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  1. ...sarebbe Scipione Fontana, secondo lui: "a tempo fu visitata la detta Regia Zecca per Mons.or Albertino [...] fu chiamato esso deposante [Scipione Fontana] che devesse pigliar' il carico de le Regie stampe de le monete [...] et havendose all'hora a scolpire alcune monete nove d'oro dele imprese che in quelli tempi havea fatte la felice memoria di Sua M.ta Cesarea in Alemagnia, esso deposante s'offerse e si conferi a li Regii servitii et satisfece la corte del meglio modo che per suo giudicio et habilita fu possibile..." Ebbe l'ufficio solo nel 1559, doppo la morte del Indice, ma lo esercitò (e condivise gli emolumenti).
  2. Salve a tutti. Oggi vorrei proporre, in questo mio nuovo intervento di approfondimento, una moneta, per certi versi ancora argomento di dibattito, della più grande rarità, battuta sotto il regno di Filippo III d’Asburgo come re di Spagna (1598 – 1621). Una moneta che, per certi versi, è ancora “evanescente” e sfuggente. Il mio obiettivo sarà, dunque, quello di riproporre nuovamente le nostre conoscenze su questo nominale, anche attraverso lo spoglio delle passate ricerche, per permettere infine una sua maggiore comprensione. Passiamo quindi subito ad illustrare l’oggetto della nostra discussione: D/ PHILIPP • III • D • G • REX • V Busto giovanile con corona radiata e corazza volto a destra. R/ SICILIAE – HIERVSA Stemma a cuore, coronato, in cornice di cartocci. Peso: 3 grammi. Diametro: 28 mm (secondo CNI XX) o 24 mm (secondo Bovi). Metallo: Oro 22 carati (secondo Prota). Bibliografia essenziale: · AA. VV., Corpus Nummorum Italicorum vol. XX (abbreviato in CNI XX), Roma 1943, p. 222, n° 393 (il busto è erroneamente riportato come rivolto a sinistra anziché a destra); · Giovanni Bovi, Le monete napoletane di Filippo III (1598 – 1621), in Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, anno LII, gennaio – dicembre, Napoli 1967, pp. 3 – 55, in particolare la moneta è descritta a p. 37, n° 53; · Alberto D’Andrea – Christian Andreani – Simonluca Perfetto, Le monete napoletane da Filippo II a Carlo VI, Castellalto (TE) 2011, p. 167, n° 1 (tra i riferimenti, viene erroneamente riportata come assente in CNI XX); · Michele Pannuti – Vincenzo Riccio, Le monete di Napoli dalla caduta dell’Impero Romano alla chiusura della zecca, Lugano 1984, p. 138, n° 1 (le legende riportate nella descrizione sono errate rispetto a quelle che possono leggersi sulla moneta illustrata nell’immagine); · Carlo Prota, Lo scudo di oro di Filippo III di Spagna coniato a Napoli, in Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano. Studi e Ricerche, Napoli 1926, pp. 26 – 30, in particolare la moneta è descritta ed illustrata a p. 29. Fig. 1: Lo scudo d'oro di Filippo III così come appare in Pannuti - Riccio, op. cit., p. 138. Singolarmente, per il periodo storico di cui trattiamo, non si conosceva alcuna moneta d’oro di Filippo III per Napoli prima che, nel 1926, Carlo Prota presentasse per la prima volta questo scudo. Fino ad allora, si conosceva solo un pezzo, presunto aureo, per questo sovrano, con i tipi identici al carlino con legenda EGO IN FIDE, coniato nel 1600 (per tale carlino in argento, cfr. Pannuti – Riccio, op. cit., p. 142, n° 16 e seg.). La moneta, descritta da Memmo Cagiati e poi passata in CNI XX, p. 178, n° 26, è custodita nel Medagliere del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (si rimanda a Giuseppe Fiorelli, Catalogo del Museo Nazionale di Napoli. Medagliere III: monete del medio evo e moderne, Napoli 1871, n° 7463) e risultò essere un normale carlino del tipo come sopra, ma dorato. Si potrebbe credere che questo carlino, già raro di per sé, fosse stato sottoposto ad un processo di doratura per spacciarlo come un nominale aureo unico ed inedito per questo sovrano, colmando così la lacuna già evidenziata prima causata dalla mancanza di monete d’oro coniate a nome del terzo Filippo. A titolo informativo, riportiamo che il carlino EGO IN FIDE dorato del Museo napoletano ha un peso di 3,04 g. ed un diametro pari a 23 mm., stando a quanto riportato da Bovi, op. cit., p. 13, e che quindi si avvicinava molto per dimensione e peso allo scudo d’oro presentato dal Prota e qui da noi nuovamente analizzato. Quest’ultimo, che ad oggi sembra essere l’unico nominale aureo noto della zecca di Napoli coniato per Filippo III, proveniva dalla collezione numismatica di Cesare Ratti e apparve successivamente in un’asta della ditta Mario Ratto di Milano nel 1962, al lotto n° 439 (cfr. Bovi, op. cit., p. 14). Apprendiamo, poi, sempre dal Prota (op. cit., p. 26), che, quando Filippo III salì al trono nel 1598, «la zecca di Napoli ebbe ordine di coniare moneta di ottima e buona lega e di giusto peso, come erano state le monete di Filippo II e di Carlo V, in maggior parte, quelle di oro emigrate dal Regno e quelle di argento quasi del tutto rifilate». Quindi, particolare attenzione dovevano ricevere in quel periodo, almeno stando ai documenti d’archivio che lo studioso napoletano ci riporta nel suo lavoro (cfr. Prota, op. cit., p. 26, nota 1), le monete d’argento, perché erano state soggette all’azione truffaldina dei tosatori, e quelle in oro (ancorché ugualmente tosate), poiché, grazie alla loro bontà, erano state in gran parte portate al di fuori dei confini regnicoli per circolare o essere riutilizzate in altri Stati, sia italiani che stranieri, dove la moneta aurea non raggiungeva simili standard qualitativi. Possiamo notare subito che la moneta in oggetto potrebbe appartenere proprio al primo periodo di regno di Filippo III. Benché la datazione sia resa ardua a causa della mancanza sia di una data specificata sul tondello stesso, sia per l’assenza delle sigle degli ufficiali di zecca, come i Maestri di Zecca e di Prova, purtuttavia, grazie ad un raffronto stilistico, possiamo affermare con una certa sicurezza che il busto presente sullo scudo d’oro è molto vicino alla tipologia ritrattistica che troviamo su alcuni nominali in argento, non da ultimi i mezzi ducati e i tarì, datati fino al 1610 circa. Lo scudo d’oro di nostro interesse fu quindi battuto durante il primo periodo che si configura tra il 1600 ed il 1610. Le emissioni di questo lasso temporale sono accomunate e caratterizzate dal busto del re effigiato con fattezze giovanili (infatti, Filippo salì al trono spagnolo quando aveva circa diciannove anni, come troviamo riportato in Pannuti – Riccio, op. cit., p. 136) e con un busto coperto da una corazza con espliciti e chiari riferimenti classicheggianti (fig. 2). Fig. 2: Confronto stilistico tra lo scudo d'oro e un generico tarì del tipo Pannuti - Riccio, op. cit., p. 141, n° 11 (ex Varesi 61, n° 85). Già Prota, op. cit., p. 29, aveva notato che, nonostante lo stile più rozzo e l’assenza delle sigle, questo scudo d’oro aveva notevoli somiglianze stilistiche con i tarì con stemma a cuore del tipo Pannuti – Riccio, op. cit., p. 141, n° 11 e segg. Risulta quindi chiaro che questa moneta potrebbe aver costituito l’esemplare di prova per una progettata emissione di scudi d’oro nel Regno di Napoli all’inizio del regno di Filippo III. Proprio in quel periodo, infatti, il problema della “cattiva moneta” era più vivo che mai a Napoli: il viceré dell’epoca, che maggiormente si interessò della questione, don Juan Alfonso Pimentel de Herrera, conte di Benavente (in carica dal 1603 al 1610), cercò di contrastare sia la piaga della tosatura che quella della moneta «mancante di peso», per dirla con le parole riportate in Prota, op. cit., p. 27. A tal fine, furono emessi due provvedimenti: il primo, si concretizzò con una prammatica del 6 giugno 1609, mentre il secondo è costituito da un bando del 12 maggio di quello stesso anno. Ma, a fronte di queste problematiche, rimaste a lungo irrisolte, l’emissione di moneta aurea per Filippo III sembra non aver avuto seguito e che il nostro scudo sia rimasto fino ad oggi un esemplare isolato, una tacita testimonianza dell’impegno del viceré e degli ufficiali di zecca di seguire le disposizioni in abito monetale che venivano emanate da Madrid per conto del nuovo sovrano. Tra le cause della mancata produzione monetale in oro, in un siffatto frangente, sembra che avessero avuto un certo peso le azioni dei tosatori, ma, ancor di più, l’esportazione o la tesaurizzazione di moneta aurea, che costituiva un danno più o meno pesante alla politica economica e monetaria del Regno partenopeo. Inoltre, bisogna considerare il fatto che nei territori dell’Italia Meridionale circolavano ancora in abbondanza le monete d’oro definite “antiche” di Carlo V e Filippo II, di buon peso e ottima lega, come viene riportato in Prota, op. cit., p. 27: «(…) si dovevano spendere o ricevere le monete antiche purché fossero di giusto peso, mentre tutte le altre venivano ritirate dalla zecca e dai banchi, con condizioni poco vantaggiose per i possessori». Tutte queste cause, quindi, hanno concorso affinché il progetto di una regolare emissioni di scudi d’oro per Filippo III venisse prima accantonato e, gradualmente, abbandonato. Il problema ancora irrisolto è il peso di questo, finora, unico esemplare noto, che raggiunge i soli 3 g., un po’ basso se pensiamo che le monete d’oro di questo periodo rispettavano ancora gli standard ponderali degli scudi di Filippo II (in entrambi i periodi: 1554 – 1598), aggirandosi intorno ai 3,38 g. (trappesi 3 ed acini 16, secondo Bovi, op. cit., p. 7). All’incirca della stesso peso era anche lo scudo aureo di Carlo V del tipo Pannuti – Riccio, p. 95, n° 11 (3,38 – 3,4 g.). Entrambe le tipologie avevano ancora ampio corso legale nel Regno. Ad oggi, l’ipotesi più recente in merito compare nel volume di D’Andrea – Andreani – Perfetto. In quella sede, a p. 165, viene detto che «dopo centocinquant’anni di coniazioni auree ininterrotte, Filippo III fu il primo sovrano spagnolo a non coniare monete d’oro a Napoli». In una nota, alla stessa pagina, viene spiegato come sia stato ritenuto falso anche l’esemplare di cui stiamo discutendo per via del peso calante, come verrà poi meglio specificato in un’altra nota a p. 167. Nessuna particolare menzione viene dedicata, invece, all’assenza delle sigle, neanche nel vastissimo articolo che Bovi dedicò alle coniazioni napoletane di questo sovrano nel 1967. Per tale punto possiamo solo rifarci a quanto riferì il Prota nel lontano 1926, alle pp. 29 – 30: «[la ragione] della mancanza delle sigle sopradette lo fa ritenere battuto verso il 1606, epoca in cui il maestro di zecca fu assente dal suo ufficio e le sue mansioni erano affidate al Credenziero Maggiore della zecca». La nota che dovrebbe spiegare meglio questo assunto rimanda ad un altro lavoro del Prota: Maestri ed incisori della Zecca Napolitana ricavati da documenti del R. Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1914, dove a p. 18 viene riferito che «Un maestro provvisorio regente (sic!) vi fu nel 1606 per brevissimo tempo, a nome Fulvio di Costanzo (…)». Naturalmente, oggi, tra tutti questi dubbi e la scarsa attenzione dedicata a questa moneta, si è fatta strada con sempre più veemenza l’ipotesi che l’esemplare appartenuto a Cesare Ratti e venduto dalla Ratto di Milano nel 1962 sia in realtà un falso. Occorre inoltre sottolineare l’impossibilità di reperire fotografie recenti del suddetto esemplare, il che non fa altro che creare ulteriori disagi per chi vorrebbe cimentarsi in un studio più articolato sul presente nominale. L’alone di “mistero”, dunque, permane intorno a questa moneta: io ho provato in tal modo a scalfirne la superficie, ma confido nei vostri interventi per cercare di approfondire ulteriormente questo affascinante argomento. Grazie a tutti per l’attenzione.
  3. tornese71

    VAS ELECTIONIS

    A pagina 446 de Il Linguaggio delle Monete, di Mario Traina, leggo che lo scudo d'oro di Paolo III con San Paolo esiste in 3 tipi, a seconda delle combinazioni tra due diverse immagini del Santo e due stemmi differenti. Mi incuriosiscono le due diverse "pose" di San Paolo descritte da Traina: 1° tipo (abbinato a stemma a cuore): Santo stante, la testa volta a sinistra, con spada puntata a terra e Vangelo aperto in atto di leggere. 2° e 3° tipo (abbinati rispettivamente a stemma semiovale o ovale oppure a cuore): Santo stante, testa volta a destra, con spada eretta e libro chiuso contro il fianco. Ora, tenendo presente che la legenda S PAVLVS VAS ELECTIONIS è tradotta da Traina in San Paolo vaso di elezione (= strumento eletto), indicando come confronto un passo degli Atti degli Apostoli (9, 15: ... vas electionis est mihi iste... egli è per me uno strumento eletto...), mi e vi chiedo: in una lettura complessiva della moneta quale significato può essere sottinteso dal modo in cui sono stati incisi gli attributi del Vangelo (aperto o chiuso) e della spada (puntata a terra o eretta) ? Grazie a quanti risponderanno fonte: mcsearch fonte mcsearch @@rcamil @@fabio22 @@rorey36
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