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Alle origini dei culti romani: un'analisi iconica
Caio Ottavio ha aggiunto un nuovo link in Monete Romane Repubblicane
Salve a tutti. L'obiettivo di questo post consiste principalmente nell'analizzare, attraverso una emissione repubblicana di particolare rilievo storico, quella venatura di religiosità di stampo arcaico che coinvolse, in modo più o meno omogeneo, tutto il periodo della Repubblica. Si cercherà di attuare quest'analisi attraverso la disamina di alcune fonti, grazie, cioè, ai maggiori Cataloghi di monete repubblicane degli ultimi due secoli e supportati da recenti articoli giornalistici provenienti dal mondo accademico. I denari in questione (FIGG. 1. e 2.) furono coniati da un certo Publius Accoleius Lariscolus, ignoto alle fonti se non fosse, appunto, per queste monete che ne riportano il nome. FIG. 1. Denario di P. Accoleius Lariscolus, prima variante con copricapo. D/ P. ACCOLEIVS LARISCOLVS. Busto drappeggiato di Diana Nemorensis (?) volto a destra, con capo coperto. R/ Anepigrafo. Triplice statua di culto della dea Diana. Dietro, un boschetto di cipressi (?). Riferimenti bibliografici: Babelon Accoleia 1; Sydenham 1148; Crawford 486/1. Datazione: 43 a.C. Zecca: Roma. Nominale: Denario in AR. FIG. 2. Denario di P. Accoleius Lariscolus, seconda variante senza copricapo. D/ P. ACCOLEIVS LARISCOLVS. Busto drappeggiato di Diana Nemorensis (?) volto a destra con capelli raccolti. R/ Anepigrafo. Triplice statua di culto della dea Diana. Dietro, un boschetto di cipressi (?). Riferimenti bibliografici: Babelon Accoleia 1; Sydenham 1148; Crawford 486/1. Datazione: 43 a.C. Zecca: Roma. Nominale: Denario in AR. 1. Un magistrato poco conosciuto. Come prima cosa, cercheremo di fare un po' di luce su questo personaggio e sul suo operato, passando in rassegna alcuni dei più importanti testi. Partendo dal più antico, veniamo a conoscenza che la gens "Accoleja" risulta "nota dalle sole monete". Infatti, la "storia non enuncia questa famiglia, che sarebbe ignorata senza tale monumento, perchè non menzionata nè da scrittori, nè da' marmi." Grazie, poi, ad un paio di ritrovamenti, uno "del ripostino di Puglia, acquistato dal Fontana, e che vuolsi nascosto nel 711, di Roma" e l'altro "di San Bartolomeo descritto dal Cavedoni", sappiamo che le monete che li componevano "non possono essere state impresse da Accolejo Lariscolo, nel proprio triumvirato monetorio, oltre detto anno 711; ma giammai elevarsi fino al 737 (...)". 1 Quindi, stando a quanto riportato dalla prima fonte, la carriera di Lariscolo come magistrato monetario, e la datazione stessa della moneta in questione, sarebbe da circoscrivere in un lasso di tempo compreso tra il 69 a.C. e il 43 a.C. Difatti, analizzando la seconda fonte, veniamo a conoscenza che questo personaggio "fut monètaire suos Jules Cèsar" e che questa tipologia fu datata dal già ricordato Cavedoni "ver l'an 711 (43 avant J. C.)". 2 Per le nostre fonti, fin qui riportate, non si conosce nessun altro documento che riporti anche solo il nome gentilizio di tale famiglia. Dovremo aspettare la terza fonte di riferimento, risalente alla seconda metà del XIX secolo, per poter avere maggiori informazioni riguardo il monetiere Lariscolo: viene ipotizzato, infatti, che tale "P. Accoleius Lariscolus était avec Petillius Capitolinus, un questeur militaire de l'armèe du Sènat, fonction en vertu de laquelle il put faire frapper monnaie." E nella stessa epoca vengono rinvenuti nuovi riscontri che testimoniano l'attività di tale famiglia Accoleia: "Un texte èpigraphique mentionne un certain L. Acculeius Abascantus; un autre texte du temps d'Hadrien, trouvè à Rome, cite un personnage du nom de P. Acculeius Euhemerus." 3 Da queste seppur scarse e frammentarie notizie siamo in grado di cogliere alcuni elementi utili per la definizione del Nostro. La famiglia a cui apparteneva non doveva essere molto grande. Era quasi sicuramente di origine plebea, forse originaria dell'odierna città laziale di Ariccia e, rispetto alle scoperte di fine Ottocento, non sono noti altri personaggi appartenenti a questa gens. I praenomina maggiormente utilizzati, quindi, furono Publius, riportato per ben due volte, e Lucius, meno usato. I cognomina, invece, sono più peculiari: Lariscolus, Abascantus ed Euhemerus furono, forse, cognomi personali che servivano a denotare una particolarità della singola persona a cui appartenevano, dato che non se ne sono riscontrati simili per via ereditaria. Più in particolare, possiamo dire che il Nostro costituisce un caso più unico che raro nell'ambito della gens Accoleia. Infatti, di Publius Accoleius Lariscolus possediamo più notizie rispetto agli altri due. Sappiamo che fu magistrato monetario in epoca cesariana, più precisamente tra il 69 e il 43 a.C., periodo in cui ricoprì anche un incarico militare che gli consentì di battere moneta, come ci suggerisce il Babelon, la nostra terza fonte. In detto periodo è piuttosto normale che un militare di Cesare coni moneta: si veda, ad esempio, il caso di Lucio Roscio Fabato4, molto simile a quello di Lariscolo. Il ruolo ricoperto dal magistrato per conto della Repubblica e del Senato implicava, quindi, quasi obbligatoriamente, una ripresa, tramite la moneta, delle radici più antiche della religiosità romana, in generale, usata anche da Lariscolo per elevare e celebrare se stesso e la propria famiglia di rango plebeo. Passiamo, quindi, a vedere quali sono questi schemi iconografici che la caratterizzano. 2. Il volto dalla misteriosa bellezza al D/. Al D/, come si evince dalle figure sopra riportate, si scorge un profilo femminile su cui molto si è discusso e sulla cui indentificazione gli studiosi non sono ancora concordi. Andiamo per gradi. Il Riccio, la nostra prima fonte, ci informa che "Gli antichi scrittori di numismatica riferivano la testa di essa a Climene madre di Fetonte" 5, la stessa interpretazione è confermata sia dal Cohen6 che dal Babelon7, ma sembra ormai del tutto superata. Già nel corso della prima metà del XIX secolo, infatti, si era arrivati a congetturare "che la testa femminile sia quella di Acca Larenzia, allusiva al nome Accolejo". L'ipotesi, formulata dal Cavedoni e riferita dapprima dal Riccio, verrebbe confermata sia da Grueber8 che dalla ripresa più moderna della Ceci9. "The cognomen Lariscolus seems to have the same origin as Lariscus, and to be associated with the worship of the Lares (...)". Quindi, "The bust on the obverse has been identified as that of Acca Larentia or Laurentia (...)"10 In effetti, il viso che appare al D/ ci sembra quasi mascolino dietro la sua rigida ieraticità. Ma proprio questa immobilità conferisce alla figura un senso di vivo arcaismo e un cenno quasi esplicito del suo ruolo sacro. La sua femminilità viene comunque espressa dall'acconciatura, che nella tipologia di FIG. 2 è mostrata in tutto il suo preciso ordine, evidente, soprattutto, nella formazione del piccolo "diadema" di capelli riccioluti che viene ad affacciarsi sulla fronte. Nel caso del capo coperto, in FIG. 1, il cappello, o la fascia, può essere un ulteriore indice dell'estrazione sociale della donna raffigurata: assieme al vestito che indossa, Acca/Diana tiene raccolti i capelli come una donna dell'antica nobiltà filo-ellenistica o comunque caratterizzata da un'innegabile raffinatezza di costumi e di maniere. Anche il drappeggio che chiude il busto femminile non è un semplice panneggio: le fibulae tonde sulla spalla e le pieghe fitte consentono la sicura attribuzione dell'indumento ad un chitone per donna di stampo greco (FIG. 3.). Il chitone era l'abito standard nella Grecia antica, una tunica di stoffa leggera in unico pezzo. Per le donne riusciva a raggiungere anche una lunghezza di due metri e copriva tutto il corpo, fino alle caviglie. FIG. 3. Particolare di un vaso greco a figure rosse con la raffigurazione di Europa con Zeus sotto le sembianze di un toro. Notare il chitone che indossa la donna sotto l'himation (il mantello) e il particolare allaccio a fibulae sopra le maniche che partono dalle spalle. Lo stesso tipo d'abito è portato dalla nostra Acca/Diana sulla moneta in questione. Tale leggerezza della stoffa del chitone è resa sulla moneta con la magistrale messa in evidenza dei seni della divinità. Questo particolare, ravvisabile in tutti gli esemplari di P. Accoleius Lariscolus, non si concilia con la rappresentazione iconica di Diana, dea vergine per eccellenza, che, di solito, appare con un seno più giovanile e meno evidente di quanto lo sia quello del busto esaminato. Inoltre, mancano del tutto altri attributi esclusivi della dea cacciatrice. La soluzione più ovvia, a questo punto, consiste nell'accostare il busto che si trova al D/ di questo denario alla figura di Acca Larenzia, passaggio già effettuato a partire dal Cavedoni11 e riportato da tutti gli altri studiosi nelle loro opere. Acca Larenzia, nota anche coi nomi di Larunda e Mater Larum, ha insita nel proprio nome la terminologia di "madre" (acca, nel linguaggio indoeuropeo, ha principalmente accezione di madre). Ci sono varie versioni del mito che ha come protagonista tale donna: una di queste vuole che Acca sia stata un'etera di grande fascino. Ebbe come amanti uno dei più famosi semidei dell'antichità, Ercole, e poi il ricchissimo e anziano Etrusco Taruzio che le avrebbe lasciato tutti i suoi averi dopo la sua morte. A questo punto, Acca Larenzia li distribuì al popolo romano, diventandone subito una delle beniamine candidate alla divinizzazione.12 Tralasciamo la leggenda, più famosa, che vuole la donna come la "Lupa" che allattò i Gemelli fondatori di Roma e chiamata così per il suo stile di vita licenzioso.13 Il nome di Accoleius, poi, si presta ad eventuali, e forse forzosi, accostamenti etimologici con il nome stesso di Acca e il cognomen Lariscolus si avvicina ai Lari, cioè ai figli di Acca divinizzati. Inoltre, abbiamo ora notato che tale cognomen può essere sciolto in Laris + colo, due parole latine di grande significato e attinenti tra loro. Infatti, Laris è genitivo di Lar-Laris, cioè "i Lari", e colo è la voce del verbo colo-is-colui-cultum-ere di terza coniugazione che si può rendere con l'italiano "onorare". Quindi, Lariscolus è colui che onora, nell'accezione di "venerare", i Lari (FIG. 4.), cioè i figli della divina Acca Larenzia. In questo modo si spiegano due cose: l'abitudine di autocelebrazione dei magistrati monetali romani di epoca repubblicana, a cui abbiamo già fatto riferimento sopra, e l'attribuzione del brusto al D/ del denario ad Acca Larenzia piuttosto che a Diana Nemorensis. FIG. 4. Affresco pompeiano proveniente da un "lararium" della città. Ai due lati opposti si notano i Lari (dipinti di dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi) nell'atto di versare del vino dai loro peculiari corni. Al centro, una scena di sacrificio con musico e "victimarii". Nella zona inferiore, due serpenti agatodemoni (genii benigni e propiziatorii) affrontati davanti ad un altare. 3. Fiera staticità al R/. Il R/, forse, è di più facile lettura rispetto al D/. Infatti, la maggior parte degli studiosi è evidentemente più concorde sulla sua attribuzione. Il legame tra uomo e natura è stato sempre intenso nell'antichità e particolarmente sentito per la prima romanità. A figure imponenti e resistenti, quali gli alberi, venivano attribuiti gli spiriti delle divinità più arcaiche e misteriose. E la religione romana non fa certo eccezione. Nei dintorni dell'antica città di Roma, tra l'Oppio e il Celio, si trovava un bosco di querce che confinava proprio con le mura cittadine, costruite, secondo la tradizione, sotto il regno di Servio Tullio. "Non sarà fuor di luogo ricordare che quel monte nell'antichità era chiamato Quercetulano (Querquetulanum, nel testo latino), perchè era ricco e fertile di querce (...)".14 Così lo storico romano Publio Cornelio Tacito descrive il luogo e ce lo tramanda tra i suoi scritti, una delle poche testimonianze a noi giunta della denominazione e dell'apparenza del colle Celio. Tra questo colle e l'Esquilino si trovava un tempietto delle Virae Querquetulanae, cioè dedicato alle Ninfe che, secondo la più antica credenza romana, abitavano il bosco di querce del Celio. Queste tradizioni religiose, quasi spiritiche, appartenevano alla più remota credenza romana, quando le divinità erano semplici entità e non avevano neanche un volto, una consistenza.15 Quale attinenza, dunque, tra il bosco di querce, le Virae appena nominate e il denario di P. Accoleius Lariscolus? Afferma molto sinteticamente il Riccio: "Il dottissimo conte Borghesi vi ravvisò (al R/ di questo denario n.d.t.) le Ninfe querquetulane presidi del luco de' Lari, allusivi al proprio cognome Lariscolo." L'opinione del Borghesi è riconosciuta anche dal Cohen16che riporta, senza aggiungere nulla di particolare, ciò che già enunciò Riccio nel suo catalogo: "L'egualmente dotto professor Cavedoni vi ravvisò pel contrario tre ninfe poste a guisa di cariatidi per sostenere quella traversa ornata da arboscelli." Per il Babelon, invece, l'interpretazione del R/ è una via mezzana delle prime due ipotesi: le tre figure rappresentate sono, sì, le Ninfe Querquetulane del Borghesi, ma colte nel momento in cui reggono una trave su cui sono poggiati cinque alberelli di cipresso, come vorrebbe il Cavedoni. Le varie ipotesi degli antichi studiosi non sono di molta utilità, così dobbiamo procedere attingendo con cautela agli elementi che ci sembrano più veritieri. La composizione del R/ di questo denario, ieratica come il D/ nella sua rigida e statica frontalità, è sicuramente legata in modo inscindibile dal D/ di cui abbiamo appena disquisito. Chi riconosce al D/ il busto di Diana Nemorensis, al R/ riconoscerà giocoforza l'assimilazione della dea sotto le tre forme di Diana, Ecate e Selene. La ripartizione tricorpe di Diana così effettuata era venerata a Nemi nel santuario appositamente costruito. Chi crede a questa ricostruzione vede nella mano destra della figura di sinistra un arco, simbolo esplicitamente riferito a Diana. Ma se, in realtà, siamo di fronte ad una rielaborazione delle statue delle antiche Virae Querquetulanae collegate direttamente al culto dei Lari? Anche in questo caso, come abbiamo visto prima, avremmo un coerente aggancio con il busto di D/ raffigurante Acca Larenzia. Il tutto rimanda al nome del magistrato Accoleius Lariscolus e alla sua famiglia. Sembra, infatti, poco probabile che una raffigurazione di una dea, triplice nella sua forma tricorpe, ma unica in generale, possa essere costituita da tre soli singoli personaggi per di più statici. Dato che nella tradizione antica il numero delle Ninfe non è specificato, chi disegnò tale motivo ne scelse tre per il semplice fatto che questo numero aveva una valenza magico-religiosa che ben si confaceva alla tematica della più remota religiosità romana, quella di Acca Larenzia e dei Lari con le loro Ninfe. Lo stesso significato che poi passò nel mondo cristiano. La trave sulle spalle delle tre statue e la base su cui esse poggiano i piedi potrebbero far pensare che realmente le Ninfe qui riportate fossero delle colonne/cariatidi intagliate nel legno di quercia e poste come colonne del tempio delle Virae che presiedevano al culto dei Lari, figli di Acca Larenzia. Quindi, la rappresentazione del R/ di questo denario non sarebbe altro che la stilizzazione del fronte di un antico tempio romano. Notiamo, poi, che le tre figure portano abiti differenti: la prima, quella a sinistra, ha un drappo che dalla spalla sinistra scende trasversalmente fino al lato destro del fianco; le altre due portano abiti uguali e rigidi, con una ripresa della stoffa sotto il petto per creare delle pieghe decorative che scendono dritte verso il basso. Quindi, in base a questo particolare da noi notato, forse per la prima volta, possiamo affermare con una certa sicurezza che le tre figure non costituiscono la Diana tricorpe di Nemi, bensì tre divinità nettamente distinte le une dall'altra, che, insieme non formano un unico corpo come dovrebbero fare nel caso di Diana Nemorensis. In quest'ultimo caso, le tre figure dovrebbero essere tutte uguali. Ultimo particolare che condurrebbe all'identificazione delle tre figure con le suddette Ninfe: i fiori che reggono le statue/colonne alle due estremità non sarebbero altro che il risultato di un'usanza romana secondo cui, due volte all'anno, si provvedeva ad ornare con fiori di vario genere i templi dei Lari e delle loro custodi, le Virae. Tale tradizione, andata perduta gradualmente con l'avvento di nuovi culti, ritornò in auge sotto Augusto. Credo che, almeno per ora, la nostra analisi riguardo questa particolare moneta sia ormai giunta al termine. Prima di concludere, però, vorrei lasciarvi due curiosità sempre restando in tema: FIG. 5. Denario ibrido: Obverse type of Man. Acilius Glabrio, reverse type of P. Accoleius Lariscolus. Denarius, 3.28g. (h). After 43 BC. Obv: Head of Salus right, SΛLVT behind. Rx: Three statues of nymphs standing facing. Cf. Crawford 442/1b (obverse) and 486/1 (reverse). Ex Phillip Davis Collection . Notare che, nonostante lo stile più approssimativo, al R/ sono visibili dei tronchi veri e propri tra gli intercolumni formatisi tra le cariatidi delle Ninfe. Ciò potrebbe avvalorare l'ipotesi che collegherebbe le tre figure al bosco sacro dei Lari sul Celio. Tale particolare, però, è completamente assente nei conii di P. Accoleius Lariscolus: siamo davvero di fronte ad un ibrido? FIG. 6. Particolare del D/ di un denario della tipologia di cui abbiamo finora parlato. Si noti la particolarità nella legenda di LARISCOLVI. ____________________________ 1 Gennaro Riccio, Le monete delle antiche famiglie di Roma fino allo Imperadore Augusto inclusivamente co' suoi zecchieri dette comunemente monete consolari etc. etc. seconda edizione, Napoli 1843. 2 Henry Cohen, Description gènèrale des monnaies de la Rèpublique Romaine communèment appelèes mèdailles consulaires. Paris-Londres, 1857. 3 Ernest Babelon, Description historique et chronologique des monnaies de la Rèpublique Romaine vulgairement appelèes monnaies consulaires. Tome premier. Paris-Londres, 1885. 4 Morto proprio nel 43 a.C., durante la battaglia di Modena, in cui combattè nelle file dell'esercito senatorio contro Marco Antonio, come ipotizzato dal Babelon per il nostro Accoleio Lariscolo, fu questore o legato di Cesare durante la conquista della Gallia e dal 54 a.C. magistrato monetale. Roscio Fabato, quindi, trova moltissimi punti in comune con Accoleius Lariscolus e la sua vicenda potrebbe non essere molto dissimile. 5 G. Riccio, Op. cit., p. 3. 6 H. Cohen, Op. cit., p. 4. 7 E. Babelon, Op. cit., p. 99. 8 H. A. Grueber, Coins of the Roman Republic in the British Museum. Volume I, London 1910. In particolare, vedi la nota numero 1 alla pagina 569. Le varianti di tale denario sono descritte ai numeri compresi tra il 4211 e il 4214 alle pagine 569-570. 9 Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma e si è occupata spesso di numismatica antica, in particolare romana, e dei risvolti storico-ideologici delle iconografie ivi riportate. In merito al denario che stiamo analizzando, la studiosa si sbilancia a favore della tesi del Grueber, di cui ne ricalca fedelmente i punti principali senza aggiungere nulla di nuovo. Ceci, come il Grueber, crede che il busto appartenga ad Acca Larenzia piuttosto che a Climene o Diana Nemorensis. 10 H. A. Grueber, Op. cit., p. 569, nota. 11 G. Riccio, Op. cit., p. 3. 12 Macrobio, Saturnalia, I, 10, 12-15; Plutarco, Vita di Romolo, 5, 1-3. 13 Livio, Ab Urbe condita, I, 4; Lattanzio, Divinae institutiones I, 1, 20. 14 Tacito, Annales, IV, 65. 15 L'abitudine di raffigurare le divinità con fattezze umane fu importata a Roma dalla Grecia che l'aveva trasmessa anche alla vicina Etruria. 16 Borghesi "croit que les trois figures du revers sont trois nymphes qui prèsidaient au bois sacrè des Lares."
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