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Risultati per Tag 'Giappone'.
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Ho acquistato un bel catalogo / prezziario dedicato alle monete e banconote giapponesi. Il costo era talmente basso che mi sono lasciato tentare. C’è però un piccolo problema: non so leggere il giapponese! Le uniche informazioni di cui dispongo sulla pubblicazione in foto sono le seguenti: formato: A5 anno di pubblicazione: 1975 numero di pagine: 135 Se qualcuno mi aiutasse a identificarne autore, titolo e editore, gliene sarei grato.
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Le prime monete giapponesi
Matteo91 ha aggiunto un nuovo link in Altre monete antiche fino al medioevo
Proseguendo il filone delle discussioni sulle prime monete, iniziato ormai diversi anni fa con Cina (https://www.lamoneta.it/topic/130632-monete-antiche-della-cina/) e India (https://www.lamoneta.it/topic/142604-le-prime-monete-indiane/), propongo questa volta una discussione, seppur molto introduttiva, sulle prime monete del Giappone. A differenza di Cina e India, il Giappone non ha avuto una tradizione monetaria autonoma, bensì strettamente connessa alla tradizione monetaria cinese: infatti, banliang e wuzhu (risalenti al periodo 206 a.C.– 25 d.C.), nonché monete del periodo di Wang Mang (8 - 23 d.C.), sono state ritrovate in tutto il Giappone, sebbene non in grandi quantità. Vi sono ancora dei dubbi relativi a quale sia stata la prima moneta ufficiale giapponese. Ciò che è certo è che la sua emissione sia stata estremamente tardiva, sul finire del VII secolo d.C.! Per fare un confronto, si tratta di più di 1.000 anni dopo l'introduzione della moneta in Lidia, Cina e India, risalenti indicativamente al VII-VI secolo a.C. Non mi sono note le ragioni di questo ritardo rispetto ad altre culture: francamente, non penso che possa essere riconducibile a una sorta di arretratezza economico/culturale, come sostenuto, per esempio, da Shin’ichi Sakuraki (pp. 23-25), in "Catalogue of the Japanese Coin Collection (pre-Meiji) at the British Museum". Mi parrebbe, piuttosto, più plausibile ricercare tali motivazioni in una certa "avversione" da parte del "governo" giapponese nei confronti di questo strumento (non molto dissimile da quello che, probabilmente, è accaduto anche in Mesopotamia o Egitto, dove la moneta è stata introdotta molto tardivamente sebbene conosciuta da secoli). La cronologia più accreditata sembrerebbe essere la seguente: mumon-ginsen, un lingotto di argento (o una moneta vera e propria?), datato al tardo VII secolo d.C., non recante alcuna iscrizione; Fuhonsen, oggi considerata la prima moneta giapponese. Moneta di rame datata anch'essa al tardo VII secolo d.C ; Wadō kaichin in d'argento, datata al quinto mese dell'anno 708; Wadō kaichin in rame, datata all'ottavo mese dell'anno 708. Nei prossimi giorni aggiungerò foto di queste monete e qualche altra informazione di interesse. Per ora concludo con la bibliografia utile che mi è nota: Catalogue of the Japanese Coin Collection (pre-Meiji) at the British Museum - disponibile integralmente su Academia.edu. In questo volume sono raccolte tutte le monete del British Museum, con un catalogo dettagliato e con molte note storiche; Hartill, D., Early Japanese Coins, opera di riferimento per questa monetazione. L'autore è noto anche per il volume dello stesso stampo sulla monetazione cinese - disponibile su Amazon a circa 20€; Munro, Coins of Japan, libro del 1904, ma opera ancora utile - disponibile in pdf in internet. Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete informazioni di qualsiasi genere sull'argomento Un caro augurio di un anno migliore di quello appena trascorso... Matteo -
Posizione dell'isola di Hokkaido nell'arcipelago giapponese Hokkaido è l’isola più settentrionale dell’arcipelago giapponese. Situata a nord dell’isola Honshu, l’Hokkaido è famosa per la sua natura e per gli inverni molto rigidi. L’economia dell’isola si basa essenzialmente sulla coltivazione di riso e sulla pesca, tanto che l’isola occupa la prima posizione nel settore primario del Sol Levante. Oltre alle bellezze naturali, Hokkaido è celebre anche per gli Ainu, un gruppo etnico nativo dell’isola dalle origini misteriose. Alcuni Ainu parlano ancora l’idioma tradizionale, una lingua che secondo molti studiosi è collegata con quelle paleosiberiane, oltre a praticare una religione di tipo animistico che vede in ogni oggetto, animale o fenomeno atmosferico la presenza di un dio. Particolarmente importante è l'adorazione dell'orso, considerato l’animale simbolo degli Ainu. In questo post scriverò due racconti curiosi con protagonista l’isola, uno più storico e l’altro numismatico. 🙂 Anziano capo villaggio Ainu con cucciolo d'orso sacrificale. Hokkaido, 1953 Storia dell’effimera Repubblica di Ezo Sigillo del presidente della Repubblica di Ezo Enomoto Takeiki Dal 1603 fino al 1868, il Giappone fu governato dallo shogunato Tokugawa. Questo lungo periodo viene comunemente chiamato Periodo Edo, vecchio nome della città di Tokyo in cui risiedevano gli shogun Tokugawa. Durante gli anni 50 dell’Ottocento, lo shogunato Tokugawa era aggravato da crescenti crisi economiche e politiche, che sfociarono con la fine dell’isolazionismo sakoku e del graduale aumento di potere della corte imperiale. Nella storiografia giapponese, il lasso di tempo che corrisponde agli ultimi anni dello shogunato viene denominato Bakumatsu, letteralmente fine del bakufu. Nel 1868 – 1869, il Giappone fu coinvolto nella cosiddetta guerra civile Boshin, letteralmente guerra dell’anno del drago. L’esito di questa guerra fu un tassello fondamentale della storia giapponese, che comportò la caduta dello shogunato e l’inizio del Periodo Meiji. Dopo il rovesciamento del bakufu, una parte della ex marina dello shogun guidata dall’ammiraglio Enomoto Takeiki si ritirò verso Edo. Nell’ottobre del 1868, la piccola flotta composta da 4 navi da guerra e da 4 navi da trasporto lasciò la baia di Tokyo, navigando verso nord in direzione di Sendai, città importante dell’Alleanza del Nord Ouetsu Reppan Domei, una coalizione di diversi domini ancora fedeli all’ex shogun. Insieme a Enomoto c’erano diversi ex ufficiali Tokugawa, tra cui il comandante dell’esercito dello shogunato Matsudaira Tairo, nonché alcuni consiglieri francesi ex membri del corpo di spedizione militare incaricato di addestrare le truppe dello shogunato. L'obiettivo di Enomoto era quello di raccogliere il sostegno militare dei domini dell’Alleanza del Nord, ma il piano fallì dopo che un importante clan della coalizione passò dalla parte imperiale. Dopo un mese a Sendai, la flotta salpò più a nord, arrivando a Hakodate, all’epoca città principale dell’isola di Hokkaido. Il corpo di 4000 soldati guidato da Enomoto conquistò l’insediamento 8 dicembre del 1868. Con il sostegno dei consiglieri francesi guidati da Jules Brunet, i ribelli ottennero il pieno controllo dell’isola verso la fine del 1868. Il 27 gennaio del 1869 fu proclamato lo stato separatista della Repubblica di Ezo. Il nome Ezo, letteralmente terra dei barbari, era l’antico nome con cui si indicava l’Hokkaido. L’isola infatti era abitata principalmente dagli Ainu. La struttura politica della Repubblica di Ezo si basava sul modello della Costituzione degli Stati Uniti d’America, con suffragio limitato alla sola classe dei samurai. I voti furono espressi a scrutinio palese e portarono all’elezione di Enomoto Takeiki come presidente e Matsudaira Tairo come vice – presidente. La Repubblica di Ezo cercò il riconoscimento internazionale inviando il magistrato di Hakodate, Nagai Naoyuki, presso le varie delegazioni straniere situate in città, ma solo la Francia e il Regno Unito riconobbero la neonata repubblica. Enomoto fece un ultimo sforzo per presentare una petizione alla Corte Imperiale per poter sviluppare l'Hokkaido e mantenere indisturbate le tradizioni dei samurai, ma la richiesta fu respinta. Il tesoro della Repubblica di Ezo comprendeva 180000 monete ryo d'oro che Enomoto recuperò dal castello di Osaka in seguito alla precipitosa partenza dell’ultimo shogun Tokugawa Yoshinobu dopo la battaglia di Toba Fushimi all'inizio del 1868. Temendo una risposta da parte delle truppe imperiali, nell’inverno del 1869 le difese attorno alla penisola meridionale di Hakodate, come l’imponente fortezza a forma di stella di Goryokaku, furono rafforzate. Le forze di terra della Repubblica furono invece riorganizzate sotto un comando congiunto franco – giapponese: come comandante fu selezionato Otori Keisuke, mentre come consigliere il francese Jules Brunet. Nel frattempo, le truppe imperiali consolidarono la loro presa sul Giappone continentale. Nell’aprile del 1869, l’esercito imperiale, forte di 7000 uomini, conquistò Hakodate, costringendo il governo della Repubblica di Ezo e le rimanenti truppe a rifugiarsi nella fortezza di Goryokaku. Nel maggio del 1869, la flotta di Ezo venne sbaragliata dalla neonata marina imperiale giapponese. Nell’estate del 1869, il presidente Enomoto si arrese, consegnando la fortezza Goryokaku all'ufficiale di stato maggiore di Satsuma, Kuroda Kiyotaka. Si dice che Kuroda sia rimasto profondamente colpito dalla dedizione di Enomoto nel combattimento, risparmiandogli così la vita. Il 20 settembre dello stesso anno, l’isola di Ezo venne rinominata Hokkaido, letteralmente regione del mare del nord. Enomoto fu condannato a una breve pena detentiva. Liberato nel 1872, accettò un posto come funzionario governativo nella nuova Agenzia fondiaria di Hokkaido. Successivamente divenne ambasciatore in Russia e ricoprì diversi incarichi ministeriali nel governo Meiji. Gli alleati francesi dei ribelli tornarono tutti in patria nel 1869, mentre alcuni ritornarono in Giappone nel 1871 come civili per insegnare nella scuola militare di Osaka. Nonostante la sua brevissima durata, la Repubblica di Ezo ha avuto un ruolo cruciale nella storia politica nipponica in quanto fu la prima entità “democratica” del Giappone. Foto che raffigura i leader della Repubblica di Ezo. L'uomo seduto a destra è Enomoto Takeiki La fortezza a forma di stella di Goryokaku La moneta Hakodate Tsuho Emblema del clan Matsumae Nel 1590, il secondo unificatore del Giappone, Toyotomi Hideyoshi, concesse la penisola di Oshima, la parte più meridionale dell’isola, al clan Matsumae come feudo di marca, con l’incarico di difenderla dagli Ainu del nord. Negli anni successivi, il clan iniziò una politica di espansione fino a ottenere l’intera Ezo sotto il loro dominio. Ironia della sorte, l’economia del Dominio di Matsumae si basava principalmente sul commercio con il popolo Ainu. Nel 1807, l’isola divenne temporaneamente un territorio tenryo per rafforzare le difese costiere, ovvero un’area sotto il controllo diretto dello shogunato Tokugawa. Durante questo periodo, le monete da 1 mon in ferro emesse dallo shogunato si diffusero rapidamente in tutta Ezo. A differenza dei Giapponesi, gli Ainu apprezzarono la moneta in ferro, tanto che il commercio nell’isola prosperò in modo esponenziale. Tuttavia, nel 1821 l’isola passò nuovamente al clan Matsumae, che ordinò il divieto di usare le monete in ferro. Il commercio si basò essenzialmente sul baratto, ma a causa delle crescenti frodi perpetrate dal clan Matsumae, gli Ainu richiesero nuovamente l'uso di monete in ferro. Nel 1854, il porto di Hakodate fu aperto al commercio estero secondo il Trattato di pace e amicizia Stati Uniti – Giappone. Nel 1855, l’isola divenne nuovamente territorio tenryo e fu istituito il magistrato di Hakodate. Per facilitare il commercio dell’isola, nel 1856 i magistrati di Hakodate Tadashi Hori Oribe e Takeuchi Shimonokami inviarono una richiesta al governo dello shogun per coniare monete. Nel maggio del 1857, lo shogunato concesse il permesso di coniare monete in ferro. Gli artigiani di zecca del Dominio di Morioka si recarono a Ezo e fondarono una zecca nel villaggio di Shirisawabe, nei pressi di Hakodate. Nacque così Hakodate Tsuho, la moneta provinciale di Ezo. La moneta è costituita interamente in ferro, il peso oscilla sui 3 g – 3,7 g e il diametro circa 22 mm. A differenza di tantissime monete del periodo Edo, le monete Hakodate Tsuho presentano un foro circolare anziché quadrato. Al dritto sono presenti i caratteri 箱寶通館, letteralmente valuta di Hakodate; al rovescio notiamo il carattere 安, letteralmente An, ovvero le iniziale dell’era Ansei. Infatti, la produzione avvenne durante l’era Ansei, precisamente nel 1857 - 1858. I caratteri furono scritti dall’incisore Ota Tamesaburo. Le monete venivano date nei cambiavalute di Hakodate, Fukuyama (ora Matsumae) ed Esashi. Il loro utilizzo era severamente vietato fuori dall’isola. Inizialmente Hakodate Tsuho divenne popolare e si diffuse rapidamente, ma in seguito, quando le ben più pregiate monete in rame come i 100 mon Tenpo Tsuho e i 4 mon Bunkyu Eiho iniziarono ad affluire nell’isola, le monete in ferro come Hakodate furono evitate e gradualmente cessarono di essere utilizzate. In totale ne furono coniate 100.650.000. 1 mon Hakodate Tsuho Al prossimo post! 😄 Xenon97 P.S. Il libro Hakodate Manners Book, che descrive lo stato di Hakodate intorno al 1854, contiene un documento molto curioso riguardo a diversi prezzi dell'epoca. Ecco la lista: Manodopera di un falegname in un giorno: 358 mon Manodopera di un falegname navale in un giorno: 458 mon Manodopera di un falegname navale in tre giorni: circa 1700 mon Una porzione di tofu: 24 mon Bagno alle terme per gli adulti: 7 mon Bagno alle terme per i bambini: 5 mon Parrucchiere: 32 mon
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Prologo 20 agosto 1570, provincia di Hizen. Gli eserciti dei due clan più potenti del nord Kyushu si stanno per scontrarsi, dando inizio alla così detta battaglia di Imayama. Da una parte abbiamo l’esercito del clan Ryuzoji, costituito da soli 5000 guerrieri comandanti dal daimyo Ryuzoji Takanobu; dalla parte opposta abbiamo la coalizione guidata dal clan Otomo, forte di 60000 guerrieri agli ordini di Otomo Chikasada, fratello del daimyo Otomo Sorin. Prima della battaglia, i guerrieri del clan Otomo iniziano a pregare, sperando nella vittoria grazie all’aiuto divino. Pregano per qualche divinità shintoista? No. Pregano pronunciando qualche mantra buddista? No! Pregano per la Vergine Maria e Gesù Cristo! Sembra una cosa strana, non trovate? Oggi spiegheremo brevemente la storia del Cristianesimo in Giappone, dalla sua diffusione fino alla caduta. 1. L’inizio del cristianesimo in Giappone Principali clan durante il periodo Sengoku La storia del cristianesimo in Giappone comincia verso la metà del XVI secolo, in pieno periodo Sengoku. A quel tempo il Sol Levante era ancora terreno di scontro tra decine e decine di clan, desiderosi di prendere il controllo di più territori possibili. Nel 1543 una nave cinese diretta verso l'isola di Okinawa fu costretta a ormeggiare nella piccola isola di Tanegashima a causa di una tempesta. A bordo della nave cinese erano presenti anche mercanti e avventurieri portoghesi, tra cui l’esploratore Fernão Mendes Pinto. La nave venne sequestrata e il signore dell'isola, Tanegashima Tokitaka, entrò in possesso di due archibugi. Capite le potenzialità di queste armi, Tokitaka affidò i due archibugi al suo armaiolo di fiducia, ma questo non riuscì a riprodurre il complesso scodellino dell'archibugio. Il problema si risolverà l'anno successivo, quando i portoghesi tornarono a Tanegashima portando un loro armaiolo che venne messo a servizio del signore dell'isola. Nacque così il tanegashima-teppo, il primo archibugio giapponese. Pinto ritornò presso le coste della Cina, e contattò diversi mercanti portoghesi che si dimostrarono molto interessati a iniziare i commerci con il Giappone. Oltre ai mercanti, nelle terre giapponesi arrivarono anche missionari di vari ordini cristiani. Il più importante fu lo spagnolo Francesco Saverio, membro della Compagnia di Gesù considerato il pioniere della diffusione del Cattolicesimo in Asia. Nel 1547 Saverio incontrò alcuni giapponesi nella penisola di Malacca, tra cui un certo Anjirò, un fuggitivo accusato di omicidio. Anjirò raccontò la sua vita, i costumi e la cultura giapponese a Saverio e gli propose di estendere l'evangelizzazione al Giappone. Anjirò fu il primo giapponese a convertirsi alla fede cristiana e assunse il nome di Paulo de Santa Fé. Nel 1549 Saverio, insieme ad Anjirò e ad altri tre missionari gesuiti, si unì alla nuova spedizione di Pinto diretta a Kagoshima, importante città situata a sud dell’isola di Kyushu. Il gesuita fu accolto amichevolmente da Shimazu Takahisa, daimyo di Satsuma e capo del potente clan Shimazu, ma l'anno successivo proibì la conversione dei suoi sudditi al cristianesimo sotto pena di morte. Per imparare la lingua e la cultura locale, Francesco fu ospitato dalla famiglia di Anjiro fino all'ottobre del 1550. Da ottobre a dicembre del 1550 risiedette a Yamaguchi, città principale della regione di Chugoku. Poco prima di Natale partì per Kyoto con l’intento di incontrare l’imperatore, ma il piano fallì a causa delle guerre che imperversavano in tutto il Giappone. Il gesuita tornò a Yamaguchi nel marzo 1551, dove il daimyo della provincia, Ouchi Yoshitaka, gli diede il permesso di predicare. In questi tre anni il numero di missionari, gesuiti e di altri ordini come quello francescano, aumentò e furono fondate diverse congregazioni cristiane in varie città e province, tra le quali spicca quella di Bungo. Tuttavia, il popolo giapponese non si convertì facilmente in quanto molte persone erano già buddiste o shintoiste. Francesco cercò di combattere la rigidità di alcuni giapponesi secondo cui un Dio che aveva creato tutto, compreso il male, non poteva essere buono. Nonostante la diversa religione, Saverio descriveva i giapponesi come brave persone, riassumendo il tutto come la razza migliore tra i pagani. Criticò invece l’omosessualità, una caratteristica molto diffusa nel Giappone feudale. Nel 1552 Francesco decise di ritornare in India, ma nello stesso anno morì nell’isola cinese di Sancian. Il corpo fu sepolto nella città coloniale portoghese di Goa. Il successo dei missionari dipendeva da vari fattori. Prima di tutto c’era una forte somiglianza tra i missionari e i monaci buddisti, in particolare per la disciplina in quanto era un punto fondamentale da entrambe le parti. Diversi giapponesi credevano di avere a che fare con una nuova filosofia di buddismo, tanto che Cristo poteva essere scambiato per Amida, nome nipponico di Amitabha Buddha. Inoltre, i nipponici ammiravano il coraggio dei missionari, uomini venuti da terre lontane che si addentravano in terre ignote. Tuttavia, il vero successo era solo per natura economica: i signori locali giapponesi più potenti ricavavano grandi profitti dal commercio con gli europei, accogliendo favorevolmente i missionari pur di non rovinarne i rapporti. Un altro fattore era quello militare, dove molti daimyo sollecitavano mercanti e missionari per nuove risorse e armi, specialmente archibugi e navi. Le conversioni ricoprivano una vasta massa di gente, dai contadini fino alle classi più nobili, come la casta dei samurai. Durante le battaglie, i samurai cristiani si gettavano nella mischia portando rosari, urlando e invocando il nome di Gesù o della Vergina Maria, con la speranza di riceverne il supporto. Furono proprio alcuni samurai cristiani a uccidere il tredicesimo shogun dello shogunato Ashikaga, Ashikaga Yoshiteru. Oltre a contadini e samurai, si convertirono al Cristianesimo anche diversi daimyo. Le due parti successive del post saranno incentrate sui signori della guerra cristiani più importanti: Omura Sumitada e Otomo Sorin. San Francesco Saverio in un dipinto di Bartolomé Esteban Murillo Il viaggio percorso 2. Breve storia di Omura Sumitada Emblema del clan Omura Omura Sumitada è uno dei daimyo più importanti e conosciuti della storia giapponese in quanto fu il primo signore feudale a convertirsi al Cristianesimo, oltre a essere il principale responsabile dell’apertura del porto di Fukae, l’odierna Nagasaki, al commercio estero. Shodomaru nacque nel 1533 da Arima Haruzumi, signore di Shimabara e capo del clan Arima, e da una figlia di Omura Sumiyoshi. All’età di cinque anni fu adottato da suo zio Omura Sumisaki. L’adozione fu una scelta strategica in quanto lo zio non aveva eredi legittimi, ma Sumisaki adottò prontamente il giovane Shodomaru grazie agli antichi legami di parentela tra il clan Arima e Omura. Al momento della sua successione, il giovane Shodomaru cambiò il nome in Omura Sumitada. Il regno iniziò in modo turbolento tra coinvolgimenti di parenti e pressioni di altri clan, ma il pericolo più grande fu l’invasione dei territori da parte del clan Ryuzoji. Sumitada doveva trovare immediatamente degli alleati. Nel 1561, in seguito all'assassinio di stranieri nella città di Hirado, i portoghesi iniziarono a cercare altri porti dove poter commerciare. In risposta alla loro ricerca, nel 1562 Sumitada offrì un rifugio sicuro nel suo dominio, dando speciali privilegi ai mercanti portoghesi nel porto di Fukae e la libertà di predicare ai gesuiti. Nel 1563, Sumitada si convertì al Cristianesimo, battezzato con il nome di Bartolomeo. Tuttavia, la conversione fu accolta molto negativamente da alcuni sudditi. La ribellione portò alla distruzione di Fukae e alla fuga di Sumitada, ma grazie all’aiuto dei portoghesi riuscì a sedare la rivolta e a stabilizzare i domini. Nel 1572 ci fu un’altra invasione da parte di Saigo Sumitaka, ma la minaccia fu definitivamente sventata nel 1574, sempre con l’ennesimo contributo dei portoghesi. Nello stesso anno Sumitada diede inizio alla repressione delle altre religioni; numerosi templi furono distrutti, e tutti gli abitanti del suo dominio furono obbligati a convertirsi al Cristianesimo o essere uccisi sul posto. Negli anni 1577 – 1578, il daimyo Ryuzoji Takanobu, il più potente della regione nord del Kyushu, prese di mira i domini di Sumitada. Preoccupato del fatto che Takanobu avrebbe cacciato gli stranieri una volta che gli Omura fossero sconfitti, Sumitada “concesse” il porto di Nagasaki ai gesuiti, mantenendo i diritti di riscuotere le tariffe doganali sulle merci che passavano attraverso il porto. Nel 1580 Sumitada si sottomise ai Ryuzoji, diventandone così vassallo. Dopo la guerra Ryuzoji – Shimazu, nel 1587 il dominio di Omura si sottomise immediatamente al potente signore della guerra Toyotomi Hideyoshi, successore di Oda Nobunaga nella riunificazione del Giappone, anche se subirono la perdita del porto commerciale di Nagasaki che passò sotto il controllo diretto di Hideyoshi. Nello stesso anno Omura Sumitada morì di tubercolosi e gli succedette il figlio Yoshiaki, anche lui cristiano battezzato con il nome di Sancho. La devozione di Sumitada al Cristianesimo venne illustrata dal gesuita Luís Fróis, che descrisse un breve episodio: mentre Omura Sumitada era in marcia per la guerra, accadde che passò per la strada come un idolo, Marishiten di nome, che è il loro dio delle battaglie. Quando lo superano, si inchinano e gli pagano la riverenza, e i pagani che sono a cavallo scendono da cavallo come segno del loro rispetto. Ora l'idolo aveva sopra un galletto. Quando il daimyo arrivò con il suo squadrone fece fermare i suoi uomini e ordinò loro di prendere l'idolo e bruciarlo insieme a tutto il tempio; e prese il galletto e gli diede un colpo con la spada, dicendo "oh quante volte mi hai tradito!" E dopo che tutto fu bruciato, fece erigere una croce molto bella nello stesso punto, e dopo che lui e i suoi uomini gli avevano prestato una profonda riverenza, continuarono la loro strada verso le guerre. Antica raffigurazione europea di Omura Sumitada 3. Breve storia di Otomo Sorin Emblema del clan Otomo Volete un daimyo che rispetti i tre principali motivi (devozionale, economico, militare) per la sua conversione al Cristianesimo? Ci sta solo un nome: Otomo Sorin. Otomo Sorin nacque nel 1530 da Otomo Yoshiaki, capo dell’omonimo clan e signore del dominio di Funai, mentre per la madre non ci sono informazioni storiche. Il progetto del padre era di disegnare come suo successore Shioichimaru, fratellastro paterno di Sorin, e aveva un piano per eliminare sia Sorin che Chikazane, il suo tutore. Tuttavia, nel 1550 l’attentato fallì e il vassallo anziano del gruppo di Sorin sollevò una ribellione. La rivolta provocò l’uccisione del padre, di Shioichimaru e di sua madre. Il giovane Sorin divenne così il ventunesimo capofamiglia del clan Otomo. Sorin fu un daimyo molto abile nella diplomazia, tanto che nel 1551 riuscì a far cessare il “secolare” scontro tra il suo clan e quello di Ouchi. Nello stesso anno, incontrò personalmente il gesuita Francesco Saverio, concedendone la libertà di predicare nei suoi domini, ma la scelta provocò una ribellione di alcuni vassalli, scatenando un vero e proprio conflitto religioso. Sedata la rivolta, la città di Funai, l’odierna Oita, divenne un porto importante simile a Nagasaki, frequentato da preti gesuiti, mercanti, banditi e pirati. Oltre a favorire le relazioni con i cristiani, tanto che lo designavano come Re di Bungo, Sorin combatté una serie di battaglie negli anni successivi, conquistando nuove province e consolidando il territorio. In questo periodo è attestato anche l’invio di delegazioni politiche alla città portoghese coloniale di Goa, in India. Nel 1557, gli Otomo iniziarono una guerra con il clan Mori, famoso per la sua potente flotta. Il conflitto fu veramente aspro, tanto che nel 1559 intervenne lo shogun Ashikaga Yoshiteru per porre fine alla disputa. Con grande abilità diplomatica, Sorin inviò un enorme donazione allo shogun, che ricompensò il signore degli Otomo con la nomina di shugo, ovvero signore provinciale ufficiale. Nel 1562, Sorin entrò nel sacerdozio e prese il secondo nome di Kyuan Sorin. Fornendo continuamente molto sostegno alla famiglia shogun Ashikaga, nel 1563 fu nominato shobanshu, una carica superiore a quella di shugo. La mediazione con lo shogunato aveva un unico scopo: ottenere maggiori vantaggi nei negoziati di riconciliazione con il clan Mori. Pensate che la pace durava così a lungo durante il periodo Sengoku? Nel 1569, il clan Mori invase un territorio vassallo di Sorin, scatenando così un nuovo conflitto. Durante la guerra, Sorin chiese ai mercanti e ai gesuiti salnitro di buona qualità, archibugi e cannoni in quanto si considerava protettore della cristianità. Si dice che sia stato proprio l’esercito di Sorin a usare per la prima volta un cannone “moderno” in Giappone. L’esercito Mori fu sconfitto nella decisiva battaglia di Tatarahama. A questo punto, Sorin controllava un grande territorio che comprendeva le province di Bungo, Chikuzen, Chikugo e la maggior parte di Buzen. Inoltre, aveva influenza sulle province di Hugo, Hizen e Iyo. Nel 1570 iniziò il declino degli Otomo, con la sconfitta nella battaglia di Imayama da parte del clan Ryuzoji. Nella battaglia perse la vita il fratello minore di Sorin, Otomo Chikasada. Nel 1576, il quarantaseienne Sorin decise di condividere il potere con il figlio Yoshimune, instaurando un governo dualistico. L’anno successivo, la coalizione guidata da Sorin contro il clan Shimazu subì una sconfitta talmente schiacciante nella battaglia di Mimi-kawa che gli Otomo persero molti vassalli e territori. Inoltre, le dispute per il potere con il figlio si facevano sempre più dure e pressanti. Nell'agosto del 1578, Sorin fu battezzato da padre João con il nome di Francesco, e inviò una lettera di avviso al re del Portogallo. Ogni giorno prima del suo battesimo, Sorin ripeteva cinquanta preghiere dell'Ave Maria (una per ogni grano della catena del rosario) e cinquanta preghiere del Signore per tre volte al giorno: mattina, mezzogiorno e sera. Oltre a favorire la diffusione del Cristianesimo e i commerci con Spagna e Portogallo, Sorin seguì anche un piano simile a quello di Omura Sumitada, con la distruzione dei templi e costringendo la popolazione dei suoi domini a unirsi alla nuova religione. Nello stesso periodo, costruì il primo ospedale generale del Giappone, una struttura specializzata nella scienza medica occidentale dove le persone del dominio potevano sottoporsi a controlli gratuiti. Nel 1582, Sorin inviò la così detta Ambasciata Tensho, la prima delegazione ufficiale giapponese in Europa. Ideata dal gesuita Alessandro Valignano e supportata dai tre daimyo cristiani Omura Sumitada, Otomo Sorin e Amira Harunobu, la spedizione era guidata dal gesuita giapponese Mancio Ito, e nel corso del viaggio in Europa incontrarono autorità importanti come il re Filippo II di Spagna, il granduca Francesco I de' Medici, papa Gregorio XIII e il suo successore papa Sisto V. A Roma Mancio Ito divenne cittadino onorario e nobile con il titolo di Cavaliere di Speron d'oro. A causa delle nuove pressioni del clan Shimazu, nel 1585 Sorin chiese aiuto a Toyotomi Hideyoshi. Hideyoshi guidò il suo esercito alla conquista della regione di Kyushu e nel 1587 sconfisse l'esercito degli Shimazu in vari luoghi. Sorin si ammalò durante la rapida inversione della situazione della guerra e morì di malattia, probabilmente tifo, a Tsukumi, nella provincia di Bungo, poco prima della resa del clan Shimazu. Ritratto di Otomo Sorin in una stampa d'epoca Dipinto del 1665 che raffigura l'incontro tra l'ambasciata giapponese e Papa Gregorio XIII 4. Ascesa e declino del Cristianesimo in Giappone L’avanzare del Cristianesimo in Giappone fu lento ma progressivo, specialmente nella regione del nord Kyushu. Una bozza del 1582 scritta dal gesuita Alessandro Valignano stimava circa 200 chiese e 150000 adepti, fino ad arrivare a quasi 300000 alla fine del XVI secolo secondo stime di alcuni storici. Dalla metà del periodo Sengoku fino agli inizi del periodo Edo, la percezione del Cristianesimo cambiò sempre di più sotto l’influenza dei tre grandi unificatori del Giappone: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Nobunaga favorì il Cristianesimo per i vantaggi economici e militari, ma soprattutto vide la nuova religione come uno strumento utile per combattere il fanatismo buddista, considerato un ostacolo per i suoi piani di conquista. Alcuni monaci erano interessati al Cristianesimo, mentre quelli dei templi principali, considerati lo zoccolo duro del buddismo giapponese, percepivano la nuova religione come una minaccia. Le dispute si fecero sempre più dure e violente, tanto che i monaci cacciarono via i cristiani dalla capitale Kyoto, costringendoli a trovare rifugio nella città autonoma di Sakai. Il gesuita portoghese Luís Fróis non si arrese e decise di tornare a Kyoto per parlare direttamente con Oda Nobunaga, spiegandogli le sue ragioni. Quale migliore occasione per dare uno scacco matto ai buddisti della capitale? Così Kyoto divenne un terreno fertile per il Cristianesimo. Inizialmente Toyotomi Hideyoshi seguì una politica di tolleranza simile a quella applicata dal suo predecessore, tanto che durante i suoi primi anni di regno alcune città erano governate direttamente dai gesuiti. Ben presto le cose cambiarono. La frequente paranoia che colpiva Hideyoshi iniziò a entrare in gioco: daimyo e generali che si convertono? Adepti che chiamano Signore la loro figura divina? Vogliono instaurare un altro potere! Inoltre, la rivalità tra missionari spagnoli e portoghesi faceva presagire a Hideyoshi un ipotetico futuro scontro tra Spagna e Portogallo, nella quale il Giappone poteva essere terreno di scontro. In aggiunta, le dispute tra cristiani e buddisti si fecero sempre più violente, minando la stabilità del regno. La goccia che fece traboccare il vaso? La scoperta di traffici di schiavi giapponesi da parte di alcuni mercanti portoghesi. Nel 1587, Hideyoshi bandì i missionari dal Giappone e applicò maggiori controlli verso i signori feudali cristiani, mantenendo però le relazioni commerciali con gli europei. Tuttavia, il decreto non fu mai applicato del tutto, e diversi missionari continuarono a praticare la loro predicazione. Con il passare degli anni, l’atteggiamento anticristiano di Hideyoshi cresceva sempre di più, fino a esplodere nel 1593 con l’arrivo in massa dei francescani, più autoritari e intolleranti verso le altre religioni. Alla fine del 1596, Hideyoshi diede inizio alle prime persecuzioni e ordinò ai governatori da lui dipendenti di arrestare tutti i religiosi cristiani. Nella capitale Kyoto furono catturati ventisei cristiani: 6 francescani di origine spagnola o portoghese, 3 gesuiti e 17 terziari francescani giapponesi. I prigionieri furono portati in una piazza, dove subirono il taglio di un pezzo dell’orecchio sinistro. Per intimorire tutti i giapponesi cristiani e scoraggiare altre conversioni, Hideyoshi fece marciare i ventisei da Kyoto a Nagasaki, la città dove era presente la maggiore comunità cattolica. I condannati arrivarono nella città portuale dopo 30 giorni e circa 600 chilometri di estenuanti fatiche. Il 5 febbraio del 1597, i ventisei furono portati alla collina Nishizaka, pronti per la crocifissione. La morte doveva avvenire come quella del loro Signore. Dopo averli fatti soffrire per molto tempo, tutti i Ventisei martiri del Giappone furono finiti mediante un colpo di lancia, ricavato da canne di bambù, sul costato. L’ammonimento funzionò e diversi missionari, tra cui Alessandro Valignano, fuggirono dal Giappone. Agli inizi anche Tokugawa Ieyasu era favorevole verso i cristiani, dando libertà nei suoi domini, ma con l’inizio del nuovo shogunato Tokugawa, che coincide con l’avvio del lungo periodo Edo, Ieyasu applicò politiche restrittive e persecutorie simili a quelle del suo predecessore Hideyoshi. Durante il 1613 iniziò una nuova campagna di persecuzione, che culminarono con il martirio di Kyoto. Nel 1614, Ieyasu bandì definitivamente il Cristianesimo dal Giappone tramite un editto, definendola dottrina perversa. Il 14 maggio dello stesso anno si svolse l’ultima processione per le strade di Nagasaki, che toccò sette delle undici chiese della città, tutte successivamente demolite. Da allora, i cristiani continuarono a professare la loro fede nella clandestinità: iniziava così l’era dei kakure kirishitan, ovvero cristiani nascosti. Gli adepti celebravano i loro riti in alcune stanze segrete all'interno delle loro abitazioni private. Nel corso del tempo le raffigurazioni sacre venivano trasformate in statuette che assomigliavano a quelle tradizionali di Buddha o di altre divinità. Le preghiere furono scritte per sembrare dei canti buddisti, mentre la Bibbia e i testi liturgici furono trasmessi oralmente. Con il secondo shogun Tokugawa Hidetada, le persecuzioni aumentarono di portata e brutalità, specialmente verso i giapponesi convertiti. Nel 1619 quasi 60 fedeli vennero condannati al rogo, tre anni dopo 55 vennero giustiziati nel cosiddetto Grande martirio di Nagasaki. Nel 1625 venne inaugurata la pratica dei yefumi, tavolette di legno con le icone di Gesù o della Vergine che si dovevano profanare calpestandole come prova di abiura del cristianesimo da parte dei condannati. Chi si rifiutava di farlo veniva torturato e ucciso. I metodi furono brutali: cavamento degli occhi, bambini malmenati davanti ai loro genitori, crocifissioni, roghi o ebollizioni da vivo, decapitazioni e tsurushi, una pratica altamente utilizzata dove il malcapitato veniva appeso a testa in giù in una fossa piena di escrementi, con un taglio sulla tempia in modo che il sangue potesse defluire e non morisse rapidamente. Con il terzo shogun Tokugawa Iemitsu, il malcontento verso gli occidentali aumentò in modo vertiginoso e le persecuzioni si aggravarono ancora di più. Nel 1639 tutti gli occidentali furono espulsi e si vietò l’attracco a tutte le potenze europee, ad eccezione per gli olandesi, che potevano commerciare con il resto del Giappone e risiedere nella piccola isola di Deshima, nel porto di Nagasaki. Inoltre, si vietò anche l’emigrazione: migliaia e migliaia di nipponici non poterono rientrare nel loro paese, pena condanna di morte. Nel 1640, alcuni membri di un’ambasciata portoghese sbarcarono in Giappone, ma furono subito decapitati sul posto. Iniziò così il lungo periodo dell’isolazionismo giapponese, noto con l’appellativo di sakoku jidai, periodo del paese chiuso. Dal 1640 tutti i giapponesi furono obbligati a registrarsi presso i templi buddisti e a seguire corsi, in modo tale da dimostrare di non essere cristiani. Del Cristianesimo non ne rimaneva quasi traccia nel 1660. Antica stampa che raffigura i Ventisei martiri del Giappone Xilografia del XIX secolo della mappa di Nagasaki. L'isola al centro della stampa è la piccola isola artificiale di Deshima, territorio olandese dal 1641 al 1859. 5. La rivolta di Shimabara, l’ultima resistenza dei giapponesi cristiani Durante gli inizi del periodo Edo non mancava la resistenza da parte dei cristiani giapponesi. La più grande e conosciuta fu la rivolta di Shimabara del 1637. La penisola di Shimabara era governata dal daimyo Matsukura Katsuie, figlio di Matsukura Shigemasa noto per aver dato avvio le tremende persecuzioni nei confronti dei cristiani nei suoi domini. Il figlio continuò il piano di sradicamento del Cristianesimo iniziato dal padre, e in più attuò un’eccessiva tassazione per rispettare la politica dell'ikkoku – ichijo, ovvero un castello in ogni provincia, decisa dallo shogunato Tokugawa. I proventi delle tasse servivano per smantellare i castelli di Hara e Hino e costruire la nuova postazione difensiva a Shimabara. Le tasse logoranti peggiorarono le condizioni dei contadini e molti morirono di fame, mentre i samurai al servizio del daimyo compivano crudeltà di ogni genere come furti, uccisioni e stupri. Tra persecuzioni e tasse la pazienza era finita. La rivolta scoppiò nell’autunno del 1637 con l'assassinio del daikan di Shimabara Hayashi Hyozaemon, cioè l’esattore delle tasse. In molti villaggi di Shimabara iniziarono le prime violenze e i contadini cominciarono con l'attaccare i granai pubblici in cui era contenuto il riso con cui avevano pagato le logoranti tasse. Al fianco dei contadini cristiani si unirono anche ronin cristiani, ovvero samurai decaduti senza padrone, veterani nel combattimento e nelle arti marziali. La notizia della ribellione arrivò a Nagasaki, che inviò delle truppe per reprimere la rivolta. La rivolta scoppiò anche nell’arcipelago di Amakusa e il daimyo del luogo, Terazawa Katataka, inviò subito un contingente di 3000 guerrieri al comando di nove nobili per eliminare la rivolta. Tuttavia, il piccolo corpo di spedizione fu annientato dall’armata ribelle il 27 dicembre del 1637. In una successiva battaglia combattuta il 3 gennaio 1638, gli insorti di Amakusa furono sconfitti e i sopravvissuti fuggirono dalla loro isola per unirsi ai ribelli di Shimabara. Verso gli inizi del 1638, le file dell’armata ribelle erano aumentate e a capo dell’esercito ribelle si pose il sedicenne ronin cristiano Amakusa Shiro. L’esercito ribelle riunì le forze nel castello dismesso e in rovina di Hara. Nonostante le pessime condizioni della struttura, il castello garantiva ugualmente una buona protezione in quanto situato su un promontorio che dava sul mare. Tre lati del castello, infatti, terminavano con un dirupo e per attaccarlo si doveva usare l'unico passaggio disponibile che era protetto da due profondi fossati. Nel castello gli insorti portarono con sé anche le loro famiglie. Secondo gli storici, il numero totale tra insorti, donne e bambini era di 27000 – 37000 persone. Nel castello tutti lavorarono per rafforzare le difese e sui merli esposero croci di legno e vessilli crociati. L’armata assediante dello shogun comprendeva circa 50000 guerrieri, tra i quali era presente anche il famoso Musashi Miyamoto, considerato il migliore spadaccino della storia giapponese. A capo dell’immenso esercito fu messo Shigemasa Itakura, scelto direttamente dallo shogun Tokugawa Iemitsu. Nel frattempo, i Tokugawa avevano chiesto aiuto anche agli olandesi, che presero parte all'assedio con Nicolaes Couckebacker, il capo del trading post della Compagnia olandese delle Indie Orientali della città di Hirado. Gli olandesi rifornirono l'esercito dello shogunato di cannoni e polvere da sparo, e inviò sul luogo dello scontro tre vascelli da guerra, uno dei quali comandato dallo stesso Couckebacker, il de Ryp. Il castello per una quindicina di giorni subì un pesante cannoneggiamento sia dalle truppe a terra sia dalle navi olandesi, ma gli insorti si rifugiarono in alcune gallerie sotterranee che avevano creato nei giorni precedenti per proteggersi dalle cannonate. A causa della disorganizzazione dell’esercito dello shogun e del piano fallimentare, gli olandesi si ritirano. Il vero motivo fu un altro: i giapponesi non gradirono farsi aiutare da stranieri e per orgoglio dovevano combattere la ribellione con le loro forze. Dopo diversi tentativi falliti di attacco, e a seguito della morte di Itakura in uno degli assalti, l’armata dello shogunato passò al nuovo comandante Matsudaira Nobutsuna. Gli insorti riuscirono a resistere per altri due mesi, ma le condizioni climatiche e la tenacia degli assedianti cominciavano a farsi sentire. Il freddo dell'inverno aveva danneggiato entrambe le fazioni, ma le truppe dello shogunato ricevevano periodicamente dei rinforzi a differenza dei ribelli, che, oltretutto, cominciavano ad esaurire le munizioni e le scorte di cibo. Nell'aprile del 1638, Matsudaira aveva al suo comando circa 125000 guerrieri. Sapendo delle condizioni difficili dei ribelli, Matsudaira inviò un messaggio di resa in cui prometteva il totale perdono per tutti i non cristiani e per coloro che avessero ritrattato la loro fede. Al messaggio rispose lo stesso Amakusa Shiro scrivendo che tutti erano cristiani e sarebbero morti per la loro fede. Il 12 aprile del 1638, l’esercito dello shogunato riuscì fare breccia nel castello. Gli scontri terminarono definitivamente il 15 aprile, con la sconfitta delle ultime sacche di resistenza. Tutti gli insorti sopravvissuti, compresi donne e bambini, furono decapitati, e i loro corpi ammassati e sepolti tra le rovine del castello, che fu incendiato e completamente raso al suolo. La testa del capo della rivolta, Amakusa Shiro, fu portata fino a Nagasaki ed esposta al pubblico per diversi giorni, come monito per la popolazione. Lo shogunato prese seri provvedimenti anche nei confronti dei comandanti del suo stesso esercito: diversi daimyo furono considerati responsabili della rivolta e vennero decapitati; Matsukura Katsuie, la cui politica tirannica fu tra le cause della rivolta, fu indotto a compiere il seppuku, il suicidio rituale. I clan che diedero il loro contributo militare all'esercito dello shogunato furono invece ricompensati venendo esentati dai periodici contribuiti che dovevano versare allo shogun. La grande rivolta di Shimabara fu l’ultimo tentativo di resistenza da parte dei cristiani giapponesi. Dopo la rivolta, lo shogunato sospettò i cattolici occidentali come aiutanti degli insorti. L’evento influenzò il decreto di espulsione degli occidentali dal Giappone del 1639. Xilografia del XIX secolo raffigurante Amakusa Shiro Resti del castello di Hara. La struttura fa parte del bene protetto dall’UNESCO “siti cristiani nascosti della regione di Nagasaki” 6. Che cosa rimane? Per quasi tutta la durata del periodo Edo, i cristiani rimasero nascosti sotto gli occhi dello shogunato Tokugawa. A seguito della spedizione navale USA guidata dal commodoro Matthew Perry, nel 1853 il Giappone fu riaperto ai rapporti con l'estero. Nonostante il Cristianesimo fu ancora bandito, giunsero molti religiosi cristiani. Sotto il governo dell’imperatore Meiji, nel 1871 fu introdotta la libertà religiosa, riconoscendo così alle comunità cristiane il diritto all'esistenza. Dopo più di 200 anni, l’epoca dei cristiani nascosti finì. Oggi il Cristianesimo viene praticato da meno dell'1% della popolazione giapponese, con comunità cattoliche concentrate perlopiù a nord dell’isola di Kyushu, principalmente nelle vicine città di Nagasaki, Hirado e Goto. Circa il 70% delle chiese risulta essere normalmente frequentata da meno di 30 fedeli. Una chiesa nei pressi di Hirado Spero che questo post sia stato di vostro gradimento! 😄 Alla prossima, Xenon97
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Sai che il Giappone produce legname senza abbattere alberi? È l’antica tecnica del Daisugi In Giappone si pratica il Daisugi, un antico sistema di potatura utilizzato per produrre legno senza abbattere gli alberi. Grazie a questa tecnica si previene la deforestazione e si produce legno di alta qualità @arboles_magicos/X Il Giappone è un Paese di tradizioni secolari che non smette mai di sorprendere e ispirare nella ricerca della perfezione. Una delle sue tradizioni fin dal XIV secolo è il Daisugi, una tecnica forestale che permette di ottenere il legno senza abbattere completamente l’albero. Questa silvicoltura sostenibile è utilizzata principalmente su cedri piantati appositamente per questo scopo. La tecnica ha grandi somiglianze con quella utilizzata per i bonsai, ma viene eseguita su alberi giganti ed è un modo eccellente per prevenire la deforestazione e produrre legno di alta qualità. I cedri vengono potati a mano con molta delicatezza e attenzione ogni due anni, lasciando solo i rami superiori da cui spunteranno nuovi rami molto dritti verso l’alto. A occhio nudo, quando si utilizza questa tecnica, sembra che i cedri siano cresciuti sopra altri cedri. Questi nuovi germogli crescono in un legno perfettamente uniforme, dritto e completamente privo di nodi, cioè un legno ideale. Da un singolo albero possono nascere fino a un centinaio di germogli alla volta, che producono legno per 200-300 anni prima di esaurirsi. Il legno ottenuto con questa tecnica è più flessibile del 40% e due volte più resistente Il metodo è stato originariamente inventato dagli abitanti della regione di Kitayama intorno all’anno 1300 per risolvere il problema della scarsità di materia prima. A quel tempo era in voga una forma di architettura sukiya-zukuri, che utilizzava un legno molto dritto e stilizzato, ma non ce n’era abbastanza per costruire queste case per tutti. In quella regione c’è poca terra piatta, quindi piantare e far crescere alberi sui pendii ripidi era estremamente difficile. La tecnica Daisugi proponeva di ridurre il numero di piante, accelerare il ciclo di raccolta e produrre legname più denso. Come sempre accade, le mode passano e nel corso degli anni la domanda di legname prodotto con questa tecnica è diminuita notevolmente. Ma non è scomparsa del tutto, perché sono stati trovati altri usi. Il legno ottenuto con questa tecnica è più flessibile del 40% e due volte più resistente di quello del cedro normale. Inoltre la sua forma diritta lo rende un materiale perfetto per travi e soffitti che devono essere estetici e resistenti. Il suo consumo è aumentato nelle zone spesso colpite dai tifoni. Anche l’estetica è stata fondamentale per la sopravvivenza del Daisugi. Gli alberi potati con questa tecnica acquisiscono una forma molto particolare e attraente e diventano alleati per la decorazione della casa, il che ne aumenta la richiesta nei giardini ornamentali. https://www.greenme.it/ambiente/buone-pratiche-e-case-history/giappone-produce-legname-senza-abbattere-alberi-daisugi/
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Un tesoro sepolto nel 1200 viene trovato durante la costruzione di una fabbrica. Sono 100mila monete legate Le monete trovate durante lo scavo @ Comune di Maebashi Nel corso di uno scavo avvenuto nel 2023 presso il sito archeologico Sosha Village East 03 nella città di Maebashi, in Giappone, gli archeologi hanno portato alla luce una scoperta eccezionale: un deposito contenente oltre 100.000 monete antiche, alcune delle quali risalgono a oltre 2.000 anni fa, con origini che spaziano dalla Cina medievale a periodi più recenti. L’origine di questo straordinario ritrovamento è legata alla costruzione di una nuova fabbrica nel distretto di Sojamachi. Mentre il suolo veniva disturbato per questo progetto, il passato ha restituito un tesoro di inestimabile valore storico. Questo deposito di monete, accuratamente raggruppate in fasci di circa 100 pezzi ciascuno e legate con corde di paglia note come “sashi”, comprende esemplari di “Ban Liang”, la prima valuta unificata della Cina coniata nel 175 a.C., insieme ad altre monete risalenti dal settimo al tredicesimo secolo. La disposizione delle monete suggerisce che potrebbero essere state sepolte rapidamente, probabilmente come precauzione contro un’eventuale guerra, data la vicinanza a case opulente appartenenti a figure di spicco del Giappone medievale. L’area dell’eccezionale ritrovamento si estende per circa un metro di larghezza e presenta una profondità di circa 60 centimetri. In totale, sono stati recuperati 1.060 mazzi di sashi, ciascuno contenente diverse monete, con alcune configurazioni che raggiungono la straordinaria quantità di mille monete, il tutto fissato con tracce di stuoie di paglia di riso. Un’analisi più approfondita delle 334 monete ha svelato una sorprendente diversità, con ben 44 tipi di valute distinti. Le monete spaziano dalla dinastia Han occidentale alla dinastia Song meridionale, fornendo una finestra affascinante sulla storia monetaria cinese. Il reperto più antico, il “Ban Liang” del 175 a.C., presenta caratteristiche uniche come un diametro di 2,3 centimetri, un foro quadrato di 7 millimetri al centro e uno spessore di 1 millimetro, con incisioni distintive a sinistra e a destra. Gli esperti ritengono che questo straordinario tesoro di monete antiche sia stato nascosto durante il tumultuoso periodo Kamakura (1185-1333). Tuttavia, è importante notare che le datazioni sono preliminari e soggette a ulteriori ricerche. Questo sito archeologico, parte di un’area che abbraccia un chilometro e include importanti reperti come i tumuli funerari di Sosha e le rovine del tempio San’o e del tempio Ueno Kokubunji, rivela l’importanza storica e culturale della regione dal tardo periodo Kofun al periodo Ritsuryo. Attualmente, i straordinari reperti sono esposti alla “Mostra di artefatti culturali appena scavati 2023” nel quartiere Otemachi della città di Maebashi, offrendo al pubblico l’opportunità di ammirare da vicino questa straordinaria finestra sulla storia antica. La mostra rimarrà aperta fino al 12 novembre, offrendo a tutti un’occasione unica di connettersi con il passato attraverso questo straordinario ritrovamento archeologico. https://stilearte.it/un-tesoro-sepolto-nel-1200-viene-trovato-durante-la-costruzione-di-una-fabbrica-sono-100mila-monete-legate/ Archaeologists uncovered over 100,000 ancient coins, some more than 2,000 years old In an excavation at the Sosha Village East 03 archaeological site in Maebashi City, Japan, archaeologists stumbled upon a remarkable discovery – a cache of over 100,000 ancient coins, some of which are of Chinese origin and are more than 2,000 years old. This excavation was prompted by the construction of a new factory in Sojamachi district here at the area. These coins include the “Ban Liang,”(coin from 175 B.C.) China’s first unified currency, as well as others dating from the seventh to the thirteenth centuries. What’s more, they were bundled in groups of around 100 coins and secured with straw cords known as “sashi.” The coins were probably buried quickly because the location was close to opulent homes belonging to influential people in medieval Japan, maybe as a precaution against impending war. The unearthed coins were found in an area approximately 60 centimeters high and one meter wide, with a staggering 1,060 bundles of these sashi clusters. Some bundles contained evidence of 10 sashi, equivalent to roughly a thousand coins, all arranged with traces of rice straw mats. The massive trove of ancient coins was dug up in Gunma Prefecture. A thorough examination of 334 coins from the haul revealed an astounding variety of 44 different currency types. These coins originated from as far back as China’s Western Han Dynasty, extending to the Southern Song Dynasty. The oldest among them, the “Ban Liang,” dates back to 175 B.C., with distinct characteristics including a 2.3-centimeter diameter, a 7-millimeter square hole in the center, and a thickness of 1 millimeter, featuring the inscriptions “liang” on the left and “ban” on the right. The most recent coin in this treasure trove was minted in 1265 during the Southern Song Dynasty, leading experts to believe that these coins were hidden during the turbulent Kamakura period (1185-1333). It should be noted that the dating results are preliminary and may be refined through additional research. A Ban Liang coin dating from 175 B.C. Photo: Eiichi Tsunozu The archaeological site is part of an area encompassing approximately one kilometer, including the Sosha burial mounds, the San’o Temple Ruins, and the Ueno Kokubunji Temple, indicating the region’s prominence as a center of activity from the late Kofun period to the Ritsuryo period. The extraordinary artifacts from the Sosha Village East 03 site are currently on display at the “Newly Excavated Cultural Artifacts Exhibition 2023” in Maebashi City’s Otemachi district, which is open to the public until the 12th of this month. https://arkeonews.net/archaeologists-uncovered-an-estimated-100000-ancient-coins-some-more-than-2000-years-old/
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Perché in Giappone le strade non hanno un nome: un modo diverso di concepire lo spazio
ARES III ha aggiunto un nuovo link in Storia ed archeologia
Perché in Giappone le strade non hanno un nome: un modo diverso di concepire lo spazio In Giappone, per motivi culturali, la struttura urbana è diversa dall’Occidente, e si basa su isolati rettangolari e strade senza nome. Il modo di concepire lo spazio, infatti, non segue logiche lineari. Le città in Giappone sono organizzate in modo molto diverso rispetto a come si è abituati in Occidente e ciò può causare problemi di orientamento a chi non conosca bene l'area che attraversa. Mentre per gli europei e per gli americani è scontato dare dei nomi alle strade, in quanto i loro occhi sono allenati a vedere linee, in Giappone lo spazio è concepito in modo diverso e si tende a interpretarlo per riquadri. In questo modo la maggior parte delle vie e delle strade non ha nome. Vediamo questo cosa significa e cosa comporta. La diversa concezione dello spazio in Occidente e in Giappone Le città giapponesi sono caratterizzate da una particolare forma di organizzazione urbana che è molto differente dal sistema occidentale e deriva da un modo diverso di pensare lo spazio. Le città europee si sono sviluppate in modo che il centro geografico coincidesse con il centro della vita del popolo, il luogo in cui risiede l’autorità e quindi centro di aggregazione. Partendo da un centro e semplificando un po', le città si sono spesso ampliate in modo da sviluppare due zone ben distinte per la vita che ci si svolge: il centro stesso e la periferia. All’interno di questo sistema ad ogni via è associato un nome. Lo spazio quindi è concepito in modo lineare, dando importanza alle vie (quindi alle linee) che uniscono gli edifici. Inoltre, gli edifici stessi all’interno delle vie sono numerati in modo lineare. Questo sistema sembra ovvio e banale ai nostri occhi, ma non è così scontato: infatti tutto ciò non accade in Giappone. Le città giapponesi, anche per motivi culturali, non si sono sviluppate secondo un’idea di un centro inteso come punto di aggregazione, commercio e potere, da cui si sono ramificate varie strade. Per questo, le strade in Giappone non hanno mai avuto un nome: gli spazi che compongono la città sono innominati, come se la popolazione non avesse mai sentito la necessità di assegnare delle etichette fisse a terreni o edifici che invece sono mutevoli perché possono cambiare nel tempo. Com’è organizzata la città giapponese Fin dal ‘600, dall'epoca Edo (1603-1868), nel paese del Sol Levante si è sviluppata l'urbanistica a riquadri: questo sistema si basa su delle macroaree, che possiamo immaginare come dei grandi quartieri urbani, suddivisi al loro interno in isolati rettangolari (chiamati chō o machi). L’isolato, quindi, è diventato ed è rimasto fino ai giorni nostri l’unità fondamentale della geografia urbana giapponese: infatti, al posto di nominare le vie, in Giappone, vengono numerati gli isolati. Le vie sono considerate semplicemente degli spazi tra gli isolati. Per questa ragione, nel sistema di indirizzi, ciò che si indica non è né il nome della strada né il numero civico, ma il nome del quartiere (quindi il nome del machi), seguito da tre numeri: questi indicano rispettivamente a quale sezione del quartiere ci si riferisce (i machi, infatti, sono suddivisi in sotto quartieri che in giapponese sono chiamati chōme), il numero dell’isolato all’interno del chōme e il numero dell’edificio. Mentre la numerazione dei chōme segue una logica “lineare” (le sezioni sono numerate in ordine crescente in base alla loro posizione), il modo in cui vengono numerati gli isolati e gli edifici segue piuttosto una logica temporale. Questi sono infatti numerati secondo un ordine pratico, seguendo la data di costruzione e non la posizione in cui sono ubicati. Questo accade perché il sistema di numerazione si lega alla storia della città e ne conserva l’evoluzione. Questo sistema di indirizzi si lega molto di più agli abitanti che ai turisti: infatti, ha una logica chiara per chi abita il luogo, mentre risulta poco intuitiva per chi viene da fuori. Come ci si orienta nelle città giapponesi? Questo complesso sistema di indirizzi rende complicato l’orientamento anche per i giapponesi: per questa ragione, in Giappone, è facile trovare delle piccole stazioni di polizia in cui si può entrare anche solo per chiedere indicazioni. Queste stazioni sono chiamate Kōban e al loro interno ci sono agenti che conoscono bene la zona e sono muniti di mappe e stradari. Se si chiede un’indicazione stradale agli abitanti delle città giapponesi, probabilmente questi non cominceranno a fornirle nominando le vie da percorrere per giungere a destinazione come accade in Europa, ma è più facile che inizino disegnare. Cominciando a tracciare dei quadrati su pezzi di carta improvvisati, gli abitanti giapponesi ricreano la città fornendo le indicazioni richieste. In questo caso risulta ancora più evidente il loro modo diverso di concepire lo spazio. Perché la concezione dello spazio è così diversa? La differenza tra i due sistemi di concezione dello spazio, quello europeo e quello giapponese, è molto profonda ed è radicata nella diversità culturale delle due aree. È difficile quindi trovare una ragione unica. C’è, però, una teoria suggestiva che collega il pensiero spaziale al linguaggio e alla scrittura. In Europa, infatti, si scrive in modo lineare da sinistra a destra, anche i quaderni sono a righe. In Giappone invece la scrittura si basa su dei caratteri che non devono essere scritti lungo linee rette, ma ogni carattere è quasi indipendente dagli altri. Questa teoria perciò suggerisce che gli europei, che imparano a scrivere in questo modo, sono abituati a vedere e pensare a delle linee, dando di conseguenza importanza alle vie (che nello spazio sono delle linee). I giapponesi, invece, che nello spazio danno più importanza alle aree (agli isolati), sono più concentrati sui singoli caratteri, quindi sui riquadri, non trovando importanti le linee che li collegano. Bibliografia Mask Deidre 2020, Le vie che orientano. Storia, Identità e potere dietro ai nomi delle strade, Bollati boringhieri Shelton Barrie 2012, learning from japanese cities. Looking east in urban design, routledge https://www.geopop.it/perche-in-giappone-le-strade-non-hanno-un-nome-un-modo-diverso-di-concepire-lo-spazio/ -
Ora sappiamo cos’è la “sirena” mummificata di Enjuin: pubblicate le analisi degli scienziati La “sirena” è custodita nel tempio giapponese Enjuin, ad Asakuchi, ed è ovviamente costruita ad arte mettendo insieme parti di vari animali. Ora, grazie a uno studio approfondito, sappiamo quali. Sono stati pubblicati i risultati delle analisi sulla famosa "sirena mummificata" di Enjuin, custodita e venerata da tempo all'interno di un tempio giapponese di Asakuchi. Lo scorso anno, infatti, la creatura era stata sottoposta a una serie di analisi scientifiche come TAC, prelievi di campioni per il DNA e raggi X per determinare finalmente con esattezza la sua vera natura. Chiaramente si dava già per scontato che fosse un fantoccio, un falso montato ad arte e assemblando mettendo insieme parti di vari animali e non, ma quali? Era infatti questo l'obiettivo dello studio e le analisi hanno confermato, come già accaduto in passato, che anche questa sirena è composta da numerose parti di pesci, come pinne e pelle, cheratina e pelliccia di mammifero, montati accuratamente su un'imbottitura di stoffe, carta, colla e altro ancora. La metà inferiore è un insieme di pinne dorsali, anali e pelviche probabilmente di ombrine, mentre la pelle, che appartiene a un pesce palla è stata usata per ricoprire braccia, spalle, il collo e le guance. Le scaglie, secondo le analisi, risalgono alla fine del 1800. La superficie del resto corpo, invece, è stata dipinta con sabbia o polvere di carbone, e infine amalgamata con una sostanza pastosa. Ad aver analizzato l'esatta natura della "misteriosa sirena" sono stati i ricercatori dell'Università della Scienza e delle Arti di Kurashiki, che nel 2022 avevano ricevuto l'incarico dal sommo sacerdote Hiroyoshi Kusuda del tempio di Asakuchi e che hanno confermato che è stata costruita intorno alla metà del XVIII Secolo. Secondo la leggenda, però, la sirena sarebbe stata catturata in una rete da pesca tra il 1736 e il 1741, nelle acque antistanti la provincia di Tosa, nella parte Sud del Giappone. Non è però del tutto chiaro come sia arrivata poi al tempio, ma pare che fu acquistata dalla famiglia Kojima nella provincia di Bingo-Fukuyama per poi proseguire il suo viaggio con numerosi altri passaggi di proprietà, arrivando in qualche modo a Asakuchi, dove viene custodita da almeno 40 anni. La sirena del tempio Enjuin non è però l'unica creatura sireniforme composta ad arte per stupire curiosi e creduloni. Tra il 700 e l'800 era molto comune architettare bizzarrie e "mostruosità" naturalistiche o mitologiche per soddisfare il gusto per l'esotico e il grottesco dei collezionisti del tempo. La famosa sirena di Modena, per esempio, fu realizzata nella prima metà dell'Ottocento ed anche in questo caso si tratta di un manufatto mostruoso in parte pesce e in parte vagamente antropomorfo. Ma tra gli eccentrici esemplari di pseudo-sirene tuttora conservati, sono degne di nota anche quella esposta al Peabody Museum dell'Università di Harvard, quella al Booth Museum di Brighton, quella presso il Horniman Museum and Gardens di Londra, quella conservata nei magazzini del Nature Museum di Grafton e quella in mostra al Buxton Museum & Gallery, rifinita persino con dei veri capelli umani. Le sirene, infatti, affascinano da sempre l'uomo e per i ricchi uomini d'affari sono state una vera miniera d'oro per sfruttare il pubblico pagante, ma se la maggior parte di queste creature sono state costruite per guadagnare soldi, molte altre sono state realizzate semplicemente per scherzo e per prendersi gioco degli abitanti dei piccoli villaggi affacciati sul mare. https://www.kodami.it/ora-sappiamo-cose-la-sirena-mummificata-di-enjuin-pubblicate-le-analisi-degli-scienziati/
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La rivalità più leggendaria della storia del Giappone
Xenon97 ha aggiunto un nuovo link in Storia ed archeologia
Sappiamo bene che la storia è piena di scontri celebri, come quello tra Agamennone e Priamo, Annibale e Scipione, Giulio Cesare e Pompeo, Riccardo Cuor di Leone e Saladino, Napoleone e il duca di Wellington e molti altri ancora. Anche la storia millenaria del Giappone è ricca di rivalità, ma la più leggendaria e conosciuta è senza dubbio quella avvenuta durante il periodo Sengoku tra 2 grandi signori feudali. Oggi parleremo di Takeda Shingen e Uesugi Kenshin. Il periodo Sengoku Prima di iniziare a raccontare la vita di questi due grandi condottieri è giusto esaminare il momento storico. Il periodo Sengoku, o degli stati combattenti, è un'epoca della storia giapponese caratterizzato da sconvolgimenti sociali, intrighi politici e conflitti militari quasi costanti tra signori feudali. Come si arrivò a tutto questo? Nel Giappone feudale l'imperatore era "ufficialmente" il sovrano dello Stato, e tutti giuravano fedeltà a lui. Era davvero il "capo di Stato"? Assolutamente no. Principalmente l'imperatore del periodo feudale era più una figura cerimoniale e religiosa in quanto veniva considerato come l'incarnazione vivente di un dio. Il potere effettivo era invece nelle mani dello shogun, un nobile che era più o meno equivalente a un dittatore militare. Prima dell'inizio del periodo Sengoku, lo shogunato Ashikaga (1336 - 1573) perdeva sempre più influenza e controllo sui governatori provinciali, gli shugo. Nonostante avesse ereditato la struttura politica e amministrativa del precedente shogunato Kamakura (1192 - 1333), e istituendo un governo di sovrani guerrieri, lo shogunato Ashikaga non fu capace di guadagnarsi la fedeltà di gran parte degli shugo, soprattutto di quelli che avevano i domini lontani dalla capitale Kyoto. Questi feudi in particolare iniziarono a esercitare sempre più una forte influenza politica, militare ed economica, tanto da minacciare la stabilità dello shogunato. Il processo che portò a questo nuovo equilibrio di potere viene detto gekokujo, che letteralmente significa "i subordinati prevaricano i superiori". Inoltre, dall'indipendenza degli shugo emerse la nuova categoria dei daimyo, i veri e propri signori feudali. L’inizio del periodo Sengoku viene fatto coincidere con lo scoppio della guerra Ōnin (1467 - 1477), un conflitto iniziato per via del malcontento provato dai signori feudali nei confronti del governo militare tenuto dallo shogunato Ashikaga. Negli anni successivi ogni daimyo fondò un vero e proprio Stato, in conflitto con quasi tutti gli altri e armato con un proprio esercito costituito essenzialmente da samurai e ashigaru. Le guerre, sempre più cruente e devastatrici, aumentarono nel corso degli anni tanto che alla fine del 1550 si arrivò ad avere un numero largamente ridotto dei daimyo ancora al potere, che passò dagli iniziali 300 a meno di 20. Per oltre 80 anni il conflitto andò avanti senza un vero e proprio vincitore, fino alla comparsa dei 3 grandi unificatori del Giappone: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Il 1603, anno di partenza del periodo Edo, è anche la data in cui, convenzionalmente, si conclude il periodo Sengoku. I principali clan giapponesi nel 1570 La storia di Takeda Shingen Dopo aver riassunto brevemente il periodo Sengoku possiamo iniziare a raccontare la storia di Takeda Shingen, la “tigre del Kai”. Takeda Shingen nacque nel 1521. Era il figlio maggiore di Takeda Nobutora, un potente daimyo che controllava l'antica provincia del Kai. Nel 1536, all'età di soli quindici anni, fu fondamentale durante l’assedio al castello di Unnokuchi. La battaglia iniziò con l’invio di una guarnigione nelle terre di Genshin, il signore feudale locale. Lo scopo era ben chiaro: Nobutora voleva espandersi. Nonostante il numero inferiore di sudditi, Genshin respinse l’assalto con violenza, e poco dopo imperversò una tempesta di neve che costrinse l’esercito del clan Takeda alla ritirata. Durante il ripiegamento Shingen chiese il permesso al padre di ricoprire le retrovie. Il padre, inizialmente titubante, acconsentì la richiesta del primogenito. Alla testa di 300 cavalieri, Shingen approfittò della copertura generata dalla bufera e si avvicinò al castello durante l’alba. Il castello adesso era difeso da pochi uomini, anche perché Genshin aveva notato l’armata nemica in ritirata. Shingen divise i guerrieri in diversi gruppi, riuscendo poi a entrare nella fortezza senza particolari resistenze. I nemici furono costretti ad arrendersi, e la testa di Genshin fu consegnata a Nobutora. Shingen giocò d’astuzia, ma il padre lo rimproverò dicendogli che era troppo impulsivo, amareggiandolo. Il figlio capì che il padre non lo avrebbe mai apprezzato. A complicare ancora di più il rapporto fu la successiva decisione del padre di nominare come erede il figlio minore, Nobushige. Per Shingen era troppo e così iniziò a tramare nell’ombra: si finse sprovveduto, goffo e inferiore al fratello minore, ma allo stesso tempo mostrò le sue vere potenzialità a Imagawa Yoshimoto, signore feudale di Suruga. Ignaro di ciò che si tramava alle sue spalle, Nobutora si consultò proprio con Yoshimoto per il futuro del figlio, e ciò gli fu fatale. Il daimyo del clan Imagawa ne approfittò adottandolo, lasciandogli così cammino libero. Ora Shingen era autonomo e i generali gli giurarono subito fedeltà, forse annebbiati dal suo prestigio nato a seguito dell’impresa. A seguito della deposizione del padre, i territori del clan Takeda furono preda delle ambizioni di conquista dei vari daimyo limitrofi. Partirono subito all’attacco, ma Shingen mise in piedi una forte armata e gli respinse a uno a uno. La fama cresceva sempre di più. Negli anni successivi, però, il successo improvviso gli aveva dato alla testa, cambiandolo di carattere. Shingen stava assumendo sempre più il carattere del padre, arrogante e presuntuoso, e si faceva coinvolgere ai vari piaceri trascurando gli affari del governo. Come si poteva farlo ragionare? Nessun vassallo voleva ammonirlo per paura della sua reazione. La "tigre del Kai" aveva un punto debole: amava comporre versi in cinese. In effetti, durante la gioventù, Shingen era più visto come un poeta anziché futuro guerriero. Un giorno un servitore, che conosceva il cinese, scrisse una poesia che interessò il condottiero, e ne approfittò della sua attenzione per farlo ragionare. Il servo parlò con voce seducente, alternando il discorso con citazioni di poesie e classici cinesi. Shingen rimase talmente colpito che accettò i vari consigli del servo. Così negli anni successivi il capo del clan Takeda iniziò a progettare, dando avvio alla sua politica espansionistica. Assoldò un brillante stratega, Yamamoto Kansuke, e decise di far indossare a tutti i guerrieri un’armatura rossa laccata nelle prime linee dei suoi eserciti in modo da intimidire psicologicamente il nemico. Le prime mosse di Shingen furono di consolidare i possedimenti del clan e di espandere il proprio dominio nelle province circostanti: uno dei suoi primi obiettivi consisteva nella conquista della provincia di Shinano. A seguito delle brillanti vittorie negli assedi delle fortezze di Uehara e Kuwabara (1541), una coalizione di numerosi signori feudali dello Shinano marciarono con i propri eserciti fino alle porte della provincia del Kai, nel tentativo di neutralizzare anticipatamente Shingen prima che avesse l'opportunità di espandere ancora di più le proprie terre. Benché avessero pianificato di sconfiggerlo a Fuchu, la coalizione venne presa alla sprovvista dagli uomini di Takeda nella battaglia di Sezawa (1542). Shingen sconfisse la coalizione composta da 12.000 guerrieri con soli 3.000 uomini! Proseguì poi con l’assedio di Fukuyo (1542) e la battaglia di Ankokuji (1542). Nel 1543, 1544 e 1545 conquistò rispettivamente i castelli di Nakakubo, Kojinyama e Takatō. Nel 1546 prese il castello di Uchiyamae e vinse la battaglia di Odaihara. Nel 1547 conquistò il castello di Shika. Shingen raccoglieva vittorie su vittorie, fino a quando si scontrò con Muramaki Yoshikiyo nella battaglia di Uedahara (1548), dove il condottiero Takeda subì la prima sconfitta. Inoltre, fu il primo scontro della storia del Giappone dove vennero utilizzate le armi da fuoco. Shingen pianificò la vendetta e il clan Murakami fu sconfitto nell'assedio di Toishi nel 1550 - 1551. Yoshikiyo fuggì dalla regione e chiese asilo alla provincia di Echigo da Uesugi Kenshin, diventandone uno dei più importanti generali. Nel 1548 Takeda Shingen sconfisse Ogasawara Nagatoki nella battaglia di Shiojiritōge e prese Fukashi nel 1550. Uesugi Kenshin scese in campo in quel momento poiché i Takeda erano ormai giunti ai confini della sua provincia. A questo punto, le strade dei due grandi condottieri s’incrociano... Statua raffigurante Takeda Shingen La storia di Uesugi Kenshin Adesso è il turno di Uesugi Kenshin, il “drago di Echigo”. Uesugi Kenshin nacque nel 1530. Era l’ultimo dei quattro figli di Nagao Tamekage, capo del clan Nagao e servitore del signore feudale Uesugi Fusayoshi. Neanche lui, come Takeda Shingen, era amato dal padre, tanto che lo voleva più come monaco che come guerriero. Tuttavia, a seguito alla morte del padre a opera della setta Ikko – Ikki nella battaglia di Sendanno (1536), molti comandanti militari gli si dichiararono fedeli e ne riconobbero il valore nonostante fosse ancora un bambino, ma un amministratore locale preferiva che l’erede fosse il primo figlio, Harukage; egli voleva approfittarsi della sua incapacità per farne una marionetta, e per realizzare il suo piano non aveva problemi a far fuori tutti gli altri figli. Kenshin si accorse del piano e riuscì a fuggire, nascondendosi nel monastero di Rezin, dove si dedicò allo studio fino all'età di 14 anni. Qui venne adottato da un famoso condottiero servitore del clan Uesugi, Usami Sadamitsu. I suoi nemici non smisero mai di cercarlo, e il giovane Kenshin dovette continuare a nascondersi. Più tardi organizzò un’armata poderosa con l’aiuto del suo tutore, e sconfisse una volta per tutte i suoi inseguitori. Negli anni successivi venne adottato dal clan Uesugi, che lo elessero come condottiero. In seguito ai suoi successi molti comandanti lo volevano come daimyo, ma lui non acconsentì in quanto lo spingevano allo scontro con il fratello Harukage, da tempo diventato capo del clan Nagao. Preferì diventare monaco, prese i voti ma le insistenze dei comandanti si facevano sempre più pressanti. Alla fine, Kenshin fu convinto dal fatto che fosse una cosa necessaria per il bene della provincia di Echigo, e dopo una serie di scontri voluti da lui e da Usami Sadamitsu, riuscì a strappare il controllo del clan da Harukage nel 1547. Il destino di Harukage rimane un mistero, poiché alcune fonti affermano che gli è stato permesso di vivere, ma altre raccontano di un suicidio forzato. Dopo aver trionfato sui suoi ultimi oppositori, Kenshin viaggiò a Kyoto per rendere omaggio all'imperatore, poi si fece ricevere dallo shogun Ashikaga Yoshiteru. Kenshin era diventato daimyo a tutti gli effetti. Nonostante il controllo sul clan Nagao, gran parte della provincia di Echigo rimaneva ancora indipendente. Kenshin iniziò immediatamente a rafforzare il suo potere nella regione, ma il piano venne interrotto quando Ogasawara Nagatoki e Murakami Yoshikiyo, due signori della provincia di Shinano, chiesero il suo aiuto per fermare il signore della guerra Takeda Shingen. Con le conquiste dei Takeda che li portarono notevolmente vicino ai confini dei suoi territori, il “drago di Echigo” scese in campo contro la “tigre del Kai”... Stampa del periodo Edo che raffigura Uesugi Kenshin Le battaglie di Kawanakajima Takeda Shingen e Uesugi Kenshin, la "tigre" contro il "drago". I due grandi condottieri si scontrarono sempre nella piana di Kawanakajima, vicino alla odierna città di Nagano. In tutto furono cinque le battaglie: la prima nel 1553, poi nel 1555, 1557 1561 e infine nel 1567. Nella prima battaglia i due eserciti erano schierati a poca distanza, uno di fronte all’altro, ma nessuno si azzardava a fare la prima mossa. Forse i due condottieri stavano osservando e studiando le rispettive forze in modo da non commettere nessun passo falso? Molto probabile. Per ventisette giorni ci si limitò a questo. Nel ventottesimo giorno Kenshin lanciò un ultimatum a Shingen: il "drago" si proclamò difensore dei clan aggrediti di Shinano e invitò la "tigre" alla ritirata e alla restituzione dei terreni. Shingen andò su tutte le furie e chiese al nemico di combattere. La battaglia durò nove ore ed entrambi gli eserciti si scontrarono con grande abilità. Alla fine, si giunse a una sorta di pareggio, e nonostante il lieve vantaggio Kenshin ordinò la ritirata. Le altre quattro battaglie hanno un esito simile: se uno avesse preso il sopravvento, l’altro si sarebbe ritirato. Era come se i due condottieri preferissero affrontarsi in altre occasioni, per rinfacciargli nuovamente la sua inferiorità. La più famosa delle cinque battaglie è senza dubbio la quarta, la più sanguinosa. In questo scontro Kenshin usò una tattica ingegnosa: mise in piedi una formazione speciale in cui i soldati nella parte anteriore si scambiavano con i loro compagni nella parte posteriore, mentre quelli nella linea frontale si stancavano o venivano feriti. Ciò permise ai soldati stanchi di prendersi una pausa, mentre i soldati che non si erano cimentati nell'azione avrebbero combattuto in prima linea. Fu una tattica efficace e Kenshin riuscì quasi a sconfiggere Shingen. Inoltre, durante la battaglia avvenne uno degli episodi più leggendari della storia del Giappone. Kenshin notò un buco tra le file nemiche e cavalcò velocemente fino ad arrivare a Shingen: il "drago" colpì numerose volte la "tigre" con la sua spada, ma Shingen respinse tutti i colpi con il suo famoso ventaglio da guerra in ferro. Alla fine, un sottoposto di Takeda respinse Kenshin, che si ritirò velocemente insieme al resto del suo esercito. Shingen rimase sconvolto. Durante la ritirata molti guerrieri del clan Uesugi persero la vita in un fiume vicino mentre altri furono uccisi in battaglia dai soldati del clan Takeda. Dall'accampamento dei Takeda si levarono urla di trionfo, ma la prima parte della battaglia fu vinta nettamente dal clan Uesugi. Complessivamente la quarta battaglia si concluse ancora con un pareggio. La lotta tra i due signori della guerra durò ancora a lungo, ma alla fine della quinta battaglia gli ufficiali e i soldati dei due eserciti invocarono una tregua. In dodici anni entrambi i fronti avevano subito gravi perdite, tutto al vantaggio dei daimyo vicini che volevano approfittarsene della situazione… Stampa del periodo Edo che raffigura il famoso scontro tra Takeda Shingen e Uesugi Kenshin Gli ultimi anni di vita di Takeda Shingen e Uesugi Kenshin Sebbene Shingen e Kenshin siano stati rivali per più di quattordici anni, è noto che si sono scambiati doni in molteplici occasioni in segno di rispetto reciproco. Uno dei doni che si ricorda in particolare nella storia dei due comandanti è quello di una spada di immenso valore donata da Shingen a Kenshin. Ma nuovi pericoli incombevano all'orizzonte. Il potente signore feudale Oda Nobunaga, capo del clan Oda, aveva ucciso a tradimento Imagawa Yoshimoto e il suo potere aumentava sempre di più. Inoltre, un illustre condottiero, Tokugawa Ieyasu, si era schierato dalla sua parte. Per proteggersi dai nuovi nemici, la "tigre" e il "drago" si allearono. Successivamente Shingen dovette affrontare Nobunaga, che voleva impadronirsi delle sue terre. Nel 1573, durante l’assedio al castello di Noda da parte degli alleati di Tokugawa Ieyasu, un proiettile colpì alla testa Shingen. Il capo del clan Takeda morirà poco dopo. La sua morte andava tenuta segreta il più a lungo possibile, per evitare ulteriori invasioni nei domini dei Takeda. Il fratello Nobutsuna, fisicamente molto simile a Shingen, prese il comando del clan. Questo episodio diede spunto al celebre film del famosissimo regista Akira Kurasawa: Kagemusha, l’ombra del guerriero. Il segreto funzionò per poco tempo, poi la notizia della morte di Shingen si diffuse tra i signori feudali limitrofi. Si dice che Kenshin pianse a squarciagola per la perdita del suo più famoso rivale. Risolto il problema Takeda, Oda Nobunaga spostò la sua attenzione verso Kenshin. Nell’inverno del 1578, Uesugi Kenshin muore in circostanze poco chiare. La versione ufficiale accenna a un colpo apoplettico, mentre altre versioni descrivono un feroce attentato in bagno da parte di alcuni ninja assoldati dal capo del clan Oda. Ritratto di Oda Nobunaga eseguito dal gesuita missionario italiano Giovanni Niccolò Spero che anche questa discussione sia stata di vostro gradimento! Naturalmente per qualsiasi domanda o dubbio scrivete senza problemi. Devo dire che sono contento che le mie discussioni sulla storia del Giappone sono particolarmente apprezzate. Anche questa lo sarà? Speriamo! Concludo tutto il racconto con questo antico poema che elogia Takeda Shingen: I vostri castelli sono gli uomini, Le vostre mura sono gli uomini, la tolleranza è la vostra alleata, l’odio è il vostro nemico. Alla prossima Xenon97 -
Altri guerrieri giapponesi: i monaci sōhei
Xenon97 ha aggiunto un nuovo link in Storia ed archeologia
In una precedente discussione abbiamo analizzato gli sconosciuti fanti ashigaru. Oggi invece approfondiremo, sempre in maniera semplice ma concreta, un'altra tipologia di guerrieri talmente temuti che costrinsero addirittura alcuni signori feudali a collaborare con loro! Stiamo parlando dei monaci sōhei. Rappresentazione di una battaglia tra samurai e monaci guerrieri L'origine dei monaci sōhei: I sōhei, letteralmente "monaco soldato", furono dei gruppi armati associati ai templi buddhisti durante il periodo medioevale giapponese. I sōhei avevano molte somiglianze con i vari ordini monastici europei medievali, ma a differenza di questi si consideravano appartenenti al medesimo ordine religioso anche tra nemici. Come nacquero questi nuclei di monaci armati? Verso la fine del periodo Nara (710 - 794) i contrasti fra la religione shintoista e quella buddhista restavano ancora attivi, e ad aggravare ancora di più la situazione fu la crisi politica nata a seguito di una riforma fiscale che scontentava tutti. Solo i monasteri si trovavano in una situazione differente, sopratutto perché i loro domini erano esenti dalle tasse. A causa di questo fatto i monasteri furono sovrappopolati sempre di più e l'imperatore Kammu, temendo del potere sempre più crescente dei monasteri, cercò di arginare il fenomeno. Nonostante tutti gli sforzi non vi riuscì poiché i buddhisti erano ormai molto influenti. Per questo motivo nel 794 la capitale venne spostata da Nara a Kyoto, una scelta strategica per far cercare di allontanare il potere imperiale dalle roccaforti del potere monastico tutte legate a Nara. Oltre allo sviluppo del buddhismo, i nobili imperiali dovevano fare i conti anche con gli aborigeni dell'arcipelago, gli emishi, che minacciavano continue sommosse. Inoltre, le rivolte dei clan, sempre più frequenti, e le scorribande di pirati e predoni aggravavano ancora di più la situazione. Lo Stato imperiale stava iniziando a vacillare. Le forze governative vennero indebolite dalle lunghe lotte con gli emishi, e altre insurrezioni vennero affrontate a fatica. Nel frattempo il potere dei monasteri cresceva sempre di più: molti esercitavano un'autorità alternativa al governo imperiale e il buddhismo acquistò un carattere sempre più violento e aggressivo. La lotta per il potere, le dispute con le altre religioni e la difesa dei monasteri contro i predoni costrinsero i monaci a prendere le armi. L'iniziativa partì da uno dei monasteri principali, lo Enryakuji, e da lì alimentò la nuova istituzione dei monaci guerrieri sōhei. I samurai vi si sarebbero scontrati in diverse occasioni, con esiti non sempre favorevoli. Quali furono le basi dottrinali che consentirono ai buddhisti di prendere le armi? Le basi vennero prese dal Mahāyāna Mahāparinirvāṇasūtra (in giapponese Dainehankyō), cioè il "Sutra mahayana del Grande passaggio al di là della sofferenza". Questo sutra nasce dopo la distruzione dei templi buddhisti nel IV - V secolo d.C da parte degli Unni bianchi, e invita laici e buddhisti a prendere le armi per difendere il Dharma buddhista dagli aggressori. Una parte del monastero Enryakuji Gli eventi successivi: Nel 981 iniziò il vero battesimo di fuoco dei monaci guerrieri: la battaglia coinvolse gli sōhei del monastero Enryakuji e quelli del monastero di Miidera. La causa dello scoppio di questi conflitti tra monasteri era normalmente la nomina di un "abate", che per il monastero rivale era considerato privo di qualità. Tali conflitti proseguirono nel corso dei secoli con brevi interruzioni e conseguenti violenze fino al 1121, quando gli scontri militari divennero intensi e sanguinosi. Durante la guerra Genpei (1180 - 1185) le faide tra i templi furono ingigantite da eventi più grandi. I clan Minamoto e Taira combatterono per ottenere il titolo di shogun e cercarono l'aiuto dei monaci guerrieri: Taira no Kiyomori si alleò con quelli di Enryakuji; i Minamoto con i monaci di Miidera. Nella battaglia di Uji (1180) i monaci di Miidera, insieme a un contingente di samurai del clan Minamoto, cercarono di difendere il ponte sul fiume Uji, e il tempio dietro di esso, dalle forze del clan Taira. I monaci combatterono con grande energia, ma alla fine vennero sconfitti. Dopo la vittoria, Taira no Kiyomori ordinò la distruzione del monastero di Miidera. Dopo la guerra Genpei, i monaci guerrieri rivoltarono la loro attenzione alla ricostruzione dei monasteri, e in seguito anche il riottenimento del potere politico. Durante le guerre del periodo di Nanboku-Cho (1336 – 1392) il monastero Enryakuji offrì protezione all'imperatore ribelle Go-Daigo, e con l'aiuto dei monaci guerrieri lanciò una breve ribellione contro lo shogunato Kamakura. Stampa che rappresenta la battaglia di Uji (1180) La fine dei monaci guerrieri: Durante la guerra Ōnin (1467 - 1477) nuovi gruppi di monaci guerrieri si stavano formando nelle campagne: gli Ikko-Ikki. Essenzialmente erano coalizioni composte da monaci religiosi fondamentalisti, agricoltori e famiglie nobili che erano disposti a combattere letteralmente per le loro convinzioni. Nel 1488 il loro capo, Rennyo, incitò una rivolta contro il dominio dei samurai e fissò la provincia di Kaga come territorio principale per l'Ikko-Ikki. Da lì si diffusero verso le altre province di Nagashima, Ishiyama Honganji e Mikawa. Il potere degli Ikko-Ikki crebbe talmente tanto da attirare l'attenzione dei signori della guerra come Oda Nobunaga e Tokugawa Ieyasu. Nel 1564 Tokugawa Ieyasu attaccò la setta nella battaglia di Azukizaka, ma non riuscì a sconfiggerli definitivamente. Nel 1560 il signore feudale Oda Nobunaga prese il potere, ma i monaci guerrieri dell'Enryakuji riacquistarono la loro forza militare. Le sette militari buddhiste intralciavano il suo piano di unificazione del Giappone e dovevano essere sistemate una volta per tutte. Così nel 1571 l'esercito di Nobunaga, forte di 30000 uomini, attaccò l'Enryakuji, sterminò i suoi monaci guerrieri e lo rase al suolo. Successivamente Nobunaga passò a combattere l'Ikko-Ikki: nel 1574 assediò la fortezza Ikko di Nagashima; nel 1576 quella di Ishiyama Honganji. Il movimento Ikko-Ikki si arrese definitivamente nel 1580. Tra il 1580 e il 1590 varie fazioni di monaci guerrieri si schierarono dalla parte di Tokugawa Ieyasu e da quella del rivale Toyotomi Hideyoshi. Con l'inizio dello shogunato Tokugawa, il tempo dei monaci guerrieri si concluse (1603). Mon (emblema) della setta Ikko-Ikki L'equipaggiamento: I monaci guerrieri avevano un equipaggiamento abbastanza vario. Normalmente portavano una serie di vestiti kimono uno sopra l'altro, di solito bianco sotto e tan (una gradazione chiara di marrone) o giallo zafferano sopra. La calzatura tradizionale consisteva in calzini (tabi) e zoccoli di legno (geta), o dei sandali di paglia (waraji). Spesso i monaci creavano una sorta di turbante per coprire la testa, o indossavano una tradizionale fascia giapponese (hachimaki). Infine, alcuni portavano le classiche armature samurai (yoroi) I sōhei impiegavano una vasta varietà di armi: la lunga tachi era probabilmente la spada più comune, ma l'arma più tradizionale e utilizzata dai monaci guerrieri era il naginata , un'arma simile ai falcioni europei. Molti erano abili anche nell'utilizzo dell'arco (daikyuu), del coltello (tantō), della spada corta (wakizashi) e di una mazza da guerra (kanabo). Inoltre, vari monaci combattevano anche a cavallo. I monaci della setta Ikko-Ikki avevano un equipaggiamento ancora più vario: indossavano le più tradizionali vesti da monaco e vari tipi di armature. Svariati monaci indossavano vari tipi di caschi da samurai, mentre molti altri optavano per il cappello di paglia e il mantello da contadino. Il naginata rimaneva l'arma comune più utilizzata, ma utilizzarono anche un numero limitato di archibugi. Infine, un elemento molto comune dei monaci guerrieri Ikko-Ikki era un'asta con in cima uno stendardo (sashimono) che portavano lungo la schiena. Sugli stendardi era riportato uno slogan buddhista. Rappresentazione di un monaco guerriero del monastero Enryakuji Spero che anche questa discussione sia stata di vostro gradimento! Naturalmente per qualsiasi dubbio o informazione scrivete pure. Alla prossima Xenon97-
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E' già avvenuta la presentazione delle nuove banconote che saranno emesse nel 2024, a vent'anni esatti dalla messa in circolazione della serie attuale. Sulla 1000 è raffigurato il batteriologo Shibasaburo Kitasato, e sul retro la famosa xilografia "Sotto l'onda di Kanagawa". https://cdn.cnn.com/cnnnext/dam/assets/190409034031-file-japanese-yen-01.jpg Sulla 5000 c'è Tsuda Umeko, pioniera della scienza dell'educazione nel periodo Meiji. http://cdn.cnn.com/cnnnext/dam/assets/190409034835-file-japanese-yen-03.jpg Sulla 10000 si vede Eiichi Shibusawa, industriale che contribuì alla modernizzazione dell'economia giapponese, e sul retro la principale stazione ferroviaria di Tokyo. http://cdn.cnn.com/cnnnext/dam/assets/190409034838-file-japanese-yen-02.jpg Fra le caratteristiche di sicurezza ci saranno gli ologrammi 3D. La tanto discussa banconota da 2000, poco stampata e poco conosciuta nello stesso Giappone, rimarrà uguale ( https://cdn.internationalpress.jp/file/international-press-cdn/wp-content/uploads/2018/09/2.000.jpg ). In Giappone il contante è molto amato, usato spesso anche per pagamenti di notevole entità: secondo gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2016, solo il 20% delle transazioni era elettronica. Piccolo glossario: 円 YEN (pronuncia: en), "oggetto rotondo". 日本銀行 NIPPON GINKO (pronuncia: nippòn ghincoo), "Banca del Giappone".
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Monete Cina/Giappone con buco quadrato
Alfonso.remo ha aggiunto un nuovo link in Richiesta Identificazione/valutazione/autenticità
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A Guide to Cash Coins
simone ha aggiunto un nuovo link in Bibliografia numismatica, riviste e novita' editoriali
David Hartill, già autore del fondamentale catalogo "Cast chinese coins", ha appena pubblicato un nuovo libro. Si tratta di "A Guide to Cash Coins"; riporto qui la descrizione: Il libro è disponibile solo su Amazon: https://www.amazon.it/Guide-Cash-Coins-David-Hartill/dp/1787192997/ -
moneta d'argento giapponese
deeleven ha aggiunto un nuovo link in Richiesta Identificazione/valutazione/autenticità
un amico mi ha portato questa strana e probabilmente vecchia moneta d'argento con degli ideogrammi giapponesi su un lato, un drago e la scritta " one dollar" sull'altro, invano ho cercato su google per stabilire di che moneta si tratti e quanto possa valere, c'e' qualcuno che puo' illuminarmi? grazie ecco le foto fronte retro -
Pescata per puro caso nella classica ciotola a 25 centesimi al pezzo, perchè mi sembrava in argento...tornato a casa constatavo che effettivamente questa monetina è in argento '600, per 4,8 grammi di peso...ma la cosa che più mi ha colpito è che la trovo estremamente graziosa.. Personalmente non ho mai apprezzato molto le monete dell'estremo oriente, questione di stile probabilmente...tuttavia questa nella sua semplicità è una piacevole eccezione...inoltre si trova anche in bello stato di conservazione... Coniata tra il 1959 ed il 1966 (...a proposito qualcuno sa decrittare la data del mio esemplare?) presenta al rovescio l'indicazione del valore, mentre al diritto un bel fiore di loto, che se non erro rappresenta simbolicamente l'Imperatore... Che ve ne pare? :)
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