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PARTE PRIMA - IL BALUARDO DELLA ROMANITA' <<Muovetevi scansafatiche! Voglio quelle baliste in posizione entro oggi!>> <<Lì, quelle munizioni! Avanti!>> <<Cosa succede, signore? Mi avete mandato a chiamare?>> L'optio si irrigidì appena arrivò alla postazione, salutando il superiore. <<Sì, Plauto.>> rispose il centurione, smettendo per un attimo di sbraitare ordini alla massa di armati che manovrava intorno alle macchine << Il legato ha stanato l'ultimo gruppo di quei selvaggi. Ha ordinato un attacco decisivo e il nostro compito è quello di coprire l'avanzata della fanteria>>. spiegò Rutilio con la solita calma che lo prendeva sempre prima di una battaglia. <<Finiamo di mettere a punto un altro paio di particolari e procediamo>> concluse. Anche se il sole si iniziava a salire in un freddo cielo plumbeo, l'aria non accennava minimamente a divenire più mite: l'alito degli uomini si condensava in piccole nuvolette di vapore che uscivano dalle bocche e dai nasi quando si effettuavano sforzi o si respirava semplicemente. Il tintinnio delle armi ricopriva ogni altro rumore e nella postazione dell'artiglieria sotto il comando del centurione Quinto Rutilio ferveva un'incredibile attività. <<Bene, signore.>> L'optio si congedò sapendo cosa doveva fare. L'ufficiale era felice di avere un sottoposto così abile nonostante la sua giovane età. Sarebbe diventato un ottimo elemento, quel Plauto, un giorno. "Forse sarà capace addirittura di prendere il mio posto" pensò tra sè il centurione. Sorrise senza darlo a vedere, soffiò un po' nelle mani chiuse a pugno nel vano tentativo di scaldarsi:<<A destra quei bracci! Servono per quelle macchine!>> Imbracciò il bastone di vitigno e scese lungo una breve collinetta da cui si dominava tutta l'ampia vallata verdeggiante sottostante. Nonostante fosse ricoperta di nebbia, Rutilio sapeva che il legato aveva scelto bene: quello era il posto migliore per affrontare l'ultimo gruppo di barbari. Ciò che rimaneva di una potente e pericolsa orda di Rezi e Vindelici. La loro fama di guerrieri impavidi e coraggiosi sarebbe caduta una volta per tutte all'ombra di quegli alti monti severi che incorniciavano la Provincia. Un ghigno di soddisfazione si dipinse sul volto rigoso del centurione che si infilò i pollici nel centurione. "Gliela faremo vedere a questi selvaggi, gliela faremo vedere". Nè la nebbia nè il freddo accennavano a scomparire. Fortunatamente qualche raggio di sole aveva penetrato le nubi nel cielo terso riscaldando almeno l'animo teso degli addetti alle baliste. <<Tutte le macchine sono montate, gli artiglieri in posizione e le munizioni sono state ripartite, signore>> L'optio era ritornato al fianco del centurione ammirando con occhio esperto i macchinari e gli uomini immobili sotto di lui. Appena sarebbero entrati in azione avrebbero dovuto fare più vittime possibili anche perchè il nemico non si aspettava una copertura così ben congeniata. <<A che distanza sono le coorti di fanteria?>> chiese all'improvviso Rutilio. <<Arriveranno tra qualche ora, signore. I legionari del legato Claudio Druso hanno ricevuto rinforzi da parte dei reparti di suo fratello, Tiberio>>. L'optio sembrava rassicurato da quella notizia. La maggior parte degli uomini era sempre poco sicura prima di una battaglia: questa volta non facevano eccezione neanche i suoi uomini, notò Rutilio vedendo alcuni legionari spostare il peso del corpo da un piede all'altro a causa del nervosismo. <<Benissimo, Plauto. Intanto prendi un paio di uomini con l'ordine di avvisarci quando dovremo iniziare. Capito?>> <<Sì, signore>> <<Io mi occuperò degli artiglieri>> <<Bene, signore. E' tutto?>> <<Sì, vai ora>> Plauto scattò sull'attenti, rigido come sempre e poi trotterellò via per eseguire gli ordini. Rutilio si avvicinò ai responsabili dei gruppi di legionari radunati intorno ad ogni balista: parlava con loro, gli dava le ultime istruzioni, chimanadoli per nome e battendo loro un'amichevole pacca sulla spalla provocando il consueto rumore di ferraglia quando il palmo della mano impattava con la cotta di maglia. Continuava promettendo onori e promozioni ai vincitori dello scontro imminente e facendo pregustare ai sottoposti le decorazioni che tanto bramavano di stringere al petto con orgoglio. Passò in rassegna quasi tutte le postazioni quando, improvvisamente, vide venire verso di lui un legionario disarmato a passo svelto che gli si fermò a pochi palmi dal naso salutando militarmente con gran fracasso. <<Allora?>> Rutilio ignorò quasi il segno di rispetto che gli veniva presentato di consueto. <<Signore, l'optio mi ha incaricato di avvisarvi che i legionari sono arrivati: il legato Claudio Druso e suo fratello sono giunti al campo e stanno finendo di schierare le coorti nella vallata. Mi ha anche incaricato di dirvi che al suono della prima buccina che udirete dovrete far partire il tiro di copertura>>. <<C'è altro?>> <<No, signore>> <<Congedato!>> Il centurione lo allontanò con un cenno della mano. La nebbia si era vistosamente diradata ma persisteva nello spazio sottostante. Sarebbe stato difficile distinguere e centrare i nemici tra quei banchi. Ma la sua unità era stata scelta appositamente per quell'incarico: aveva in dotazione le migliori baliste della legione con il personale meglio addestrato ed equipaggiato. "E' tutto nelle nostre mani: Roma ci guarda!" Rutilio raddrizzò la schiena incrociando le mani dientro di essa, si posizionò in un punto dove potesse tenere tutto sotto controllo e poi aspettò il segnale. Sarebbe arrivato da un momento all'altro e questo significava che i Rezi e i Vindelici erano già stati avvistati. Rutilio non sentiva ancora niente. Ora si era alzato anche un vento fastidioso che non avrebbe giovato minimamente alla comunicazione acustica tra i reparti. Nonostante ciò, continuava a tenersi in allerta per cogliere anche il più piccolo sibilo. Quando arrivò fu improvviso e deciso: il suono, composto da due sole note, secche e prolungate, si diffuse per tutta la vallata infrangendosi, poi, dritto sulle pareti rocciose delle montagne. Non vi erano dubbi: i barbari stavano avanzando e i legionari del legato erano pronti. Ora toccava a lui. <<Uomini, caricate!>> L'ordine fu ripetuto più volte, iniziando dal suo optio Plauto. Decine di assi di legno si mossero quasi all'unisono provocando un assordante rumore mentre le matasse si attorcigliavano facendo tendere i bracci di carico delle macchine. Ogni legionario aveva già preso un dardo pesante colla punta acuminata che brillò severa al leggero sole. Mentre veniva posizionata lungo la rampa di lancio un altro addetto si occupava di fissare il meccanismo di lancio ad una corda. I responsabili delle baliste supervisionavano le azioni pronti a ripetere i comandi gridati dai superiori. Rutilio attese per un attimo, il tempo necessario che tutti gli artiglieri avessero caricato le loro batterie. <<Tirate!>> Con un tonfo deciso il meccanismo di lancio fu sbloccato e i bracci furono sbalzati indietro con violenza, fermandosi negli appositi spazi per contenerne l'impeto. Le matasse si allentarono e i dardi partirono con incredibile velocità piantandosi nel terreno verde della valle. I legionari ancora non avanzavano, ma ora sia Rutilio che Plauzio poterono sentire le urla di sfida che i Rezi e i Vindelici lanciavano agli avversari. <<Quanti saranno, signore?>> Plauto sembrava davvero interessato. <<Spero abbastanza per i nostri dardi>> Rutilio non distolse lo sguardo concentrato dall'orizzonte incerto. Gli artiglieri presero nota del lancio appena effettuato per regolare la distanza e la gittata di ogni macchina. Regolarono quelle che ne avevano bisogno, abbassando o alzando i supporti delle baliste. <<Più precisi sulla sinistra, Cassio!>> Il centurione urlò impietosamente al reponsabile dell'ala sinistra. Grida. Fracasso di armi. Canti lugubri e incomprensibili per i Romani. Si levarono all'improvviso facendo gelare il sangue nelle giovani vene di Plauto: migliaia di barbari spuntarono dalla nebbia sparpagliati su tutto il pianoro lanciando insulti alle schiere avversarie. Alcuni provocavano i Romani avanzando fino a rientrare nel tiro dei pila dei legionari, mostrando i petti protetti da corte cotte e piastre metalliche. Rutilio vide che nessuno dei soldati di Druso si mosse e tutti rispettarono la propria posizione. <<Sono sotto tiro, signore>> Lo informò Plauto. <<Vedo.>> Poi rivolto agli artiglieri:<<Avanti! Tirate senza pietà e abbattete quei cani!>> L'ordine fu appena diffuso che subito i bracci si ritesero, furono caricati e scattarono feroci contro i nemici. I dardi si alzarono in aria raggiungendo il punto più alto della parabola che disegnavano nel cielo. Sembrò che rallentassero per un attimo per poi riprendere ancor più veloci la loro corsa fendendo la nebbia e schiantandosi tra le schiere dei barbari. Alcuni colpi andarono a vuoto e si conficcarono nel terreno o si spezzatono sulle rocce, ma molti altri andarono a segno: alcuni Rezi, che occupavano la parte destra dello schieramento nemico, furono infilzati a due a due, altri furono sbalzati addosso a coloro che li seguivano. Grandi voragini si aprirono anche dalla parte dei Vindelici, ma i barbari sembravano non curarsene e avanzarono correndo verso i ranghi immobili di Druso e Tiberio. Questi, appena visti i nemici urlanti costituire la vera minaccia, ordinarono di serrare i ranghi e prepararsi per subire la carica. <<Continuate, dannazione! Non è abbastanza: voglio vedere più morti impalati su quei dardi!>> Rutilio era deciso a non sminuire la fama di cui godevano i suoi uomini: li aveva addestrati quasi tutti personalmente, quando era responsabile delle nuove reclute, e si era affezionato ai sopravvissuti che ora si trovavano per l'ennesima volta uniti a fronteggiare la morte assieme. Nuovo carico, nuovo tonfo, nuove urla di dolore che si andarono a mischiare con quelle di battaglia. Questa volta i vuoti tra i nemici furono maggiori, ma ancora insufficienti: quattro uomini inciamparono su un solo dardo conficcato al suolo e caddero a terra calpestati dai compagni che correvano come furie con gli occhi rabbiosi iniettati di sangue. Lo stesso sangue che iniziava a bagnare l'erba del pianoro rendendola viscida e pericolosa addirittura per i calzari chiodati dei legionari. Centinaia di elmi brillarono sotto un pallido sole e altrettanti pila si alzarono in volo conficcandosi nelle parti scoperte dei corpi dei Rezi e dei Vindelici, spesso rendendo inutilizzabili piccoli scudi e perforando piastre e armature. Le baliste di Rutilio lanciavano dardi senza sosta. Abbattevano quanti più nemici potevano ma questi non si arrestavano. Sembravano diavoli inarrestabili che non avevano nulla da perdere: sarebbero morti comunque, lì o a Roma come prigionieri; tanto valeva cadere con onore impugnando la propria arma nel tentativo, vano peraltro, di opporsi alla più grande superpotenza del mondo. L'ultimo tiro fu quello più micidiale: un'intera linea di barbari fu colpita interamente lasciando sul campo una scia di cadaveri ridotti ad una irriconoscibile poltiglia sanguinolenta. <<Fermi!>> Rutilio osservò ancora per qualche istante i Rezi e i Vindelici avanzare fino a cozzare contro la linea formata dalle coorti romane. A quel punto la sua squadra poteva fare ben poco: altri tiri di balista sarebbero stati inutili, giacchè avrebbero messo a repentaglio anche la vita dei suoi stessi commilitoni a valle che stavano fronteggiando in uno spietato corpo a corpo quei feroci ed implacabili selvaggi. Gli artiglieri si immobilizzarono accanto alle macchine mentre Plauto si asciugava alcune goccioline di sudore freddo che gli imperlavano la fronte. Rutilio se ne accorse: tutti gli uomini avevano fino all'ultimo muscolo teso fino all'inimmaginabile. La tensione aleggiava nell'aria e vi si poteva respirare assieme, ancora più fredda e palpabile. L'ultima immagine che Rutilio conservò di quella giornata fu il movimento rotatorio della lama di un gladio che cadeva sulla testa di un Vindelico protetta da un elmo di bronzo conico: la protezione andò in frantumi, ma la lama non si arresto e fracassò il cranio dell'uomo. Schizzi di sangue e di materia cerebrale circondarono il tutto in un alone viscido e appiccicoso.
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