeologica di Coriglia emergono nuovi affascinanti tesori "Un tesoro di reperti che aiuta a comprendere meglio una civiltà misteriosa". È quello restituito alle porte di Castel Viscardo dalla 15esima campagna di scavi effettuati da mercoledì 24 maggio a martedì 27 giugno nel sito archeologico di Coriglia da una ventina di studenti americani del Saint Anselm College. Scavi, effettuati in concessione ministeriale, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria e in collaborazione con il Parco Archeologico Ambientale dell'Orvietano, che hanno portato in luce un nuovo ambiente, originariamente un bacino idrico poi adibito a luogo produttivo con la costruzione di una scala di accesso, trasformato, nel V secolo d.C., in un butto di materiale di scarto. Ma anche una moneta a scopo celebrativo, risalente all'epoca di Costantino, un pendaglio a forma di piccola anfora e numerosi frammenti di materiale ceramico che saranno ricostruiti in fase di restauro così da tornare integri, in tutto il loro splendore. "L'ultima campagna – spiega l'archeologa Silvia Simonetti, field director dello scavo – è stata funestata dal maltempo, eppure si è rivelata proficua in termini di scoperte". Presentate, come annunciato, non più tardi di lunedì 26 giugno a Monterubiaglio, in Piazza dello Statuto, nel corso della serata organizzata insieme alla Pro Loco che è servita anche a fare il punto sui ritrovamenti. Indagata inizialmente negli anni '90, l'area è stata soggetta con regolarità ad interventi di scavo dal 2006. Preziosa, in questo senso, la sinergia tra il Comune di Castel Viscardo e la Soprintendenza. "Un ringraziamento particolare – ha ribadito in questa occasione il sindaco, Daniele Longaroni – va ai ragazzi dell’Università St. Anselm, ai professori Claudio Bizzarri e David B. George, alla dottoressa Silvia Simonetti e all’équipe di lavoro americana e italiana, per l’attività che stanno portando avanti e che ci permette di valorizzare sempre di più il nostro territorio". Quello che da un quadro iniziale sembrava essere solo un insediamento di età romana, dovuto alla presenza dell’acqua si sta rivelando qualcosa di molto più complesso, legato alle vie di comunicazione presenti, con opere murarie che vanno dal periodo etrusco fino al XIV secolo d.C. Determinando un insediamento importante e duraturo nei secoli. Una scoperta che sottolinea l’estrema importanza che ha rivestito in passato il sito di Coriglia. Da non dimenticare neanche il ruolo infrastrutturale determinante che avrebbe potuto avere la Via Traiana Nova che avrebbe costeggiato il centro dell’odierna Monterubiaglio per poi scendere la vallata del Paglia. Proprio in località Tevertino sorgono le fondamenta di un ponte di epoca romana. Molti dei reperti emersi nelle precedenti campagne di scavo, compresi gli inediti arredi funerari della Necropoli Etrusca delle Caldane risalenti al VII-VI secolo, hanno dato vita alla mostra "Il Volto del Passato". Allestita al Museo Etnografico e del Cotto, quest'ultima ha trovato la collaborazione di numerosi enti e istituti di cultura, primi fra tutti Comune, Regione e Soprintendenza nell'ambito di un progetto più ampio finanziato con la misura Por Fers 5.2.1, programma quadro Aree Interne Sud Ovest Orvietano che ha visto prima di tutto la sistemazione in termini di accessibilità e fruibilità dell'area archeologica di Coriglia. Con i suoi importanti reperti, la mostra ha testimoniato la vitalità e la complessità del sito che ha conquistato rilievo negli studi. Limiti e confini sono ancora oscuri. Resta, infatti, moltissimo da scavare per arrivare ad una precisa identificazione sia delle dimensioni del luogo che del suo significato complessivo all'interno dello sviluppo della locale comunità. https://www.orvietonews.it/cultura/2023/07/01/dagli-scavi-dell-area-archeologica-di-coriglia-emergono-nuovi-affascinanti-tesori-103240.html
  14. Nuovi reperti dalla Necropoli di Crocifisso del Tufo. Recuperati buccheri e pezzi di antichi calici in ferro Nuove testimonianze del passato emergono dalla Necropoli Etrusca di Crocifisso del Tufo. I reperti, circa una dozzina tra buccheri e pezzi di antichi calici in ferro, sono stati rinvenuti nel corso dei lavori di restauro di una tomba nell'area Sud Ovest della necropoli, oggetto di un progetto di recupero e valorizzazione promosso dal Comune di Orvieto in sinergia con la Direzione Regionale Musei dell’Umbria e la Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio dell’Umbria. I resti, risalenti al 500 a.C. circa, sarebbero ciò che rimane del pesante saccheggio che l’area in questione della necropoli ha subito all'inizio del 1800. Il recupero dei reperti archeologici ha avuto un'inattesa, ma gradita vetrina dal momento che gli archeologi Paolo Binaco (nella foto) e Federico Spiganti, su incarico della direttrice dell'area, Lara Anniboletti, li hanno estratti proprio nel momento in cui si trovavano nella Necropoli di Crocifisso del Tufo le telecamere della trasmissione di Raiuno "Camper". La giornalista-archeologa inviata, Valentina Caruso, ha potuto così mostrarli in anteprima nel servizio andato in onda nella puntata di mercoledì 21 giugno e recuperabile a questo link. L'intervento di valorizzazione, finanziato con 200.000 euro con i fondi della Strategia dell’Area Interna Sud-Ovest Orvietano ha l’obiettivo di recuperare una parte della necropoli e renderla completamente fruibile al pubblico. Il progetto, redatto dall'architetto Simone Moretti Giani su indicazione scientifica della Direzione della Necropoli e di Luca Pulcinelli, funzionario archeologo della Sabap, interessa un’area demaniale di circa 115 metri quadrati dove si trovano sei tombe: cinque a camera e una a cassetta. "Dal passato di questa città – commenta il sindaco e assessore alla Cultura, Roberta Tardani – continuano ad emergere testimonianze della vita di oltre 2500 anni fa. Un patrimonio, quello archeologico, che vogliamo valorizzare attraverso gli interventi che si stanno portando avanti alla Necropoli di Crocifisso del Tufo, ma che interesseranno pure gli scavi del Campo della Fiera, di cui abbiamo recentemente approvato il progetto esecutivo anche questo finanziato con 200.000 euro dalla Strategia delle Aree Interne, con la finalità di rendere visitabile l’area del Fanum Voltumnae, il santuario federale delle città etrusche". https://www.orvietonews.it/cultura/2023/06/21/nuovi-reperti-dalla-necropoli-di-crocifisso-del-tufo-recuperati-buccheri-e-pezzi-di-antichi-calici-in-ferro-103043.html https://www.raiplay.it/video/2023/06/Camper--Puntata-del-21062023-4b7fff75-fb22-4907-9ad9-1cf9e594066f.html
  15. ARES III

    Restauro della statua di Latona

    Latona ci guarda di nuovo dall’alto nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Tuccio Sante Guido illustra il restauro della scultura che svettava in cima al Tempio di Portonaccio a Veio Il 19 maggio, giorno del ritrovamento nel 1916 dell’Apollo di Veio, saranno presentati i primi dati, ma sarà per le Giornate europee dell’archeologia (16, 17 e 18 giugno) che verrà esibita la Latona restaurata per la prima volta dopo la sua ricomposizione risalente a circa ottant’anni fa. Si completa così l’intervento sulle grandi sculture acroteriali del Tempio etrusco di Portonaccio a Veio dedicato a Menerva, che in origine vedeva sfilare 12 statue fittili sul colmo del tetto a doppio spiovente, ognuna sulla sua base di terracotta dipinta. La visione era dal basso, contro il cielo, ma la raffinatezza dei particolari di ogni singolo pezzo giunto fino a noi, nonostante la collocazione a 12 metri di altezza, impressionò da subito il mondo intero. Le storie sono tutte relative ad Apollo, e il probabile riconoscimento e interpretazione della scena, Latona, madre di Apollo, con il piccolo dio in braccio mentre tira con l’arco contro Pitone, derivano essenzialmente dai frammenti di una statua di serpente trovati in loco. Latona venne scoperta, a parte alcuni frammenti nel 1916, durante la campagna di scavi del 1939-40 che aveva diretto Massimo Pallottino. I circa 250 frammenti rinvenuti furono quindi rimontati e integrati dal restauratore Augusto Falessi, ma senza la testa che venne trovata anni dopo e integrata solo negli anni ’50, probabilmente in occasione del riallestimento del museo voluto dall’allora direttore Renato Bartoccini e affidato all’architetto Franco Minissi. La Latona di Veio in un allestimento storico Con il coordinamento di Miriam Lamonaca e il contributo dello Studio legale Carbonetti, il restauratore Tuccio Sante Guido, che ha già messo mano alle sculture di Eracle e Apollo, ha scelto di non smontare il restauro ormai storicizzato ma di riadattarlo per ovviare alle evidenti sproporzioni soprattutto della zona del mento troppo pronunciato e del collo troppo alto, che dava alla testa un’eccessiva inclinazione all’indietro. È stata rispettata la visione dal basso con cui le sculture furono ideate in origine, «il collo, spiega Sante Guido, è stato rilavorato in quattro fasi, e vari altri elementi sono stati rimodellati secondo forme e proporzioni desunte dall’Apollo, come il cadere delle trecce, di cui esistevano la parte bassa e gli attacchi, mentre prima i capelli erano solo abbozzati». La pulizia delle superfici, aggiunge Lamonaca, ha rivelato una differenziazione di colori più marcata, come per l’orlo della veste, che rende la figura molto più leggibile. E le pennellate ritrovate, che accompagnano le pieghe plastiche del mantello, insieme ai particolari del copricapo, restituiscono un intento pittorico sorprendente, un senso di morbidezza delle stoffe quasi assente nelle altre statue. Per quanto, come si deduce nel modo di modellare l’argilla, l’artista sia lo stesso: un seguace del geniale Vulca di una o due generazioni seguenti, identificato da Giovanni Colonna nel «Veiente esperto di coroplastica», a cui Tarquinio il Superbo commissionò la quadriga sul tetto del Tempio di Giove Capitolino inaugurato nel 508 a.C. La Latona di Veio dopo il restauro Le vecchie reintegrazioni a tinta neutra sono state tutte riqualificate a puntinato per una migliore lettura dell’opera, come nell’Apollo e nell’Eracle. «Non inventiamo nulla, precisa Sante Guido, tutto è perfettamente documentato ed è semplicemente ripreso o per simmetria o per completezza», nell’ottica di una concezione del museo che deve comunicare a tutti, non solo agli esperti. Latona, aggiunge il direttore del museo Valentino Nizzo, in futuro sarà rimontata su una delle basi originali in terracotta, oggi conservate all’Università «La Sapienza», da cui arriverà anche la base terminale sul frontone, l’unica decorata a nimbi, che probabilmente doveva reggere una figura emblematica come Zeus, di cui però non è rimasto nulla. Nizzo ha inoltre un sogno ambizioso, un progetto non ancora finanziato (9 milioni), elaborato con la Facoltà di Architettura dell’Università «La Sapienza», di riallestimento del museo e ricollocazione dei capolavori di Portonaccio «per ricreare, per quanto possibile, attraverso la rimozione di alcuni solai, l’originale effetto di visione dal basso, uno spaccato del tempio in asse visivo con il Sarcofago degli sposi (che presto sarà restaurato), e una pedana che consenta di girarci attorno». https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/latona-ci-guarda-di-nuovo-dall-alto-nel-museo-nazionale-etrusco-di-villa-giulia/142138.html Verrà restaurata la Latona del Tempio di Portonaccio Tra le più famose opere del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, la statua è un capolavoro della fine del VI secolo a.C «Latona con il piccolo Apollo in braccio minacciata dal serpente Pitone» (Fine VI secolo a.C). Era il 18 maggio 1916 quando le sculture di Eracle e Apollo tornarono alla luce dopo circa 2.500 anni con la loro policromia ancora perfetta, destando stupore e ammirazione nel mondo. Il gruppo fittile che decorava la sommità del tempio di Portonaccio a Veio dedicato a Menerva (corrispondente alla romana Minerva), tra le più famose opere del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, circa 15 anni fa è stato restaurato da Tuccio Sante Guido, che ora si dedicherà alla statua di Latona facente parte dello stesso complesso, rinvenuta in decine di frammenti decenni più tardi. Il restauro a cantiere aperto, reso possibile dal contributo dello Studio legale Carbonetti e coordinato da Miriam Lamonaca, partirà dalla pulitura delle superfici; quindi rimodellerà le parti mancanti integrate alla metà degli anni ’50 in forme non corrette, che offuscano i tratti gentili della dea: in particolare la parte dalle spalle al mento, con il collo troppo lungo e sottile rispetto alle proporzioni della statua, la mascella troppo pronunciata, i capelli solo accennati; e si concluderà con una reintegrazione cromatica, per favorirne la lettura. L’intervento, abbastanza delicato, sarà preceduto da una lunga serie di indagini diagnostiche tra cui fotografie a luce radente, a infrarossi e ultravioletti per analizzare le superfici, radiografie per capire la natura della struttura metallica interna, una scansione in 3D che si estenderà anche alle sculture di Apollo, Eracle e Hermes. La Latona con il piccolo Apollo in braccio minacciata dal serpente Pitone è un capolavoro assoluto dell’arte etrusca della fine del VI secolo a.C, opera di un maestro anonimo che subito dopo sarà chiamato da Tarquinio il Superbo per decorare il più grande tempio di Roma, quello della Triade Capitolina sul Campidoglio. «Finalmente, sottolinea il direttore del museo Valentino Nizzo, si avvia un cantiere che volevamo partisse fin dal primo giorno del mio insediamento qui a Villa Giulia». https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/verr-restaurata-la-latona-del-tempio-di-portonaccio/139511.html
  16. ARES III

    Teste di Kainua

    Teste votive di terracotta emergono dall’area sacra della città etrusca di Kainua a Marzabotto Saranno presentate il 16 febbraio alle 17.30 alla Biblioteca di Marzabotto – Bologna – le scoperte della campagna di scavi che si è svolta nella città etrusca di Kainua, situata nel territorio comunale di Marzabotto. Lo annuncia il Museo nazionale etrusco della cittadina emiliana. Elisabetta Govi, professoressa di Etruscologia ed antichità italiche all’Università di Bologna, parlerà di “Kainua. La campagna di scavo 2022 e gli ultimi ritrovamenti”. “In questa occasione – spiegano gli studiosi del Museo etrusco – verranno illustrati i risultati dell’ultima campagna di scavo dell’estate 2022 che ha visto importanti ritrovamenti utili a definire ancora meglio il ruolo dell’antica Kainua nel contesto etrusco-padano. Novità importanti riguardano la configurazione monumentale del santuario della dea Uni di cui sono emerse strutture imponenti che consentono di ricostruire il paesaggio sacro della città. Inoltre la scoperta di un deposito votivo ha portato alla luce testimonianze importanti delle pratiche svolte dagli abitanti, tracce di azioni rituali tra le quali spiccano teste votive in terracotta di pregevole fattura” Una delle teste votive emerse nel corso degli ultimi scavi @ Università di Bologna/ Museo nazionale etrusco di Marzabotto Kainua fu fondata nel VI sec. a.C. nel corso del generale riassetto economico e politico dell’intera Etruria padana, fortemente incentrato sullo sfruttamento della Valle del Reno come via commerciale. “La scelta del sito fu sicuramente determinata dalle condizioni favorevoli che offriva il pianoro; collocato in prossimità del fiume Reno e circondato da colline, un luogo in cui l’approvvigionamento idrico era garantito dalla presenza di una ricca falda d’acqua a limitata profondità. – spiegano gli archeologi dell’Università di Bologna – Nella seconda metà del secolo (Fase II) sembrano potersi collocare le tracce di un abitato con una compiuta organizzazione e grandi potenzialità economico-commerciali; lo dimostrano i resti di edifici domestici, santuariali ed impianti artigianali oltre ai materiali rinvenuti in questi contesti, testimoni dell’elevato livello culturale della comunità etrusca stanziata sul pianoro. Tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. (Fase III) la città viene rifondata (Kainua la “nuova”), mediante un atto rituale che risistemò urbanisticamente il precedente impianto dandogli un assetto definitivo e più rispondente ai principi della fondazione Etrusco ritu”. Agli inizi del IV sec. a.C. la calata dei Celti determinò la fine della città etrusca. In seguito all’occupazione da parte di un nucleo di popolazione gallica, la città venne perse la propria identità urbana, divenendo una sorta di avamposto militare. “Il nome etrusco della città (Kainua) – annotano gli archeologi dell’Università di Bologna – è stato recentemente dedotto grazie al fortunato rinvenimento di un fondo di coppa recante l’iscrizione: kainuaϑi. La desinenza -ϑi della parola indica che il termine è declinato al caso locativo, al fine di indicare il nome di un luogo (kainua appunto) che è stato riconosciuto come il nome etrusco della città. La terminazione -ua della parola avvicina questo termine ad altri poleonimi (nomi di città n.d.r.) etruschi come Mantua, Genua, Addua, Padua e Berua. La radice kain- della parola sembrerebbe poi avvicinabile all’aggettivo greco kaniòs/kainòn, che significa “nuovo”. Il nome Kainua verrebbe così a significare “la nuova”. “Ad uno sguardo d’insieme emerge l’esistenza di un vero e proprio piano urbanistico, elaborato teoricamente e applicato concretamente sul terreno al momento della rifondazione della città. – sostengono gli studiosi dell’Università di Bologna – Questo risulta imperniato su quattro principali assi stradali larghi 15 metri (chiamate plateia A, B, C e D), che incrociandosi ortogonalmente suddividono l’area dell’abitato in 8 porzioni definite regiones. Queste risultano poi ulteriormente ripartite in isolati (insulae) da una rete di strade minori di larghezza 5 metri; all’esterno dell’area abitativa si trovano poi l’acropoli, dislocata su una piccola altura a nord-ovest e due necropoli, a nord ed est dell’abitato”. “Se dunque l’aspetto dell’impianto urbano risulta fortemente avvicinabile alle esperienze magnogreche, la sua rigorosa orientazione secondo i punti cardinali presuppone un’impostazione diversa, tipicamente etrusca, e volta a costituire la città come una proiezione terrestre dell’ordine celeste; il templum. A questo va aggiunta la presenza sull’acropoli di strutture architettoniche che possono essere interpretate come sede di un rito funzionale alla fondazione della città e al tracciamento delle sue infrastrutture. Sulla base di queste osservazioni è stato possibile ricostruire in maniera puntuale lo svolgimento del rituale di fondazione; la forma urbana di Kainua-Marzabotto corrisponde infatti alla figura che collega i punti estremi delle albe e dei tramonti del sole al solstizio d’inverno e d’estate. Nel corso del rito in questi punti vennero deposti dei cippi, iscritti con una croce e orientati secondo i punti cardinali (decussis); quello principale, risulta visibile ancora oggi sul campo, al centro esatto dell’antica città”. https://www.stilearte.it/teste-votive-di-terracotta-emergono-dallarea-sacra-della-citta-etrusca-di-kainua-a-marzabotto/
  17. ARES III

    L'Ercole etrusco di Posada

    A testimoniare l'influenza etrusca in Sardegna la statuetta dell'Ercole di Posada, rinvenuto nell'omonimo paese, una scultura etrusco-italiota che farebbe pensare alla presenza degli Etruschi nell'antica "Feronia". Nessun documento prova con certezza la fondazione di colonie etrusche in Sardegna ma di sicuro gli scavi portati avanti in Toscana e nel Lazio hanno rivelato l’esistenza di rapporti profondi di tipo commerciale tra nuragici ed etruschi. Perché questo commercio tra loro? Prima di tutto perché entrambe le regioni erano ricche di miniere e poi perché era facile, per ragioni geografiche, approdare in Sardegna. A testimoniare l’influenza etrusca in Sardegna la statuetta dell’Ercole di Posada, rinvenuto nell’omonimo paese, una scultura etrusco-italiota che farebbe pensare alla presenza degli Etruschi nell’antica “Feronia”. Oggi la statuetta si trova a Cagliari, al Museo Archeologico Nazionale. La statuetta di Eracle Nel 1923 fu ritrovata presso Posada una statuetta in bronzo (attualmente esposta al Museo Archeologico di Cagliari), alta circa 30 cm, raffigurante un Eracle di tipo italico, databile secondo gli studiosi ad un periodo compreso tra la metà del V ed i primi decenni del IV secolo a.C. (figg. 1-2). Eracle è raffigurato nudo, stante, con la gamba sinistra leggermente avanzata. Dall'avambraccio sinistro pende la grande leontè (figg. 3-4). Il pezzo è stato identificato come proveniente da una fabbrica campana e la sua presenza potrebbe essere ricollegata alla fondazione, in prossimità di Posada, di un insediamento romano-etrusco (Feronia?) avvenuta proprio nella prima metà del IV secolo. La dedica della statuetta potrebbe essere stata effettuata dai mercenari campani assoldati dai Cartaginesi per reprimere la rivolta dei Sardi nel 387 a.C. https://virtualarchaeology.sardegnacultura.it/index.php/it/siti-archeologici/eta-medievale/castello-della-fava/reperti/3574-la-statuetta-di-eracle
  18. Dal cantiere delle Maestre Pie spunta una necropoli etrusca Via Montello, la scoperta nel cortile interno dell’istituto: sono già emerse 40 tombe del VII secolo a. C.. Le suore, proprietarie dell’area, al primo ritrovamento hanno avvisato la Soprintendenza archeologica Al primo colpo di benna dell’escavatore, ne è stata scoperta una manciata. Ora, dopo quasi 4 mesi di scavo archeologico, sono ben 40 le tombe etrusche del VII secolo a.C. rinvenute nel cortile interno della Scuola Maestre Pie di via Montello. Quaranta, al momento, le sepolture trovate, ma non è ancora detto che questa sia la cifra finale. Uno scavo ricchissimo e che sarà oggetto di attenti studi. Tutto è cominciato quando le suore, proprietarie della Scuola, decidono di costruire, nell’area interna al loro istituto, un nuovo edificio. Progetti, permessi: tutto fila liscio. Siccome il Piano urbanistico generale mette il bollino rosso alla zona a causa dell’alto potenziale archeologico, il Comune gira l’incartamento alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara per il semaforo verde. Via IV Novembre, ben a conoscenza della presenza di necropoli etrusche dalla metà dell’VIII secolo a.C. in zona, interviene con un saggio preventivo nel cortile. Et voilà: cinque le tombe scoperte di primo acchito. Stop immediato ai lavori, differiti alla conclusione delle indagini, e apertura dello scavo archeologico, tuttora in corso. "È molto verosimile ipotizzare che in quell’area vi sia un’alta concentrazione di sepolture sia a incinerazione sia a inumazione", spiega Sara Campagnari della Soprintendenza. Incinerazione e inumazione sono, dunque, le due tipologie di sepoltura: nella prima, il corpo cremato viene messo in un’urna, il cinerario; nella seconda, viene seppellito direttamente nella tomba con o senza cassa lignea. "Nella fase storica corrispondente a questa necropoli che, nella storia etrusca, viene definita orientalizzante – precisa Campagnari –, rileviamo una prevalenza di incinerazioni. Verso il quinto secolo, la tendenza s’inverte". Uomini o donne: non si evidenzia una prevalenza né degli uni né delle altre. Tutti sono, però adulti. Tranne forse "una incinerazione di bambino". Piccola curiosità: "Le tombe, in alcuni casi, si sovrappongono all’interno dello spazio della necropoli". Da qui si deduce "che fosse una necropoli molto frequentata e utilizzata in un ristretto arco di tempo"; di piccola o media grandezza, ma con un buon corredo funerario. Gli archeologi hanno rivenuto di tutto: dai vasi ai piattelli impilati fino ai coltelli, alle tracce di stoffe o agli accessori come le fibule a drago. Tipici delle sepolture femminili, i rocchetti e le fusaiole. "Queste tombe – puntualizza la funzionaria della Soprintendenza – non appartengono a persone di spicco, bensì a coloro che, paragonate ai nostri tempi, potrebbero essere caratterizzati da uno status medio. Ciò significa di un buon livello". Al punto che in molte sono state trovate tracce del rituale funerario "che presuppone una certa ‘disponibilità economica’", poiché richiede libagioni e ceramiche ad hoc. https://www.google.com/amp/s/www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/dal-cantiere-delle-maestre-pie-spunta-una-necropoli-etrusca-1.7553596/amp
  19. ARES III

    Monetazione di Tarquinia

    Buon pomeriggio Avrei bisogno di un aiuto: non avendo con me ne il Catalli ne il Vecchi, qualche anima pia potrebbe farmi il grande favore di allegare le foto con le datazioni e i dati delle monete etrusche di Tarquinia? Lo so che abbiamo un riferimento ma necessiterei dell'intera serie. Lo so che è una scocciatura, ma c'è qualcuno che potrebbe e vorrebbe farlo? Grazie mille. PS: dopo la partita si intende.
  20. ARES III

    La spiaggia di Baratti

    La spiaggia di Baratti è un luogo, oltre che bellissimo dal punto di vista turistico, anche molto interessante per quello che riguarda la storia etrusca. Come molti sapranno quasi limitrofi alla spiaggia ci sono delle monumentali tombe di epoca etrusca, ma le varie mareggiate degli ultimi anni, oltre ad erodere la spiaggia, ci hanno aiutato a scoprire delle nuove sepolture etrusche proprio sulla spiaggia. L'alluvione a Baratti rivela sulla spiaggia una tomba misteriosa SEMBRAVA un intervento come altri, di risistemazione della cosiddetta ‘falesia' di Baratti dopo gli smottamenti seguiti all'alluvione dello scorso novembre. Non nuovi, nella zona archeologica di Populonia, dove agli esperti capita fin troppo spesso di lavorare immersi nel fango, lottando con il continuo affioramento di acqua marina o di falda, l'erosione del bagnasciuga, nonché lo sciacallaggio dei tombaroli più o meno professionali. Ma questa volta c'è stata una sorpresa: lì, sulla spiaggia, accanto alla grande tamerice di Baratti, nella località chiamata Ficaccio, la frana ha fatto emergere una intera porzione di necropoli. Una dozzina di tombe cosiddette "a pozzetto", dove venivano calate in verticale le urne con le ceneri o i resti dei corpi, subito, però, apparse ancora più antiche di quelle etrusche, e cioè di era villanoviana, databili intorno al IX secolo a.C, fra la fine dell'età del bronzo e la prima età del ferro. «Non c'era da perdere tempo» racconta Andrea Camilli, il funzionario della soprintendenza archeologica della Toscana responsabile dell'area di Baratti- Populonia che ha diretto gli scavi, «non avevamo finito di scoprirle, che l'acqua le stava già sommergendo di nuovo. Per metterle in sicurezza, e non esporle alle ruberie abbiamo lavorato anche di notte». E fra le tombe tornate alla luce nei giorni scorsa, una è balzata agli occhi: una sepoltura a fossa "del tutto anomala", dove, contrariamente alla tipica usanza di Populonia, il corpo, anzi i corpi - due, di sicuro appartenenti a due bambini o ragazzi di 10 o al massimo 12 anni non solo erano sepolti in orizzontale, ma erano uno sopra all'altro, supini, e entrambi contenuti dentro due vasi accostati per le bocche (del diametro di circa 40 centimetri), uno con dentro piedi e parte delle gambe, l'altro con i busti e le teste. Altra eccezionalità, lo straordinario, ricchissimo corredo di gioielli che accompagnavano i due morti, fibule a disco, un pettorale di catenine di bronzo, fibule con pendenti d'argento, collane con perle d'ambra: «Per l'epoca - spiega l'archeologo una sepoltura di una ricchezza fuori del comune». I due ragazzi, probabilmente – il cui sesso andrà ora stabilito delle analisi di laboratorio – appartenevano a una famiglia altolocata, ma saranno gli studi storico-antropologici a determinare il loro gruppo di appartenenza. Non è detto, infatti, che si trattasse di autoctoni. «Data la natura dell'insediamento di Populonia - osserva Camilli - città fin dall'inizio rivolta ai commerci, ai rapporti con l'estero, multietnica e multiculturale, è probabile che provenissero da fuori» tanto più che nella stessa zona, in riva al mare, intorno a un santuario, dal VII secolo verrà formandosi una piccola necropoli di ‘stranieri'. In particolare, la ‘strana' sepoltura dei due ragazzi, oltre alle caratteristiche di alcuni dei loro monili, fanno pensare che fossero sardi, giovani esponenti di quella civiltà nuragica con cui gli studi hanno provato che Populonia ebbe intensi contatti. «Una scoperta - dice Camilli, che avrà grande importanza per la datazione e lo studio delle origini della città etrusca». https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/12/lalluvione-a-baratti-rivela-sulla-spiaggia-una-tomba-misteriosaFirenze17.html
  21. ARES III

    Recuperato un bronzetto etrusco

    Recuperata un’antica e preziosa scultura in bronzo. Importante operazione a cura dei carabinieri di Udine, che hanno recuperato un’antica e preziosa scultura in bronzo. I miti narrano che Cluso, figlio di Tirreno o di Telemaco, fondò l’antica città di Chiusi, centro molto popolato sin dall’età della pietra. Il re Porsenna e la sua tomba labirintica raccontata da Plinio il Vecchio, il coinvolgimento con i Romani nella guerra contro Annibale, la colonia militare di Silla, sono solo alcune delle soste che la Storia ha fatto in questo territorio, che vede oggi il ritorno di un bronzetto di II secolo a.C., opera di un artigiano locale dell’epoca, rubato in epoca imprecisata nel corso dell’ennesimo scavo clandestino. La Figura maschile orante con patera, dell’altezza di 15 centimetri, sarà consegnata il 1° ottobre al Museo Nazionale Etrusco di Chiusi dal Comandante del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Udine, maggiore Lorenzo Pella, alla presenza del Direttore Regionale Musei della Toscana, Stefano Casciu, del Sostituto Procuratore della Repubblica di Udine, Elena Torresin, e della locale Direttrice, Maria Angela Turchetti. Il bronzetto, di eccezionale pregio e rarità, fa parte di una serie di esemplari limitati che derivano da una matrice a fusione unica, alcuni dei quali esposti nei musei d’Oltreoceano. Le indagini hanno accertato che il prezioso manufatto, del valore di mercato di 80.000 euro, è stato prima commercializzato in Friuli e poi, dal 1998, da un antiquario in Veneto. Nel corso degli anni, l’opera passa tra le mani di proprietari diversi, dal Friuli al Veneto e viceversa. Nel febbraio del 2019 viene infine individuata dai Carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale di Udine sul sito web di un’attività antiquariale friulana. In seguito alle verifiche effettuate in collaborazione con il Museo Nazionale Etrusco di Chiusi, la Procura della Repubblica di Udine emette decreto di sequestro dell’opera. La collaborazione tra i militari e il museo continua a rivelarsi fruttuosa: le analisi tecnico-scientifiche (microscopia ottica, analisi stilistica e comparazione con altri reperti della collezione museale) riconducono la produzione del bronzetto al territorio di Chiusi in epoca etrusca. Le indagini condotte dai Carabinieri, tuttora in corso, portano alla denuncia di due esercenti per ricettazione e mirano a risalire alla filiera criminale. Circostanze curiose riguardano questo bronzetto e due esemplari simili: nel n. 1° del “Bollettino delle opere d’arte trafugate” a cura del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, un manufatto gemello figura tra le opere da ricercare, riconducibile al furto più importante subito dal Museo di Chiusi, avvenuto nel 1971. In quella occasione furono trafugati anche altri beni archeologici, parte dei quali è stata individuata nei decenni successivi in varie collezioni italiane e statunitensi. Ancora, un terzo bronzetto ellenistico, riconosciuto quale oggetto di furto perpetrato nel 1988, è stato restituito dall’Inghilterra all’Italia nell’ottobre 2018. https://www.friulioggi.it/cronaca/preziosa-scultura-etrusca-bronzo-carabinieri-udine-30-settembre-2020/
  22. Legio II Italica

    Specchio delle mie brame........

    Anche se il giorno della Festa della Donna e' stato ieri 8 Marzo , dedico questo post alle donne che frequentano il Forum , ieri purtroppo non mi e' stato possibile scriverlo . Chi non ricorda fin dai tempi dell' infanzia la matrigna di Biancaneve che nella celebre fiaba interpella il suo specchio magico per sapere chi sia la più bella del reame ? Credo tutti i maschietti e in particolare le femminucce , la ricordino . Si conosce nelle donne la vanita' e la ricerca continua della bellezza , compiacimenti personali tipicamente femminili che fino a quando non fu possibile osservare le proprie fattezze riflesse allo specchio , che agli inizi fu possibile solo tramite un metallo lucidato , risultarono praticamente impossibili da ammirare . Nell' antichita' le donne etrusche vivendo in un ambiente altamente civile e dove avevano un rango sociale alla pari con gli uomini , cosa che nell' antichita' risulto' essere scandaloso agli occhi di altri popoli , Romani compresi , furono in questo senso delle privilegiate e poterono dedicare parte del tempo ad abbellire il volto e altre parti del corpo con unguenti , colori naturali e creme ; naturalmente non tutte le donne etrusche potevano permettersi uno specchio , ma per quelle di estrazione aristocratica lo specchio era un normale attrezzo ad uso personale . Uno dei piu' famosi specchi etruschi che purtroppo , come tanti altri oggetti etruschi sparsi nei Musei di mezzo mondo , si trova a Londra presso il British Museum frutto di scavi probabilmente clandestini avvenuti nel secolo XIX a meta'circa dell' '800 ; lo specchio in questione e' lungo 31 centimetri e con il diametro riflettente di 15 centimetri , lo specchio per donna e' attribuito ad un artigiano di grande abilita' che viene denominato “Maestro di Canu” , fu trovato vicino Bolsena , prodotto in bronzo da una officina locale ed e' databile al III secolo a.C. Vicino i due personaggi centrali si trovano le didascalie che li identificano come Cacu e Artile , mentre sulla corona esterna dello specchio compaiono le scritte in etrusco Caile Vipinas e Aule Vipinas con riferimento alle due figure armate . Il tutto si presenta come un' opera artistica di altissima qualita' realizzativa . In foto un disegno dello specchio descritto , non sono riuscito a trovare una foto dell' originale conservato a Londra . Altri due specchi etruschi nello stato reale .
  23. Salve a tutti amici del forum! Oggi vi propongo un vero enigma che mi fà passare le notti insonni da quando ero bambino... Durante una vacanza in toscana un signore, vedendo la mia passione per l'archeologia, mi regalò questo manufatto dicendomi che era un sigillo etrusco..ora ho 34 anni e vi giuroche ho cercato dappertutto senza arrivare ad una conclusione! Vi illustro nel dettaglio di che si tratta: Peso 28 gr circa, diametro 26mm e spessore max di 6 mm la lega mi sembra bronzo. Al dritto reca quelle che sembrano quattro coroncine messe a croce ed al centro c'e incisa una specie di "D" o " CI"... Il rovescio sembra abbia un busto abbozzato ma potrebbe essere solo un'impressione! Sono anni che cerco di decifrarlo!! HELP!!!?
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