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  1. Il volto di Cristo Pantocratore. Lo sguardo fisso, quasi a guardarti. Scorrendo il catalogo di una recente asta, anche se ero alla ricerca di altro, mi sono bloccato: era quasi ipnotizzante, così mi sono soffermato a leggere le caratteristiche della moneta in questione... e poi, anche se la mia area di interesse abituale è tutt’altra, ho pensato: “con questa provo a fare un’offerta”. È così che alla fine mi sono aggiudicato questo ducale di Ruggero II e Ruggero III.
  2. Scavi. Scoperta, in un’antica latrina, tavola di maledizione e malocchio contro una coppia medievale. Gelosia? Cosa c’è scritto di Redazione Stile arte è un quotidiano di cultura, arte e archeologia fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz Rostock, 15 dicembre 2023 – Gli archeologi hanno fatto una scoperta spettacolare, in questi giorni, nel cantiere per l’ampliamento del municipio di Rostock. “Abbiamo trovato qualcosa che non avremmo mai pensato di trovare”, spiega il responsabile degli scavi, il Dr. Jörg Ansorge. Un pezzo di metallo poco appariscente si è rivelato essere una “tavoletta di maledizione”. È un pezzo di piombo arrotolato. Esso contiene una frase d’odio, che consegna a Belzebù le anime di un uomo e di una donna. Essa fu probabilmente scritta durante un rito magico che aveva il fine di gettare – forse per gelosia – il malocchio su una coppia. Nel corso dell’articolo vedremo qual è la frase esatta. Zoomiamo, ora, su Rostock. Il luogo di questo singolare ritrovamento – annunciato nelle ore scorse dall’ente municipale stesso – è una città extracircondariale situata nel Meclemburgo-Pomerania Anteriore, al nord della Germania. Essa ha una popolazione di 209.920 abitanti e, pur non essendo la capitale, è il principale centro del Land. La città si estende per circa venti chilometri lungo il corso del fiume Warnow, fino alle sue foci sul Mar Baltico. La parte occidentale della città è prevalentemente urbanizzata, mentre a est si trovano principalmente gli insediamenti commerciali e la brughiera cittadina nota come Rostocker Heide. Spostiamoci, quindi, sul Municipio, storico edificio del Neuer Markt (“Mercato Nuovo”) di Rostock. Fu costruito in stile gotico baltico nel XIII secolo; tra il 1727 e il 1729 venne aggiunta una facciata barocca. In un’area municipale, il Comune ha disposto la realizzazione di nuovi edifici funzionali agli uffici. Sotto il terreno sono state trovate le fondamenta di edifici medievali. Ed ecco uno strano rotolo di piombo, trovato nell’angusto vano di una latrina, che si trovava, originariamente, in un punto discosto del cortile, forse in fondo a un prato e comunque in fondo alla proprietà. Veduta del cantiere del municipio alla fine di novembre 2023. Si possono vedere le cantine delle ex case a timpano (da sinistra a destra) . In cima al cantiere c’è la Piccola Via d’Acqua. @ Foto: Ufficio Stampa e Informazione del Comune di Rostock Tavola delle maledizioni trovata in un luogo adiacente al municipio di Rostock: gli archeologi hanno scoperto questo piombo del malocchio del XV secolo in una latrina durante uno scavo nel cantiere del municipale. Una volta srotolato, le parole “sathanas taleke belzebuk hinrik berith” diventavano leggibili. | Foto: Archeologia nel Meclemburgo-Pomerania Occidentale (AIM-V) Una volta disteso, il rotolo ha rivelato le seguente parole, incise con un punteruolo sulla superficie malleabile del piombo: “sathanas taleke belzebuk hinrik berith”. “La maledizione – dicono gli archeologi tedeschi – era diretta contro una donna di nome Taleke e un certo Hinrik (Heinrich). Ovviamente avrebbero dovuto avere a che fare con i diavoli Satana, Belzebù e Berith. Qualcuno voleva interrompere la relazione tra Taleke e Heinrich? Si trattava di amore respinto e gelosia, qualcuno avrebbe dovuto essere messo da parte?”. Le parole si rivelano molto più leggibili con un aumento di contrasto dell’immagine Cosa rende il ritrovamento così speciale? Dice l’archeologo Ansorge: “Le tavolette di maledizione sono conosciute fin dall’antichità nelle regioni greche e romane, cioè dal periodo dall’800 a.C. al 600 d.C. La nostra scoperta, invece, è databile al XV secolo. Questa è davvero una scoperta molto speciale.” La scrittura in caratteri gotici e in grafia minuscola è visibile a occhio nudo. Si tratta di una grafia consolidata, non di uno scarabocchio. “Anche nei tempi antichi, le tavolette delle maledizioni venivano collocate dove era difficile o impossibile trovarle. – dicono gli archeologi – I maledetti non dovrebbero venire a conoscenza del disastro imminente. La magia dannosa avrebbe quindi potuto svolgersi in pace”. Quest’area, all’epoca – dicono gli archeologi tedeschi – doveva essere piuttosto povera, con più edifici non sontuosi. Oltre alla tavoletta della latrina è stata trovata una scarpa antica. Nella cantina di uno degli edifi sono stati rinvenuti parti, d’alta qualità, di lampadari valenciani e rubinetti del XVI/XVII secolo. Nelle cantine delle case con frontoni sull’Hege sono stati rinvenuti in particolare diversi rubinetti del XVI/XVII secolo. Provengono dalla Germania settentrionale ed erano realizzati in bronzo. @ Foto: KOE Rostock https://stilearte.it/scavi-per-un-edificio-scoperta-in-unantica-latrina-una-tavola-di-maledizione-e-malocchio-contro-una-coppia-medievale-gelosia-cosa-ce-scritto/ E poi dicono che sono solo i latini a credere al malocchio....
  3. Vel Saties

    Teodorico e il battistero degli ariani

    Teodorico e il battistero degli ariani https://www.storicang.it/a/teodorico-e-il-battistero-degli-ariani_16345 Secondo sovrano barbaro di Roma dopo Odoacre, Teodorico seppe far convivere sudditi di origini e religioni diverse Tra quanto sancito nel 325 dal I concilio di Nicea vi fu la condanna dell’arianesimo: la controversia verteva sulla natura di Gesù a cui la Chiesa attribuiva la medesima natura divina del Padre – sulla base dell’homooùsios, il principio della consustanzialità – negata invece dalla visione ariana. Nonostante la condanna, l’arianesimo continuò a diffondersi, soprattutto tra i germani di culto cristiano. Tra questi, anche il sovrano ostrogoto Teodorico, la cui tollerante politica religiosa si scontrò – a due secoli dal concilio – con quella dell’imperatore bizantino Giustino I, improntata invece a una decisa lotta contro l’arianesimo. Di fede ariana, ma incline a una politica religiosa basata su principi di tolleranza, Teodorico volle che nella sua capitale, Ravenna, cattolici e ariani potessero praticare in libertà il proprio credo. Per questo motivo fece erigere doppi luoghi di culto e in nome della propria fede fece costruire una basilica con l’annesso battistero. L’edificio, a pianta ottagonale, è in laterizi. Unico decoro oggi rimasto all’interno del battistero è il mosaico della cupola, organizzato in due cerchi concentrici su fondo oro. Battistero degli ariani. Interno, cupola, VI secolo d.C., Ravenna Foto: Marco Ravenna / Age Fotostock Soggetto primario del mosaico è il battesimo di Cristo, raffigurato nudo nelle acque del Giordano. Ritratto secondo l’iconografia classica, Giovanni Battista impone la mano sul capo di Cristo. Alla destra di Cristo l’anziana figura in semplici drappi verdi è la personificazione del fiume Giordano, nelle cui acque fu battezzato Gesù. Il cerchio più esterno del mosaico raffigura il corteo dei dodici apostoli, tutti in paramenti bianchi e recanti una corona in mano. Tra Pietro e Paolo spicca un trono vuoto, evidente rimando al tema dell’etimasia, l’attesa del ritorno di Cristo per il giudizio universale. Sul trono è raffigurato anche un sudario, secondo alcuni chiaro riferimento alla natura umana di Gesù e quindi alla dottrina ariana stessa. Pietro e Paolo recano le chiavi e il rotolo delle leggi (traditio legis et clavium) che il Cristo affidò loro. Tuttavia la morte del sovrano prima e l’intervento di Giustiniano I dopo decisero che le tracce di Teodorico e dell’arianesimo in città fossero cancellate dalla storia. Il processo investì tutti i luoghi di culto ariani, tra cui un'altra basilica voluta da Teodorico – l’attuale Sant’Apollinare Nuovo – che conservava al suo interno un mirabile ciclo musivo. La conversione al culto cattolico, avvenuta nel 540, comportò anche un intervento sui mosaici che raffiguravano temi legati alla dottrina ariana. La conversione, su iniziativa del vescovo Agnello, implicò una damnatio memoriae, una sorta di condanna della memoria: se alcune fasce, quelle più alte raffiguranti santi, profeti e scene della vita di Cristo vennero lasciate integre, quelle inferiori – sopra gli archi tra le navate – riguardanti Teodorico e i rimandi più evidenti al credo ariano vennero ridecorate e in alcuni casi drasticamente alterate.
  4. Buongiorno, vorrei identificare correttamente questa moneta. Leggendo le discussioni nel forum penso di poterla classificare come 'Piacentino Antico'. In particolare ho verificato: 1. La forma della lettera G 2. La forma della lettera A Chiedo agli esperti della moneta qualche opinione o suggerimento per aiutarmi a identificarla correttamente. Grazie
  5. Sperando di fare cosa gradita mi sono imbattuto in questo meraviglioso progetto. Mentre in Italia si passa amenamente il tempo in altro modo, in UK hanno trovato tempo e finanziamenti per questo progetto in cui si pubblicano i ritrovamenti monetali altomedievali su suolo britannico oltre ad una checklist dei depositi di monete dalle isole britanniche, c.450-1180 -> https://emc.fitzmuseum.cam.ac.uk/ EMC (The Corpus of Early Medieval Coin Finds) è un progetto con sede presso il Fitzwilliam Museum di Cambridge che registra singoli ritrovamenti di monete datate tra il 410 e il 1180 d.C. SCBI (la silloge delle monete delle isole britanniche), che è sostenuta dalla British Academy, pubblica, invece, monete nelle collezioni dei musei in Gran Bretagna e in molte altre parti del mondo. Corpus di reperti numismatici altomedievali Il database EMC è nato da iniziative individuali per registrare singoli ritrovamenti di monete del periodo 410-1180 d.C. da parte di DM Metcalf, Mark Blackburn, Mike Bonser e altri. La crescita nell'uso dei metal-detector durante gli anni '70 e '80 ha portato a un rapido aumento del numero di tali ritrovamenti, e nel 1987 gli sforzi per registrarli sono stati consolidati con l'istituzione di un 'Coin Register' annuale, stampato nel British Numismatic Rivista. Un decennio dopo, Mark Blackburn, custode di monete al Fitzwilliam Museum di Cambridge, ha avviato un progetto che avrebbe unito i punti di forza del "Coin Register" e di altre pubblicazioni di reperti di monete con la portata e la flessibilità di Internet. Con il sostegno finanziario del Leverhulme Trust, nel 1996 ha fondato il Corpus of Early Medieval Coin Finds (EMC), con sede nel Dipartimento di monete e medaglie del Fitzwilliam Museum. Il sito Web EMC è diventato accessibile al pubblico nel 1997 e il database iniziale dei reperti includeva oltre 6.000 record entro il 2001. Il database EMC ora contiene più di 12.000 record provenienti da tutta l'Inghilterra e il Galles. Continua a crescere al ritmo di 300-400 nuove monete scoperte all'anno. Silloge delle monete delle isole britanniche Il progetto British Sylloge fu proposto per la prima volta nei primi anni '50 da Christopher Blunt e altri membri delle Società Birtish e Royal Numismatic. Fu formato un comitato informale sotto la presidenza dello storico Sir Frank Stenton, che nel 1956 ne ottenne l'ammissione come comitato della British Academy. Il primo volume, sulle monete anglosassoni nel Fitzwilliam Museum, Cambridge è stato pubblicato dalla British Academy nel 1958. Da allora ha pubblicato oltre 70 volumi. Lo scopo della serie è pubblicare cataloghi dettagliati e completamente illustrati di monete delle isole britanniche in collezioni britanniche e di altro tipo. I volumi spaziano dalle monete britanniche preromane ai gettoni del XVII secolo, con una copertura più dettagliata della monetazione anglosassone. Le collezioni registrate comprendono quelle di oltre duecento musei nazionali, universitari e provinciali in Gran Bretagna e Irlanda e di musei in Scandinavia, Germania, Polonia, Lettonia, Estonia, Russia e Stati Uniti d'America. La forma digitalizzata di SCBI è stata creata come complemento al database EMC all'inizio degli anni 2000, sulla base del materiale dei primi 50 volumi che risalgono al periodo c. 410-1180. Le monete dei volumi successivi verranno aggiunte al database nel prossimo futuro. L'importanza dei singoli reperti I ritrovamenti singoli sono monete che si pensa siano state perse individualmente, presumibilmente per caso, mentre circolavano di mano in mano. Sono quindi molto diversi dai depositi di monete, che è più probabile che siano il risultato di una deliberata selezione e occultamento. I tesori gettano una luce importante su quali monete potrebbero essere disponibili in una volta e sulle reazioni alle crisi militari e di altro tipo, ma sono un indicatore molto meno affidabile della forma complessiva dell'economia monetaria. I reperti singoli rappresentano una finestra su dove e come il denaro coniato veniva utilizzato nell'alto medioevo. Questo corpo di materiale è diventato irriconoscibile sin dalla prima diffusione del metal detector negli anni '70. Prima di allora, la comparsa di un'unica nuova moneta altomedievale attraverso un ritrovamento fortuito o uno scavo archeologico era un evento degno di una pubblicazione dedicata. Ora, centinaia di monete di questo periodo vengono alla luce ogni anno. Sono segnalati volontariamente da numerosi utenti di metal detector in Inghilterra e Galles, che conoscono il valore di contribuire con le loro scoperte al database, in modo che possano essere consultati dai ricercatori e dal pubblico in generale. I cercatori sono incoraggiati a fornire quanti più dettagli sulla posizione e sul contesto delle loro scoperte con cui si sentono a proprio agio, e dovrebbero tenere presente che alcune informazioni possono essere registrate privatamente senza essere rilasciate al pubblico. Preso da solo, un singolo ritrovamento ha ben poco da dire. Ma quando migliaia di persone possono essere censite attraverso il database EMC, è possibile raggiungere nuove importanti conclusioni sulla forma mutevole dell'economia altomedievale. È grazie ai singoli ritrovamenti che si può identificare un notevole aumento nella scala della monetazione inglese nel periodo che va dal 680 al 750 circa. perso molto ampiamente. Sulla base dei singoli ritrovamenti, questo è emerso come il periodo più ricco di uso della moneta nell'area tra il 400 e il 1200 circa. I singoli ritrovamenti hanno anche rimodellato la comprensione della geografia dell'uso della moneta. È ora possibile rintracciare in dettaglio i diversi modelli di circolazione di vari tipi di monete, o di monete di particolari città di zecca nel X secolo e oltre. I reperti singoli hanno portato alla ribalta una categoria completamente nuova di contesto di ricerca: il cosiddetto "sito produttivo". Questo è un termine coniato dai numismatici per riferirsi a una serie di luoghi (principalmente nell'Inghilterra orientale) che hanno prodotto un gran numero di reperti singoli e altri oggetti metallici nelle immediate vicinanze, ma che non si pensa rappresentino un tesoro disperso. Piuttosto, si ritiene che fossero luoghi in cui le monete venivano utilizzate in modo particolarmente intenso. Le scoperte fatte dai rilevatori in "siti produttivi", segnalate a EMC e ad altri database, hanno aperto la strada a ulteriori indagini archeologiche e storiche, spesso con risultati drammatici. A Torksey nel Lincolnshire, un certo numero di rilevatori che lavorano da diversi decenni hanno recuperato una grande quantità di materiale altomedievale, tra cui monete di origine inglese, franca e araba, pezzi di hack-silver e hack-gold, pesi e molto altro ancora. Si ritiene che i campi in cui sono avvenuti questi ritrovamenti siano ora il sito di un accampamento dove la "Grande Armata" vichinga trascorse l'inverno dell'873/4. A Rendlesham nel Suffolk, vicino al famoso antico cimitero anglosassone di Sutton Hoo, i ricercatori hanno scoperto nel corso di molti anni un vasto assemblaggio di monete d'oro e d'argento del settimo e ottavo secolo e altri oggetti associati. Grazie ai successivi rilievi e scavi, questi ora costituiscono una parte importante nella comprensione di un importante sito reale, nel progetto finanziato da Leverhulme Lordship and Landscape in East Anglia AD 400−800: Man mano che il corpo dei dati single find si espande, continua a stimolare nuove ricerche. Altre linee di approccio produttive hanno incluso l'esame delle potenziali distorsioni nei dati, sia a livello locale che nazionale; confronti tra dati sul tesoro e reperti singoli; e la relazione tra i ritrovamenti di monete e vari aspetti della documentazione storica, come la distribuzione della ricchezza nel Domesday Book o il verificarsi di incursioni vichinghe note o toponimi in antico norvegese.
  6. Buonasera a tutti, ho provato da solo sul web , ma non sono riuscito ad identificare la moneta di cui a seguire riporto dati ed immagini... Grazie a chiunque vorrà intervenire. Ad maiora. Diametro massimo : 17,70 mm Peso: 0,66 grammi Materiale : mistura (o argento di titolo basso)
  7. nel link seguente è riportato uno studio interessantissimo sulla monetazione medievale https://www.academia.edu/30890160/Il_denaro_nel_Medioevo?email_work_card=view-paper
  8. Segnalo la pubblicazione del n°59 del Bollettino della Numismatica 2° volume dedicato alla zecca di Casale Monferrato, da Guglielmo II a Giovanni Giorgio Paleologo curato da Luca Giannazza. Un altro importante passo sulla strada della completa fruibilità di un grande patrimonio pubblico. L'opera è scaricabile dal sito dei BdN: https://www.bdnonline.numismaticadellostato.it/materiali/index.do per chi non riuscisse è disponibile anche su academiaedu https://www.academia.edu/45618365/La_collezione_numismatica_di_Vittorio_Emanuele_III_La_zecca_di_Casale_Monferrato_Parte_II_Da_Guglielmo_II_Paleologo_1494_1518_a_Giovanni_Giorgio_Paleologo_1530_1533_ Complimenti a Luca Giannazza per il grande lavoro. Mario
  9. Ciao a tutti, è ormai un anno che ho iniziato a collezionare monete e, ultimamente, ho rivisto con diversi occhi il film Il nome della rosa e la serie omonima. Mi piacerebbe capire quali monete possano essere quelle distribuite dai monaci ai bisognosi in alcune sequenze di entrambe le produzioni; come noto, l'ambientazione è un'abbazia del nord Italia nell'anno 1327. Immagino che si tratti di denari di poco valore di zecche del centro e nord Italia, ma quali potrebbero essere? Forse Roma, Firenze, Bologna o Milano. E la delegazione del Papa che arriva da Avignone, cosa potrebbe avere in saccoccia? Spero di aver azzeccato la sezione giusta.
  10. Xenon97

    Consigli per un progetto...

    Buongiorno a tutti gli amici del forum, questa volta non scriverò nulla riguardo alla storia del Giappone, ma vi chiedo qualche vostro prezioso aiuto e consiglio. In queste settimane io, e un gruppo di persone straniere, abbiamo pensato di progettare in futuro una mod ambientata nell'Italia medioevale, con anno di partenza il 1100. Precisamente cos'è una mod? Una mod è un insieme di modifiche estetiche e funzionali a un videogioco, create da professionisti oppure da giocatori appassionati, allo scopo di aggiornare, migliorare o semplicemente rendere diverso il gioco. La parte che abbiamo intenzione di modificare è l'espansione Rise of the Republic, un contenuto aggiuntivo del videogioco strategico - storico Total War: Rome II. Questo DLC è ambientato durante il periodo di Brenno e Furio Camillo, e la mappa di gioco ricostruisce principalmente la penisola italiana. Ecco la mappa in questione (non fateci caso alle fazioni giocabili): Ma ora il nocciolo della questione: com'era divisa l'Italia nel 1100? Per il sud, e la Sardegna, non ci sono problemi grazie a questa mappe: Come si può notare il meridione di quel periodo fu costituito principalmente dai seguenti feudi: Contea di Sicilia, Ducato di Puglia e Calabria, Ducato di Napoli e Principato di Capua. Oltre a questi furono presenti anche il Ducato di Gaeta, il Principato di Taranto e la nota repubblica marinara di Amalfi. Inoltre, non dimentichiamoci che Benevento fu sotto il controllo dello Stato Pontificio. Per quanto riguarda la Sardegna è nota la sua divisione in 4 giudicati: Cagliari, Arborea, Torres e Gallura. Invece per il centro e nord Italia? Qui iniziano già i problemi...Oltre allo Stato Pontificio, Ducato di Spoleto e le repubbliche marinare di Pisa, Ancona, Genova e Venezia non mi viene in mente nient'altro (al massimo la Contea dei Marsi in Abruzzo), anche perché in teoria la maggior parte dei territori centro - settentrionali a quel tempo appartenevano al Sacro Romano Impero. Avete qualche mappa dettagliata dove vengono indicati altri feudi quali marche, ducati etc? Inoltre, nel 1100 esistevano già i Comuni? Confido nel vostro preziosissimo aiuto! Per i curatori di sezione: se questa discussione non va bene potete tranquillamente spostarla. A presto! Xenon97 PS: anche per Corsica e Tunisia non ci sono problemi: la prima fu controllata dai pisani; la seconda ovviamente dagli Arabi.
  11. ARES III

    Semifonte

    Semifonte fu una città fortificata, che sul finire del XII secolo, divenne una fiera avversaria di Firenze. Oggi è solo il toponimo di una località nei pressi di Petrognano, frazione del comune di Barberino Val d'Elsa, in provincia di Firenze. Il nome deriva da latino Summus Fons (sorgente d'acqua alla sommità di una altura), divenuto in seguito Summofonte e infine Semifonte. Il castello prima, e la città poi, vennero fondati, intorno al 1177, dal conte di Prato Alberto IV degli Alberti, divenendo, in breve, uno dei centri più potenti della Valdelsa, nonché caposaldo imperiale nella zona. Questa nuova potenza fu immediatamente malvista dalla Repubblica fiorentina che vi si oppose in ogni modo e che riuscì a sconfiggerla nel breve volgere di un ventennio. Nel 1202, Semifonte, dopo un assedio iniziato nel 1198, venne sconfitta, conquistata e subito rasa al suolo dalle truppe di Firenze, che aveva voluto esemplarmente punire un avversario alle proprie mire espansionistiche. Terminata l'opera di distruzione, Firenze decretò che su quel colle non si sarebbe mai più potuto costruire nessun edificio. Tale divieto è stato, di fatto, rispettato fino ad oggi, ad esclusione della Cappella di San Michele, eretta, nel 1597, sulla cima del colle, su progetto di Santi di Tito, che ne ottenne, con fatica,l'approvazione da Ferdinando I de' Medici, allora Granduca di Toscana. Tra il 1154 e il 1174, l'imperatore Federico il Barbarossa scese in Italia cercando di sottomettere i liberi Comuni. Questi ultimi, appartenenti alla Lega Veronese di Pontida prima, Lombarda poi, infersero una sonora sconfitta all'imperatore durante la battaglia di Legnano nel 1176, giungendo infine alla pace di Costanza (1183). In questo clima di lotte tra imperatori e feudatari da una parte, liberi Comuni dall'altra, si colloca la nascita della città di Semifonte, fondata dal Conte Alberto IV degli Alberti nella seconda metà del XII secolo con l'intento di creare una cintura di castelli appartenenti ai feudatari fedeli all'impero[6] intorno alla città di Firenze, libero comune, per tentare di contenerne l'espansione. Le principali piazzeforti del partito imperiale erano: Fucecchio, San Miniato, Semifonte e Montegrossoli. A questi si affiancavano altri castelli degli Alberti (Certaldo, Castelfiorentino, Lucardo, Vico d'Elsa, Pogna[6]) e dei Conti Guidi (Poggibonsi e Monterappoli). I contrasti per l'edificazione della città (1177 - 1187) La prima fondazione Allo stato attuale non esiste nessuna testimonianza che permetta di stabilire con precisione la data di fondazione di Semifonte, quello che è possibile fare sono solo delle supposizioni. Anche da un punto di vista bibliografico l'unica testimonianza coeva agli avvenimenti è quella del giudice fiorentino Senzanome che assistette personalmente ad alcune fasi della guerra, terminata con la distruzione del centro. Il Senzanome colloca la fondazione intorno al 1177 per iniziativa del conte Alberto IV in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Federico Barbarossa; il monarca si trattenne in Toscana fino al gennaio 1178 per poi ritornare in Italia solo nel 1184. In quell'anno era scoppiata una contesa tra gli Alberti e il comune di Firenze per il controllo di Pogna e, nella cronaca di Senzanome, è scritto che il Conte Alberto «trascursis annis postea non multis» dal 1177 «dum excellentissimus Fridericus primus, Romanurum imperator intraret Ytaliam, de ipso confidens, de ipso castro super excellentioris monte qui dicebatur Somofonti, castrum contruixit eodem nomine appellatum, eiusdem imperatoris asumpto vexillo, quod nullum Ytalia melius nec forte simile preter unum». Questa è l'unica testimonianza che parli della nascita di Semifonte; visto che la località non venne nominata nell'elenco dei beni confermati dall'imperatore ad Alberto nel 1164, anno in cui il conte era da poco diventato maggiorenne e quindi è da ritenere che la fondazione del centro deve essere avvenuta proprio tra il 1177 e il gennaio 1178. Per gli Alberti la fondazione di un nuovo centro non era una novità, visto che, all'inizio dell'XI secolo, si erano fatti promotori della fondazione di un centro destinato a ben altra fortuna: Prato. Semifonte come Prato nasceva dall'aggregazione di diverse comunità poste nell'area circostante ma, rispetto alla fondazione di Prato, quello che era cambiato era il contesto. La zona in cui nacque Semifonte, alla fine degli anni settanta del Millecento, era una delle aree più popolate della Toscana potendo contare sia su centri come Certaldo, Podium Bonizii, San Gimignano, Colle di Val d'Elsa sia dall'essere attraversata dalla via Francigena; a quel tempo la via Francigena era l'asse principale per i movimenti degli uomini e delle cose e poterne avere il controllo era fonte di sicuri e immensi guadagni. Questi guadagni erano uno dei principali obbiettivi della Firenze del tempo e quindi, per averli, era pronta a combattere. Fin dalle fasi iniziali del popolamento, Firenze intuì che il nuovo castello le avrebbe inevitabilmente tagliato qualsiasi collegamento con il sud, per la sua collocazione strategica sulla via Volterrana, e dichiarò la guerra: ai primi di marzo del 1182 fu organizzata una spedizione militare, con l'intento di scoraggiare il progetto, attraverso l'occupazione e la sottomissione di Empoli, Pontorme, Pogna e distruggendo i cantieri attivi a Semifonte. La missione militare andò a buon fine visto che gli sconfitti giurarono di «Nec in Sumofonti pro castello edificando vel in alio podio non ibimus pro castello vel fortizia construenda vel facienda aliquo ingenio» (né faremo alcunché per edificare un castello in Semifonte né andremo in altro poggio per costruire un castello o opere fortificate o per fare altri accorgimenti difensivi) e queste non sono altro che le parole degli abitanti di Pogna, registrate dai notai fiorentini in un documento datato 4 marzo 1182. Seconda spedizione punitiva fiorentina e ripresa dei lavori I lavori furono sospesi per un paio di anni. Quando la situazione si fu nuovamente calmata gli Alberti riportarono lavoratori e abitanti nella zona per ricominciare i lavori di fondazione e Firenze scatenò nuovamente la guerra alla famiglia. L'esercito fiorentino occupò nuovamente Pogna, vennero distrutte le fortezze albertiane di Marcialla e di Mangona nel Mugello, dove il conte Alberto IV venne catturato. Per ottenere la libertà dovette accettare le condizioni dei fiorentini che consistevano nello smantellamento delle fortificazioni di Certaldo, nella distruzione di Pogna, nella cessione della metà degli introiti dei dazi percepiti con i pedaggi sulla Francigena e nel nuovo smantellamento di Semifonte. Il documento di resa recita: «Nec ullo in tempore reedificabimus vel permettimus reedificationem aliquo ingenio castellum de Pogna, nec domus aut operas in Summofonte» (Né mai riedificheremo e permetteremo la riedificazione con qualsiasi accorgimento del castello di Pogni né di case o d'opere in Semifonte). Costretti a questo giuramento furono: il Conte Alberto, i suoi figli Guido e Maginardus e la moglie Tavernaria. I patti però non furono rispettati e il processo di espansione di Semifonte riprese indisturbato. Il 19 agosto 1187 il conte Alberto si presentò a Bologna come testimone al cospetto dell'imperatore Enrico VI facendosi appellare quale «comes Albertus de Summufonte». La scelta del conte è significativa: fino a quel momento gli Alberti si erano sempre presentati come Conti di Prato ma la scelta di usare il nuovo titolo di fronte all'imperatore (cioè di fronte a colui che legittimava il loro potere) va letta come la dimostrazione degli stretti legami che legavano la famiglia con il nuovo centro e il nuovo centro con il potere imperiale; il messaggio rivolto in tal modo a Firenze ed ai suoi alleati era chiaro: toccare Semifonte equivaleva a toccare direttamente gli interessi imperiali. Fra i principali alleati di Firenze, in quel momento, vi erano i conti Guidi i quali, nello stesso periodo, nella zona tra la Pesa, l'Elsa e l'Arno, insomma nel feudo degli Alberti, avevano fondato ben due centri:Podium Bonizii ed Empoli, e quest'ultima, con il dichiarato intento di sottrarre uomini agli Alberti[14]. Con la nascita di Semifonte gli Alberti, unici veri rappresentanti del potere imperiale in questa zona della Toscana, cercarono di controbilanciare il potere guidingo. Lo sviluppo della città (1187 - 1198) Mortennano e nascita del comune A Semifonte i lavori procedettero in maniera spedita e, oltre alle fortificazioni, vennero costruite le case per gli abitanti, i quali furono subito dediti alle più varie attività artigianali, nonché alla mercatura. Ma ci fu un vero e proprio colpo di scena: il 18 luglio 1189 il Conte Alberto degli Alberti cedette metà dei suoi diritti sulla città a Scorcialupo da Mortennano: questa mossa servì per rafforzare la posizione della nuova città nei confronti di Firenze, facendo entrare Semifonte nell'orbita di Siena. Scorcialupo infatti era il proprietario del Castello di Monternano, situato nei pressi di Castiglione (oggi Castellina in Chianti), nel distretto della pieve di Sant'Agnese in Chianti, appartenente alla diocesi di Siena ed inoltre apparteneva ad una potente famiglia dell'élite senese e, Siena, avversaria di Firenze, mai avrebbe permesso che la città gigliata minacciasse una proprietà di un suo concittadino. Se da una parte questa scelta rafforzò politicamente Semifonte, dall'altra questo, è il primo segnale dell'abbandono da parte degli Alberti dello scacchiere toscano, Prato compresa, per trasferire i loro interessi nell'area di Bologna, dove infatti si attesteranno dal Trecento. La cessione però, non fu vissuta come un dramma dagli abitanti. Infatti nello stesso periodo (o forse fin dal principio), all'interno del castello, si era cominciata a formare una solida leadership di cittadini che, di concerto col fondatore, avevano iniziato a autogovernarsi. La prima attestazione di un Comune di Semifonte appare in una carta della badia a Passignano del dicembre 1192 e, alla fine del secolo, risulta che il governo del comune era affidato a tre consoli e ad un consiglio di cui sono rimasti i nomi di sette consiglieri. Intanto il castello si andava sempre più sviluppando e, con la sua potenza, già minacciava i commerci di Firenze. Si narra che i cavalieri di Semifonte andassero fin sotto le mura di Firenze a gridare in segno di scherno: «Fiorenza, fatti in là che Semifon si fa città» Sempre nel 1192, le milizie di Semifonte catturarono, quasi sicuramente su ordine dell'Imperatore Enrico VI, il cardinale Ottaviano Vescovo di Ostia[18], l'uomo, in quel momento, più autorevole della Curia romana, il quale transitava sulla via Francigena di ritorno verso Roma da una missione diplomatica in Normandia. Il Cardinale fu poi rinchiuso nella fortezza di Monte Santa Maria Tiberina presso Città di Castello. Ma questo non fu che l'episodio più clamoroso: approfittando della posizione strategica della loro città, i semifontesi erano soliti depredare tutti i messi pontifici di passaggio e ciò li mise in cattiva luce con la curia romana. Ma a salvarli fu la notevole ricchezza e l'importanza strategica del castello che attirarono l'attenzione di due importanti e vicini monasteri vallombrosani: la badia a Coltibuono e, soprattutto, l'abbazia di Passignano. Ingresso di Badia a Passignano Il 15 novembre 1192 la badia di Passignano acquistò un edificio e un terreno non edificato posti nel borgo di Cascianese, uno dei borghi che costituivano il nuovo centro. Questo investimento fu fatto, ufficialmente, allo scopo di poter costruire un ospedale per i viandanti. Circa un mese dopo, venne siglato un accordo tra il pievano di Santa Gerusalem (la chiesa principale del castello) e l'abate di Passignano, accordo che ebbe un peso notevole nelle vicende future. In base a questo accordo il pievano, sul cui territorio sorgeva Semifonte, concesse due privilegi alla chiesa che il monastero si era impegnato a costruire insieme all'ospedale: il titolo di parrocchia ed il governo su quella parte della nuova città che andava dalla porta di Tezanello alla opposta porta di Bagnolo . Non solo, il pievano si impegnò a non sollevare obiezioni nel caso in cui la chiesa patrocinata da Passignano avesse ottenuto dal Papa il diritto alla fonte battesimale, concessione apparentemente inspiegabile visto che la fonte battesimale era un'importante prerogativa della chiesa di Santa Gerusalem. L'elevazione di una semplice chiesa parrocchiale a pieve era un evento molto insolito in ambito fiorentino, ma il pievano di Santa Gerusalem non parve preoccupato dall'eventuale diminuzione di importanza della sua chiesa, forse perché sapeva che Passignano godeva dell'appoggio dalla Santa Sede. La contropartita che Passignano dovette concedere fu modesta: doveva riconoscere la superiorità della pieve sulla parrocchia e festeggiare le festività della Santa Croce e di San Niccolò che si tenevano nella stessa pieve; dati i rapporti di forza, totalmente a favore di Passignano, per il monastero l'affare fu notevole. Il ruolo di Coltibuono invece è meno chiaro, anche se ottenne di farsi rappresentare nel consiglio comunale della città da un uomo che faceva stabilmente parte della classe dirigente cittadina: Biliotto di Albertesco, un commerciante con bottega sul mercato locale. In un anno non definito, Biliotto e la badia a Coltibuono procedettero alla vendita di un bene non specificato a un membro della famiglia Ricasoli di Vertine, e con tale evento si tentò di inserire la famiglia Ricasoli nella nobiltà Semifontese. Non se ne fece di nulla perché, nel 1202, avvenne la capitolazione e il contratto venne annullato. Ma non furono solo interessi economici a far muovere Passignano. Come abbiamo visto, il potere degli Alberti era ormai in netto calo e l'abate di Passignano, spalleggiato in questo da Coltibuono, mirava sicuramente prima ad affiancare e poi magari a sostituirsi quale feudatario, e, a questo progetto, non erano estranei i consoli del comune di Semifonte; il consiglio si impegnò a non esercitare alcun diritto fiscale sia sulla chiesa che sull'ospedale che il monastero voleva costruire e, inoltre, questa immunità venne estesa a tutte le case che il monastero avesse costruito o acquistato dentro le mura e su tutto il territorio semifontese. In cambio di queste concessioni, l'abate offrì al comune tutto l'appoggio che il monastero poteva dare. Da questi accordi si evince che la sostituzione degli Alberti con Passignano era possibile, anche se ciò comportava una modifica degli equilibri interni; Passignano ottenne inoltre che nel consiglio del comune sedesse stabilmente un suo rappresentante, nella persona del procuratore Pierus quondam Cascianelli ed il comune, in cambio, ottenne l'appoggio di una potente comunità monastica, fortemente legata con la Santa Sede. L'inizio della fine Nell'autunno 1196, approfittando della partenza dell'esercito imperiale alla volta della Sicilia, i fiorentini per la prima volta attaccarono il borgo esterno alle mura della città. Subirono danneggiamenti anche una o più chiese di proprietà della Badia a Passignano. La reazione dei monaci fu immediata: su intercessione dell'abate, papa Celestino III lanciò l'interdetto su Firenze, a causa dei danni che quest'ultima aveva causato ai beni che il monastero possedeva a Semifonte. A perorare la causa di Passignano e Semifonte venne inviato a Roma Boncompagno da Signa, uno degli uomini di legge più celebri del tempo. Ma un avvenimento mutò irreparabilmente lo scenario nel 1197: l'imperatore Enrico VI morì e lasciò come erede Federico II di soli tre anni. La Lega di Tuscia Il partito imperiale entrò immediatamente in crisi e tutti i conflitti ripresero. Tra i primi a muoversi furono i comuni di San Gimignano e Volterra, che si allearono contro il vescovo di Volterra ed il locale rappresentante imperiale Bertoldo. In quello scontro il potere vescovile ne uscì ridimensionato ed inoltre subì la perdita del castello della Pietra, concesso dallo stesso Enrico al vescovo ma ora sottomesso al comune. In prima fila tra gli anti-imperiali c'era Firenze, che insieme ad altre città toscane, stipulò la Lega di Tuscia (1197-1198). La sede delle trattative fu a San Genesio, da sempre sede delle diete imperiali per la Toscana, e, oltre a Firenze, furono coinvolte Lucca, Siena, i Conti Aldobrandeschi, i Conti Guidi, altri Grandi di Toscana, San Miniato e il vescovo di Volterra e, poco dopo, venne estesa anche ad Arezzo ed a Prato. L'importanza della Lega di Tuscia fu enorme: per la prima volta le città toscane si spartirono il territorio della regione senza tener conto delle antiche divisioni amministrative, inoltre, venne, di fatto, stabilito un rapporto paritario tra le autorità comunali ed i signori feudali e, infine, i partecipanti si giurano reciproca difesa, impegnandosi a non riconoscere Imperatore o Re senza ordine della chiesa. L'obiettivo principale era la resistenza contro una restaurazione della signoria tedesca. Ogni membro avrebbe dovuto ottenere la sovranità nel proprio territorio, senza violare i diritti degli altri. Il vescovo di Volterra venne posto a capo della lega. Tra i convocati c'erano anche le maggiori famiglie feudali toscane che, avendo ormai perso la protezione imperiale, si videro costrette, non solo ad accettare di partecipare all'assemblea, ma anche ad accettarne le decisioni. Tra i partecipanti c'erano i Guidi, i Gherardini, gli Aldobrandeschi e gli Alberti. Nell'accordo finale i diritti di queste famiglie vennero riconosciuti, a patto però che fossero di concessione regia ma, di fatto, da quel momento in poi persero, o dovettero profondamente ridimensionare, il controllo che avevano sul territorio. Per quanto riguarda gli Alberti, Firenze pretese, non a caso, un accordo diverso. Dalla Lega di Tuscia dovevano rimanere fuori le fortezze albertiane di Certaldo, Mangona e Semifonte, in pratica i gioielli del dominio albertesco, in cambio Firenze garantì la restituzione agli Alberti per usi agricoli dell'area di Semifonte, ovviamente dopo che ne fossero state smantellate le fortificazioni. Nel 1198 era stato eletto al soglio pontificio papa Innocenzo III, fautore di una decisa politica antimperiale, e Semifonte si trovò di fatto isolata da tutto e da tutti. L'assedio e la distruzione (1198 - 1202) I fiorentini cominciarono la riconquista del contado sottomettendo prima il castello di Montegrossoli, e poi, l'11 maggio 1198, Certaldo. Firenze decise di cominciare la guerra contro l'odiata Semifonte proprio nel 1198. La prima mossa fu il rafforzamento del vicino castello di Barberino, che avrebbe fatto da quartiere generale, poi ci fu la conquista di Vico d'Elsa ed a quel punto l'accerchiamento di Semifonte era completo. Gli alleati di Semifonte La probabile futura caduta di Semifonte fece preoccupare i vari centri della Valdelsa, che temevano il dilagare della potenza fiorentina nella zona. Perciò provvedettero, innanzitutto, a sopire le varie vertenze locali. Colle di Val d'Elsa inizialmente si era schierata con il partito imperiale ma, dopo diversi scontri per il possesso del castello di Casaglia, il 24 novembre 1199, stipulò un patto di alleanza e difesa reciproca con San Gimignano (alleata di Semifonte), per contrastare Poggibonsi, cittadina amministrata in condominio da Firenze e Siena; tale accordo venne stipulato proprio nel castello di Semifonte, grazie alla mediazione del console Mainesctus. Altri accordi furono stipulati tra i signori feudali dei comuni minori della Valdelsa e della Valdera quali Montevoltraio, Montignoso, Monteglabro, Castelvecchio e i signori del castello della Pietra; tutti questi centri si dichiararono alleati di Semifonte. Alla luce di quello che successe dopo, la loro alleanza con Semifonte fu solo teorica. La città fu assediata, certamente in maniera non continuativa, anche per le ingenti spese che ciò avrebbe comportato. Il tradimento del conte Alberto La situazione precipitò il 12 febbraio 1200, quando, il conte Alberto IV, per salvare il resto dei suoi domini feudali, si accordò con il comune di Firenze vendendogli per 400 libbre o 400 lire di moneta pisana la sua metà dei diritti sul castello; inoltre, si impegnò ad aiutarli nell'assedio e cedette, definitivamente, il castello di Certaldo (che nonostante tutto aveva continuato ad aiutare Semifonte), in più vennero ripetute le clausole dell'accordo del 1184, ovvero l'esenzione su qualsiasi pedaggio per i mercanti e i cittadini fiorentini in transito sulla Francigena. Il Conte Alberto che tanto si era adoperato per l'edificazione della sua città, ora l'aveva tradita. Fiutando il vento, anche Scorcialupo da Mortennano cedette a Tabernaria, moglie del conte Alberto, la sua metà del castello di Semifonte e lei girò immediatamente il tutto al comune di Firenze, che, a questo punto, era, da un punto di vista legale, la padrona assoluta del castello. Dopo la resa del conte, anche il vescovo di Volterra, Ildebrando Pannocchieschi, si schierò apertamente con i fiorentini inviando, contro Semifonte e contro Colle Val d'Elsa, 200 cavalieri e 1.000 fanti. Lo fece perché sperava in un loro aiuto contro San Gimignano, ma tale decisione, la prese sfidando una parte dei suoi fedeli e lo stesso comune volterrano schierato invece a fianco di San Gimignano e Semifonte. La pace di Fonterutoli Nel 1201, quarto anno di guerra, Firenze ancora non era riuscita a fiaccare la resistenza dei semifontesi; evidentemente la volontà dei difensori unita agli aiuti dei centri minori stava funzionando ma Firenze stava per calare il jolly. Il 29 marzo 1201, nella canonica di San Miniato a Fonterutoli, si incontrarono Paganello da Porcària, podestà di Firenze, e Filippo Malavolti, podestà di Siena, con i loro rispettivi funzionari. Fra le due parti venne firmato un accordo in base al quale i decennali contrasti tra le due città avrebbero visto la fine. L'accordo prevedeva che Firenze concedesse il libero transito ai mercanti Senesi nel suo territorio e in cambio, Siena si impegnò a fare altrettanto. Apparentemente sembra un accordo commerciale, ma, in realtà, è politico e militare; il podestà di Firenze fece infatti scrivere che se un abitante di Montalcino fosse stato trovato in territorio fiorentino, venisse catturato e, entro 15 giorni, consegnato alle autorità senesi ed inoltre, e qui è il passo fondamentale, se Siena avesse chiesto aiuto militare a Firenze per la conquista di Montalcino, la città del giglio, le avrebbe messo a disposizione 100 cavalieri e 1000 tra fanti e arcieri, mantenuti a spese della stessa Firenze per almeno un mese. Da parte sua Siena si impegnò a considerare Semifonte come sua nemica e se un semifontese fosse stato trovato nel suo territorio lo avrebbe consegnato a Firenze, e, inoltre, avrebbe fornito, per la guerra di Semifonte, un contingente armato anch'esso di 100 cavalieri e 1000 fanti[29]. Ma l'accordo prevedeva anche altro: Siena si impegnò a impedire che Colle di Val d'Elsa fornisse qualsivoglia aiuto a Semifonte e, da parte senese, non sarebbe stato inviato nessun aiuto a San Gimignano se quest'ultimo avesse continuato a schierarsi dalla parte di Semifonte. In definitiva, l'accordo stipulato a Fonterutoli stabilì, senza dubbi, quali erano le zone di influenza delle due città. Nonostante Firenze fosse, dal punto di vista legale, la padrona del castello decise di scendere a patti con Siena. L'accordo era fondamentale perché Siena era diventata una vera e propria spina nel fianco verso i progetti di espansione fiorentina in Val d'Elsa e nel Chianti. Tra le due città esisteva un vecchio accordo che era stato firmato l'11 dicembre 1176 nella pieve di San Marcellino. L'accordo mise momentaneamente fine al conflitto scoppiato l'anno precedente, tra le due parti, per questioni di confini nel Chianti e per il controllo di Montepulciano. In quel patto si stabilì che il confine nella zona del Chianti sarebbe iniziato dal punto in cui il torrente Bornia si getta nell'Arbia e, di conseguenza, i castelli di Brolio, Campi, Lucignano, Monteluco, Lecchi e Tornano passarono sotto il controllo di Firenze. L'accordo stava stretto a Siena che infatti lo rispettò solo per modo di dire; subito dopo la firma entrambe ricominciarono a guerreggiare. Insomma l'accordo di Fonterutoli servì a tenere buona Siena per il tempo necessario a prendere Semifonte, poi tutto sarebbe ricominciato come sempre. L'accordo di Fonterutoli determinò dunque, il cambiamento di campo di Colle Val d'Elsa, ma non fu la sola. Ormai i maggiori alleati, come la badia a Passignano, stavano abbandonando Semifonte mentre Firenze ricevette rinforzi anche da Lucca, Prato e dai Guidi. L'unico alleato rimasto fedele era San Gimignano, da cui continuarono ad arrivare rinforzi. Ma furono gli ultimi; nel timore di ritorsioni ed in cambio di una immunità concessa dai fiorentini, i sangimignanesi garantirono che, in caso di caduta di Semifonte, si sarebbero semplicemente limitati ad accettare la cosa. Epilogo Nei primi mesi del 1202 Firenze strinse l'assedio. Per l'ultima disperata resistenza, i Semifontesi affidarono la Rocca di Capo Bagnolo (la fortezza principale della loro città) a un certo Dainello di Ianicone dal Bagnano (località poco distante). Firenze, invece, affidò il comando al Console Clarito Pigli (o Pili o Pilli), il quale fece pervenire truppe fresche, nonché i temibili mangani, macchine da guerra per scagliare pietre durante gli assedi e il fuoco greco, che i fiorentini usarono sul campo per la prima volta. Secondo il Salvini, difensori di Semifonte erano poco più di 5000, contando anche i rifugiati dei dintorni, mentre gli attaccanti ammontavano a circa 10000 uomini. Il commando suicida L'assalto finale fu lanciato probabilmente all'alba del 23 marzo 1202. Secondo la leggenda, la caduta avvenne per tradimento. Tutti i vari storici del passato individuarono il traditore in tale Ricevuto di Giovannetto, uno dei soldati che il comune di San Donato in Poggio aveva mandato in soccorso di Semifonte. Ricevuto sarebbe stato al soldo dei fiorentini e, in cambio di una esenzione perpetua dal pagamento delle tasse, avrebbe, ad un determinato segnale, dovuto aprire la porta Romana, a lui affidata. Scoperto il tranello, Ricevuto sarebbe stato ucciso dai semifontesi. In realtà ad accelerare la caduta fu un colpo di mano di un vero e proprio commando guidato da un certo Gonella insieme ad altri fuoriusciti semifontesi, tra cui lo stesso Ricevuto, che però rimase solo ferito, ed ai cui discendenti la Repubblica fiorentina concesse l'esenzione in perpetuo delle tasse. Questi semifontesi appartenevano sicuramente a un gruppo di cittadini molto legato al conte Alberto e, grazie alla perfetta conoscenza delle strutture del castello, riuscirono nell'impresa. Secondo il Salvini, che riprende la storia di Pace da Certaldo, le cose andarono così: sfruttando il buio della notte l'esercito fiorentino si era avvicinato alla porta Romana, che intanto era stata aperta dal commando, e una volta dentro il gruppo si divise in due, una parte tentò di scalare le mura della Rocca di Capo Bagnolo (il punto chiave di tutta la fortificazione) mentre l'altro gruppo tentò di conquistare la rocca stessa. Il piano fallì e furono quasi tutti uccisi. Assalto finale Intanto il governo di Firenze cominciava a stancarsi di questo lungo assedio e pretese la conquista, oltretutto aveva già ordinato, allo stesso Clarito de'Pigli, di cominciare un altro analogo assedio al castello di Combiate in Val Marina. Clarito decise così di sferrare l'attacco finale sfruttando i nuovi rinforzi che gli erano giunti da Firenze e da Certaldo. Prima dell'assalto inviò nel castello quale ambasciatore. Aldobrandino Cavalcanti, con l'autorizzazione ad accettare qualsiasi richiesta ragionevole. Il consiglio del castello chiese due ore di tempo per decidere. Clarito accettò, ma intanto dispose le truppe. All'interno intanto la discussione fremeva: alcuni fecero presente che la città ormai era allo stremo e che le difese ormai erano ridotte talmente male che i fiorentini non avrebbero avuto difficoltà ad aprirvi un varco, ma altri proposero di resistere ad oltranza confidando nel fatto che nei dintorni la rivolta contro Firenze era in corso e che l'esercito fiorentino avrebbe smobilitato l'assedio per spegnere queste rivolte. Mentre i Semifontesi discutevano erano ormai trascorse le due ore concesse da Clarito, il quale, da parte sua, aveva ormai dispiegato tutte le truppe per l'assalto finale e dette il via alle operazioni. Quando i semifontesi si accorsero dell'inizio dell'attacco ormai era tardi e, nonostante un'ultima valorosa difesa, tutto si rivelò inutile. Stremati da mesi di assedio non avevano più la forza di combattere e fu allora che una delegazione composta dagli anziani e dal clero si recò da Clarito per invocare pietà. Clarito accolse la richiesta, proibì alle sue truppe ogni atto di violenza sulla popolazione e chiese dodici ostaggi più il loro capo messer Scoto. Dopo una breve trattativa si accontentò di prendere in ostaggio solo due consoli ed entrò in città, per poi schierare le sue truppe sulla piazza del castello. Tutto questo accadeva il 31 marzo: i Fiorentini erano riusciti a prendere la città, ma non la Rocca difesa dal valoroso Dainello, il quale cessò le ostilità solamente per l'ordine ricevuto da Messer Scoto, detto poi, da Semifonte, ultimo Podestà della città. L'atto di resa incondizionata Il 3 aprile 1202, a Vico d'Elsa, venne redatto il trattato di pace tra Clarito Pigli e Albertus de Monteautolo, podestà di San Gimignano, difensore degli interessi semifontesi. Le condizioni di resa furono durissime: i Semifontesi, che furono costretti ad accettare senza neanche poter leggere il trattato[44], si dovettero impegnare ad abbandonare e ad abbattere tutte le fortificazioni della loro città entro il mese di giugno del 1202. Successivamente iniziò la demolizione delle torri, delle case, perfino delle chiese. La leggenda dice che i materiali furono reimpiegati dai Fiorentini nella costruzione della cinta muraria di Barberino Val d'Elsa. Della città che aveva osato sfidare Firenze non doveva rimanere traccia. Va detto che, in segno di pacificazione, i fiorentini stanziarono 4000 lire a fondo perduto per consentire ai semifontesi di reinsediarsi in una area nel piano sottostante dove, però, non avrebbero potuto costruire nessuna fortificazione; l'area indicata però era inospitale e i semifontesi si dispersero andando in molti a San Gimignano, altri verso i vicini centri valdelsani, altri a Firenze e alcuni persino in Sicilia e in Palestina. Per racimolare le 4000 lire si istituì una nuova tassa, la libra , che fu imposta non solo ai laici ma anche alle chiese e ai monasteri del circondario, e per pagarla, la badia a Passignano, tassata per 24 lire, dovette far ricorso ad un prestito da un usuraio. Fu disposto che in quel luogo mai si sarebbe potuto riedificare alcuna cosa. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Semifonte
  12. Buongiorno! Oggi ho scoperto una figura storica del Medioevo… il Maestro d’Armi Fiore dei Liberi da Premariacco (1350 circa – ?), un maestro di scherma e schermitore italiano autore di un celebre trattato noto come Flos Duellatorum. Nacque a Premariacco, nei pressi di Cividale del Friuli, gastaldia di Cividale, patriarcato di Aquileia, compreso nel Sacro Romano Impero. Le prime notizie certe su di lui risalgono al 1384 e vengono dal suo testo, dove afferma di “aver iniziato gli studi in età giovanile” e di avere alle spalle “circa 40 anni di studio dell’arte della spada” per cui si ritiene che la data di nascita sia collocabile attorno agli anni immediatamente antecedenti il 1350. La data di morte invece è ignota. Fu rinomato Magistro di Scrima; fin dal Duecento venivano registrati Magistri d’Arme nella zona del Cividalese (1259 Magistro Goffedro scharmidor, 1295 Magistro Arnoldo scharmidor, 1341 Magistro Domenico, triestino domiciliato a Cividale, 1363 Magistro Franceschino (del fu geto di Rodolfo da Lucca – anch’egli residente a Cividale). Da ciò si deduce che Fiore fu solo uno dei vari Maestri d’Arme della zona; si recò presso varie corti nobiliari: Mantova, Padova, Pavia e Ferrara. Sono noti i nomi di alcuni dei suoi allievi. Nella città estense, per ordine del marchese Niccolò II d’Este, scrisse nel 1409 il trattato Flos Duellatorum (l fiore della battaglia). E’ uno dei primi e più famosi scritti dell’epoca nei quali sono insegnati i vari tipi di lotta e di scherma: divenne una pietra miliare nello studio della scherma antica. Sono giunte ad oggi tre copie: due conservate in USA (collezione Morgan e collezione Getty) e una terza in Italia (collezione Pisani-Dossi) di cui esiste solo la versione fac-simile. In realtà, il Flos duellatorum sembra non essere un unico manuale e si presente sotto due forme molto diverse, anche se i contenuti sono fondamentalmente gli stessi: la prima è una redazione in prosa, che appare nei manoscritti custoditi nei musei Getty e Morgan; la seconda è in forma poetica e l’unica copia in nostro possesso si trova nella collezione Pisani-Dossi. La stesura poetica sembra essere stata destinata alla libreria di Niccolò III, mentre quella in prosa, meno stilisticamente curata e molto più tecnica, sembra più appropriata all’insegnamento nelle scuole di scherma. Quest’ultima versione potrebbe essere stata realizzata da un allievo di Fiore sulla base dei manoscritti del maestro.
  13. Illyricum65

    Nuove scoperte a Gorizia

    Buongiorno, vi segnalo i primi risultati di scavi archeologici compiuti a Gorizia e che hanno permesso di scoprire che l'insediamento umano iniziale nell'area cittadina risalgono alla protostoria (dato inedito). Gorizia, Corte Sant’ilario. Dalla protostoria alla necropoli medievale I secoli della Gorizia passata svelati dagli ultimi scavi di tutela Il prosieguo delle indagini archeologiche, nell’ambito dei lavori di riqualificazione di Corte S. Ilario da parte del Comune di Gorizia, ha restituito nuovi dati per la comprensione dell’edificio a pianta ottagonale e della zona cimiteriale posta a sud del Duomo, aprendo tuttavia ulteriori questioni storiche e rivelando inoltre, inaspettatamente, una inedita e del tutto inaspettata testimonianza di presenze di epoca protostorica per Gorizia, precedentemente attestate solo in via sporadica e occasionale. L’intervento archeologico è stato eseguito sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli-Venezia Giulia (Paola Ventura) da parte di Arxe s.n.c. I dati più innovativi emersi dagli ultimi scavi riguardano la datazione del deposito archeologico su cui si trovano il cimitero e le strutture ad esso legate o di poco successive. Nel corpo di questo strato argilloso/sabbioso, determinato probabilmente dall’accumulo di fango e di detriti provenienti dalle pendici del colle del castello, è stata individuata una concentrazione di pezzi di arenaria scottata frammisti a frammenti ceramici riferibili ad almeno mezza dozzina di vasi, nessuno dei quali conservato integralmente. Questi rinvenimenti sono di particolare importanza perché i reperti sono databili al momento di passaggio tra l’età del Bronzo Medio e quella del Bronzo Recente, attorno al 1.400-1.300 a.C., e rappresentano quindi la prima attestazione localizzata di presenze così antiche a Gorizia. Un altro importantissimo aspetto evidenziato da queste ultime indagini riguarda la struttura ottagonale dell’edificio, già raffigurata su una planimetria del 1583, che aveva fatto ipotizzare una sua funzione battesimale; lo scavo, ora reso possibile dopo il dissequestro dell’area, ne ha rivelato l’intero perimetro in muratura, pur interrotto in più punti da recenti sottoservizi. Al suo interno, sul lato settentrionale, alcuni gradini in pietra addossati alla parete, garantivano l’accesso all’interno, che presentava un piano di calpestio semi-interrato rispetto a quello esterno, solo in parte finora messo in luce. Lo scavo del riempimento è ancora in corso, ma allo stato attuale sembra accertato un utilizzo dello spazio come ossuario, almeno nell’ultima fase; solo la prosecuzione delle indagini potrà chiarire ulteriormente questo aspetto. Tuttavia è già possibile affermare che la struttura si inserisce in una fase successiva al primo utilizzo del cimitero: infatti nella fascia immediatamente a nord, compresa fra l’edificio ottagonale ed il lato sud del Duomo, sono state rinvenute e scavate altre dieci sepolture, almeno due delle quali sembrano riferibili ad un’epoca più antica, a causa della maggiore profondità e della tecnica di esecuzione delle fosse. Sono stati perciò prelevati dei campioni di osso da queste due sepolture e altri due campioni dalle tombe più alte, e quindi ipoteticamente più recenti, per future analisi al radiocarbonio che potrebbero fornire indicazioni sulla durata d’uso del cimitero: sulla base delle fonti storiche viene ipotizzato un inizio già nel ‘400 (la presenza del Duomo è accertata infatti dalla fine del ‘200, forse sul luogo di una piccola cappella precedente), mentre il termine viene posto nella seconda metà del ‘700. Tratto da https://www.girofvg.com/a-gorizia-i-nuovi-scavi-mettono-in-luce-testimonianze-protostoriche-e-una-necropoli-medievale/ Ciao Illyricum
  14. Salve a tutti, trovai questa moneta 40 anni fa circa nella villa Comunale di Chieti, durante una delle innumerevoli scorribande di noi amici ricercatori. L'ho fatta visionare ad un mio amico esperto di araldica e di storia e ha azzardato l'ipotesi che possa trattarsi di una moneta risalente all'epoca della Prima crociata (1096 -1099 ) o lustri seguenti (Re Baldovino). Alla mia domanda su che correlazione potesse esserci tra i crociati e Chieti, lui mi ha detto che i crociati usavano anche i porti pugliesi per andare in Terrasanta. Chieti non è tanto distante dalla Puglia, quindi potrebbe essere plausibile una simile teoria. Moneta persa da un cavaliere templare di Chieti. Tra l'altro ho trovato una citazione su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Cavalieri_templari (allego foto delle righe interessate) nel quale sembra che ci fossero numerosi crociati a Chieti. Comunque mi piacerebbe tanto se qualcuno di voi potesse dirmi qualcosa di più su questa moneta o smentire anche questa ipotesi, qualsiasi cosa!!! La moneta come vedete è molto compromessa sul lato fronte e completamente distrutta sul retro. Grazie.
  15. Il 4 e 5 Ottobre a Monte Sant’Angelo il II Incontro culturale numismatico nel Parco Nazionale del Gargano “In Sanctorum Nummis Effigies”. Di seguito la locandina provvisoria senza i patrocini istituzionali, per info: [email protected]
  16. Legio II Italica

    Tomba del Re dei Franchi Childerico

    La tomba di Childerico venne scoperta casualmente nel 1653 a Tournai in Belgio , antica Citta' a 85 chilometri a sud di Bruxelles . I ritrovamenti archeologici avvenuti a Tournai hanno dimostrato l' esistenza di Tornacum come Castrum romano del III secolo . Conquistata dai Franchi Salii , vi nacque Clodoveo , figlio di Childerico , nel 465 . Nell' anno 881 fu distrutta dai Normanni . Nel 1187 fu conquistata da Filippo Augusto di Francia e rimase parte di questo regno fino al 1521 quando con Carlo V passò ai Paesi Bassi . Successivamente appartenne di nuovo all' Impero di Francia , poi all'Austria e di nuovo alla Francia . Del ricchissimo tesoro , di probabile epoca romana , sepolto insieme al Re Childerico , solo una piccolissima parte e' arrivata fino ai nostri giorni ; questo perche' e' dimostrato in base a quanto descritto dall' Abate Jean Jacques Chiflet che fece l' inventario e redasse un catalogo di tutto il tesoro trovato nella tomba . Successivamente , del poco rimasto del tesoro , Luigi XIV , dono' tutto al Cabinet des Medailles , che all' epoca si trovava al Louvre e in seguito trasferito presso la Bibliotheque Nationale . Nel 1831 un nuovo furto , dopo l' antico , ridusse ancor piu' i pezzi rimasti del tesoro , per cui il tesoro completo e' conosciuto solo grazie ai disegni e al catalogo che fece l' Abate al momento della scoperta nel 1653 ; uno dei pezzi piu' famosi rubati quando il tesoro era al Louvre , era il prezioso anello d' Oro di Childerico che il Re usava come sigillo per firmare documenti , fortunatamente dell' anello ne esiste una copia ricavata prima del furto del 1831 . Due link che descrivono bene la storia di questo tesoro medievale . https://www.archeologiamedievale.it/2014/01/17/la-tomba-di-childerico-di-marco-valenti/ https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/2016/05/loro-di-childerico-origini-e-peripezie.html
  17. Illyricum65

    Mamma mia... ma quante se ne davano!

    Buongiorno, vi segnalo un articolo a mio avviso interessante. https://museum-of-artifacts.blogspot.com/2018/10/bloody-medieval-battles.html Nel 1361 il re Valdemar IV di Danimarca inviò a conquistare la città di Visby un contingente militare di 2000-2500 mercenari provenienti dalla Germania. A difendere la cittadina, cinta da mura urbiche, fu un piccolo esercito composta da 1800 armati recuperati tra contadini e benestanti locali con una esperienza in campo militare. Lo scontro avvenne a circa 300 metri dalle mura cittadine; chiaramente la vittoria andò al Re danese e alle truppe professioniste con lo sterminio del 1800 difensori. L’articolo (in inglese) descrive i resti umani rinvenuti in una necropoli (ma sarebbe più giusto chiamarle “fosse comuni”) scoperte nei primi anni del 1900 (1905- 1928/30) e legata a questo scontro militare. Quello che mi ha colpito è il fatto che i morti non sono stati spogliati/depredati ma semplicemente gettati nelle fosse così come stavano, con indosso il corredo militare. E così in questi stati hanno hanno trovato certi soldati… Mi rimandano alla mentre gli spettri de "il Pirata dei Caraibi - maledizione della Prima Luna" . Ma soprattutto le analisi forensi identificarono sugli scheletri le ferite causate dagli scontri. Ben 456. Ferite da arma da taglio (spade ed asce), 126 causate da armi da lancio, lance e dalla “stella del mattino”, quella specie di ascia costituita da manico ligneo e palla chiodata collegate tra esse da una catena che veniva utilizzata per colpire testa e spalle. Ci sono anche resti di colpi inferti da mazza o martello da guerra. Questo lo schema in percentuale delle ferite in base alla localizzazione delle stesse. Chiaramente si trattava in genere di destrimani che quindi impugnavano lo scudo sulla sinistra e l’arma con la destra: lo stesso attaccante, destrimane, colpiva quindi la testa dalla parte sinistra (fendente o colpo d’ascia o di mazza chiodata da destra), poche volte le braccia (quasi sempre la destra perché la sinistra risultava protetta dallo scudo) ma soprattutto poi le gambe con netta predominanza di quella sinistra sotto il ginocchio (area scoperta dallo scudo e che causava la caduta del fante). L’immagine che mi ha colpito di più è questa: un morto con conficcata nella testa ben 3 cuspidi! Mamma mia... ma quante se ne davano... altro che "i film amplificano la realtà"... Ciao Illyricum
  18. Peckerstyle

    Medaglietta votiva con croce raggiata

    Buongiorno a tutti! chiedo l'aiuto di voi esperti di numismatica per identificare questa medaglietta votiva. Quello che mi intriga e che mi fà pensare sia antica è la croce raggiata in alto. Purtoppo non sono un esperto di metalli e non riesco nemmeno a dire con sicurezza il tipo di metallo con cui è fabbricata. Lo stato di conservazione è pessimo. Vorrei provare elettrolisi per ripulirla ulteriomente. Mi piacerebbe stabilirne una datazione e, se ne avesse, un valore. grazie mille a tutti in anticipo
  19. matteo95

    L'isola di Man medievale

    Salve a tutti L'Isola di Man ( Isle of Man ) è un piccolo stato che si trova nel Mar d'Irlanda, la cui capitale è Douglas I numismatici la conoscono per le sue emissioni monetali moderne che spesso passano nelle vendite all'asta o presso i venditori specializzati... In particolare queste emissioni incominciano nel 1709 sotto il Decimo Arle di Berby James Stanley per poi continuare in maniera intermittente sotto il Secondo Duca di Atholl James Murray e sotto i monarchi britannici Giorgio III , regina Vittoria e l'attuale Elisabetta II : la cui sovrana è probabilmente la prima moneta di questo stato a venire in mente In pochi sanno però che presso questa piccolissima isola venne coniata una moneta già in epoca medievale , in particolare intorno al 1025. La moneta in questione, su cui aleggiano ancora molte domande in questione, è un'imitazione di un penny Long Cross di Atelredo II, coniato sotto Sigtrygg II Silkbeard Olafsson, re di Dublino e overlord dell'Isola(1014 - 1035) ( anche Sihtric, Sitric and Sitrick nei testi irlandesi o Sigtryg and Sigtryggr in quelli scandinavi ) numismaticamente famoso per aver fatto coniare a suo nome i Hiberno-Norse pennies di Fase I e II. Le legende, caratterizzate da evidenti errori grossolani sembrano copiare quelle delle emissioni di Dublino dello zecchiere Feremin. Mark Blackburn per tale motivo ha ipotizzato ( pur in manza di prove ) che la coniazione di questi penny sia iniziata con il trasferimento di una coppia di conii di penny Hiberno-Norse di fase II da Dublino all'isola di Man verso la metà degli anni 20 del XI sec. la cui serie si poi inizia con delle copie grossolane di questi conii "ufficiali" Il peso di questi rarissimi esemplari è circa 1.10g Allego l'immagine di un'esemplare trovato su internet e di uno Dublinese dello stesso Sihtric III Olafsson ( fase II ) coniato fra il 1018 e 1035 circa. Spero sia di vostro interesse
  20. Buonasera a tutti amici lamonetiani, nel proseguire la catalogazione delle monete di famiglia mi sono imbattuto in quella le cui immagini posto a seguire... Le uniche cose che so sono quelle appresso descritte: - peso: 6,17 gr - diametro max: 23 mm - metallo: argento (almeno decisamente sembra esserlo) Come sempre siete l'unico appiglio...sempre Vs debitore! Ad maiora :-)
  21. Buonasera a tutti... In questi giorni che sto dedicando alla catalogazione di diverse monete inserite in alcuni album da mio nonno (album dove ha provato a descrivere cosa raffiguravano le monete o quali fossero le legende o parti di legende leggibili...i mezzi di allora non davano le stesse possibilità di quelli di oggi), mi sono imbattuto nella sottile moneta in argento di cui a seguire posto le immagini. Quel che riesco a distinguere è il volto barbuto di un uomo con il bavero di un abito e probabilmente, vista la linea netta sulla fronte, un qualche tipo di copricapo...al Rovescio non mi sembra di vedere nessuna immagine di senso compiuto, apparendo piuttosto come l'incuso di quanto raffigurato al Dritto...non riesco a distinguere scritte o simboli particolari. Dopo aver provato con qualche ricerca in rete, mi sembra che la tipologia di monete più vicine a quella in questione siano delle solique bizantino-papali ... ma l'errore potrebbe essere grossolano. Chiedo quindi a chi potrebbe saperne più di me di darmi una mano...GRAZIE Peso: 1,25 gr Diametro: 18 mm Metallo: argento (non mi sembra mistura)
  22. Salve a tutti, dopo aver tentato invano di identificarla, mi rivolgo al forum... Peso: 4,45 Gr Diametro: 21,5 mm Metallo: Bronzo (così mi sembra) Presenta la stessa figurazione su ambedue le facce, esattamente come da fotografie... Grazie a chiunque voglia contribuire! :-)
  23. Romulus Augustulus, the last ancient Roman emperor, was deposed 0n this day in AD 476. This date has been used to mark the beginning of the Middle Ages in Europe, and the fall of the Western Roman empire. Not much is known about his life, but the ‘Augustulus’ part of his name means ‘little Augustus’ – he was around 16 years old when he was emperor.
  24. Carissimi, visto che ancora mi pare non lo abbia fatto nessuno volevo segnalarvi che il prossimo 18 marzo alle ore 17,00 verrà inaugurata la mostra: Genova nel Medioevo, una capitale del Mediterraneo al tempo degli Embriaci. La mostra si terrà nel complesso museale di S. Agostino e rimarrà visibile fino al 26 giugno 2016. Ovviamente l'ingresso in occasione dell'inaugurazione sarà gratuito. Nella mostra saranno esposti i materiali artistici, archivistici e archeologici tra i più belli e di più recente ritrovamento rispetto al tema prescelto. Quanto alle monete insieme con Daniele Ricci (@@fra crasellame) abbiamo scelto di esporre tra le monete più belle e interessanti di Genova databili tra il 1139 e il 1313, insieme ad una selezione di coevi pezzi di area mediterranea, che dai documenti e dai ritrovamenti sappiamo usati dai genovesi nei loro traffici internazionali. Si potranno ammirare per ciò le monete della collezione di Banca Carige e delle collezioni dei Musei Civici di Strada Nuova, oltre a pezzi scelti dei ripostigli di Via Venezia e Corso Sardegna di Genova, attualmente in corso di studio per la pubblicazione. Infine saranno esposte anche monete ed uno splendido sigillo del Comune di Genova prestati da privati, alcuni dei quali attivi in questo forum (grazie ancora!). La mostra è arricchita da un catalogo che dal punto di vista numismatico presenta in sintesi le ultime proposte di classificazione e di datazione delle monete genovesi di XII e XIII secolo per come elaborate da parte della sottoscritta e di Ricci. Spero di vedervi in quest'occasione o che comunque riusciate a visitare la mostra nel periodo della sua durata :). Un saluto cordiale MB
  25. Salve ragazzi, vi scrivo perché recentemente ho acquistato un piccolo lotto di monetine medievali, personalmente le trovo molto affascinanti, ma purtroppo sto avendo un po di problemi nell'identificazione e mi piacerebbe conoscere a fondo la storia di ognuna di essa...ho bisogno di un parere esperto e solo voi potete aiutarmi! Posto le immagini, chiedo scusa per averle postate tutte insieme precedentemente. Partiamo da queste due: Testa: Croce: Si intuisce facilmente che nella parte posteriore della moneta è leggibile _ICILI_ (presumo da Sicilia) e croce centrale. Seconda moneta, purtroppo è piuttosto rovinata: (purtroppo non capisco se il monogramma centrale è dritto o rovescio, per favore fatemi sapere e nel caso ruoto la foto.) Croce: Entrambe le monete sono in bronzo. Diametro intorno ai 150mm, la prima purtroppo ha una forma deteriorata. Grazie mille in anticipo.
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