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I raggi del debole sole di fine settembre si spandevano delicati nell'aria, quasi ad accarezzare la piana verdeggiante e il fiume placido che serpeggiava imponente all'orizzonte. Quest'ultimo sfumava leggero, mischiando nei suoi cerulei colori alberi e colline in lontananza. Il cielo terso, attraversato da poche candide nuvole, rendeva all'occhio una piacevole visibilità per miglia e miglia. Ma non serviva spostare lo sguardo molto lontano: bagliori metallici invadevano il paesaggio. Ordini riecheggiavano da un manipolo all'altro di uomini che si agitavano sul verde come tante piccole, insignificanti formiche. I primi insulti già volavano tra le avanguardie avversarie. <<E questo è ciò che il grande Odoacre, il Re d'Italia, è riuscito a schierare?>> Un uomo basso, robusto e con le guance ricoperte da una barbetta ispida, pronunciò le parole con evidente astio, strizzando gli occhi per vedere meglio le piccole figure che prendevano posizione di fronte a lui. <<Così sembra, Procopio. Non sottovalutiamo la situazione, però: hai sentito anche tu quali ordini il nostro Augusto Imperatore ci ha consegnato.>> Il graduato che aveva appena risposto alla domanda del suo comandante lo affiancò con poche, ampie falcate. Poggiò lo scudo a terra e scrutò con attenzione le mosse dei nemici. Zenone, l'Imperatore di Costantinopoli, ne aveva avuto abbastanza dei suoi "alleati" Goti. L'ultima volta, gli eserciti barbari di Teodorico l'Amalo avevano addirittura preso l'iniziativa di marciare sulla capitale dell'Impero e di tagliare i rifornimenti idrici per costringere l'Imperatore a rinunciare al ruolo che ricopriva. Così, il capo degli Ostrogoti era stato allontanato sapientemente da Zenone: prima gli aveva consegnato un cospicuo quantitativo d'oro e d'argento per far desistere i Germani da altri tentativi di ribellione e poi aveva inviato Teodorico con i suoi ventimila Goti e Rugi in Italia per battere Odoacre e fondare lì un nuovo regno, data la richiesta degli Ostrogoti di ampliare i propri possedimenti territoriali. Procopio, un esperto semissalis, era stato posto al comando di una vasta compagine di soldati romani provenienti da ogni parte dell'Oriente con il preciso obiettivo di assicurarsi che Teodorico svolgesse il proprio compito e non tornasse indietro a tormentare Costantinopoli e il suo Imperatore. Niceforo, il suo secondo, biondo, alto, esile e intelligente, era più giovane del suo superiore e si era meritato quel posto, quasi privilegiato per un ragazzo della sua età che voleva fare carriera, grazie all'intercessione del Patriarca di Costantinopoli, Acacio, vecchia conoscenza della sua antica famiglia. I Goti si erano schierati da tempo sul campo, formando file compatte di fanteria, leggera e pesante, dall'armamento piuttosto eterogeneo. La cavalleria, numerosissima agli occhi degli Orientali, era stata posta ai fianchi della formazione e delle piccole pattuglie proteggevano il fronte mentre anche i Romani finivano di prendere posizione, così come Procopio aveva ordinato. Dietro le fila gotiche, alla sinistra degli orientali, erano stati sistemati a semicerchio i carriaggi delle provviste e dei civili che accompagnavano la colonna. <<La piazzaforte di Verona dista poche miglia da qui: sarà meglio non sprecare troppi uomini, nel caso Odoacre decida di rifugiarsi in una delle sue fortezze. Questi Goti non sono esperti di assedi e toccherà a noi fare tutto il lavoro duro.>> osservò mesto Procopio. <<Sì, sognore.>> convenne l'altro in tono formale. Improvvisamente, un barbaro dall'aspetto feroce si avvicinò ai comandanti romani e, senza alcun saluto, disse che il suo capo, Teodorico, desiderava vedere i due al più presto. Procopio e Niceforo seguirono l'uomo senza indugi, mentre Basilisco, un tipo rude e grassoccio, con parecchie cicatrici che ne testimoniavano il lungo servizio nell'esercito, prendeva il comando come semissalis incaricato, finendo di sistemare gli ultimi uomini prima dell'attacco imminente. I due ufficiali si scambiarono uno sguardo preoccupato prima che Teodorico potesse prendere a parlare. Questi era un individuo dall'altezza considerevole, quasi come la maggior parte dei suoi conterranei. Sull'ovale perfetto del volto spiccavano due grandi occhi scuri e penetranti. Una cascata di capelli folti e ribelli gli cadeva sulla fronte incorniciandola con voluminosi riccioli dai riflessi ramati. Sotto un naso dritto e proporzionato facevano la loro bella comparsa un paio di baffi così ben curati che riuscivano a far distinguere la reale figura anche da alcuni passi di distanza. Il capo degli Ostrogoti teneva particolarmente ai suoi baffi che, d'altro canto, non stavano affatto male su quelle labbra carnose e ben disegnate. Niceforo, almeno, lo aveva pensato fin dal primo momento che aveva scorto Teodorico. <<Salute, miei cari amici Romani.>> Il suo viso, di solito serio e inespressivo in momenti come quello, si illuminò con un caloroso sorriso. Sapeva del potenziale militare che custodivano i due ufficiali orientali e non intendeva inimicarseli, dopo quello che aveva trascorso con l’Imperatore di Costantinopoli. Procopio e Niceforo si misero sull’attenti e salutarono militarmente il capo della spedizione. Fu Procopio, come da protocollo, a parlare per primo:<<Signore, ci è stato riferito che volevate vederci prima dell’inizio dello scontro.>> <<Ebbene sì.>> Teodorico fece una breve pausa ad effetto, poi continuò:<<Vorrei esporvi il mio piano, in modo che anche i vostri uomini possano fare la loro parte affinchè la giornata sia nostra.>> Si schiarì la voce: <<Ho deciso di far condurre un primo attacco per saggiare le forze nemiche. Si tratterà di una carica misera: gli uomini si ritireranno e si raggrupperanno, poi, intorno ai carriaggi. Voi, intanto, mantenete la posizione. Vi saranno affiancati dei Rugi per non far vedere al nemico la presenza della vostra armata. Quando i mercenari di Odoacre si lanceranno all’inseguimento dei nostri, voi, con l’aiuto dei Rugi, uscirete allo scoperto e li massacrerete.>> <<Ma, signore,>> intervenne brevemente Niceforo, <<noi non possiamo sostenere il grosso dell’impeto nemico: abbiamo un numero ridotto di uomini rispetto ai vostri Goti.>> <<Una giusta osservazione, Romano, ma non preoccuparti. Loro non hanno notizie del vostro contingente e l’effetto sorpresa sarà la nostra arma vincente…>> “Nostra…sh” pensò stizzito il semissalis. <<Il resto del lavoro lo faranno le vostre lance e le vostre spade.>> <<Sarà fatto quanto ordinate, signore: sembra la migliore soluzione che abbiamo per vincere.>> <<E lo è, credimi Niceforo.>> <<E’ meglio ritornare ai nostri posti…se non c’è altro, naturalmente, signore…>> Procopio lanciò un’occhiata imbarazzata al suo secondo, che trattenne a stento un sorriso per quella mancanza di riguardo di cui, però, Teodorico sembrò non importarsene minimamente. <<No, questo è quanto. Raggiungete i vostri uomini e non muovetevi fino al nuovo ordine.>> <<Sì, signore.>> risposero i due ufficiali all’unisono. <<Bene, siete congedati.>> Teodorico scacciò i Romani con un cenno molle della mano destra e si diresse immediatamente verso lo scudiero che gli teneva il cavallo da battaglia per le redini. <<Spero che tutto vada per il verso giusto.>> disse quasi tra sè il semissalis. <<Il piano sembra buono, però.>> <<Ricordati gli ordini dell’Imperatore: occorre limitare le perdite e ottenere una vittoria schiacciante.>> Procopio sembrava preoccupato per quell’incarico che, in effetti, era nuovo per entrambi. In tutti quegli anni l’unico lavoro che avevano effettuato era marciare, addestrare reclute, assicurare riserve e vettovaglie agli uomini, stabilire turni di guardia e, naturalmente, combattere contro ogni sorta di guerriero esistente in Europa, dai Germani fino agli stessi legionari imperiali che si erano rivoltati a Zenone qualche tempo prima. Niceforo lanciò un sorriso rassicurante all’amico, gettandogli la mano sinistra sulla spalla destra producendo un forte rumore di ferraglia, causato dall’impatto con le scaglie della lorica squamata del semissalis: <<Non darti tanta pena: vedrai che riusciremo a portare a casa la pelle.>> <<La nostra e quella dei nostri ragazzi, quando tutto questo sarà finito.>> Procopio gli sorrise di rimando. <<Questo è lo spirito giusto. Ora, però, è meglio che ci sbrighiamo: non vorrei trovarmi tra questi Goti confusionari quando i corni suoneranno l’avanzata.>> Procopio scoppiò in una risata gustosa che durò solo pochi minuti. Il rumore dei loro sandali chiodati si fece più intenso sull’erba ancora fresca della rugiada mattutina e poco dopo furono in vista della loro truppa che Basilisco aveva già finito di schierare in modo impeccabile. <<Basilisco.>> Procopio lo chiamò appena lo vide. <<Signore…>> Il soldato si mise sull’attenti e salutò con lo sguardo fisso in un punto oltre le spalle del superiore. <<Raggiungi la tua postazione e riferisci agli ufficiali che gli uomini devono mantenere la posizione fino al mio ordine. Chiaro?>> <<Sì, signore.>> Un nuovo saluto marziale fece tintinnare l’armatura a scaglie che indossava e poi trotterellò via per raggiungere la sua compagine. <<Molto bene, Niceforo: non ci rimane che aspettare.>> Entrambi volsero lo sguardo al Draco, lo stendardo della milizia, che, grazie ad una pacata brezza quasi estiva si allungava variopinto stagliandosi contro un cielo sempre più chiaro. La giornata fu scossa improvvisamente dai corni che annunciavano l’attacco. I Goti, radunatisi intorno ai propri stendardi, ascoltarono in un attimo di silenzio quei suoni che venivano ripetuti lungo tutta la linea. Era giunto il momento. Niceforo e Procopio osservarono con i loro uomini e gli alleati Rugi i guerrieri Goti che, strette le armi e protesi gli scudi, correvano verso i mercenari Eruli di Odoacre con un urlo di battaglia talmente feroce da sembrare disumano. I soldati del re germanico, intanto, non muovevano un muscolo: immobili, avevano serrato i ranghi e abbassato le lance, pronti a infilzare chiunque si sarebbe avvicinato troppo. <<Li faranno a pezzi, dannazione.>> disse Procopio a voce bassa. <<Spero ne rimanga qualcuno in piedi, per la buona riuscita del piano di Teodorico.>>Niceforo seguiva la carica gota con particolare attenzione. <<Mmppffhh…>> il semissalis sbuffò appena, non degnando di una risposta l’affermazione del suo subalterno. Intanto, la fanteria gotica partita all’attacco si era riversata come un fiume in piena sulle linee perfette degli Eruli. Le lance nemiche riuscirono miracolosamente a contenere l’impatto e la cosa non fece piacere ai due comandanti romani: la carica aveva perso il proprio impeto contro una selva impenetrabile di lance e una solida muraglia di scudi lignei. L’esigua cavalleria che era avanzata per dare man forte alla fanteria germanica si trovava, ora, in grosse difficoltà: un’ala di cavalleria pesante nemica era riuscita ad intercettare il contingente a cavallo goto e gli aveva sbarrato la strada sul fianco destro dello schieramento prima che un solo cavaliere riuscisse ad entrare in contatto con un solo soldato erulo. Gli ufficiali di Teodorico, che, dall’alto della sua posizione accanto ai carriaggi osservava tutto lo scontro, cercavano di mantenere uniti gli uomini e di incitarli alla battaglia per cercare di sfondare le linee nemiche. Urla di dolore e schizzi di sangue riempivano l’aria perdendosi in una miriade di scintille che scaturivano dai ferri che si incrociavano. Schegge di legno grosse come il palmo di una mano volavano in tutte le direzioni quando una spada, una lancia o un’ascia colpivano uno scudo e vi rimanevano conficcate all’interno. Per la sfortuna dei proprietari che, se non trovavano una soluzione, venivano letteralmente massacrati dai soldati di Odoacre. Questi, da parte loro, mantenevano la posizione e, nonostante le perdite che iniziavano a subire, il fronte vacillò leggermente solo nella parte centrale. <<Devo confessarlo:>>, bisbigliò Procopio, <<hanno imparato a combattere questi Eruli.>> Questa volta fu Niceforo a rispondere con un mugolio indistinto. Improvvisamente si udì, ripetuto all’infinito, una ennesima nota prodotta dai corni germanici. Questa era diversa da quella suonata per la carica: lunga e squillante, segnalava la ritirata e gli ufficiali orientali lo sapevano bene. <<Teniamoci…>> Procopio stava per dire qualcosa quando Niceforo si voltò verso un Goto che si avvicinava di corsa: <<Signori, il nostro generale Teodorico ordina di tenersi pronti: i Rugi sono già stati avvisati e tra non molto i soldati di Odoacre saranno qui.>> Assicuratosi che i due Romani avessero compreso il messaggio, pronunciato in un greco gutturale e piuttosto stentato, il barbaro tornò indietro per fare rapporto a Teodorico. <<C’è sempre qualcuno che deve togliermi le parole di bocca.>> si lamentò Procopio, scuotendo il capo. <<Diramo l’ordine, signore?>> chiese Niceforo con un sorriso abbozzato sulle labbra. <<Sì, procedi: voglio tutti gli uomini in posizione, pronti a ricevere quegli idioti.>> Il semissalis imbracciò lo scudo ovale e strinse una lancea, mentre i legionari si preparavano a lanciare i veruta. Pochi minuti dopo, Niceforo fu di ritorno:<<Signore, a rapporto: gli ufficiali di linea hanno ricevuto gli ordini e gli uomini sono tutti pronti per la prima salva.>> <<Bene, raggiungi il tuo posto dall’altro lato dello schieramento e attendi un mio ordine.>> <<Sì, signore>> Niceforo salutò militarmente, impugnò le armi e si diresse verso la sua posizione. <<Avranno pane per i loro denti questi bifolchi.>> I denti gialli di Procopio spuntarono per un attimo quando la sua bocca si aprì in un ghigno feroce. Osservò che i Rugi, alla sua sinistra, lanciavano già grida di guerra in direzione del nemico: la fanteria di Odoacre si avvicinava a grandi passi e sembrava non rispettare più alcun ordine preciso per la foga con cui stava inseguendo i superstiti della prima carica gotica. Proprio come aveva previsto Teodorico. Per quanto riguardava la cavalleria le cose erano andate leggermente diverse: gli Eruli, forti del loro numero, erano riusciti ad avere la meglio e la pattuglia inviata da Teodorico in soccorso alla fanteria, sul lato destro, era stata del tutto annientata: i superstiti potevano contarsi sulle dita, notò Procopio. Il generale gotico, da parte sua, era scomparso dalla scena per un attimo: rincuorati i civili e i mercanti che si erano rifugiati dietro i carri, ritornò armato di tutto punto, scrutando tra la calca di soldati che mettevano in gioco la vita su quei campi e che, di solito, non tutti riuscivano a salvare. Un ennesima nota squarciò l’aria e si propagò per tutta la linea di Goti, Rugi e Romani fino a raggiungere le orecchie di Procopio. Un suono lungo, lugubre e basso. Un brivido passò lungo la schiena di Niceforo, protetta dalla lorica squamata e dalla tunica vermiglia. <<In alto quel Draco!>> urlò il semissalis rivolto al draconarius che stava impalato alla sua destra, accanto al suonatore di buccina. L’asta si sollevò, catturò qualche raggio solare ed emanò potenti bagliori negli occhi di tutti i soldati romani che lo guardarono. Alcuni rimasero piacevolmente colpiti da quella visione, tanto da sentirsi rincuorati e abbandonarono la paura, iniziando a battere i veruta sugli scudi e inneggiando alla loro coorte. Altri rivolsero una veloce e silenziosa preghiera al cielo, sperando che fosse accolta. <<Bucinator!>> All’ordine di Procopio, il suonatore accostò alle labbra lo strumento d’ottone e vi soffiò a lungo. Ne uscì un suono altrettanto prolungato che scosse tutti i legionari nei ranghi, come un’onda che smuove i sassolini sul bagnasciuga, in riva al Mare Nostrum. <<Preparate le plumbatae!>> urlò Niceforo, volto ai suoi uomini, in risposta al suono di buccina. Gli ufficiali di seconda linea passarono l’ordine e tutti i soldati deposero i veruta, tenendoli a portata di mano e impugnarono nello stesso istante i piccoli dardi appesantiti dal piombo con la punta di ferro e l’impennaggio nell’asta di legno che non superava i 10 o i 20 centimetri. Costruire un’arma come quella richiedeva un lungo e paziente lavoro ai fabbri dell’esercito, ma , pensò Niceforo, garantiva un ottimo risultato se lanciato dalla giusta distanza e con una certa potenza. <<Aspettate!>> Gli Eruli di Odoacre continuavano ad inseguire gruppi di Goti in fuga che, come concordato, correvano in direzione dei carriaggi. Ad un segnale dei comandanti di posizione, i Germani rimasti di guardia ai civili aprirono i ranghi e lasciarono passare i fuggiaschi, laceri, sporchi e pieni di sangue. I feriti furono trasportati dai medici, mentre i capsari romani rimanevano nelle retrovie con tutta l’attrezzatura a disposizione, pronti a cucire, amputare e fasciare gli squarci che avrebbero da lì a poco presentato i legionari orientali. Le fila dei Goti si richiusero non appena tutti gli uomini, eccetto i feriti condannati a morte certa, furono messi al sicuro. Quando Procopio valutò che il nemico si trovasse a circa un quarto di miglio di distanza, ordinò il primo lancio di plumbatae. Il cielo si fece improvvisamente scuro quando il comando fu eseguito: gli Eruli non si aspettavano di ritrovarsi scaraventati a terra con un cubo di piombo che spuntava dai toraci, trapassando qualsiasi tipo di difesa o protezione. Altre salve seguirono la prima, fino a quando, ad un nuovo richiamo sonoro del bucinator, Niceforo non ordinò agli uomini della coorte di prendere i veruta. I nemici, sebbene si trovassero circondati da innumerevoli Germani e colti alla sprovvista dalla presenza dei legionari di Procopio e Niceforo, continuarono ad avanzare scavalcando veloci i cadaveri e i moribondi per non rimanere ancora a lungo sotto il fuoco romano. Teodorico, nel mentre, sguainò la sua pesante spada da combattimento e con un urlo di incitamento così feroce da far accapponare la pelle dei suoi stessi uomini, condusse una carica furibonda di Goti e Rugi che si mischiarono agli Eruli proprio in prossimità dei carriaggi. Il grosso della cavalleria di Teodorico protesse efficacemente il fianco sinistro della formazione, evitando, in questo modo, un possibile accerchiamento da parte della cavalleria di Odoacre. I Romani, al momento giusto, scagliarono i veruta abbattendo gli avversari a decine. Se le plumbatae avevano svolto egregiamente il loro lavoro, rallentando la carica nemica, i veruta la fermarono del tutto, permettendo ai legionari di impugnare le lance. <<Serrate i ranghi!>> l’ordine di Procopio fu ripetuto lungo tutta la linea e i soldati accostarono gli scudi oblunghi, formando un’interrotta linea di difesa, inframmezzata dalle lance calate le cui punte a foglia balenarono nell’aria producendo fischi leggeri e terrificanti. <<Prepararsi a ricevere il nemico!>> Fu l’ultimo ordine che Niceforo riuscì a sentire: gli Eruli piombarono sui Romani senza pensarci due volte, lanciando poche forze contro il resto dei Goti e dei Rugi. “Dannazione!”, imprecò tra sé Niceforo, “questi idioti hanno capito da dove proviene il vero pericolo.” La prima linea di legionari resse al contatto col nemico, ma ben presto gli ufficiali delle file successive portarono avanti i propri uomini per dare man forte ai propri commilitoni. Un mercenario si fece avanti cercando un punto scoperto dove colpire negli spazi lasciati tra gli scudi. Niceforo vide balenare una lunga lama che si insinuò in una fessura tra i due legionari a lui più vicini: la spada scivolò veloce e recise i tendini del ginocchio del primo soldato, ferendo il secondo sulla coscia, squarciando il tessuto della tunica. Un urlo straziante echeggiò per tutta l’area accompagnato da un tonfo metallico quando la gamba del legionario cedette e l’uomo cadde a terra cercando di fare leva sui gomiti per rimettersi in piedi. Ma l’erulo fu più veloce: estrasse una mazza ferrata dall’apposita custodia appesa alla cintura che portava in vita e fracassò il cranio del romano con due colpi assestati così velocemente che parti di cervello e materia grigia volarono ovunque ricoprendo scudi, volti, armature e inondando di sangue il terreno. Il suo compagno, dopo aver fissato incredulo l’ampio taglio sulla coscia da cui sgorgava un fiotto di sangue che poteva ben presto rivelarsi fatale, alzò lo scudo per proteggersi da eventuali attacchi e spinse il nemico con la lancia tentando di infilzarlo. Ma, notò Niceforo, il barbaro aveva ancora la mazza tra le mani insanguinate e, brandendola con cura, riusciva ancora a tenere a distanza la punta dell’avversario sperando che la grande perdita di sangue che colava giù per la gamba contribuisse a sfiancarlo. Niceforo si slanciò in avanti e piantò la sua lancia immediatamente sotto l’ultima costola sinistra dell’uomo. Questi spalancò gli occhi incredulo e mollò la mazza resa scivolosa dal sangue che si stava raggrumando. Anche il secondo legionario spinse la sua punta in pieno petto nemico, spaccandogli lo sterno e perforandogli un polmone. Quando l’ufficiale romano vide che il nemico stava cadendo a terra, morto, cercò disperatamente di estrarre dal cadavere la lancia, ma non ce ne fu la possibilità: un nuovo erulo apparse alle spalle urlando come un matto e alzando un’ascia già intrisa di sangue romano. Niceforo lasciò perdere la lancia che rimase incastrata nel costato della sua prima vittima, e alzò lo scudo per difendersi. La lama dell’ascia si conficcò nel bel mezzo della protezione proprio sopra l’umbone metallico, mentre dietro di lui il legionario ferito veniva sopraffatto da altri due barbari che lo fecero letteralmente a pezzi. Il terreno era divenuto viscido e insicuro a causa del sangue e dei resti umani che ormai ne ricoprivano la maggior parte. Perfino le suole chiodate dei sandali legionari riuscivano con fatica a trovare un appiglio sull’erba tinta di rosso. Quando il secondo avversario di Niceforo tentò di liberare la sua arma dallo scudo romano, l’ufficiale capì che ormai la protezione era andata: lasciò improvvisamente lo scudo proprio mentre il nemico tirava con tutta la sua forza. L’erulo volò via portandosi dietro l’ascia ancora conficcata nello scudo da cui volarono mille schegge. Alcune ferirono gli uomini che lottavano intorno, provocando tagli e lesioni dal bruciore insopportabile. Altri legionari cadevano lungo tutta la linea, ma riuscivano ancora a contenere e respingere, in alcuni casi, i mercenari di Odoacre. <<Riformate i ranghi! Rientrate!>> Con una mano libera messa a coppa vicino la bocca, Niceforo gridò l’ordine, mentre con l’altra liberò la spatha che gli pendeva dal fianco sinistro. Il centro del fronte romano si era talmente assottigliato che Niceforo riuscì a scorgere Procopio dall’altro lato: il semissalis aveva raccolto un buon numero di legionari intorno al Draco e riuscivano a scacciare ogni nemico che si avvicinava troppo, sia con le lance che con le spade. Teodorico, intanto, al comando dei suoi Goti e affiancato dai Rugi, aveva sbaragliato le poche sacche di resistenza nemiche che aveva incontrato durante la sua avanzata. Ora, constatò Niceforo, si trovava esattamente dietro la schiera di Eruli che pressavano le fila romane. <<Resistete! Infilzate questi barbari! Avanti!>> L’ufficiale romano non smetteva di incoraggiare i suoi. Teodorico, intuita la minaccia, con un’abile inversione, portò i suoi Goti alle spalle degli Eruli e, senza attirare troppo la loro attenzione, concentrati com’erano a uccidere quanti più legionari potevano, iniziò ad ingaggiare una feroce mischia senza esclusione di colpi. Le scene erano sempre le stesse e sembravano non finire mai davanti agli occhi di Niceforo. Ogni tanto badava a difendersi, più spesso, invece, passava all’attacco, trapassando o mutilando con la sua spatha chiunque fosse stato così incauto da tentare di assalirlo. Mentre i Rugi, con l’ausilio della cavalleria, tenevano il fianco sinistro e proteggevano i carriaggi, i legionari di Procopio spingevano sempre più veementemente gli avversari verso le lame baluginanti dei Goti. <<Tenete duro, ragazzi: tra non molto la giornata sarà nostra!>> Questa volta fu il semissalis a puntare la sua lama verso i mercenari di Odoacre e, appena ne ebbe l’occasione, colpì di taglio il nemico più vicino in pieno volto. L’uomo non fece in tempo nemmeno ad emettere un lamento per il dolore, ma fu respinto senza pietà, lasciandosi dietro solo una scia di piccole goccioline vermiglie. Inutile fu il suo tentativo di portarsi le mani al viso ormai sfigurato e precipitò al suolo, sussultando negli ultimi spasimi che precedevano la morte. Gli Eruli avevano ormai compreso che sarebbe stato impossibile sfondare la linea romana per attaccare i carriaggi. Sarebbero stati tutti massacrati prima di sera. Anche Odoacre, dal canto suo l’aveva capito: con un cenno della mano, dall’alto del suo cavallo, accanto al fiume Adige e lontano dal campo di battaglia, ordinò la ritirata immediata di tutte le forze scampate al combattimento. Amaramente, ammise voltando la cavalcatura, aveva perso l’ennesima opportunità per contrastare quell’ignobile invasore e dimostrare ai suoi sudditi italici le sue capacità militari in caso di allarme. L’ordine fu trasmesso dai corni dei suonatori, le cui note raggiunsero, prima o poi, tutte le orecchie degli interessati. La ritirata fu così disordinata che Teodorico non riuscì e non volle trattenere i suoi dall’inseguimento del nemico in fuga e dal massacro dei feriti e di tutti quelli che erano rimasti indietro, vuoi per aiutare i compagni in difficoltà o coprire la ritirata al proprio re. Odoacre era stato sconfitto. Teodorico era divenuto l’eroe della giornata e i suoi soldati avevano un gran bel daffare tra raccogliere i caduti, occuparsi dei feriti e spogliare i cadaveri per dividersi il bottino. “Se lo sono meritato” pensò un po’ a malincuore Procopio. Ripulendo la spatha sulla mantella di un barbaro ucciso, la rimise al suo posto con uno stridio che gli sembrò persino piacevole. Con il fiato corto, con diversi tagli e ricoperto di chiazze di sangue raggrumato, come la maggior parte dei fanti al suo comando, il semissalis andò incontro al suo subalterno. Niceforo si mise subito sull’attenti, mentre gli altri ufficiali, sotto la supervisione di Basilisco, riordinavano i ranghi ed effettuavano il conto delle perdite subite e dell’equipaggiamento rovinato o smarrito. <<Riposo, Niceforo.>> Il giovane prese a spostare il peso del proprio corpo da una gamba all’altra, resistendo all’impulso di slacciarsi il sottogola dell’elmo e liberarsi da quell’inferno di metallo e feltro imbottito. <<Per questa sera, quando ci accamperemo, voglio un conto preciso dei morti, dei feriti e anche delle armi che bisogna rimpiazzare.>> <<Sì, signore: sarà fatto.>> <<Bene. Ora converrà ritornare alle proprie unità: c’è molto lavoro da sbrigare, purtroppo.>> Procopio vide Teodorico che li salutava esultante con un cenno della mano destra: ancora impugnava la spada e l’alzava seguendo un immaginario ritmo costante che scandivano i suoi uomini intorno a lui. Erano tutti ebbri di vittoria. <<C’è altro, signore?>> Fu Niceforo a riportarlo alle ultime occupazioni della giornata. <<No, null’altro. Ora che Odoacre è in fuga, credo proprio che la vita per noi sarà leggermente più dura.>> Un sorriso amaro si dipinse sul volto sporco del semissalis. <<Bene, signore. Allora sarà meglio che ci prepariamo: riusciremo a portare a termine il nostro incarico.>> <<Lo spero, ragazzo, lo spero…>> Il sole, che aveva brillato per tutto il tempo sul massacro che era avvenuto sotto i suoi cocenti occhi, si era improvvisamente ritirato dietro un piccolo banco di nuvole grigie, come se si rifiutasse di vedere il Draco della coorte orientale infisso nel terreno bagnato dal sangue di migliaia di uomini e circondato da spoglie che giacevano nelle posizioni più inusuali e distorte.
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