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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/27/24 in tutte le aree
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Chiedo perdono se apro un'apposita discussione, ben sapendo che ne esiste un'altra, ma, data l'importanza dell'argomento, non ho potuto fare altrimenti. Il 22 novembre del 1773 Bernardo Perger - avendo ricevuto l'ordine dal Re di "esporre tutto quello che bisogna per il miglioramento della Real Zecca" - scrive al presidente della Regia Camera della Sommaria, nonché delegato della Regia Zecca, informandolo sullo stato attuale dell'officina monetaria. La zecca, stando alla rapporto del Perger, versava in uno stato miserevole in particolare per i macchinari obsoleti e logorati dall'uso che non permettevano un'alta qualità della monetazione. In questo importante e inedito documento (ASNA, Ministero delle finanze, fascio 299) si epongono le ragioni dei graffi sulle monete napoletane, almeno per il periodo precende al 1774 e forse anche successivo, visto che non si hanno finora notizie se i nuovi macchinari vennero adottati in zecca. Le carte rivelano come i graffi siano attribuibili a una fase precisa del processo di coniazione, ovvero quello successivo alla trafilatura. I cilindri della trafile, essendo in ferro e non in acciaio, presentavano la superficie scabra impedendo così un corretto appiattimento delle lamine (piance) per raggiungere lo spessore (doppiezza) desiderato. Non essendo le trafile pefettamente funzionanti, le lamine prodotte non erano di giusto peso e si era costretti all'utilizzo della lima per riportarle al peso prescritto (documento n. 1). Nel documento successivo, datato 25 gennaio 1774, il regio ingegnere Giuseppe Astarita fa le medesime dichiarazioni del maestro dei coni (documento n. 2). documento n. 1 a firma di Bernardo Perger Documento n. 2 a firma di Giuseppe Astarita5 punti
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Ringraziamo tutti per la partecipazione in presenza ed online, un grazie particolare al Relatore che ha esposto molto bene e con tanti dettagli questo argomento un pochino ostico, anche se ignorante della monetazione veneziana l'ho trovato molto interessante. Di seguito alcune immagini della serata...non me ne vogliate sulla qualità ma il nostro fotografo ufficiale, @giancarlone , ieri non è potuto essere presente.5 punti
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Perché lanciarsi in ipotesi come la damnatio memoriae che non hanno riscontro storico per il personaggio? La “ defunzionalizzazione” sarà derivante dalla piegatura o la piegatura sarà il risultato della perdita di funzione monetale per uscita dalla circolazione corrente? Non è determinabile Tutta la a questione è solo una speculazione fine a se stessa e senza senso4 punti
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Un’approfondita ricerca bibliografica e documentaria per comprendere la vera natura dei misteriosi “ingegni” operativi nella zecca partenopea di Carmelo R. Crupi | Pietro Magliocca, nei suoi interessanti lavori sulla monetazione napoletana pubblicati nel 2018 e 2020, afferma che icinque “ingegni” arrivati in quel di Napoli “da Alemania” nel 1619, atti a coniare moneta, invece che essere bilancieri, come tante volte fu scritto da altri autori del passato, in realtà erano macchine a coni rotanti, azionate mediante forza idraulica. In sostanza, secondo Magliocca tali cinque ingegni altro non erano che coni rotanti dello stesso tipo di quelli che, a quel tempo, erano già in azione da circa 50 anni nella zecca di Hall, in Tirolo, e da circa 40 anni nella zecca di Segovia, azionati, appunto, mediante forza idraulica. Non sono tuttavia persuaso di tale conclusione. I miei dubbi nascono dalla lettura comparata della bibliografiarecente e meno recente su questo argomento, da quella reperita in relazione alla descrizione di macchinari a coni rotanti effettivamente in funzione in altre zecche, nonché dall’analisi dell’aspetto esteriore delle monete napoletane che Pietro Magliocca ritiene siano state prodotte coi coni rotanti. Macchinario con coni rotanti ricostruito nella zecca di Hall, in Tirolo Analizziamo la bibliografia recente e meno recente intervenuta sui famosi “cinque ingegni”. Carlo Prota ne L’officina monetaria di Torre dell’Annunziata e la moneta di Napoli del 1622 da documenti del R. Archivio di Napoli, pubblicato nel 1914, afferma: “ […] E, dato l’urgenza con cui doveva uscire questa nuova moneta, fu stabilita che la zecca di Sant’Agostino fabbricasse le monete a mano, quella della Fonderia del R.o Arsenale le monete di rame con la tagliuola, e quelle fatte con l’ingegno venissero battute nell’officina di Torre dell’Annunziata. A tal uopo fu risoluto che Vincenzo Russo, Pietro Milla e Giovan Vincenzo Buonoacquisto si dovessero conferire nella suddetta Torre dell’Annunziata a gettare l’argento nella forma ivi preparata (Ved. Doc. n.3). Ma per poco tempo funzionò l’officina di Torre dell’Annunziata, poiché fu chiusa a metà del 1622 per evitare le frodi che ivi potevansi commettere dagli appaltatori Graffoglietti, Castelli, Fossa e compagni, e quella della Fonderia del R.o Arsenale venne chiusa nell’anno 1623. Esse furono riunite nella zecca principale di Sant’Agostino, dopo l’esposto fatto dagli ufficiali della R.a Zecca, specie del credenziero maggiore Gian Donato Turbolo, che in data 10 febbraio 1623 supplicava le S.rie Ill.me della Camera della Sommaria, affinchè per evitare le continue frodi e la poca correttezza come si facevano le monete in quelle zecche, le officine fossero tutte riunite in quella di Sant’Agostino, perché è diminuita la fabbrica della moneta d’argento e di rame ed essendosi presi locali di più si può fare la fabbrica della moneta con maggiore attenzione e diligenza (Vedi Doc. n.4)”. Una selezione di coni cilindrici usata nella zecca spagnola di Segovia Il documento n. 1 in calce a questo lavoro di Prota, rubricato Consulta della nuova moneta (22 gennaio 1622), ad un certo punto suona testualmente così: “[…] se chiamarono dentro il Tribunale della R.a Camera l’infrascripti officiali Michele Cavo maestro di Zecca, Giov. Donato Turbolo credenziero maggiore, Costantino de Costanzo maestro di pruova et Gio. Ant. Scarano R.o Credentiero della Sayola et se li ordinò che dassero il loro parere circa il remedio poteva stabilirse come pelle monete che si fabricavano a mano in la R. Zecca di Napoli come per le monete che si fabricaranno con nuovo ingegno nella Torre dell’Annunziata, li quali hanno dato il loro parere […]”. “Per quanto spetta al remedio da concedere alle monete per battere con l’ingegno suddetto dela Torre dell’Annunziata non havendone prattica di quelle zecche che hanno osservato cosa simile, ne anco avendo fatto esperienze della loro riuscita appigliandoci solamente col giuditio alla varietà che possono causare simili monete et confirmandoci ancora con l’observanza di molte monete di Fiorenza et Segovia da noi scandagliate, et trovatele con diversità stravagante siamo perciò di parere che al cianfrone che per adesso si intende battere in detta Torre se li possano concedere acini otto di remedio” (questa relazione degli ufficiali di zecca risulta compilata a Napoli, nella zecca, il 15 gennaio 1622). In altra parte del documento si legge: “[…] Fu dopo discussi, et risoluti li capi sop.tti proposto dall’Ill.mo Marchese de San Giuliano che avendo trattato con li officiali della Zecca delle monete si harebbe potuto tenere per accelerare la sudd.a fabbrica delle monete se disse che potrebbe costruirse moneta al doppio più di quello che hoggi si fa nella Zecca se si cognassero tari con li cicinelli tirati alle trafile [“girinelli”, nota in calce di Prota; tondelli per dirla con termine odierno] ma che v’era necessaria spesa di altre grana due et cavalli otto più per ogni libra non per li trafilatori; alli quali sarebbe stato necessario stabilire più salario di quello de li affilatori, che per gli ubrieri, li quali non potevano ubrare li cicinelli de la trafile con la facilità con la quale ubrarebbero le verghe a martello […] se risolse, che il molto utile che si causerà dalla presta costruttione delle monete, et necessità che si tiene di esse, li cicinelli dei tari se trafilassero, ancorchè per trafilarli et ubrarli poi vi corressero le grana due, et cavalli otto più di spesa per ogni libra. […] nelli cicinelli della trafila più proportionorse più il peso a quel che sta ordinato che è quanto ne occorre […]” (documento datato 22 gennaio 1622). Esemplare di moneta da 15 grana del 1619 battuta con coni di Nicola Galoti (Nicolò Globo) Analizziamo adesso il documento n. 3 in calce del lavoro di Prota, rubricato Dip. Sommaria Fascio 15 – Libro del Cred.ro mag.re pag. 221 datato 22 gennaio 1622. A un certo punto si legge: “Si è risoluto perché la fabrica di queste monete de tarì se facci al più presto possibile, che si pongano in ordine otto ingegni di trafile per li quali si assegnano quattro stanze le due dove stà il Rationale et le due altre stanze dove sta la funditura, ei che si faccia la spesa necessaria per gli ingegni predetti restando incaricato del tutto il Maestro di Zecca con far la spesa necessaria e farne il debito conto. Si è risoluto, che alli trafilanti sele diano per salario grana quattroper libbra et cicinelli. Si è risoluto che all’obrieri per obrare questi cicinelli de tari, se le diano grana quattro, cavalli otto per libra. Che il Maestro di zecca prevenga altri obrieri se non al numero di sessanta. Si è dipiù risoluto che si prevengano cognatori al numero de sessanta per potersi cognare argento e rame all’istesso tempo, e resta a carico del maestro di zecca provvederli di stanze, che dicano che esistano, e se ci bisogna accomodo si facci coll’intervento de Picchetto. Si è risoluto, che Vincenzo Russo Fiorentino, Pietro Milla e Gio. Vincenzo Buonacquisto napoletano funditori, si abbiano a conferire nella Torre della Annunziata a gettare le verghe nella forma appontata col salario di un tornese per libra e del mezzo sterlino solito […]”. Si noti che i trafilanti, ovviamente, erano gli addetti al funzionamento delle trafile; per gli obrieri riporto le parole di Vincenzo Ariani (Memorie della vita e degli scritti di Agostino Ariani, Napoli, 1778): “il metallo […] mediante la fusione riducevasi in lastre della qualità, o sia bontà intrinseca stabilita, le quali mercè il taglio di grosse forbici si dividevano in pezzi quadrangolari, e questi poi si ricuocevano fra carboni ardenti, per raddorcigli in modo da poter resistere a’ colpi dè martelli, per mezzo dè quali su di incudini levigate si spianavano da gli artefici, che erano appellati lubrieri. Dopo di che si consegnavano a gli affilatori, altri artefici, i quali con forbici proporzionate ritagliavano detti pezzi nè loro angoli, riducendogli ad una possibil forma più vicina alla rotonda; e mediante le bilance con i loro pesi accomodate al giusto stabilito peso della moneta terminavansi”. Uno degli studi di Carlo Prota sulle monete napoletane di Filippo IV e un grano del 1617 Dai documenti illustrati da Prota risulta evidente che degli ingegni facevano parte certamente le trafile, non già dotate di coni rotanti, ma, per quanto mi appresto a dire, atte a produrre lamine. I tondelli (“cicinelli” nei documenti) sarebbero stati tagliati dalle lastre metalliche dagli obrieri, dopo la laminazione-trafilatura. Per tali nuove operazioni, trafilatura dei tondelli e loro successivo taglio, infatti è previsto un aumento del salario per trafilatori (che nei documenti, si badi, sono distinti dai coniatori) ed obrieri, a causa dei maggiori impegno e difficoltà delle nuove operazioni di zecca. Importante notare che, nella fattispecie, non sono nominati gli affilatori, in quanto non era necessaria la loro prestazione, posto che i tondelli (“cicinelli”) erano tagliati, separati dalle lamine metalliche, dagli obrieri, ovviamente in tempi successivi alla laminazione. Una volta tagliati, i tondelli dovevano essere ricotti (al fine di ridare malleabilità al metallo incrudito dal forzato stiramento subito con la trafilatura), bianchiti e passati ai coniatori. Insisto sul fatto, importantissimo, che i documenti distinguono nettamente i trafilatori dai coniatori, per il qual motivo mi pare di tutta evidenza che la coniazione non avveniva con le trafile a coni rotanti, bensì in un momento successivo alla laminazione delle verghe. Si nota anche che il documento del 22 gennaio 1622 attesta che coi “cicinelli della trafila” si riusciva a proporzionare meglio il peso delle singole monete, fatto indicativo e di non poca importanza: è infatti noto che una delle criticità della tecnica di coniazione con coni rotanti consisteva proprio nella difficoltà di ottenere nummi di peso uniforme. Altro fatto notevole è che tutte le operazioni di zecca sopra descritte erano eseguite nella zecca di Napoli, mentre a Torre Annunziata era prevista esclusivamente la fusione e il getto delle verghe metalliche. Ciò in quanto, come attestato dai documenti di cui sopra, la sala della fusione, nella zecca di Napoli, era stata adibita ad ospitare parte degli otto ingegni di trafile, rendendo ivi impossibile la produzione delle verghe metalliche. Probabilmente fu questo il motivo per il quale si aprì un’officina ausiliaria in quel di Torre Annunziata: non per coniare moneta, almeno inizialmente, bensì per l’esecuzione di quella parte delle lavorazioni di zecca che non era più possibile eseguire a Napoli. Importante anche l’elevato numero di obrieri e coniatori previsto per la coniazione innovativa in argomento: se sessanta obrieri erano giustificati dalla notevole quantità di tondelli (“cicinelli”) da tagliare dalle lamine metalliche uscite dalle trafile, altrettanti coniatori non sarebbero giustificati nell’ipotesi che le monete venissero realizzate direttamente al momento della trafilatura, mediante i coni rotanti. Ciò rende più evidente che la coniazione delle monete avveniva in tempi successivi al distacco dei tondelli (“cicinelli”) dalle lamine. A tutto ciò qualcuno potrebbe contrapporre, in favore della teoria dei coni rotanti, il documento riportato nella nota 10 del saggio di Carlo Prota La moneta di Napoli di Filippo IV dal 1621 al 1623, apparso nel BCNN nel 1920, ovvero la fede di Ascanio Carafa in favore di Giovan Donato Turbolo in data 22 dicembre 1622, direttamente tratta dal Libro del Credenziero Maggiore allora conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli. L’Archivio di Stato di Napoli, autentica miniera di notizie numismatiche Questo documento recita testualmente: “Contraddisse sempre (riferito al Turbolo) alle nuove jnventioni proposte di battere le monete con li nuovi modelli nella Torre dell’Annunziata, et dopo, che furono svanite, restrinse a battere li tari per trafila del quale modo mai per prima posto in uso, si è arrivato a battere sino alla summa di ventimila ducati al dì che fu servitio di grandissima importanza”. Si potrebbe, dunque, affermare che “battere li tari per trafila”significhi che la coniazione avveniva mediante i coni rotanti, il cui funzionamento è del tutto simile a quello della trafila. Ma, a ben vedere, la stessa frase è per nulla in contrasto con quanto sopra espresso, potendo ben essere stata concepita in questo modo quale succinta descrizione di una operazione complessa, nel contesto di una annotazione che aveva ben altri scopi rispetto a quello di descrivere dettagliatamente l’innovativo processo di produzione monetale a quel tempo messo in esercizio nella zecca di Napoli. Ad ulteriore supporto della tesi della coniazione in tempi successivi alla trafilatura/laminazione delle verghe metalliche, si consideri che: mai nei documenti coevi si fa riferimento alla forza idraulica necessaria per azionare i coni rotanti. Sul punto si tenga conto del fatto che nelle maggiori zecche europee in cui fu in uso tale metodo di coniazione, delle quali Hall e Segovia rappresentano i casi più famosi ed eclatanti, i coni rotanti vennero sempre azionati da un importante ed ingombrante sistema di canali idraulici che faceva sì che un grosso flusso idrico colpisse le pale di grandi ruote idrauliche lignee, collegate meccanicamente ad ingranaggi solidarizzati coi coni rotanti; mai nei documenti coevi si fa riferimento alle dimensioni degli ingranaggi necessari per mettere in funzione i coni rotanti. Tali ingranaggi avevano dimensioni considerevoli, certamente sorprendenti per quei tempi e, soprattutto, per chi era abituato a considerare gli spazi necessari per la tradizionale coniazione a martello: a parte quelli installati ad Hall e Segovia, davvero di grandi dimensioni, tenuto conto anche del notevole spazio necessario per l’adduzione idrica verso le ruote a pale, esiste un’interessante descrizione degli ingranaggi connessi ai coni rotanti installati presso la zecca pontificia di Roma, redatta nel 1767 da Giovanni Pietro Chattard nel suo Nuova descrizione del Vaticano, tomo 3. L’autore, fortunatamente, rende note anche le dimensioni di quegli ingranaggi e della sala della zecca in cui erano installati: la sala che ospitava i coni rotanti misurava in pianta circa 14 per 9 metri (superficie di 126 mq) e l’ordegno “mosso da impetuoso e grosso canale d’acqua” aveva altezza di 3 metri, larghezza di 4 metri circa e profondità di circa 1,80 metri (il tutto per quasi 22 metri cubi); sulla scorta dei documenti coevi sopra menzionati è accertato che il nuovo metodo di coniazione, nel 1620, venne messo in funzione a Napoli in assenza di qualsivoglia opera idraulica al margine dell’edificio della zecca. E’ noto che la zecca a Napoli venne trasferita nel 1333, per volere di Roberto d’Angiò, nel palazzo di Nicola di Somma e che ivi rimase fino all’Unità d’Italia. Dall’analisi della tavola della città di Napoli, stampata nel 1566 ad opera di Antoine Lafrery, incisa su rame da Duperac, non risultano corsi d’acqua, naturali o artificiali, esistenti al margine o nelle vicinanze dell’edificio della zecca. Uno dei cosiddetti “grani bislunghi” di Filippo IV per Napoli coniato nel 1622 La zecca partenopea appare, infatti, inserita nel complesso tessuto urbano della città cinquecentesca, tessuto del tutto incompatibile, anche dal solo punto di vista degli spazi necessari, con canali idraulici di qualsiasi tipo. Stessa cosa dicasi per la pianta della città di Napoli realizzata da Baratta nel 1670. Un intervento edilizio di una certa importanza in zecca è attestato a partire dal 1675: sul prospetto opposto alla strada l’edificio è interessato da lavori di ampliamento, probabilmente in vista delle esigenze della nuova monetazione che, qualche anno più tardi, sarà coniata al bilanciere sotto il governo vicereale del marchese del Carpio. Ma a ben vedere, sono noti altri documenti che confermano questa tesi. Mi riferisco a due relazioni ufficiali, redatte nel 1821, da cui si traggono informazioni sulla consistenza e composizione di macchinari utilizzati a Napoli per la produzione di monete nel 1622. Rese note dall’avvocato Benvenuto Cosentini nel Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano nel lontano 1916, dalla loro analisi l’autore fu indotto ad ipotizzare che nel 1622 a Napoli si coniassero monete di rame con l’ausilio di “macchine ben distinte dai bilancieri o ingegni del Galoti”. Tale dichiarazione di Cosentini può e deve essere intesa, oggi, alla luce delle considerazioni di cui sopra: oggi è chiaro che gli ingegni del Galoti nulla ebbero a che spartire col bilanciere. Giova rammentare che a Napoli l’utilizzo dei bilancieri venne introdotto per la prima volta nel 1680, inizialmente per la monetazione di rame. Ma analizziamo i documenti del 1821. Come detto, trattasi di due relazioni ufficiali. La prima venne compilata dall’Intendente della Provincia di Terra d’Otranto in tempi successivi al 22 settembre 1821, e riporta la notizia, non troppo dettagliata, dell’avvenuto ritrovamento in una buca, durante i lavori di demolizione del campanile della chiesa di Carmiano (comune oggi in provincia di Lecce) di tre torchi di ferro, sette pezzetti di rame perforati e cinque “impronti”, dei quali tre avevano l’effigie di Filippo IV di Spagna e due una croce con altre quattro croci più piccole, che recavano l’anno 1622. La seconda relazione è più dettagliata e utile, e fu redatta a Napoli l’8 novembre 1821 da Giovanni Pappalettere, segretario generale della Regia Zecca. Coerentemente con le specifiche competenze dell’estensore, essa descrive, in modo più pertinente, gli oggetti rinvenuti durante la demolizione del campanile della chiesa di Carmiano, correggendo il dato numerico dei coni fornito nella precedente relazione: tre presse di ferro; cinque coni, dei quali due con l’effigie di Filippo IV e tre con la croce e la leggenda NEAPOLIS REX 1622. Si specifica che i coni sono in acciaio e incisi in modo molto goffo. A questo punto il Pappalettere, persona competente sui fatti monetari, esprime il proprio parere: i coni dovevano essere montati agli estremi delle presse, entro i corrispondenti fori, e la coniazione doveva avvenire mediante colpo di percussione dato verticalmente. E’ del parere, altresì, che le presse dovessero essere vincolate a macchinari lignei o lapidei, visto che l’estremità di una di esse recava evidenti segni di vecchio impiombamento. Pappalettere continua col chiarire anche la funzione dei pezzetti di rame rinvenuti assieme agli altri oggetti: servivano per serrare e incastrare i coni entro i fori predisposti nelle presse. La relazione si conclude evidenziando il valore di testimonianza storica di quegli oggetti, in relazione a come si coniava la moneta nell’anno 1622. Faccio notare che nessuna delle due relazioni, ed in specie la seconda, vergata da un alto funzionario della zecca di Napoli, paventa l’ipotesi che i menzionati oggetti fossero stati realizzati da falsari, certificando nel contempo, per logica conseguenza, che essi fossero autentici dispositivi atti a coniare la moneta, utilizzati nella zecca di Napoli nel 1622. Tale considerazione, ad onor del vero, è stata espressa senza remore anche dall’vvocato Cosentini nel 1916. Resta il dubbio su quando, perché e da chi i menzionati attrezzi autentici della zecca di Napoli siano stati trasportati e nascosti in quel di Carmiano. Orbene, Magliocca afferma che gli oggetti descritti in queste due relazioni ufficiali corrisponderebbero ai coni rotanti che furono in funzione negli anni in questione nell’officina di Torre Annunziatae nella zecca di Napoli. A mio avviso, invece, la descrizione fatta dal funzionario della zecca Pappalettere è tale da escludere in modo categorico che detti materiali possano essere riconducibili a coni rotanti. Infatti, in entrambe le relazioni non sono menzionate parti di forma cilindrica, quando, invece, il Pappalettere parla chiaramente di coni da incastrare nei fori di presse metalliche, nelle parti estreme di esse, che, a loro volta, dovevano essere vincolate a macchinari di legno o di pietra, mediante impiombamento, asserendo, altresì, che la coniazione con siffatte presse dovesse avvenire mediante compressione secondo la direzione verticale, non facendo riferimento alcuno al movimento rotatorio proprio dei coni rotanti. Il tarì col sole raggiante coniato nel 1620 con gli “ingegni venuti da Alemanna” Un paio d’anni prima del Cosentini, Carlo Prota pubblicò nel primo numero del Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano la ricerca, utile ancora oggi, sui Maestri ed incisori della Zecca Napolitana, in cui scrisse che nel 1619, al fine di dare attuazione ai proponimenti riformatori del maestro di zecca Giovanni Francesco Citarella, furono installati nella zecca di Napoli “cinque ingegni venuti da Alemanna” per produrre il tarì d’argento col sole raggiante nel rovescio, i cui coni, egli dice, furono incisi da Nicola Galoti, tedesco, e la moneta coniata ed emessa in pochissime liberate di prova. Al margine Prota riproduce nella nota 6 di pag. 18 un documento della Dipendenza Sommaria Zecca dell’Archivio di Stato di Napoli, redatto il 14 febbraio 1619, con cui si dispone un ulteriore pagamento di ducati quindici in favore di Nicolò Galoti, definito “alemanno intagliatore deli cugni”, riportando “in conto delle sue fatiche per causa deli cogni fatti per servitio de quella zecca et del novo modello de far le nove monete ad usanza d’Alemagna”. E’ il caso di notare che, dal tenore del documento, risulta che alla data del 14 febbraio 1619 ancora le monete non erano state coniate secondo “usanza d’Alemagna”. E’ riprodotto anche un ulteriore documento d’archivio, in cui si fa riferimento ad una relazione del maestro di zecca Michele Cavo al presidente della Regia Camera della Sommaria, datata 29 aprile 1619, da cui risulta che l’incisore tedesco Nicola Galoti ha lavorato ai coni della moneta da 15 grana per nove mesi e mezzo consecutivi, dal 14 luglio 1618 fino a tutto l’aprile 1619, dando ampia dimostrazione della propria bravura di incisore. Un rarissimo carlino del tipo “coi giri attorno” ideato da Fabrizio Biblia Più oltre, sempre nel suo lavoro del 1914, Prota riporta nella nota 5 di pag. 20 un documento inviato dal soprastante di fabbrica della Regia Zecca di Napoli all’attenzione del marchese di Santa Giuliana, vergato nel 1629 a Napoli, con cui si rammenta che negli anni precedenti, dietro ordine di quest’ultimo, vennero coniate le nuove monete “con giri attorno” mediante “l’ingegni di Nicola Galoti Tedesco”, ricevendo disposizione che si tenessero annotate tutte le spese sostenute per la rimessa in funzione di detti macchinari; si parla, quindi, di cantara quattro di ferro, provenienti dalla Regia Dogana, e di tre cantara di piombo del Castel dell’Ovo, consegnati in zecca, specificando che tutte le operazioni di ripristino di dette macchine coniatrici, in numero di cinque, con cui effettivamente furono battute le monete della riforma ideata dal catanzarese Fabrizio Biblia, e le relative spese erano avvenute sotto il diretto controllo del cavalier Giulio Cesare Fontana, definito “ingegnere maggiore” del Regno. Era accaduto, narra Prota, che dopo le prime coniazioni con detti ingegni, questi non vennero più utilizzati, tanto che lo stesso incisore Nicola Galoti ne pignorò tutte le parti metalliche. Dunque la Regia Camera della Sommaria non solo dovette accollarsi tutte le spese per eliminare i pignoramenti fatti dall’incisore tedesco, ma ebbe a sostenere anche tutte le spese per rimettere in funzione quei macchinari, che Prota definisce – errando – bilancieri. Dalle considerazioni precedenti ho maturato la convinzione che i cinque ingegni giunti a Napoli nel 1619 da Alemagna fossero macchinari non solo diversi dal torchio a vite o bilanciere (che entrerà in funzione a Napoli solo nel 1680), ma certamente diversi dai coni rotanti del tipo delle zecche di Hall e di Segovia. Questa mia opinione, a ben vedere, trova ulteriore conferma in due importanti documenti coevi. Il primo è il Documento V in appendice al pregevole lavoro di Giovanni Bovi sulle monete napoletane di Filippo III (BCNN, gennaio-dicembre 1967): nel contesto di una relazione del maestro di zecca Giovanni Francesco Citarella, compilata nella zecca di Napoli il 28 gennaio 1619, si parla del lavoro di incisore dei coni eseguito da Nicolò Globo, alemanno, con riferimento alle monete argentee da 15 grana col millesimo 1618, dal mese di luglio 1618 fino ad allora, per sette mesi consecutivi, nonostante che il “mastro dei cogni” fosse, a quel tempo, Giovanni Antonio Consolo, e ciò per espresso ordine del presidente della Regia Camera della Sommaria. Scudo napoletano in argento a nome di Filippo III del 1617 Nel documento si riferisce, ad un certo punto, di un pagamento di 55 ducati già effettuato in favore dell’incisore Globo, riportando testualmente, “per conto d’un modello da Lui proposto di far le monete ad usanza di Alemagna megliori e più belle di quelle di Fiorenza e di Segovia fatte con forza d’acqua”. E’ evidente, dunque, che la tecnica di coniazione proposta dal Globo (o Galoti, per dirla come Carlo Prota), a quel tempo tipica delle zecche di area germanica, era per Napoli innovativa ma anche e soprattutto differente da quella, basata su coni rotanti mossi da energia idraulica, adottata nelle zecche di Firenze e Segovia. Il secondo documento è quello riportato da Carlo Prota in calce alla nota 19 del suo lavoro La moneta di Napoli di Filippo IV nel 1621 e 1623(BCNN 1920), che testualmente recita, con riferimento al riattamento degli ingegni del Galoti/Globo del 1624 ai fini della produzione dei carlini e tarì ideati da Fabrizio Biblia: “In primo cinque ingegni armati di tutto punto con i suoi ferri, metalli e piombo, con suoi pile, et torrelli e zeppe, vite e catene, che non ci manca cosa alcuna”. Il mezzo scudo napoletano in argento a nome di Filippo III del 1617 Questa succinta descrizione degli ingegni non solo è coerente con le due relazioni ufficiali del 1821 viste sopra, ma è incongruente con un supposto macchinario dotato di coni rotanti, oltretutto azionati mediante energia idraulica. Non solo non vi è riferimento alcuno a cilindri rotanti, ma si parla chiaramente di pile e “torrelli” (torselli), con evidente rimando ai coni di incudine e martello, rispettivamente. Ma allora, come avveniva la coniazione col metodo proposto dall’incisore tedesco Galoti/Globo? Per farcene un’idea, a questo punto è indispensabile interrogare i documenti ufficiali più significativi in materia, le monete. Prima, però, mi sia consentita una brevissima digressione sulle monete napoletane prodotte a Napoli a nome di Filippo III in base alla riforma monetaria attuata dal maestro di zecca Giovanni Francesco Citarella. Da quanto si legge nei lavori di Magliocca, egli ritiene che le monete napoletane in argomento, che al dritto riportano il profilo del re di Spagna con voluminosa gorgiera, siano state coniate tutte con gli ingegni di Nicola Galoti/Globo. Ovviamente ciò non è e, per rendersene conto, basterebbe osservare le monete in argomento: sul presupposto che gli ingegni tedeschi dovessero venire azionati a mano, mediante leve, peraltro coerentemente con le relazioni del 1821 sopra analizzate, non sarebbe stato possibile coniare i grandi moduli dello scudo e mezzo scudo del 1617 in modo diverso che a martello. Con gli ingegni tedeschi, azionati a mano, si poterono coniare soltanto le monete di modulo sensibilmente più piccolo di quello degli scudi e dei mezzi scudi del 1617. Ciò, peraltro, è coerente con quanto attestato dal documento datato 14 febbraio 1619 prima analizzato, secondo cui, rammento, a quella data ancora non erano state coniate monete secondo “usanza d’Alemagna”. Un raro esemplare di terzo di scudo d’argento del 1617 per Napoli Stesso discorso per la moneta da un terzo di scudo coi millesimi 1617 e 1618: osservando la foto di una di queste monete pubblicata a pag. 162 di Magliocca 2020, è possibile notare al dritto un macroscopico salto di conio nell’effigie reale, fatto che poteva accadere solo con la tecnica di coniazione a martello. Per poter risalire al metodo effettivo di coniazione delle monete oggetto del presente saggio, si noti quanto segue: il tarì di Filippo III col sole raggiante, millesimo 1620, la cui foto è pubblicata in entrambi i lavori di Magliocca riportati in bibliografia, denuncia una nitidezza e precisione di rilievi impensabile per la coniazione a martello; trattasi di moneta certamente coniata con un macchinario, in serie. Ad ogni buon conto, si può affermare che non può essere stata coniata coi coni rotanti in quanto, se così fosse, la macroscopica deformazione perimetrale del metallo che la caratterizza non dovrebbe esserci. Infatti con la tecnica dei coni rotanti la moneta era staccata, tranciata, dalla lamina metallica in tempi successivi alla coniazione, ergo la forma della moneta coniata con i coni rotanti deve, per forza di cose, avere una forma rotonda e priva di deformazioni in pianta. Si badi, ho parlato di forma della moneta e non già di forma dei rilievi impressi sulla moneta che, come noto, con i coni rotanti assumevano molto spesso una forma ellittica. le precedenti considerazioni sono viepiù valide con riferimento ai c.d. “grani bislunghi” del 1622: come si concilia la loro forma macroscopicamente allungata, ellittica, col fatto che, se fossero stati battuti ai coni rotanti, sarebbero stati tagliati dalla lamina dopo la coniazione? Concludendo, tenuto conto di tutti i ragionamenti in precedenza illustrati e di quanto desumibile dall’analisi del documento moneta, si può ragionevolmente affermare che gli ingegni del Galoti/Globo consistevano non in un solo particolare macchinario, bensì in un insieme di macchinari funzionali alla coniazione, azionati a mano mediante apposite leve: trafilatrice a cilindri rotanti, tranciatrice dei tondelli (taglietto; qualche volta definita “tagliuola” nei documenti napoletani coevi), pressa a coni basculanti o oscillanti. I sistemi di coni rotanti e di coni oscillanti descritti da Angelo Finetti Infatti la pressa a coni oscillanti, che secondo letteratura era diffusa nei territori di lingua tedesca tra la fine del XVI e per tutto il XVII secolo, è perfettamente compatibile con la descrizione fatta dal Pappalettere nel 1821 in relazione al macchinario ed agli oggetti ritrovati in quel di Carmiano: in queste macchine i coni di incudine e di martello erano smontabili ed estraibili dai propri supporti, proprio come è per le presse a coni oscillanti; in esse l’asse principale di funzionamento è quello verticale; in letteratura è, altresì, noto che nel caso di monete di piccolo modulo, come per le monete napoletane in argomento, le presse a coni oscillanti erano azionate a mano. In questo contesto è il caso di rievocare le parole di Philip Grierson in merito alle presse a coni rotanti ed a coni basculanti: “[…] Altri sistemi per coniare le monete furono quelli del torchio a rulli e del torchio oscillante. I coni del torchio a rulli venivano incisi sulla superficie dei rulli e i nastri di metallo venivano fatti passare ta questi affinché, all’uscita, recassero l’impronta di più monete, le quali venivano poi tagliate mediante fustellatrice. Poiché la pressione dei rulli provocava un’espansione longitudinale delle lamine, affinché le monete assumessero forma circolare si dovevano incidere i coni con una figura ovale piuttosto larga. I risultati non erano molto soddisfacenti perchè riusciva difficile allineare esattamente i coni e, dal momento che le monete venivano tagliate dal nastro solo dopo essere state coniate, non era possibile garantirne l’uniformità di peso. Philip Grierson descrive in modo esemplare le tecniche di coniazione meccanizzata Questo metodo (Welzenpragung) presentava l’ulteriore svantaggio di costringere a raschiare tutti i coni incisi su uno stesso rullo se uno solo di essi subiva un danno. Inventate nel XVI secolo, furono impiegate largamente in Germania nei secoli XVII e XVIII tanto nella versione originale quanto in quella perfezionata, nella quale i coni potevano essere rimossi (Taschenwerkebetrieb). Il torchio oscillante fu una variante del torchio a rulli molto utilizzata nel XVII secolo. I coni erano incisi su superfici curve di ‘culle’ che erano imperniate assieme ed azionate da una barra oscillante collegata alla ‘culla’ superiore. Quando si piazzava un tondello fra le facce delle culle si abbassava la barra perché passasse tra le due superfici. Spesso le impressioni erano insoddisfacenti e le monete di foggia irregolare [si pensi ai grani bislunghi, NdA] perché la pressione non si distribuiva uniformemente sulla superficie della moneta; tuttavia le culle avevano il vantaggio, rispetto ai rulli, di consentire il controllo del peso dei tondelli prima che venissero coniati. Né il torchio a rulli né quello oscillante potevano produrre monete coniate sul taglio”. da: https://www.cronacanumismatica.com/gli-speciali-di-cn-sui-cinque-ingegni-per-coniar-moneta-giunti-a-napoli-dalla-germania-nel-1619/3 punti
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Buonasera lamonetiani e buonasera agli amici appassionati di Vicereali. Non scrivo da un pezzo e vi sottopongo le foto di questo Tornese. Vorrei leggere i vostri pareri. Buona serata.3 punti
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Alla fine non è stato poi così difficile parlare di filatelia in questo forum se si è arrivati ad avere una sezione dedicata. In fondo sono due discipline con una simile "forma mentis" e che ogni tanto "si incontrano" nel loro essere. Me lo ricordo bene quando arrivasti: seppur il mio sia un piccolo contributo, non ho esitato un attimo a venire a farti compagnia, tra i motivi che mi hanno spinto fino a qui, uno di questi era che non mi andava proprio giù di vederti solo soletto a parlare di dentelli. Grazie della tua presenza e di quel "tempo di qualità" che ci doni quotidianamente.3 punti
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Complimenti ad Andrea anche da parte mia, una conferenza davvero interessante su una tematica tanto delicata. Scadere nelle "chiacchiere da bar" è facilissimo quando si fanno solo supposizioni, ma Andrea è riuscito a dare spunti di riflessione ben ricercati anche fuori dal campo d'indagine strettamente numismatico. Un plauso quindi al competente relatore ed ovviamente al CCNM per l'organizzazione di questa ennesima interessante serata. Antonio3 punti
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Grazie Tiziano! Grazie per l'invito e per avermi dato questa opportunità. Spero di avervi comunque condotto in un inedito percorso veneziano al di là del focus specifico sulla controversa monetazione. È bello stare tra amici e parlare di numismatica!3 punti
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Buongiorno a tutti, di recente entrata in collezione grazie ad un Amico che sapeva mi mancasse. Piastra 120 Grana 1850 Ferdinando II. Magliocca 558 Con questa moneta pensavo di aver chiuso la 50na ma poi ho realizzato che mi manca la 51 Busto Giovanile. Ad ogni modo questa piastra del 1850 soddisfa pienamente le mie esigenze. A voi il resto. Saluti Alberto3 punti
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Buonasera a tutti, Mi trovo fuori per lavoro, quindi non posso aggiungere per ora altri dettagli. Ho letto con attenzione i vostri interventi, con i vostri diversi punti di vista. Cosa posso aggiungere per il momento? Che secondo me si tratta di un asse in bronzo originale dell'epoca. Che come dice @Poemenius, sicuramente è stato volutamente stretto come quasi a formare un piccolo imbuto, come ipotizza anche @Litra68magari per unguenti o comunque per un successivo e non meglio identificato utilizzo. Non credo sia si sia piegato in questo modo durante la sua millenaria giacitura nel terreno, mentre non saprei proprio se ci possa essere una qualche correlazione con la sfera funeraria. Escluderei anche l'ipotesi damnatio memoriae, visto che non mi risulta che l'imperatore Claudio ne sia stato colpito. Ma queste sono solo le considerazioni di un principiante come me! Qui ci vorrebbe il parere di un archeologo, che forse potrebbe risolvere l'enigma...2 punti
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Luciano il "giovane" era a lavorare a Ispra 😀 Grazie a tutti per i commenti positivi sulla conferenza. Altri momenti della piacevole serata.2 punti
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Sahara Español Il Sahara spagnolo è stata una provincia e colonia spagnola dal 1884 fino agli accordi di Madrid del 14 novembre 1975, che corrisponde all'attuale territorio conteso del Sahara Occidentale. (Altri possedimenti spagnoli in Africa furono Cabo Juby, La Aquera, Rio de Oro e IFNI)Dal 1884 al 1958 il suo nome ufficiale, derivante dal deserto del Sahara, era Possedimenti spagnoli del Sahara Occidentale. Tra il 1958 e il 1976 fu ufficialmente chiamata provincia del Sahara. La Spagna abbandonò il possesso della colonia dal 1975. Un tentativo di stabilire un paese indipendente del Sahara Occidentale fu represso quando il territorio fu rivendicato sia dal Marocco che dalla Mauritania. Il Marocco occupò il paese più tardi nel 1975 e la Mauritania alla fine abbandonò le sue rivendicazioni. Ciò fu seguito da una disputa ancora irrisolta tra il Marocco e il popolo indigeno Sahrawi. Geograficamente il suo territorio faceva riferimento alla parte nordoccidentale del continente africano, e nella zona considerata subtropicale. Il Tropico del Cancro taglia il territorio nella punta di La Sarga, sulla penisola del Río de Oro. Confina a nord con il Marocco, a nord-est con l'Algeria, a est e a sud con la Mauritania e ad ovest con l'oceano. .Atlantico, tra i paralleli 20°45′ e 27°40′ di latitudine nord. Aveva una superficie di 280.000 km² e la sua costa era lunga 1.200 chilometri. I francobolli vennero emessi dal 1924 al 1976. Libro sulla storia filatelica del Sahara spagnolo: https://www.researchgate.net/publication/361727545_Historia_filatelica_del_Sahara_Occidental_Espanol2 punti
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Ciao a tutti, riesumo a distanza di 13 anni questa discussione per postare questo esemplare appena aggiunto in collezione che conferma l'esistenza di questa variante citata dal Corpus e che Roberto potra' aggiungere al suo censimento delle varianti 😉 Appena possibile aggiungerò peso e diametro Intanto allego le foto Ditemi che ne pensate @Miclu @lollone @miroita @Seawolf @rcamil2 punti
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Dominion of Newfoundland (Terranova) - Canada Terranova è una grande isola canadese al largo della costa orientale del Nord America e la parte più popolosa della provincia canadese di Terranova e Labrador. I primi francobolli del Dominion di Terranova furono emessi nel 1857.[1] Quando Terranova entrò nella confederazione con il Canada nel 1949, la nuova provincia smise di emettere i propri francobolli e adottò francobolli già in uso per il resto del Canada, sebbene le emissioni di Terranova esistenti rimangano valide per l'affrancatura.[citazione necessaria] Terranova fu il centro dei tentativi di effettuare i primi voli transatlantici e molti generarono sia francobolli che buste. https://it.wikipedia.org/wiki/Dominion_di_Terranova2 punti
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Ciao! Ieri ero presente e la relazione che ha tenuto Andrea @Andrea Costa è stata, a mio giudizio, e non solo, chiara ed esaustiva tenuto conto che di questa moneta prova (?) non è giunta a noi alcuna informazione scritta dell'epoca e non credo sia mai stata trovata, nemmeno da studiosi come Papadopoli e più recentemente lo Stahl che ne ha scritto nel suo libro relativo alla zecca di Venezia in epoca medioevale. Sudiosi che hanno spulciato gli archivi veneziani non sono stati in grado di spiegare la genesi di questa moneta prova (?), però di 2 esemplari sicuramente coniati ne hanno scritto Paolucci prima e Stahl poi perché li hanno visti, uno nel museo di Parigi e l'altro nella collezione Porteous di Londra. Spiace che non sia stato presente @giancarlone e spero che l'impedimento non sia dovuto a problemi di salute. Grazie al CCNM che ha permesso questo incontro. saluti luciano2 punti
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Ciao Domenico, ringrazio dei saluti e del tuo commento che non è certo da scartare a priori, anzi! Lo Sthal non esprime ipotesi riguardo a ATO', lo cita come dato di fatto, quasi fosse un dato di fatto insieme alle altre particolarità di questo grosso. Non conosco nulla della Abissinia medioevale e se il termine ATO' fosse in uso anche allora, ma mi domando, a logica, se sia possibile avere una imitazione africana addirittura più bella e con una icografia più "plastica e dinamica" dell'originale fino ad allora stereotipato. Come la mettiamo poi con l'effige del Doge fisiognomico? Che ne sapevano gli abissini del viso del Doge? saluti luciano2 punti
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Mi sono sempre chiesto il perché della mania delle perizie. Poiché nessuno è infallibile penso che anche una perizia lo sia. credo che un collezionista che acquista monete in quelle conservazioni si sia fatto una notevole esperienza sulle contraffazioni. inoltre monete di quel livello provengono normalmente da case d'asta che a loro volta garantiscono. E allora perché un collezionista dovrebbe tenere le cose che ama imbustate come un prodotto da banco frigo? Nessun collezionista di antiche o medievali o rinascimentali lo farebbe, credo.2 punti
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Buongiorno, proseguo con il postare le emissioni della Regina Vittoria , oggi presento lqa serie del 1855-57 composta da 5 francobolli che reppresentano l'Effigie della Regina in quadri vari, senza lettere negli angoli, i i primi tre valori da 4 pence, hanno la filigrana a Giarrettiera, in tre versioni "piccola - media - grande " mentre i restanti due valori da 6 pence e 1 scellini, hanno filigrana "fiori araldici" questa è la prima serie composta da più di tre francobolli PS: del n.19 posto tre esemplari, il primo con centratura normale, glia altri due con dimensioni maggiorate con parte sx e dx bianca Ho tralasciato la differenza che vi è tra i numeri 16-17-18: il 16 è rosa su azzurro il 17 rosa su bianca il 18 rosa2 punti
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Per quanto riguarda l' erinnofilo del gruppo rionale fascista Amatore o Antonio Sciesa, patriota condotto al patibolo dagli austriaci nel 1851 durante il periodo Lombardo Veneto. Medaglia senza data Tessere del gruppo.. L' immagine del castello Sforzesco è molto bella, e' quotato il Francobollo e sicuramente ancora di piu' gli erinnofili oggigiorno rari. Insieme interessante non comune.2 punti
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Questo interessante articolo è uscito quasi contemporaneamente a quest'altro, che presenta fonti inedite e documenta l'attività della zecca di Napoli con le stesse tecniche produttive dal tempo di Federico II a quello di Luis Ram, quando vi fu la svolta della trafila. Buona lettura L’introduzione della trafila nella zecca di Napoli (1542-1543): un «ingegno» poco noto, in «Napoli Nobilissima», VOLUME LXXX DELL’INTERA COLLEZIONE RIVISTA DI ARTI, FILOLOGIA E STORIA SETTIMA SERIE - VOLUME IX FASCICOLO I - GENNAIO - APRILE 2023, pp. 19-29 https://www.academia.edu/102056851/L_introduzione_della_trafila_nella_zecca_di_Napoli_1542_1543_un_ingegno_poco_noto_in_Napoli_Nobilissima_VOLUME_LXXX_DELL_INTERA_COLLEZIONE_RIVISTA_DI_ARTI_FILOLOGIA_E_STORIA_SETTIMA_SERIE_VOLUME_IX_FASCICOLO_I_GENNAIO_APRILE_2023_pp_19_292 punti
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Ho seguito anch'io con piacere la conferenza online; complimenti al relatore @Andrea Costa e agli organizzatori veramente molto interessante!2 punti
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Anche io ho seguito la conferenza online ed ovviamente ringrazio @Andrea Costa per l'esposizione ricca di particolari e foto. Grazie anche a Tiziano @Parpajola sempre pronto a risolvere qualunque problema tecnico. Bravissimi. Al prossimo martedì. Sergio.2 punti
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Buongiorno e grazie @favaldar per la segnalazione. Si tratta di un segno molto interessante che ho riscontrato solamente nei ducati di Soranzo e di F. Dandolo. Per interesse personale sto cercando di tenere traccia di tutti quelli che si vedono nelle aste (non sono molti, ma neppure pochi), per capire se il segno appaia in altri dogi e se sia comune a conii diversi. Metto il link ad un breve scambio in merito nella discussione a proposito di "Contrassegni nei ducati veneti" con @417sonia e @Arka.2 punti
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Non credo, impareremo a diffidare di ciò che non ci convince. Mi fido dell'intelligenza (non) artificiale 😉2 punti
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Difficile dirlo. Potrebbe essere stato usato come stampo... per le orecchiette Pugliesi magari. 😄2 punti
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Buonasera, Vi ringrazio infinitamente per le vostre conclusioni, se non vi scoccio troppo, visto che me ne hanno portate nove pezzi , due le avete gentilmente classificate, posterò le altre sette con la classificazione che hanno come corredo e vediamo, ( vedrete) se collimeranno o se come capisco vi sono tante cose da vedere e confrontare, al momento vi ringrazio1 punto
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Scusate entro in punta di piedi e dico anche io la mia,a me sembra un asse,con patina spagnola,piegato volutamente in antichità,la seconda foto a ore 3 sopra la A,presenta uno scasso,mentre più importante la quarta foto,ore 3-4,due grandi solchi riempiti di materiale,il che non mi fa pensare ad un attrezzo meccanico o fresa di età moderna.1 punto
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Cook islands 2025 - 20 dollari in ag.999 (gr. 93,30) Muraglia cinese - altezza max dalla base 5 cm.1 punto
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Probabilmente è un H61 allora, non ha i punti nello stemma da quel che vedo https://www.theresia.name/cgi-bin/Token.cgi?Item=H61a In generale l'unghia non corta e la piuma singola sulla coda a destra dicono post 1945 Comunque poi appena riesco metto le mani sul manuale di @libeccio Venezia è sicuramente molto più interessante di un Vienna novecentesco, senza nulla togliere ai poveri talleri più recenti!😄1 punto
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Io da queste foto non vedo quei puntino dislocati lí,boh. Magari con altre foto si vedono in quella zona. Non saprei. Eccoli ora nella foto centrale si scorgono Se confermato, è.quello post 900,recente e comune pure1 punto
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Ben ritrovato nella sezione Numismatica, 21 mm è la scritta IUSTITIA, CLEMENTIA è 26 mm1 punto
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Per il primo a sx 10cts blu idem sopra linea 2. Secondo da sx. 1cent color ocra, serie spirale del dragone, stampa di Londra, tipografia Waterlow & Sons LTD, 1902, catalogato 1£. Terzo e quarto da sx. Immagine dott. Sun Yatsen, 1944, 2000 marrone 0.50 pence e 7000 violetto 1£.1 punto
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Questo tipo di annullo era per gli uffici postali di "London inland section" e precisamente il numero 10 appartiene all' ufficio postale di South Kensington quartiere londinese in S.W.7 quartiere chic di Londra. 21 Quartiere londinese di Woolwich S.E.181 punto
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Salve. Pubblico un 5 grana 1851 molto particolare. Se vi fa piacere, cerchiamo di individuarne il motivo... Grazie. Un caro saluto.1 punto
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Da Nicomedia di Bitinia, un esemplare valutato "very rare" di diassarion al nome di Antonino Pio, con al diritto testa laureata dell' imperatore ed al rovescio nave . Sarà il 1 Dicembre in vendita Tiber Num. 7 al n. 69 .1 punto
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Non ci sono, per quanto ne so, indicazioni certe.... Benché le monete siano piene di simboli accessori come segnalato in modo puntuale nel volume 2 di D'Andrea. Essendo molto ampia l'emissione mi pare plausibile che vi fossero più coniazioni contemporaneamente... Ma non so se si possa parlare di officine nel senso che si dava a questa parola, o se nel medesimo spazio lavoravano più maestranze con differenti catene... Spero di essermi spiegato. Non ci vedo una singola officina con 4 o 5 persone e finita lì 🤣1 punto
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Buongiorno, oggi posto i francobolli di Gran Bretagna del 1847-54 con Effigie della Regina Vittoria in cornici diverse con stampa in rilievo, per il n.5 valore da 6 pence la carta era filigranata con lettere R V mentre per glia altri due valiri n.6-7 (1p pence e 1 sterlina) fu usata per la prima volta carta con 2 fili di seta . nel caso dei francobolli presentati, si trovano allo stato di usato, in alcuni casi si trovano usari con la cornice ritagliata, creando pertanto un francobollo ottagonale1 punto
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DE GREGE EPICURI Ecco un'altra moneta della Cilicia, questa volta di Anazarbo, purtroppo molto deteriorata. Al D comunque è ben riconoscibile il ritratto di Lucio Vero, mentre la scritta è poco leggibile: ΑΥΡΗΛΙΟ-C ΟΥΗΡ(ΟC CΕΒ). Al R,Atena stante a sinistra, con scettro ed elmo corinzio. Anche qui, della scritta non si vede quasi nulla: (K)AI (ΙΩΗΡΟC ΤΩ ΑΝΑΖΑΡ ΕΤ) Β.P La moneta pesa 6,3 g. e misura 24 mm. In Wildwinds viene classificata come: SNG Righetti 1494. Non so di RPC.1 punto
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Non fatevi ingannare dal fumo negli occhi gettato da Pedroni, che si dimostra maestro nell'arte di scegliere cosa dire e come dirlo. Innanzitutto, non è vero che non ci sia accordo sulla data di istituzione dei IIIviri monetales e sulla durata della carriera: da Crawford a Belloni, Mommsen e persino Pedroni stesso (1993) concordano su tali aspetti. In secondo luogo, non è vero che ci sia pervenuto un solo nome di monetale dalle fonti, Marco Fonteio è un esempio, ma Cicerone ne cita altri, uno fra tutti, Vettieno (Cic. ad att. XV, 13, 1). Proseguendo, l'argomento delle leges repetundarum e tabulae bantinae non può portare a concludere altro se non che, semplicemente, i monetalis non fossero incardinati nel cursus honorum (Hamilton 1969) come invece sarà da Augusto in poi (12 a.C., lex Iulia de magistratibus, Rotondi 1912, p. 452). Neppure l'argomento per cui appare assurdo che il senato permettesse la propaganda monetaria, dato che i monetales erano rampolli di 27 anni delle famiglie senatorie (Belloni 2002), dunque le stesse che sedevano nella curia ed anzi, non si vede perchè avrebbero dovuto impedire che i propri ragazzi pubblicizzassero le famiglie, facendo ottenere loro più onore. Ancira, le opposizioni di Belloni all'importanza di tale propaganda, sono altre, non quelle citate da Pedroni. Nel suo libro più importante (Belloni 2002) argomenta in modo totalmente diverso, sostenendo che solo poche famiglie avevano effettivamente antenati da vantare, ma ammette anche che fosse uso comune delle gentes romane, inventarsi una discendenza (basti per tutte, la gens Iulia). Sul percorso che ha portato le monete dall'essere anonime e fisse nell'iconografia, a mutare costantemente in un crogiolo di forme e slogan, si rimanda all'excursus fatto da Bernareggi che, personalmente, ho trovato quasi poetico (Bernareggi 1963). Per quanto concerne le emissioni speciali, curate da magistrati non monetari, queste avvenivano per senatoconsulto e sono la prova più consistente che frantuma l'argomentazione della casta monetale. Tutti, se autorizzati dal senato, potevano battere moneta, i monetales erano semplicemente la magistratura preposta specificamente a curare il conio, ma batterono moneta consoli, questori, pretori e pure privati cittadini meritevoli ed autorizzati per S.C. (Crawford 1974, Mattingly 1928). Insomma, si potrebbe andare avanti un'ora, io ho riempito un capitolo della tesi di laurea, smontando questo articolo. L'argomentazione più importante resta comunque quella per cui è assolutamente insostenibile ritenere che le famiglie di Roma provvedessero all'approvvigionamento del metallo da coniare; semplicemente non è possibile. La gens Iulia ha monetato decine e decine di serie, per migliaia di pezzi, e tutti possono contatare che fosse una gens decaduta e costretta a vivere nella suburra. I Fontei hanno monetato almeno 4 serie, se non 5, ed erano nobiltà plebea, non certo tanto ricca da permettersi questo lusso. La verità è che questa teoria fa acqua da tutte le parti e gioca sull'impossibilità di essere confutata da prove materiali, semplicemente perchè non esiste un trattato antico sulla monetazione. Grazie e scusate la lunghezza del commento.1 punto
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Buongiorno a tutti, oggi 25 Novembre tra giusto un mese festeggeremo il Santo Natale, torno a casa dopo un weekend passato tra mercatini di Natale in borghi medioevali nord Italia. Si respira già aria di festa di regali, ma di dolciumi. Questo mi ha portato indietro nel tempo a quando ero bambino ed aspettavo i regali da scartare sotto l'albero a Natale e poi alla Befana. E da buon appassionato di monete potevo non pensare alle mitiche luccicanti monete di cioccolato? Ebbene no, il pensiero è andato proprio a loro. Prima ci si giocava con quel tesoro e poi si mangiava con gusto. Non vorrei dilungarmi molto ma forse non tutti sanno che : Alla domanda perchè a Natale si regalano monete di cioccolato, la risposta potrebbe essere: tutta colpa di San Nicola! I soldi di cioccolato sono uno dei dolcetti più tipici delle feste di fine anno e dal 6 dicembre al 6 gennaio, non c'è ricorrenza in cui non si regalino. Perchè regaliamo monete di cioccolato a Natale Quella di regalare monete di cioccolata è una tradizione secolare che affonda le sue radici nella vita di uno dei santi più amati del cristianesimo, quel San Nicola da cui prenderà le mosse il ben più famoso Babbo Natale. San Nicola è stato un vescovo greco vissuto nel IV secolo le cui reliquie sono conservate a Bari. Le leggende sulla sua figura ce lo raccontano come un santo benefattore e protettore dei bambini che, senza farsi riconoscere, regalava sacchetti di monete alle famiglie più in difficoltà. Quando nell 800 venne messa a punto la lavorazione del cacao (la prima tavoletta di cioccolato risale al 1820, il cioccolato al latte al 1875), da queste storie di gentilezza e carità verso i bambini cominciò la tradizione di confezionare le prime "rudimentali" monete di cioccolato. E nel 1920 i soldi di cioccolata diventano come li conosciamo oggi, dei dischetti di cioccolato al latte racchiusi in lamine lucenti e dorate a ricordare le monete vere. Fonte web. Pubblicato da CARAMEL PARTY il 1 dicembre 2021 Saluti Alberto1 punto
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Buongiorno ,chiedo aiuto per classificazione ed autenticita'. Grazie Peso 10,6 Diametro 2,7 cm1 punto
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Queste parole di @PostOffice rappresentano un vero e proprio manifesto non solo di questa sezione ma di tutto il forum. Grazie a te e a tutti gli amici che ogni giorno condividono francobolli, cartoline e documenti postali un vero viaggio culturale, artistico, sociale, storico, politico e postale che continua a stimolare il nostro desiderio di approfondire le nostre conoscenze nella condivisione ma soprattutto continuando ad emozionare ed emozionarci con la nostra passione.1 punto
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A mio parere la sigillatura in bustina è a dir poco anacronistica all’alba del 2025. Inoltre, malgrado il miglioramento pubblicizzato della plastica, sempre a mio parere conserva i suoi lati negativi. Al di là della possibile manipolazione nella sostituzione della moneta (non facile, ma non impossibile), a mio parere non rimane la scelta migliore per la conservazione (e la tutela) a lungo termine della moneta (specialmente se questa è stata lavata nell’apposito liquido). Ultimamente ho ripreso i miei lavori sul mio sistema di grading, e al contempo sto lavorando su un sistema economico di sigillatura in bustina senza sigilli metallici (non mi sono mai piaciuti, specie quando sono vicini alla moneta) e con la possibilità immediata di verificare l’integrità della sigillatura. Spero a breve di mostrarvi qualcosa1 punto
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Al fine di tentare di capire qualche cosa in più circa prestiti privati e sostentamento dell'aerarium posto questo intervento che tende a riassumere alcuni concetti presenti nel capitolo "Aerarium: I cittadini e le finanze pubbliche" dell'opera di Claude Nicolet, "Il mestiere di cittadino nell'antica Roma" [Editori Riuniti, 1980], testo illuminante che, in lingua italiana, è purtroppo di difficile reperibilità. Per prima cosa va sottolineato che il tributum, un'imposta proporzionale relativa alle proprietà del cittadino e prelevata solo in caso di necessità, non fu mai soppresso ma, dalla sconfitta di Perseo del 167, fu semplicemente sospeso e, all'occorrenza, le autorità avrebbero avuto tutto il diritto di ricorrere nuovamente a questa forma di tassazione straordinaria. Riporto testualmente: "I romani dunque sapevano che erano dispensati dall'imposta diretta soltanto nella misura in cui il Tesoro era ben alimentato e ben amministrato". Se in tempi prosperi anche in caso di guerra il cittadino romano era esentato dal pagamento del tributum va ricordato che le esenzioni erano applicate a proprietà nell' ager Romanus fino all'89 e su tutto il suolo italico dopo. I cittadini romani aventi proprietà al di fuori di questi territori erano regolarmente sottoposti al fisco, che gravava, com'è noto, principalmente sulle province. Ai vectigales aggiungiamo poi i diritti di dogana, di pascolo, pedaggi, monopoli ed altri prelievi che di certo contribuivano all'approvvigionamento dell'aerarium. Dopo il 167 si ricorse al tributum solo nel 43 (per sette anni), sotto il consolato di Irzio e Pansa e ciò fa supporre che nel periodo compreso fra queste date l'aerarium fu sufficientemente alimentato. Punto di riflessione è, ad esempio, il periodo della Guerra Sociale, che sfociò appunto nell'estensione dell' ager Romanus a tutta l'Italia peninsulare a sud del Po, relativi sgravi fiscali inclusi. C'è ora da domandarsi come Roma, per giunta priva del sostegno tributario italico, riuscì a sostenere le spese di guerra senza ricorrere al tributum. L'eredità di Tolomeo poco ci interessa, essendo essa arrivata a Roma non prima dell'88 e monetata, secondo il Crawford nell'86-85 o, secondo il Pedroni, tra l'88 e l'87. Qui mi riallaccio brevemente alla discussione di Caio Ottavio, a cui va indiscutibilmente il merito di aver affrontato un argomento così complesso, allo scopo di fare una precisazione. La Lege Papiria de Assis Pondere (o de Aere Publico) del 91 (secondo Crawford), citata da Plinio (N.H., XXXIII, 46), non va confusa con la Lex Plautia Papiria de Civitate Sociis Danda dell'89. La prima ufficializza la riduzione semionciale e reintroduce l'emissione di sesterzi, la seconda, ben più importante per tutti i non numismatici, estende, quale ampliamento ed integrazione della Lex Iulia de Civitate Latinis Danda del 90, la cittadinanza romana agli italici a seguito della guerra sociale. Cronologicamente prossime (Catalli propone come possibile datazione della legge monetaria l'anno 89, il medesimo della legge sociale) ma differenti nella sostanza, è comunque assai facile fare confusione. Chiarito questo aspetto è certo che dal 91 all'88 Roma si trovò in gravi difficoltà e ciò è dimostrato dalla nuova riduzione ponderale dell'asse; tuttavia non si ricorse al tributum. Una probabile spiegazione a questo mancato prelievo potrebbe essere identificata con la volontà di non alimentare ulteriormente le forti tensioni sociali presenti nella stessa Roma, ma resta il fatto che l'Urbe, in un modo o nell'altro, senza tributum e senza il supporto finanziario degli italici, riuscì ugualmente a portare avanti il conflitto. Ricordiamo poi che stiamo già entrando negli anni della guerra civile. E' in questi momenti di difficoltà che andrebbe probabilmente inquadrato un eventuale approvvigionamento di metallo di fornitura privata e, per trovare la genesi di tale pratica, dobbiamo tornare ad un precedente momento critico della Roma repubblicana, ovvero il periodo della guerra annibalica. Tutto nasce nel 210, come conseguenza del doppio tributum richiesto per il 215 e del provvedimento del 214 che, per far fronte alle spese straordinarie non previste in precedenza, impose l'obbligo a ciascun cittadino di fornire un determinato numero di schiavi (proporzionale al censo), da impiegare per la flotta, con relativo soldo per un anno (Livio, XXIV, 11, 7-9). Dopo oneri così gravosi un'ulteriore richiesta fu accolta, nel 210, con un accesissimo rifiuto, che obbligò i consoli a prendere tre giorni di tempo al fine di trovare una soluzione alternativa (Livio, XXVI, 36, 4-9). A questo punto il console Marco Valerio Levino propose: "Così come i magistrati sono superiori al senato in dignità, e il senato al popolo, così essi devono essere i primi a sopportare gli svantaggi e gli oneri. Se voi volete imporre qualcosa a un inferiore, e se prima avete imposto lo stesso obbligo a voi stessi e ai vostri, troverete tutti disposti a sottomettersi. E l'onere non apparirà loro pesante, se vedranno tutti i principali cittadini assumersene una parte maggiore di quella che spetta loro. Dunque [se vogliamo equipaggiare una flotta] e che i cittadini forniscano dei rematori senza resistenze, cominciamo con l'imporre una parte dell'onere a noi stessi" (Livio, XXVI, 35, 2-5). A tale arringa seguirono poi delle proposte concrete e precise, ovvero la consegna di tutto l'oro e l'argento da parte dei senatori (eccezion fatta per qualche anello, per le bolle dei bambini, le falere degli antichi magistrati curuli e qualche vasellame per i sacrifici); a ciascun senatore fu concesso di conservare al massimo una libbra d'argento e cinquemila assi come padre di famiglia. Tutto il resto fu consegnato allo scopo di sollecitare l'emulazione dell'ordine equestre prima e della plebe poi (Livio, XXVI, 36, 6-9). Ecco il sostanziale cambiamento, dal tributum imposto ed obbligatorio si passò ad un "prestito volontario". Va da sé che in tale situazione i ceti medio bassi, già impoveriti dai prelievi del 215 e del 214, poco avevano da dare e, di fatto, il contributo volontario proposto da Levino andò ad interessare principalmente i ceti alti e medio alti. Così come il tributum, anche questa nuova forma di prestito prevedeva, negli anni a seguire e ad emergenza rientrata, il rimborso, che iniziò ad essere corrisposto a partire dal 204, in tre pensiones (204, 202, 200). Il terzo pagamento, quello del 200 (Livio, XXXI, 13, 3-9), fu corrisposto, almeno in parte, nella forma delle trientabula, ovvero in terre prese dall' ager publicus. Lo Stato manteneva la proprietà sui terreni ed il beneficiario poteva godere dei benefici del loro sfruttamento pagando un vectigal simbolico di irrisoria entità. E' qui che inizia la speculazione ed è qui che iniziamo a comprendere la natura del tornaconto dei prestiti privati verso lo Stato. Riporto testualmente dal Nicolet: "E se malgrado ciò [con riferimento al successivo trasferimento degli oneri fiscali sulle province] lo Stato avrà bisogno ancora di fare appello ai propri cittadini, lo farà sotto forma di prestiti che risulteranno un buon affare per tutti." Da tutto questo personalmente ricavo: 1. Il prestito dei privati nei confronti dello Stato trova nelle fonti solidi riscontri e, al tempo stesso, abbiamo capito la natura del tornaconto di una simile azione. 2. Vedo in tale pratica caratteristiche di straordinarietà. Che tutto il monetato del periodo repubblicano derivi da prestiti privati mi lascia piuttosto perplesso. Gli interrogativi sono ancora molti ed altrettanto numerose sono le variabili. Ad ogni modo abbiamo fino ad ora approfondito degli importanti meccanismi, fondamentali per l'indagine in questione.1 punto
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