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La battaglia di Adrianopoli, la débâcle di Roma
Vel Saties ha aggiunto un nuovo link in Storia ed archeologia
La battaglia di Adrianopoli, la débâcle di Roma https://www.storicang.it/a/battaglia-di-adrianopoli-debacle-di-roma_16436 Il 9 agosto del 378 l’esercito romano sotto il comando di Valente affrontò un contingente goto vicino ad Adrianopoli. Il risultato fu il peggior disastro militare della storia di Roma, in cui trovò la morte lo stesso imperatore Dopo la morte di Giuliano l’Apostata, nel 363, una nuova dinastia ascese al trono imperiale di Roma: i Valentiniani. Il primo di loro, Flavio Valentiniano, era un cristiano proveniente dalla Pannonia (nell’attuale Ungheria), di origine umile, ma appartenente a una prestigiosa casta militare. Dopo la sua nomina a imperatore, nel 364 affidò al fratello Flavio Giulio Valente l’impero romano d’Oriente. Entrambi si dedicarono a riorganizzare le difese sulle frontiere per contrastare la crescente pressione dei popoli “barbari” che vivevano oltre il Danubio; pressione che, agli occhi di molti romani, stava mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell’impero. Nel 375 Valentiniano era impegnato lungo la linea del Danubio a combattere le popolazioni suebe dei quadi, che da un lato compivano scorrerie nelle ricche province della Pannonia e della Mesia, e dall’altro avevano reagito alla costruzione di fortificazioni romane sui loro territori e all’uccisione a tradimento del loro capo, Gabinio, avvenuta durante un banchetto con i romani. Mentre si trovava nella fortezza di Brigetio (l’attuale Komárom, in Ungheria) l’imperatore ricevette una delegazione di quadi venuta a proporre la pace. Ma, secondo quanto riferisce lo storico Zosimo (VI secolo), il loro tono arrogante provocò la collera di Valentiniano, tanto che «il sangue gli salì alla bocca e gli bloccò le arterie della voce. Morì». Il Sarcofago grande Ludovisi (III sec.) mostra una vittoria dei soldati romani sui barbari. Museo nazionale romano a palazzo Altemps, Roma Foto: Scala, Firenze La morte di Valentiniano diede una nuova spinta ad altri popoli del Danubio. Fra questi, il più importante era quello dei goti o gutoni, getici o geti per i romani. Originari del Nordeuropa, secondo lo storico Giordane erano emigrati verso il mar Nero, colonizzando antichi territori sciiti. Nel corso del II e IV secolo i goti avevano effettuato continue incursioni violente nelle province romane, finché nell’anno 369 il fratello di Valentiniano, Valente, aveva stretto un patto di non aggressione con Atanarico, re dei tervingi (come erano detti alcuni goti all’epoca). In breve però la situazione era tornata nuovamente instabile a causa della pressione esercitata dagli unni, un nuovo popolo proveniente dalle steppe. Gli unni avevano conquistato ampi territori e messo in fuga altri popoli barbarici – sarmati, alani, goti grutungi –, che si erano spostati verso il limes romano. Promesse infrante Nel 376 gruppi di tervingi sotto il comando dei re-guerrieri Alavivo e Fritigerno – diversi da quelli sotto il controllo di Atanarico – ottennero dall’imperatore di potersi insediare all’interno dell’impero come popoli “federati”, cioè vincolati da un patto militare di mutua assistenza e alcuni diritti economici in cambio di un’autonomia finanziaria e amministrativa. Furono, anzi, i primi popoli “federati” dei romani a insediarsi all’interno dei loro confini. Non sappiamo quanti fossero, ma in ogni caso si trattava di popolazioni bellicose che viaggiavano con le loro famiglie, cavalli, bestiame, averi e carri di legno, e vivevano di ciò che potevano comprare o depredare dai villaggi da cui passavano. Di certo, l’esodo dei goti verso le loro nuove terre fu costellato di ogni tipo di difficoltà. Per diversi giorni e notti essi cercarono di attraversare il Danubio, stipati su navi, barche e zattere, ma molti affogarono. Inoltre, di fronte a una così grande pressione demografica, le autorità romane non riuscirono a garantire adeguati approvvigionamenti e anzi approfittarono della situazione disperata in cui si trovarono i goti. Secondo le parole dello storico contemporaneo Ammiano Marcellino, «la loro insidiosa avidità fu causa di tutti i mali: infatti, per tralasciare alcuni delitti commessi dai summenzionati capi o comunque, con il loro permesso, da altri per motivi abietti contro quegli stranieri che stavano arrivando e che in quel momento non s’erano macchiati di nessuna colpa, si narrerà un fatto triste ed inaudito da cui un giudice non potrebbe in alcun modo assolversi neppure se egli stesso fosse il reo. Poiché i barbari, che erano stati trasferiti, soffrivano per la scarsità di cibo, quei comandanti odiosissimi escogitarono un turpe commercio e, raccolti quanti cani poté mettere assieme d’ogni parte l’insaziabilità, li diedero in cambio di altrettanti schiavi, fra i quali si annoveravano anche i figli dei capi». Nominato imperatore d’Oriente il fratello Valente, Valentiniano si trasferì a Treviri per combattere i barbari e rinforzare i confini Foto: Thomas Robbin / Age Fotostock Gli ufficiali romani che dovevano scortarli verso la loro destinazione, impegnati a procurarsi donne, bambini e schiavi, non confiscarono le armi dei goti, condizione che Valente aveva stabilito per farli entrare nell’impero. I goti si stabilirono vicino a Marcianopoli (in Tracia, oggi in Bulgaria), dove risiedevano il comandante Anfilio Massimo e il comes rei militaris (comandante in capo della Tracia) Flavio Lupicino. Il malcontento s'impossessò presto dei nuovi arrivati, a cui si aggiunse un altro contingente di goti grutungi che erano stati esclusi dal patto con Valente e che erano riusciti a superare il limes approfittando del fatto che le truppe romane erano impegnate nel trasferimento dei loro compagni. Di fronte a una situazione ogni giorno più tesa, Flavio Lupicino invitò a un banchetto Alavivo e Fritigerno, con l’intenzione di catturarli come ostaggi. Fu allora che i goti che si trovavano fuori dalla città si ribellarono, uccidendo numerosi romani. Fritigerno si offrì di placare i propri compatrioti, e così riuscì a salvar loro la vita; Alavivo, invece, fu assassinato. Da quel momento, i rifugiati goti iniziarono il saccheggio della Tracia, trucidandone gli abitanti. Gli ufficiali romani, corrotti, non confiscarono le armi dei goti, come l’imperatore Valente aveva prescritto La reazione dell’impero Le autorità romane reagirono rapidamente per cercare di placare la rivolta. Valente spostò delle truppe dal confine persiano e dalla Pannonia alla Tracia, ottenne rinforzi dal nipote Graziano, che era il nuovo imperatore d’Occidente, e potè così intraprendere la campagna di sottomissione dei bellicosi goti. Il suo esercito subì un’umiliante sconfitta a pochi chilometri da Marcianopoli, contro un contingente di diversi popoli barbari che, come racconta Ammiano Marcellino, combatterono insieme. L’imperatore dovette inviare nuovi rinforzi ed egli stesso partì da Costantinopoli per assumere personalmente il comando delle operazioni. Arrivato a Nicea, Valente venne informato che i goti che si trovavano nei dintorni di Adrianopoli e nelle vicine Beroea e Nicopoli erano fuggiti sotto la pressione dell’esercito imperiale. Egli si diresse allora verso Adrianopoli, risoluto ad affrontare definitivamente i goti. Impaziente di ottenere una vittoria che credeva di facile portata, non volle aspettare i rinforzi inviati da Graziano né quelli delle legioni di Marcianopoli e Durostorum (l’attuale Silistra, in Romania). Si preparò così ad affrontare la grande confederazione di goti, unni, sarmati, alani e disertori romani che si erano uniti a loro, tutti sotto il comando di Fritigerno, Alateo e Safrace. Gli informatori rassicurarono Valente del fatto che i nemici non superavano il numero di 10mila, un errore di valutazione che sarebbe risultato fatale per l’imperatore. Solido d’oro con il ritratto dei due imperatori Valentiniano e Valente, che per 12 anni condivisero il governo dell’impero. 367. Museo civico, Bologna Foto: Bridgeman / Aci I romani contavano soprattutto sulla fanteria, che combatteva con spada lunga (spatha), cotta di maglia (lorica hamata) e giavellotto (pilum), mentre i barbari si affidavano in modo particolare alla cavalleria, esperta nell’utilizzo di mazza, arco, fionda e frecce con punte di ferro o di osso affilato. Di fatto, la distinzione fra le truppe di una o dell’altra parte non era assoluta. Infatti, i romani potevano contare anche su truppe ausiliarie di cavalleria di origine barbara, mentre i goti e i loro alleati disponevano di spade e di lance conquistate ai romani. Il 9 agosto del 378 Valente si mise in marcia verso l’accampamento goto. Mentre schierava le truppe fu raggiunto da preti ariani con un’offerta di pace di Fritigerno. Si trattava di una mossa per prendere tempo: i goti speravano infatti di poter essere raggiunti da loro contingenti di cavalleria che si erano allontanati per foraggiare gli animali. Confidavano inoltre che i romani sarebbero stati indeboliti dalla fame, dalla sete e dal caldo, oltre che dagli incendi che essi appiccavano. Secondo Ammiano Marcellino, l’ala destra della cavalleria era in prima linea, sostenuta da gran parte della fanteria, mentre l’ala sinistra procedeva in ritardo sul percorso accidentato. Proprio gli arcieri a cavallo schierati sulla destra diedero il via alla battaglia, ma furono vergognosamente sbaragliati dai cavalieri grutungi e alani. Intanto, la fanteria gota attaccò frontalmente quella romana con frecce e giavellotti, rompendone la formazione; mentre la cavalleria gota attaccò il fianco sinistro della cavalleria romana, che venne annientata. Secondo quanto scrive Ammiano Marcellino, alcuni vennero travolti dai nemici e altri morirono colpiti nella confusione dai loro stessi compagni. Alla fine, mentre i superstiti si davano alla fuga, sul campo di battaglia rimasero 30mila soldati. Quando il suo esercito, allo sbando, si diede alla fuga, Valente si rifugiò fra le unità dei veterani lanciarii e matiarii Foto: Osprey Publishing, 2001 La morte dell’imperatore Una delle vittime della battaglia di Adrianopoli fu lo stesso imperatore Valente, il cui corpo non sarebbe stato mai ritrovato. Non si sa esattamente come trovò la morte. Secondo una versione, fu colpito da una freccia nemica nel corso della battaglia e poi i goti avrebbero spogliato il suo cadavere di tutto, facendolo diventare irriconoscibile. Secondo un’altra versione, meno onorevole, Valente sarebbe morto durante la fuga, accanto ad alcune unità di veterani, rifugiandosi in una fattoria; non riuscendo a espugnarla, i nemici la incendiarono e il suo corpo non venne mai ritrovato. Oltre all’imperatore morirono i generali Flavio Traiano e Sebastiano, molti tribuni, la maggior parte dei soldati e tre comandanti. I pochi sopravvissuti chiesero asilo ad Adrianopoli, dove si trovava il tesoro imperiale, ma gli abitanti lo negarono per paura di ritorsioni. Infatti, i goti assediarono la città per diversi giorni, ma poi si dispersero per le province e cercarono invece di assaltare Costantinopoli. Zosimo racconta di come Graziano, l’imperatore d’Occidente, accolse la notizia del disastro di Adrianopoli: «Vittore, il magister equitum romano, riuscì a sfuggire al pericolo con un piccolo numero di cavalieri e si lanciò in direzione di Macedonia e Tessaglia, da dove risalì fino a Mesia e Pannonia per annunciare a Graziano, che si trovava in quei luoghi, quanto fosse successo, così come la distruzione dell’esercito e dell’imperatore. Questi non mostrò un grande dolore per la morte di suo zio, poiché uno e l’altro si guardavano con diffidenza». Graziano comprese però la gravità della situazione: «Occupata la Tracia dai barbari in essa insediatisi, saccheggiate Mesia e Pannonia dai barbari di questa zona, con i popoli transrenani che attaccavano le città senza alcuna opposizione, capì che da solo non sarebbe riuscito a controllare la situazione, e quindi scelse come coreggente Teodosio che, nativo della Galizia, in Iberia, della città di Coca, non era estraneo alla guerra né mancava di esperienza nel comando militare». Teodosio avrebbe ripreso il controllo sul Danubio dopo la sconfitta del 378 Nominato da Graziano nel 379 imperatore d’Oriente, Teodosio riuscirà a riprendere il controllo della frontiera danubiana, vincendo i goti e stipulando con loro nel 382 un accordo che li autorizzava a stanziarsi nella diocesi di Tracia, lungo il corso del Danubio. Approfondimenti bibliografici: 9 agosto 378. Il giorno dei barbari. Alessandro Barbero. Laterza, Roma-Bari, 2022 La caduta di Roma. Adrian Goldsworthy. Elliot, Roma, 2011 Le storie. Ammiano Marcellino. UTET, Torino, 2014-
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Valente, l'avventura di un "povero" sovrano
Stilicho ha aggiunto un nuovo link in Monete Romane Imperiali
Perché Valente? Come ricorderete, poco tempo fa ho pubblicato una discussione su un frammento di siliqua attribuita a Valente e che, molto probabilmente, era una imitativa (Detriti sulla "baia" - Monete Romane Imperiali - Lamoneta.it - Numismatica, monete, collezionismo). Nel preparare quel lavoro, mi è venuta voglia di approfondire la figura di questo imperatore che, diciamolo, è sempre stato accompagnato da una accezione negativa (e ne comprendiamo anche il perché, ne parleremo). Da ciò, ho iniziato ad interessarmi anche alle sue monete; in particolare mi hanno colpito quelle in oro. Come forse saprete, a me piacciono molto i bronzi del IV secolo e, onestamente, non mi sono mai soffermato molto sulla monetazione aurea di questo periodo, se non in occasione di qualche discussione sul nostro forum (forse anche in maniera inconscia l' ho sempre vista piuttosto lontana, non potendomene permettere l’acquisto). Ho scoperto però che le monete auree hanno un grande fascino, non solo dovuto al fatto che l’oro e’ un metallo incorruttibile, ma anche perché sono davvero di grande qualità stilistica ed artistica, veri piccoli capolavori molto curati, anche nelle tecniche di coniazione. Ma chi era Valente? Valente era il fratello minore di Valentiniano I il quale, giunto al potere nel 364 con l’appoggio dei militari della guardia imperiale, lo aveva associato al trono comprendendo la difficoltà di gestire da solo un regno tanto vasto. Su questa decisione aveva però anche pesato l’opinione degli stessi soldati che si rendevano conto delle difficoltà nella gestione di un impero così ampio e che avevano caldeggiato un co-reggente, anche se avrebbero forse preferito un estraneo anziché’ Valente (forse perché meglio controllabile? O forse perché intuivano le scarse attitudini al comando di Valente? Non e’ escluso che lo stesso Valentiniano I abbia fatto lo stesso ragionamento....). Quindi Valentiniano I tenne per sé l’occidente e affidò l’oriente a Valente, iniziando di fatto quella divisione dell’impero che poi sarebbe in fondo perdurata fino alla sua fine avvenuta circa un secolo dopo. In realtà, sebbene gli fosse stato conferito sin quasi da subito il titolo di Augusto, Valente fu subordinato di fatto al fratello. Non ci sono, infatti, dubbi sul fatto che Valentiniano I, nel dividere il potere con Valente, intendesse comunque tenere nelle sue mani le redini dello stato. Era il più anziano, il più esperto ed era il solo sul quale erano caduti i voti del corpo elettorale. La sua parte dell’impero comprendeva tre delle quattro prefetture e l’intero Illirico, da sempre terra di reclutamento dei soldati. E poi (cosa forse ancora più importante in chiave di supremazia), possedeva Roma, la capitale reale e morale dell’intero impero. Come dice lo storico Schiller (Geschichte der römischen Kaiserzeit, ii, pag 350), nella sua divisione Valentiniano I mostrò che intendeva che la subordinazione dell’Oriente all’Occidente fosse permanente. Non da ultimo, da notare l’elevazione al rango di augusto di suo figlio Graziano nel 367. E Valentiniano si adoperava per rendere chiaro che, sebbene avesse condiviso con Valente i pieni poteri, non si trattava affatto di parità di poteri. La documentazione disponibile mostra però come Valente non si preoccupasse affatto di questa posizione di inferiorità e anzi pare che abbia accettato di prendere ordini da suo fratello e che abbia preso decisioni e messo in atto iniziative per suo volere Non poteva mancare, in tal senso, la “voce” delle monete, da sempre forte strumento di propaganda. Ne e’ la prova una coppia di solidi con la legenda VOTA PVBLICA emessi per la prima volta nel 368 e che mostra i due imperatori nimbati con indosso l’abito consolare e seduti su un trono uno accanto all’altro in segno di unità e comunione di intenti. Ora, sui solidi VOTA PVBLICA coniati nelle zecche orientali sotto il controllo di Valente, entrambi gli imperatori sollevano una mappa (la bandiera da corsa) nella loro mano destra, come segno di potere. Ecco Valentiniano, RIC IX Costantinopoli 29 A: Ed ecco Valente, RIC IX Costantinopoli 29B: Se invece ci spostiamo ad Occidente (qui zecca di Mediolanum) vediamo che solo l’imperatore di sinistra, il senior Valentiniano I, solleva la mappa: Questa e’ la RIC IX Mediolanum 3 A per Valentiniano I: E questa e’ di Valente, la RIC IX Mediolanum 3B: Ci sono tuttavia solidi dove invece i due sovrani sono, per così dire, paritari; come in questi solidi di Treveri per Valente e Valentiniano I: Ho provato a dare una mia interpretazione. In questi ultimi due solidi la legenda e’ VICTORIA AVGG e con ogni probabilità si riferisce alla vittoria nelle guerre contro i germani, alamanni, franchi e goti (che si combatterono dal 364 al 369) e che valsero contemporaneamente ad entrambi i titoli di Germanicus, Alamannicus, Francicus e Gothicus Maximus come era prassi, anche se il grosso dello sforzo fu magari compiuto da uno solo dei due in base alle rispettive sfere di influenza. Particolare e’ qui la comparsa in esergo delle lettere OB che sarebbero le iniziali della parola obryzum, o obryziacum ovvero oro purissimo, raffinato. Queste lettere compaiono sulle monete auree emesse dalle zecche di Treveri, Tessalonica, Costantinopoli ed Antiochia a partire dal 368. Questa marca indica e garantisce dunque la purezza del metallo utilizzato, purezza che e’ stata confermata da indagini compiute in epoca moderna , secondo le quali i solidi coniati dopo il 368 d.C, mostrano una percentuale di oro nel metallo utilizzato superiore al 99%, diversamente da quelli prodotti in precedenza che invece contenevano fino anche a oltre il 6% di argento e rame. Ma chi fu in realmente Valente? Valente fu un grande sfigato: fu coinvolto nella disfatta di Adrianopoli, che inevitabilmente ne pregiudicò il giudizio dei contemporanei e dei posteri. In questa battaglia l’esercito romano venne quasi completamente distrutto dai Goti e lo stesso Valente vi trovò la morte. Questa sconfitta inevitabilmente fece etichettare Valente come sovrano incompetente, inadeguato, ignorante, in particolare al confronto con la dinastia di Costantino e con lo stesso fratello Valentiniano che lo aveva voluto come collega sfidando il consiglio dei soldati. Adrianopoli, dicevamo.....9 agosto 378....il giorno dei barbari..... (855) La battaglia di Adrianopoli - 378 d.C - Il collasso di Roma - YouTube Ammiano Marcellino dice che Valente era un uomo “inter probra medium et praecipua”, ovvero “che aveva qualità straordinarie e orribili in egual misura”. Quando suo fratello lo nominò imperatore aveva trentasei anni. Sulle monete e’ rappresentato quasi sempre come tendente a ingrassare, con il collo robusto e già un accenno al doppio mento. Sempre Ammiano dice che aveva le gambe incurvate e la pancetta e che vedeva male da un occhio. Inoltre, non era istruito, non era di illustri natali, non era carismatico, coraggioso ne’ particolarmente intelligente. Tuttavia, era un bravo agricoltore e un buon soldato (doti queste che gli venivano dalle origini pannoniche), e si conquistò (almeno inizialmente) la fiducia dei sudditi combattendo la corruzione, riducendo le tasse e costruendo opere pubbliche come l’acquedotto di Costantinopoli, ancora i nparte visibile a Istanbul. Tuttavia, fu un fanatico religioso di fede ariana che anziché placare, inasprì i conflitti religiosi. Questa fu forse una delle cause principali della sua crescente impopolarità. Infine, un aspetto positivo per un imperatore romano: era fermamente convinto della supremazia di Roma che riteneva andasse difesa e affermata e della importanza della integrità dello stato romano. Convinzioni queste che contribuirono, nel bene e nel male, alla disfatta sua e del suo esercito. Insomma, Valente era semplicemente un uomo comune con tutte le sue contraddizioni che fu posto di fronte ad una impresa sovrumana e straordinaria, la sfida del potere imperiale, da cui alla fine venne travolto. Tuttavia, ancora oggi non gode di buona fama. In questi giorni sto leggendo un libro di Noel Lensky: Il fallimento dell’impero. Valente e lo stato romano nel quarto secolo d.C.. Nella seconda di copertina Giusto Traina scrive: “Perché occuparsi di un imperatore mediocre, nonché principale responsabile del fallimento dell’impero? Perché è proprio dal bilancio fallimentare del regno di Valente che si possono comprendere le ulteriori vicende dell’impero, in particolare la caduta senza rumore dell’Impero d’Occidente avvenuta poco meno di un secolo dopo Adrianopoli”. Ecco, Adrianopoli….ci risiamo. Ma lo stesso Lensky dice: “Il mio obiettivo non e’ denigrare Valente. Le fonti antiche si sono spinte abbastanza in là nel macchiare la reputazione dell'uomo per tutti gli anni avvenire. Ma non cerco nemmeno di riabilitarlo. Tentativi del genere sono invariabilmente riduttivi e imprevedibili. Al momento non disprezzo Valente né lo ammiro particolarmente. Ha fatto il meglio che poteva per sopravvivere a quello che indubbiamente era il più grande lavoro del mondo dei suoi tempi e la sua caduta finale rappresenta in egual misura una testimonianza delle difficoltà di governare l'impero e degli errori dell'imperatore”. Devo dire che Valente non fu neppure fortunato. Adrianopoli fu solo il culmine, ma egli dovette affrontare incursioni di barbari (Persiani, Goti…) , usurpazioni (Procopio), violazione dei trattati, crisi economiche, lotte religiose intestine e anche catastrofi naturali (le fonti descrivono almeno sette grandi terremoti, un devastante maremoto, una grandinata prodigiosa a Costantinopoli e due carestie, una in Anatolia ed una in Siria). Insomma, un po’ sfigato era. Pero’, che belle monete fece coniare! Ecco una carrellata di altri solidi: Questo e’ un RESTITVTOR REIPUBLICAE di Nicomedia Qui siamo a Siscia, SALVS REIP Credo che queste due emissioni si riferiscano anche esse alla restaurazione ed alla salvezza dell’impero in occasione delle guerre contro i barbari che minacciavano l’integrità del regno. A conferma di ciò, sul solido di Siscia, la presenza di un barbaro prigioniero. Trovo bellissimo questo 1 e ½ solido, con una GLORIA ROMANORVM davvero inusuale: Ricordiamo l’importanza che aveva per Valente proprio la gloria di Roma, del suo potere universale, del suo dominio sul mondo. Fa il paio con questa, con le personificazioni di Roma e Costantinopoli: Molto particolare questo solido: Si vede, tra i due imperatori, una piccola figura togata che dovrebbe essere il piccolo Graziano. Un omaggio dello zio al nipote, associato al trono da Valentiniano I ad occidente. Qui sotto, invece, vediamo un omaggio non solo al nipote, ma anche a fratello: le due figure del rovescio sono infatti Valentiniano I e Graziano: Ovviamente commenti, interventi, correzioni e osservazioni sono bene accetti. Fonti e letture consigliate: - N. Lensky: Il fallimento dell’impero. Valente e lo stato romano nel quarto secolo d.C.; 21 editore - RIC volume IX - Adriano Savio: Monete romane; Jouvence - Alessandro Barbero: 9 agosto 378, il giorno dei barbari; Laterza Ciao da Stilicho- 22 commenti
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